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Mitologia, la grande raccolta!
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E-book356 pagine4 ore

Mitologia, la grande raccolta!

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Info su questo ebook

Desideri scoprire tutto sui leggendari miti dei popoli che ci hanno preceduto? Vuoi conoscere le principali divinità delle antiche popolazioni del mondo? Vorresti entrare a far parte di questo mistico universo con le sue curiose credenze?

 

Al giorno d'oggi, ormai, la natura non è più un segreto; abbiamo scoperto e studiato ogni fenomeno naturale, riuscendo a dare una spiegazione logica e sensata ad ogni cosa, compresi terremoti, eclissi e maree.

Per i popoli antichi, però, non era così. Un senso di mistero e paura avvolgeva ogni evento naturale, dando vita a mostruosi giganti senza pietà, terrificanti spiriti demoniaci e potenti divinità immortali. Dando vita, così, a quelle che noi oggi chiamiamo mitologie ma che, per gli uomini che ci hanno preceduto, non erano nient'altro che la pura e semplice verità in cui credere.

Con Mitologia, la grande raccolta entrerete in questo affascinante mondo di miti e leggende che, nonostante i millenni, riescono ancora ad ammaliarci e stupirci. Inizierete un viaggio alla scoperta di temibili mostri, potenti déi, invincibili eroi e re valorosi; un viaggio attraverso culture e popoli incredibili in cui non mancheranno passione, guerre, sangue e magia...

 

All'interno troverai:

  • Mitologia Greca: forse la più conosciuta tra le mitologie, è costellata da grandi divinità, mostri, centauri, eroi e draghi. In questo libro scoprirete tutti i principali miti del popolo ellenico, le storie incredibili che hanno segnato l'antica Grecia, dalla nascita del mondo e degli uomini, alle storie più avvincenti degli abitanti dell'Olimpo.
  • Mitologia Norrena: incredibilmente misteriosa e suggestiva, viene caratterizzata da potenti déi, cruenti re e giganti immortali. Tra le pagine di questo libro, troverete tutto ciò che c'è da sapere sul popolo vichingo, popolo di invincibili guerrieri, abili naviganti e uomini di grande fede, dalla formazione dei nove mondi, al Ragnarok.
  • Mitologia Giapponese: evocativa e spirituale, non manca di demoni malvagi e divinità crudeli. Con questo volume, entrerai a contatto con le antiche tradizioni del popolo nipponico, con i suoi spiriti e le sue leggende. Scoprirai ogni aspetto di questa cultura, dalla creazione del mondo ai più famosi racconti popolari.

Se sei un appassionato di mitologia, se vuoi scoprire tuti i segreti dei più grandi popoli della terra, se desideri approfondire le tue conoscenze, non aspettare oltre! Questo libro è ciò che stai cercando!

Aggiungi Mitologia, la grande raccolta al carrello e parti per un viaggio unico ed affascinante!

LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2022
ISBN9798886277678
Mitologia, la grande raccolta!

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    Anteprima del libro

    Mitologia, la grande raccolta! - Giulio Angelis

    PARTE UNO

    MITOLOGIA

    GRECA

    ––––––––

    La raccolta dei Miti greci.

    Titani, Dei, ninfe ed eroi dell'antica Grecia.

    LA MITOLOGIA GRECA

    Che cosa sono i miti?

    La prima domanda che viene da farsi, quando si parla di mitologia greca, è forse questa: «Ma i Greci, in ultima analisi, credevano davvero nei loro miti?». 

    A primo impatto questa può sembrare una domanda banale, quasi scontata. Per noi moderni la risposta è abbastanza ovvia: no, non ci credevano. Da questo punto di vista i miti rappresenterebbero il modo in cui gli antichi Greci, privi di una vera e propria mentalità scientifica, cercavano di dare una spiegazione ai fenomeni naturali, ai terremoti, all’esistenza di pianeti e costellazioni. Questa è certamente una risposta plausibile – sono sicuro che anche voi ci abbiate pensato, almeno una volta –, ma non è l’unica possibile. 

