Il Mistero della Corazzata Russa: fuoco, fango e sangue
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Anteprima del libro
Il Mistero della Corazzata Russa - Luca Ribustini
LUCA RIBUSTINI
IL MISTERO
DELLA CORAZZATA RUSSA
Fuoco, fango e sangue
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Edizione eBook 2014
ISBN: 978-88-6822-208-6
Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
Siti internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
a mio nonno Rino Carassiti, giornalista
ai miei figli Neli e Marcello
alla mia amata Laura
a Pippi
Introduzione
Occuparsi di un fatto così tragico dopo quasi sessant’anni significa avere la consapevolezza che la ricerca della verità dei fatti si scontra inevitabilmente con la morte di molti dei protagonisti di quella vicenda, con la reticenza o il silenzio di quelli ancora in vita, con gli insabbiamenti di Stato avvenuti sia da parte italiana che da parte sovietica. I russi volevano chiudere la questione in fretta, gli italiani non hanno mai voluto parlarne. Solo alcuni dei sopravvissuti parlano, ma dicono poco e – probabilmente – non solo perché non sanno; forse hanno paura, forse alcune cose non possono dirle. In questo contesto difficile e omertoso, è stato tuttavia possibile raccogliere la testimonianza di alcuni dei personaggi che ebbero un ruolo in questa storia e trovare una serie di documenti esclusivi che stabiliscono in modo inequivocabile che l’Italia in quegli anni non solo era in grado di portare a compimento un’operazione di sabotaggio di quel genere, ma che organizzazioni paramilitari di destra godevano di appoggi e coperture da parte di alcuni apparati delle istituzioni oltre che del sostegno della CIA. Questi ritrovamenti sono importanti nella misura in cui l’Unione Sovietica ha sempre negato che l’Italia avesse uomini e mezzi per compiere un’operazione di sabotaggio in acque extraterritoriali. Una tesi che ha consentito negli anni di rafforzare e rendere quasi esclusiva la versione ufficiale della commissione sovietica che nel novembre del 1955 attribuì ad una mina magnetica tedesca del tipo RMH l’affondamento della nave. Se la tragedia è stata un atto di sabotaggio, e non un incidente provocato da una mina, chi ha compiuto l’operazione e chi l’ha coperta, ha provveduto a mantenere una riservatezza totale su protagonisti e dettagli, così come specularmente, da parte sovietica, la vicenda fu presto archiviata, le prove distrutte o classificate e imposto il segreto assoluto ai pochi marinai russi superstiti. Per i sovietici quell’affondamento fu uno smacco insanabile. Evidenziava, nell’ipotesi di un mina, carenze imperdonabili nell’opera di sminamento e, nel caso di un sabotaggio, deficienze nella protezione e difesa del porto di Sebastopoli dove avvenne l’affondamento. Una ferita profonda inferta all’orgoglio dell’Armata Rossa che aveva forse la necessità storica e politica di una motivazione più legata al caso che non al dolo. Per gli italiani era fortissimo il desiderio di lavare l’onta ricevuta a seguito delle dure clausole dettate dal Trattato di Pace che imponeva la cessione dell’intera flotta militare italiana ai paesi vincitori. Se le pubblicazioni russe sono numerose ed approfondite ma insistono sul loro punto di osservazione per quanto accadde a Sebastopoli, il contributo di questo libro vuole invece indagare la tragedia da parte italiana. Le testimonianze di alcuni protagonisti di quella vicenda, anche se recepite con la dovuta cautela, meritano la massima attenzione perché inserite in un contesto in cui non sono le uniche a dar voce all’ipotesi del sabotaggio da parte della Xa MAS. Infine i documenti, numerosi e coerenti con l’ipotesi di lavoro di questo libro: seppure parzialmente risolutivi, lasciano nuovo spazio a fondati sospetti e ragionevoli certezze, stringendo ancora di più il cerchio sulle cause di una storia di cui nessuno ha mai più voluto parlare e che dopo sessant’anni, con la memoria che va agli oltre 600 marinai russi morti in quell’affondamento, riemerge in tutta la sua drammaticità.
Avvertenza
Tutte le parti del testo scritte in corsivo, riportano fedelmente quanto reperito nelle fonti documentali degli archivi militari, civili, dei servizi segreti americani e italiani e quanto dichiarato in interviste da testimoni o protagonisti direttamente o indirettamente coinvolti nella vicenda.
