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Incontri
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E-book159 pagine2 ore

Incontri

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Incontri nasce dal desiderio di lasciare testimonianza di una lunga serie di straordinari contatti intellettuali e umani. Queste eccezionali conoscenze, avvenute tra l’Italia, gli Stati Uniti e l’America Latina e legate dal filo rosso del viaggio e dell’esilio, costituiscono oggi la vivida traccia di una vita intera. Terza elaborazione di Spiriti Costretti, Incontri rappresenta la memoria di più di mezzo secolo di grandi mutamenti politici e culturali.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2016
ISBN9788838244421
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    Anteprima del libro

    Incontri - Angela Bianchini

    ROMA

    INTRODUZIONE

    Questo volume nasce quale terza elaborazione delle due precedenti edizioni di Spiriti costretti (Spiriti costretti, Vallecchi 1963 e Spiriti costretti. Racconti biografici, Aragno 2008), i cui personaggi, come ho già scritto, ritrovavano quegli incanti a cui alludeva un verso dell’Orlando Furioso (non con spirti constretti tali incanti), che mi era stato suggerito da mia sorella Regina Soria. La Soria viveva allora negli Stati Uniti e, oltre ad aver iniziato in quegli anni le sue ricerche sugli American Artists in Italy (dove artists, nel senso anglosassone, includeva anche scrittori e poeti), collaborando regolarmente alle pagine culturali dell’«Evening Sun» di Baltimora, aveva accesso a molte primizie letterarie americane di cui usufruivo anche io qui in Italia.

    Il presente volume mostra non soltanto un titolo ma un carattere necessariamente diverso, conseguenza di come le prospettive culturali e biografiche di tanti personaggi abbiano, con gli anni, guadagnato in slancio ed ampiezza, mentre molte esistenze si sono concluse, assumendo così, almeno dal punto di vista biografico, forme definitive.

    Per questi motivi, dunque, ciò che è mutato è il punto di osservazione, pur basandosi sempre sul tema degli incontri reali dei personaggi e dell’autrice, questi ultimi risalenti addirittura alla sua formazione in Italia, prima della seconda guerra mondiale, e negli Stati Uniti dei primi anni Quaranta.

    Sul piano personale, comincerei col dire che il corso della mia vita ha preso una certa direzione molto prima delle leggi razziali, e questo per la storia della mia famiglia e per la morte di mio padre, il comandante Angelo Levi Bianchini, avvenuta nel 1920 in Siria, prima che io nascessi, in circostanze politiche molto difficili. E, naturalmente, per tutto quello che ne è conseguito.

    Le leggi razziali, poi, proclamate nel 1938, mi avevano permesso di finire il liceo classico ma impedito di andare all’università. Fu questo il motivo per cui nel 1940 cercai di ottenere quel Certificate of Proficiency in English che l’Inghilterra, in quel primo anno di guerra che vedeva il British Institute chiuso e Londra bombardata, continuava tuttavia ad offrire ovunque si studiasse l’inglese.

    L’unica possibilità di tentare l’esame stava nella Scuola delle Suore Inglesi situata in via Abruzzi a Roma e lì lo tentai anch’io. Va detto che, avendolo studiato per molti anni con quella straordinaria insegnante della quale ho parlato in altre occasioni, Mrs. Crickett, l’inglese lo conoscevo abbastanza bene.

    Così, quel 10 giugno del 1940, con pochi alunni fedelissimi, mi trovai ad affrontare la prima prova: il dettato. In quel pomeriggio, tuttavia, attraverso la finestra aperta dell’Istituto, giungeva la voce tonante di Mussolini che annunciava l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania. Fu allora che la suora che presiedeva l’esame disse: Let’s close the window, and go on with the dictation.

    E così affrontammo la prima prova, a cui seguirono, secondo l’orario prestabilito, tutte le altre. Data la situazione politica, era improbabile che l’Inghilterra, presa da ben altre cure, si occupasse di correggere le prove scritte ed orali dell’esame. E invece così avvenne e nel dicembre dello stesso anno fummo informati che tutte le prove, raccolte in Canada, erano state regolarmente corrette ed ebbi allora la sorprendente notizia di aver conseguito il Certificate, risultando una delle prime.

    Le conseguenze di quell'esame furono per me di grande importanza. Infatti a Baltimora, dove, un anno più tardi, raggiunsi mia sorella e mio cognato che, come me, avevano ottenuto un affidavit da un amico di mio padre conosciuto in Palestina, si trovava un piccolo gruppo di italiani esuli. Con loro venne spontaneo dibattere se fosse saggio impiegare i cinquecento dollari, che il governo italiano mi aveva concesso di portare con me, al fine di iscrivermi per un anno ad un college.