    Anzi, secondo un gran numero di critici e di storici della mitologia, questa non sarebbe neanche la risposta esatta. A parere di Paul Veyne, uno dei più illustri studiosi della cultura greca, ad esempio, la risposta corretta sarebbe l’opposta: sì, gli antichi Greci credevano davvero nei loro miti. E non ci credevano allegoricamente; ci credevano veramente. 

    L’idea di Paul Veyne è più o meno questa: come i Greci avevano i loro miti, così noi abbiamo i nostri. Noi crediamo, per fare un esempio, che le nostre teorie sulla fisica delle particelle abbiano un fondamento scientifico innegabile. Così come crediamo che sia assurdo, in ultima istanza, credere nell’esistenza degli extraterrestri. Ma non è detto che tra cento, o duecento anni, le conoscenze in ambito scientifico renderanno queste nostre certezze delle vane credenze del passato: delle mitologie, per l’appunto.

    Certo, questo non toglie che la mentalità greca fosse fondamentalmente diversa dalla nostra – sicuramente più arretrata, se vogliamo – ma non assicura neanche che fosse poi così diversa da esserci incomprensibile. I nomi mutano, le idee restano più o meno le stesse. Per fare un esempio, noi parliamo spesso del legame tra il potere politico e la corruzione, così come gli antichi Greci parlavano spesso del legame tra il potere divino e la corruzione morale: Zeus, non a caso il re dell’Olimpo, era anche il dio della lascivia e della lussuria. Noi parliamo del rapporto tra l’amore e il tradimento: così come per i Greci Afrodite, la dea dell’amore, era anche la dea della pazzia e dell’inganno. Ma di tutto questo parleremo più tardi, quando sarà il momento. Perciò andiamo avanti. Ci eravamo chiesti, insieme a un gran numero di critici: ma i Greci, in ultima istanza, credevano davvero nei loro miti? 

    Se la risposta è no, la mitologia perde gran parte della sua potenza. 

    Se la risposta è sì, dobbiamo ricordarci che, innanzitutto, la mitologia greca era la religione greca, e non il contrario. 

    Per questo motivo, in questo libro, pur parlando dei miti più noti e, a mio parere, più belli della mitologia greca, ci concentreremo prima sulla mitologia dell’Olimpo, e cioè su quel corpus di miti che gli antichi Greci reputavano essere l’epicentro della loro cultura, della loro religione e della loro vita quotidiana. 

    Questi miti raccontano ciò che ogni religione tende a raccontare: l’inizio del mondo, la nascita degli uomini, i conflitti e le contese della vita di tutti i giorni. 

    In questo libro, seguendo dunque la cronologia originaria, cominceremo a parlare della nascita del mondo, che i Greci chiamavano Cosmogonia, e della nascita dell’uomo, esemplificata dal mito di Prometeo; poi vi racconterò del mito di Crono, della ribellione di Zeus e della conquista dell’Olimpo; per passare subito dopo a trattare del pantheon degli dèi.

    Per ogni dio, a questo punto, tratterò un mito che a mio parere esemplifica al meglio il carattere e il significato di ogni divinità. Così, prima tratteremo i miti che riguardano Era, Zeus e i suoi fratelli; e poi quelli che riguardano i figli del re e della regina dell’Olimpo. 

    Per finire, vi racconterò ancora qualcuno tra i miti più importanti della cultura greca: il mito di Narciso, il mito di Teseo e il minotauro e quello di Orfeo ed Euridice. In questo modo, avremo delineato una panoramica, anche se non esaustiva, perlomeno ampia della mitologia greca. Cercheremo anche di non limitarci a trascrivere freddamente le storie e i miti che ci sono stati tramandati, ma di tradurli in un linguaggio il più possibile vicino al nostro linguaggio quotidiano, così da creare una via d’accesso privilegiata ad un mondo tanto enigmatico e distante dal nostro vivere di tutti i giorni.

    Ma andiamo avanti. 

    Dicevamo che la mitologia greca narra in maniera abbastanza tradizionale della nascita del mondo e della nascita degli uomini. Ma la religione greca ha qualcosa di essenzialmente diverso dalle altre religioni, e, nella fattispecie, dalla religione cristiana: quest’ultima pensa ad un Dio che genera il mondo e gli esseri umani; quella, invece, ad un mondo generato dal Caos in cui le stesse divinità sono state generate. Di qui il carattere essenzialmente umano delle passioni, ma anche delle figurazioni, delle divinità greche: esseri superiori, certo, esseri immortali, altrettanto certo, ma anche esseri che partecipano del mondo esattamente come ne partecipano gli uomini. 

    Nella Bibbia, la distanza fisica tra l’uomo e Dio è incolmabile: quelle poche volte in cui viene colmata, è nelle preghiere e nei sogni (i profeti sognano di parlare con Dio); mentre quella spirituale è sempre colmabile: grazie alla fede, che, nonostante la distanza, fa sentire l’uomo come un figlio di quel Dio che, appunto, l’ha generato. 

    Nella mitologia greca, non c’è distanza fisica tra divinità e uomo: gli uomini e gli dèi abitano nello stesso spazio, uno spazio fisico che è il pianeta Terra. Solo che le divinità abitano più in alto, in cima al monte Olimpo, dal quale scendono per amministrare i propri affari o per risolvere delle questioni più o meno urgenti. E gli stessi uomini non sono completamente esclusi dal divino: l’antica Grecia era (mitologicamente) abitata da semidei, da eroi, da ninfe e da satiri. Eppure tra gli uomini e il divino, sul piano spirituale, c’è sempre un rapporto conflittuale, perché spesso sono gli stessi dèi, capaci di emozioni negative, a muovere la lotta.

    Quello che gli antichi Greci ci raccontano è un mondo in cui regna una mentalità molto diversa dalla nostra, ma che, nonostante tutto, non la esclude completamente. 

    La domanda che ci eravamo posti suonava più o meno così: ma i Greci credevano davvero nei loro miti? La risposta è che possiamo presupporre di sì, almeno secondo quanto ci dice una parte delle nostre fonti.

    D’altra parte, questa è una domanda a cui è impossibile rispondere in modo definitivo. Ci credevano? Non ci credevano? A noi rimangono solamente i resti, le tracce, di questo loro credere o non credere: ciò che gli stessi Greci chiamavano miti. E, in fondo, queste tracce sono ciò che ci interessa: non solo per la stravagante bellezza di questi racconti (fanciulle trasformate in alberi, eroi che combattono minotauri o pericolosi mostri marini), ma anche perché questi racconti non smettono mai di insegnarci delle grandi verità, morali e artistiche, su noi stessi e sul nostro tempo.

    Ma che cosa significa, in greco, il termine mito (μῦθος, mythos)?

    Letteralmente, potremmo tradurlo con: racconto. I miti greci erano dunque i racconti che gli antichi Greci narravano in occasioni, in tempi e in modi più o meno diversi tra loro. Sappiamo, per esempio, che la mitologia greca cominciò a svilupparsi e a definirsi in modo omogeneo tra il X e l’VIII secolo a.C., per mezzo di racconti orali. Anzi, per mezzo di canti. I cantori di queste storie, storie sull’origine del mondo e sulla nascita degli dèi, ma anche sugli eroi e sulle loro miracolose imprese, venivano chiamati aedi e rapsodi. I primi attingevano ad un certo numero di storie, diciamo, tradizionali, e le modificavano a loro piacimento (il che potrebbe spiegare lo sviluppo di varie versioni degli stessi miti); i secondi, i rapsodi, cantavano invece imprese già cantate, e lo facevano attenendosi il più possibile alla tradizione. 

    Pochi secoli dopo, quando Omero scrisse l’Iliade e l’Odissea ed Esiodo la sua Teogonia, questi miti erano già entrati a far parte in maniera stabile nella cultura dell’antica Grecia. 