    Del gruppo faceva parte anche Charles S. Singleton, allora soltanto Assistant Professor di Italiano, ma destinato a diventare famoso per i suoi grandi studi su Dante e Petrarca. Fu anzi lui a presentarmi al Capo del Dipartimento di Lingue Romanze dell’Università di Johns Hopkins, H. Carrington Lancaster, già allora molto noto per i suoi studi sul teatro francese del Cinque-Seicento.

    Dai colloqui con Lancaster emerse come il mio curriculum vantasse, a differenza di quello di altri candidati, comunque pochissimi, ben otto anni di latino e cinque di greco – nient’altro che la formazione tipica del liceo classico in Italia – oltre al famoso Certificate. Fu proprio grazie a questo curriculum che venni ammessa, con una borsa di studio della durata di un anno, al Dipartimento di Lingue Romanze nella Graduate School di Johns Hopkins. Quest’ultima era aperta anche alle donne, a differenza della Undergraduate School, ad esse, allora, ancora preclusa. Avendo quasi subito conosciuto Leo Spitzer, cinque anni dopo, sotto la sua guida, conseguii il PhD in Linguistica Francese.

    Ecco, dunque, perché Incontri mantiene il carattere della seconda edizione di Spiriti costretti, che aveva come sottotitolo, per suggerimento di Raffaele Crovi, la dicitura racconti biografici. Per lo stesso motivo, in effetti, vengono qui inclusi alcuni di quei personaggi più lontani nel tempo, i quali avevano conosciuto e amato l’Italia anche prima della Rivoluzione Francese, e che, in un primo momento, per ragioni di spazio, avevo pensato di eliminare, benché offrissero dell’Italia una visione interessante e innovativa e all'epoca fossero, a differenza di quanto ormai accade oggi, poco noti e poco studiati.

    Come gli altri, si trattava di coloro che avevano avuto il desiderio di trovare o ritrovare quegli incanti che, in definitiva, già si portavano dentro, in modi e paesi vari, a volte viaggiando, a volte consumandosi in viaggi immaginari attorno alla propria stanza oppure assistendo agli arrivi e partenze delle persone che più amavano.

    Alcuni di essi rimangono assolutamente emblematici del fascino suscitato allora dall'Italia, come Edith Wharton. Ristudiata oggi, alla luce di nuovi documenti, rimane tuttavia indelebile l’immagine di lei bambina che gioca, a Roma, sulle pendici del Pincio. Di quei pomeriggi, la Wharton ha lasciato pagine indimenticabili: «Le ore più belle erano quelle trascorse con la mia governante al Pincio, dove giocavo con la piccola sorellastra di Marion Crawford, Daisy Terry, e suo fratello Arthur. Altri bambini, di cui non ricordo più nulla, facevano parte della banda; ma Daisy e suo fratello sono rimasti vivi in me. Là giocavamo, inseguendoci fra le vecchie panchine di pietra, correndo, facendo rotolare i cerchi, saltando alla corda, o fermandoci senza respiro per osservare la fantastica processione di grandiosi barocci e lucenti cavalli sellati che, alla fine di ogni bel pomeriggio d’inverno, trasportavano il fiore delle bellezze romane e della nobiltà avanti e indietro lungo i sentieri serpeggianti sulla collina».

    Tra i ricordi più antichi dell’Italia, accanto a questo straordinario della Wharton, abbiamo voluto salvarne un altro paio – Una primavera di duecento anni fa e L’indomita signora Trollope – tanto per dare un’idea del fascino perenne esercitato dall'Italia sugli stranieri, persino nei momenti più difficili della sua storia.

    Quanto agli incontri del mio periodo americano, la loro stessa natura racconta quali emozioni racchiudessero quegli anni, attraverso scorci che possono servire a dimostrare una volta di più le complessità delle situazioni politiche che, in qualche modo, ho visto io stessa evolversi sotto i miei occhi.

    Un ruolo preponderante, in tutto questo, va riconosciuto proprio all'università che frequentai, dove approdarono, per iniziativa dei professori residenti, i grandi personaggi che gli Stati Uniti avevano accolto ed aiutato.

    Per tutta una serie di circostanze che cercherò di spiegare nei singoli capitoli, alcuni protagonisti principali di queste riunioni erano Jorge Guillén e Pedro Salinas, nella cui casa io stessa ho vissuto, quando la famiglia Salinas raggiunse Portorico, dove il poeta è sepolto.