    Solo allora, dopo essere entrati a far parte della cultura scritta, vennero tramandati in modi molto diversi tra loro nella cultura romana, che li modificò a proprio piacimento permettendone allo stesso tempo la conservazione. 

    Dall’antica Roma, la cultura greca è poi arrivata nel mondo arabo; dal mondo arabo è tornata a quello del Medioevo occidentale; dal Medioevo al Rinascimento (non c’era nulla che i principi amassero più dei loro antenati Greci); e così, passo dopo passo, è riuscita per vie traverse ad arrivare fino a noi. 

    Il loro tempo, il nostro tempo

    Naturalmente, la mitologia greca non era solo la religione greca e non coincideva in ogni parte con essa. Senza dubbio c’era in essa un elemento religioso, del resto non estraneo ad alcuna cultura che abbia sviluppato e raccolto una tradizione di racconti tanto vasta (basti pensare alla mitologia egizia o a quella norrena).

    Ma la mitologia greca era anche la morale greca: i miti greci veicolavano, cioè, una serie di insegnamenti morali sulle questioni fondamentali dell’esistenza.

    E veicolavano questi insegnamenti per un essere umano ben preciso: il cittadino della Grecia. Chi siamo? La violenza è un bene o è un male? Come si fa ad essere felici?

    Questi insegnamenti volevano essere eterni: eterni perché eterne erano le questioni che trattavano.

    Ora, per noi moderni, anche questo è un concetto abbastanza stravagante: come può qualcosa essere eterno se la storia cambia, se il mondo progredisce, se le civiltà fioriscono e muoiono? Come potevano, insomma, gli antichi Greci credere nell’eternità dei loro insegnamenti?

    La risposta è, allo stesso tempo, molto complessa e molto semplice: i Greci, come quasi tutti i popoli che hanno vissuto prima della nascita della religione giudaico-cristiana, non pensavano che il tempo fosse una dimensione lineare, ma che fosse, al contrario, circolare.

    In poche parole: i Greci credevano che ci fosse un inizio, poi un percorso, e che alla fine quel percorso tornasse esattamente al punto di partenza.

    Solo con la religione cristiana l’Occidente ha cominciato a pensare ad un tempo lineare: il tempo della creazione che si muove verso l’Apocalisse e il Regno dei Cieli: un futuro che non è identico all’inizio, ma che ne è per così dire il compimento[1].

    Insomma, i Greci non vedevano il tempo come una linea, ma come un cerchio, raffigurato idealmente dall’uroboro: un serpente che mangia la sua stessa coda.

    Si presume che questa simbologia arrivasse ai Greci dalla cultura persiana, cultura che ebbe sicuramente molta influenza sulla stessa mitologia greca. Come ebbero influenza sulla cultura e sulla religione greca molte altre tradizioni orientali, a partire da quella egizia fino ad arrivare a quella babilonese.

    Ma questo è un discorso che meriterebbe un’intera trattazione, e che per ora lasceremo da parte.

    Dicevamo che gli antichi Greci pensavano ad un tempo circolare.

    Per farvi un esempio: per noi moderni, la storia è essenzialmente lo studio del passato per la previsione di un futuro lontano. Si studia la guerra fredda per cercare di capire in che tipo di rapporti potranno trovarsi gli Stati tra dieci o vent’anni, o si studia la cultura antica per cercare di indovinare quanto e come la nostra cultura lascerà il posto ad un’altra cultura, presto o tardi.

    Gli storici greci (Polibio, Erodoto, Tucidide), invece, scrivevano la loro storia per fare in modo che gli errori passati non si ripetessero in futuro. Un Re aveva tradito, la sua città era crollata: raccontare la sua storia era d’insegnamento ai posteri, perché ciò che è accaduto una volta, nella mentalità degli antichi Greci, tenderà sempre a ripetersi in modo più o meno identico.

    Insomma, la mitologia greca aveva anche un intento didascalico.

    Che cosa accade se si pecca di superbia? E il mito di Aracne risponde: si viene trasformati in animali, si perde la propria forma umana, si paga il proprio errore.

    Oppure, che cosa succede se ci si innamora della propria immagine? Si cade nell’acqua di un lago, si annega; infine, probabilmente, si muore. Essendo stato così, lo sarà di nuovo: il mito insegna a non ripetere l’errore, che nonostante ciò, molto probabilmente, verrà commesso ancora e ancora fino alla fine dei tempi.

    Riassumendo, possiamo intanto dire questo:

    la mitologia greca è un insieme di racconti, trasmessi prima oralmente e poi entrati a fare parte della cultura scritta, che gli antichi Greci consideravano anche come il fondamento della propria religione;

    i miti greci avevano anche un intento didascalico: volevano cioè insegnare a non cadere negli stessi errori del passato, a non ripetere la storia;

    servivano, naturalmente, e nonostante ciò che molti critici hanno scritto, anche a fornire spiegazioni di certi fenomeni naturali altrimenti inspiegabili e incomprensibili.

    Vorrei che non leggeste queste tre caratteristiche della mitologia come opposte, ma come complementari.

    I miti erano sia religione, sia racconti morali sia spiegazioni favolose di eventi naturali. Insomma, se siete qui a leggere un libro sulla mitologia greca, posso dedurre che l’argomento vi affascini e vi incuriosisca. Perciò sono sicuro che anche voi, come me, vi lascerete catturare dall’eleganza e dal fascino di questa cultura mitologica, che, a distanza di millenni, è ancora il fondamento di gran parte del nostro sapere sugli uomini e sul mondo.

    TEOGONIA E ANTROPOGONIA

    Esiodo. La Teogonia

    Che cosa sappiamo di Esiodo, il più grande dei poeti epici greci insieme ad Omero? La prima cosa che verrebbe da dire, facendo un calcolo approssimativo della distanza temporale che ci separa da questo poeta, è semplice: sappiamo poco, e quel poco che sappiamo è una congettura. Questa risposta è valida, ad esempio, per quanto riguarda Omero: poeta sul quale abbiamo pochissime notizie, molto spesso contraddittorie; mentre su Esiodo, fatto straordinario, abbiamo dati più attendibili.

    Sappiamo, per esempio, che partecipò ad una gara poetica intorno al VII secolo a.C., il che si accorda con la stessa narrazione autobiografica che Esiodo conduce nel suo Le opere e i giorni, opera di cui parleremo più avanti.

    Sappiamo anche che nacque figlio di un commerciante marittimo, e che, a causa di problemi economici, divenne ben presto un agricoltore. Sappiamo che Esiodo conosceva a fondo la cultura mitologica greca, ancora trasmessa oralmente, e che nelle sue opere (soprattutto nella Teogonia) cercò di raggruppare questi miti eterogenei in una narrazione unitaria ed esaustiva.

    Sappiamo anche che ebbe una diatriba con il fratello per delle questioni ereditarie, dato che è lo stesso Esiodo a raccontarci di tutti questi avvenimenti. Dunque, al contrario di Omero, Esiodo ci ha in qualche modo messi al corrente della sua vita, delle sue aspirazioni e dei suoi problemi personali. Il che, dal punto di vista storiografico, è naturalmente una cosa straordinaria. Ma andiamo avanti.

    Dicevamo che Esiodo, profondo conoscitore della cultura mitologica tradizionale, decise di comporre la Teogonia per dare un corpo unitario a miti eterogenei e ancora trasmessi solo per via orale.

    E proprio dalla Teogonia (datata VII secolo a.C.), noi moderni veniamo a sapere tutto ciò che sappiamo sulla Cosmogonia greca e sulla Teogonia stessa.