    Per scelte personali, poi, ho incluso in questa raccolta il ritratto di un grande studioso antifascista, Giorgio Levi Della Vida, che, in quegli anni, risiedeva, esule, a Philadelphia. Altri incontri, questa volta italiani, trovano la loro spiegazione proprio nel periodo in cui si svolgono: tra questi, il colloquio con Iris Origo, che, dalla sua casa toscana in Val d’Orcia, è stata determinante per la salvezza di tanti antifascisti al momento della Liberazione.

    Anche se ci sarebbe molto da attingere al fascino di tali incontri, preferisco lasciarli proprio come mi sono capitati nella vita, ricordando, per esempio, come dimostrazione di felice casualità, il fatto che, non avendo mai conosciuto personalmente Berenson, abbia potuto ritrovarlo, dopo la sua scomparsa, nell’atmosfera dei Tatti e nei ricordi della sua grande amica Nicky Mariano.

    Ancora un esempio: ho lasciato intatto il ritratto di María Teresa León così come l’avevo conosciuta a Roma, accanto a Rafael Alberti. Come sappiamo, una volta ritornata in Spagna, dopo la caduta del franchismo, si è poi ammalata gravemente, ma Roma mi aveva offerto un’immagine di donna e scrittrice affascinante e complessa che neppure le tante vicende dolorose, che già allora aveva attraversato, erano riuscite a turbare.

    I miei contatti personali, dunque, sono avvenuti nei modi più vari: apparentemente misteriosi o, almeno, non sempre chiari al momento in cui accadevano, spesso hanno trovato un significato col passare degli anni.

    D’altra parte, approfondire temi e situazioni alla luce del tempo è la prospettiva della critica ed è questo uno degli aspetti più affascinanti anche dello studio del mondo ispanico e latinoamericano. Qui, gli elementi di complessità nascono dalle situazioni politiche, dalle guerre combattute in Spagna e in America Latina e anche, diciamolo pure, dalle circostanze difficili in cui molti hanno dovuto vivere.

    Una di queste, forse la più determinante, è stata quella dell’esilio, di cui, in realtà, quasi tutti i protagonisti delle vicende narrate, me compresa, hanno fatto esperienza.

    L’esilio, in fondo, è il filo rosso che lega, in forme diverse, tutte queste esistenze e le porta a convergere in queste pagine, ma particolarmente vero risulta questo, appunto, per coloro che erano nati e vissuti in Spagna e in America Latina e che, forse, più degli altri, dell’esilio subirono la tragica condizione.

    Quanto, poi, al grande fenomeno della fusione della letteratura latinoamericana con quella spagnola, si può partire da un’espressione adoperata oggi anche da persone che non ne conoscono l’origine. Si tratta di Cent’anni di solitudine, titolo del capolavoro di Gabriel García Márquez, vale a dire di colui che, in un certo senso, ha dato visibilità all’America Latina. Il romanzo nacque quasi per caso, mentre lo scrittore colombiano, come lui stesso ha narrato, stava andando da Città del Messico ad Acapulco, sulla sua vecchia macchina, in compagnia della moglie Mercedes e dei suoi due figli. Fu allora che capì improvvisamente di dover inseguire le storie che da anni lo inseguivano: girò la macchina, tornò a casa, si mise a scrivere. Per campare fece debiti. Ma nel maggio del 1967, Cent’anni di solitudine era pronto: l’editore ne aveva stampate ottomila copie che a Márquez erano parse eccessive e che furono, invece, esaurite in otto giorni. Nel 1982, il libro gli valse il Premio Nobel.

    In Italia, a diffondere l’immagine dell’America Latina ha contribuito un fenomeno impossibile da ignorare: l’esistenza dell’IILA. Ai sensi della Convenzione Internazionale, firmata a Roma il 1° giugno 1966, fu creato l’Istituto Italo-Latino Americano, organismo internazionale intergovernativo, con il compito di promuovere le relazioni istituzionali e culturali fra l’America Latina e l’Italia e, per il tramite dell’Italia, fra l’America Latina e l’Europa.

    L’Istituto dispone di un patrimonio librario di circa novantamila titoli, comprendente alcuni fondi di particolare rilievo (Las Américas, costituito negli Stati Uniti d’America nei primi anni del Novecento) che, dal dicembre del 2012, in seguito ad un accordo in comodato tra l’IILA e Roma Tre, è stato trasferito nella sede del Terzo Ateneo Romano, e realizza una collana di studi di argomento latinoamericano per le edizioni de Il Mulino di Bologna.

    Il primo presidente onorario dell’IILA, Amintore Fanfani, ne fu anche l’ideatore, mentre a dirigere il Centro di Studi, Documentazione e Biblioteca dell’Istituto, fin dall’inizio, è stato il professor Riccardo Campa, Emerito di Storia delle dottrine politiche e Direttore del Centro di Eccellenza della Ricerca dell’Università per Stranieri di Siena.

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