    Il poema si apre con un inno alle Muse. Esiodo ci racconta che, camminando su un monte, mentre faceva pascolare delle pecore, si imbatté nelle Muse, le divinità protettrici delle arti. Le muse gli dicono che ha un compito: narrare della nascita del mondo e della nascita degli uomini. Esiodo accetta il compito, onorato, e comincia la sua narrazione, che altro non è se non una Cosmogonia (discorso sulla genesi del mondo).

    "E nacque dunque il Càos primissimo; e dopo, la Terra

    dall’ampio seno, sede perenne, sicura di tutti

    gli Dei ch’ànno in possesso le cime nevose d’Olimpo,

    e, della terra dall’ampie contrade nei bàratri, il buio

    Tàrtaro; e Amore, ch’è fra tutti i Celesti il piú bello,

    che dissipa ogni cura degli uomini tutti e dei Numi,

    doma ogni volontà nel seno, ogni accorto consiglio.

    I figli del Càos

    Dal Caos ebber vita quindi Èrebo, e Notte la negra.

    I figli della Notte

    Nacquero l’Ètere e il Dí dalla Notte, che ad Èrebo mista

    giacque in amore, e incinse, li die’ l’una e l’altro alla luce.

    I figli della Terra

    La Terra generò primamente, a sé simile, Uràno

    tutto cosperso di stelle, che tutta potesse coprirla,

    e insieme sede fosse dei Numi del cielo sicura;

    e generò gli alti Monti, graditi riposi alle Ninfe,

    che Dive sono, ed hanno riparo per valli boscose,

    e il Ponto generò, senza gioia d’amor, ch’è un immane

    pelago, dove mai non si miete, che gonfia ed infuria.

    I Titani figli della Terra e d’Uràno

    Poi, con Uràno giaciuta, generò l’Ocèano profondo,

    e Coio, Crio, Giapèto, Mnemòsine, Tèmide, Rea,

    Iperïone, Tea, l’amabile Tètide, e Febe

    dalla ghirlanda d’oro. Dopo essi, il fortissimo Crono

    venne alla luce, di scaltro consiglio, fra tutti i figliuoli

    il piú tremendo; e d’ira terribile ardea contro il padre[2]".

    Dunque, dopo la scena delle Muse, Esiodo comincia a narrare della nascita del mondo. Come vi dicevo, all’inizio c’è il Caos, dal quale sorgono naturalmente il Giorno e la Notte. Insieme a Caos c’è anche la Terra (Gea), da cui sorgono il Cielo, i Monti e il Mare. Non c’è dunque un dio creatore: il mondo si genera a partire da questo Caos informe.  llora Gea (la Terra) e Urano (il Cielo), accoppiandosi, danno vita ai Titani e alle Titanidi (Coio, Crio, Giapéto, Mnemòsine, Temi, Rea, Iperione, Tea, Tetide e Febe), ai Ciclopi e ai Giganti centimani. Ma danno vita anche a Crono, il Titano che sarà centrale nella nostra narrazione.  rano, a questo punto, temendo di essere spodestato dai suoi figli, li rinchiude in un punto imprecisato nella Terra. Crono (il Tempo), uno dei suoi figli, pieno d’odio verso il padre, e forte dell’aiuto della madre Gea, lo evira e getta i suoi testicoli in mare. Qui, dai testicoli di Urano, nasce Afrodite; mentre dal sangue di Urano si generano le Erinni, dee della vendetta.

    A questo punto la Teogonia entra nel vivo, e, diciamolo pure, entra nella parte che tutti bene o male conoscono meglio: e cioè comincia a trattare del rapporto tra Crono e Rea e della conseguente nascita delle future divinità dell’Olimpo. Come è risaputo, anche Crono, come suo padre, teme di essere spodestato dai suoi figli. Così, come ha mirabilmente raffigurato Goya nel suo oscuro e inquietante Saturno che divora i suoi figli, li divora non appena vengono al mondo. Tra gli altri, i suoi figli sono Poseidone, Ade, Demetra, Era, Estia.Dunque Crono divora i piccoli appena nati, contro il volere di sua moglie Rea, e rinchiude titani e giganti nel Tartaro, una prigione sotterranea.

    Non appena l’ultimo figlio dei due titani viene al mondo, Rea inventa un escamotage per salvare almeno il figlio più piccolo, Zeus. Consegna a Crono una pietra avvolta in delle lenzuola, che Crono divora convinto si tratti di Zeus. Ma Zeus, ci dice Esiodo, è stato mandato a Creta, dove, appena neonato, viene cresciuto dalla ninfa Adrastea, che lo allatta. In altre versioni, Zeus viene allattato dalla capra Amaltea. Quello che importa, comunque, è che Zeus si salvi dal destino comune ai suoi fratelli.

    Cresciuto, forte e imponente, si allea con sua madre Rea, e grazie a lei fa bere a Crono un intruglio che lo costringe a vomitare tutti i figli che aveva mangiato. Ora, alleato con i suoi fratelli, e stabilitosi sul monte Olimpo, va a liberare i Ciclopi e i Giganti centimani e ingaggia una sanguinosa guerra con i Titani.

    Siamo dunque alla Titanomachia, la guerra tra dèi e Titani.  I Giganti e i Ciclopi donano a Zeus e ai suoi fratelli delle armi: le saette a Zeus, il tridente a Poseidone, lo scettro e l’elmo dell’invisibilità ad Ade.

    Ade, invisibile, va a sottrarre le armi a Crono, mentre Zeus e Poseidone, grazie alle loro armi, dopo una guerra durata dieci anni riescono a vincerlo.

    Gli dèi confinano i Titani nel Tartaro, la prigione sotterranea, dove li puniscono in modo esemplare.

    Questo passaggio è descritto da Esiodo come la vittoria della giustizia, della monarchia, sul governo della violenza: gli dèi diventano ufficialmente i re dell’Olimpo, i governatori del mondo, e si spartiscono i tre regni mondani. A Zeus va il Cielo, a Poseidone il Mare, ad Ade il regno dell’Oltretomba.

    "Ora, quand’ebbero i Numi beati compiuto il travaglio,

    e pel potere fu coi Titani decisa la lotta,

    essi decisero allora, ché Terra ne dava consiglio,

    che fosse re dei Numi beati e signore d’Olimpo,

    Giove che tutto vede: fra gli altri ei divise gli onori[3]".

    Giunti a questo punto, Esiodo ci racconta della progenie di Zeus. Non soltanto della progenie divina, ma anche di quella semidivina.

    Così, subito dopo aver descritto la vittoria degli dèi sui Titani, scopriamo come vennero al mondo tutti i figli di Zeus: e cioè le divinità di seconda generazione.

    Anzitutto, accoppiandosi con la Giustizia Zeus dà vita alle Moire: Cloto, Lachesi e Atropo, che gestiscono i destini e hanno il potere di recidere il filo della vita. Afrodite, come abbiamo visto, era già stata generata dalla spuma del mare dopo l’evirazione di Crono.

    Sposandosi con Era, Zeus genera, tra gli altri, Ares (il dio della guerra), Efesto (il dio del fuoco) ed Eris (dea della discordia).

    Poi, in ordine:

    con Maia dà vita ad Ermes (il messaggero degli dèi);

    con Demetra (sua sorella) genera Persefone;

    con Latona dà vita ad Apollo (dio del sole) e ad Artemide (dea della caccia e della verginità);

    dal proprio cervello genera Atena (dea della saggezza);

    infine, da Semele, genera Dioniso (dio del vino e dell’ebbrezza).

    E, naturalmente, Zeus genera molte altre figure della mitologia greca: basti pensare ad Eracle, nato dall’unione di Zeus con Alcmena, e per questo motivo ferocemente odiato da Era. Ma di tutte le divinità di seconda generazione (e dei semidei) parleremo più avanti, quando tratteremo, per l’appunto, dei figli, delle figlie e dei figliastri del re dell’Olimpo.

    Esiodo continua

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