Abbreviazioni
ACS: Archivio Centrale dello Stato
CIA: Central Intelligence Agency
CPCi: Capitaneria di Porto di Civitavecchia
FR: fonte riservata
MDD: Ministero della Difesa
MDDMa: Ministero della Difesa – Marina
MDI: Ministero dell’Interno
MDM: Ministero della Marina
NARA: National Archives and Records Administration
OSS: Office of Strategic Services
SIFAR: Servizio Informazioni delle Forze Armate
SIOS: Servizio Informazioni Operative e Situazione
SIS: Servizi Informativi e Speciali
SMD: Stato Maggiore della Difesa
SMM: Stato Maggiore della Marina
UAS: Ufficio Armamento e Spedizioni
USMM: Ufficio Storico della Marina Militare
Capitolo 1
L’affondamento del Novorossiysk
Sebastopoli, Crimea del Sud. Alle ore 18.00 del 28 ottobre 1955, la più grande corazzata della flotta sovietica entra lenta e maestosa nel porto. Dirige, come di consueto, alla boa n. 12 ma quella sera, inspiegabilmente, il Comandante della flotta Viceammiraglio Viktor Parchomenko riceve l’ordine di ormeggiare alla boa n. 3[1]. Era il Novorossiysk, così lo ribattezzarono i russi dopo averlo preso in consegna dagli italiani che dovettero cederlo nel 1949 come risarcimento di guerra a seguito delle clausole imposte dal Trattato di Pace.
Il mare è calmo e gelido. Uno specchio d’acqua scura che riflette le luci della bella città ucraina. La piccola Italia
, così gli ucraini chiamano la penisola di Crimea, è una terra fertile che domina il Mar Nero; in estate il clima è mite ma già dall’autunno le temperature diventano rigide. Nella costa sud-occidentale della penisola si trova Sebastopoli, base principale della Flotta del Mar Nero, situata tra il porto di Odessa a nord e lo stretto dei Dardanelli a sud ovest, a una distanza di circa 750 miglia marine dalle nostre coste meridionali.
Nel 1955 l’equipaggio sovietico aveva finalmente concluso l’addestramento, reso più complesso per la dotazione dei manuali di bordo tutti solo in lingua italiana, e iniziava a prendere confidenza con le attrezzature e gli armamenti. Dal 1949 il Novorossiysk era stato condotto nei cantieri sovietici almeno otto volte per lavori di ammodernamento. Allestito con radar Volley-M e sostituiti i vecchi motori con due potenti turbine costruite nelle fabbriche di Kharkov che sviluppavano una velocità di 28 nodi, la corazzata diventa in pochi anni un temibile mezzo bellico nel cuore del vecchio continente. I sistemi di puntamento dei giganteschi cannoni da 320/44 mm delle due torri trinate e due binate situate in posizione prodiera e poppiera, sono elettrici e non più idraulici. Le cabine, ormai ben isolate, proteggono dalle basse temperature e dai venti gelidi che soffiano dalla Siberia. Il 1° Capitano Marchenko dichiarava con orgoglio che
La corazzata era superbamente armata. Tutta la nostra flotta non aveva una nave con simile calibro nei cannoni principali, perfino il Sevastopol, che per noi era un vanto, aveva i 305 mm. La torre trinata ruotava facilmente e rapidamente, il caricamento era semiautomatico, la trazione era elettrica, anche il sistema di controllo del fuoco aveva una buona progressione: due colpi al minuto, mentre sul Sevastopol uno e mezzo. Il Novorossiysk riusciva a sviluppare fino a 29 nodi di velocità senza alcuna vibrazione nello scafo
[2].
La corazzata, che gli italiani avevano chiamato Giulio Cesare in memoria del console romano, è immobile all’ormeggio a una distanza di circa 360 m in linea d’aria di fronte all’ospedale di Sebastopoli[3]. L’equipaggio si prepara per la notte, i marinai sono giovani e piomberanno presto nel sonno profondo dei vent’anni. Dopo giorni trascorsi in mare sono finalmente a casa loro. Nessuna guerra, solo celebrazioni di magnificenza navale e addestramenti. Avventure serene e senza il rischio di rimetterci la pelle. Il porto di Sebastopoli, teatro di guerra fino a dieci anni prima ma accuratamente bonificato dalle mine, appare sicuro. La città, con le sue numerose insenature naturali alcune delle quali profonde fino ad 8 Km entro terra, è da sempre rifugio privilegiato per marinerie di ogni tempo e provenienza e grazie alla posizione strategica garantisce a Mosca l’accesso e il controllo verso Occidente nel cuore della vecchia Europa. In un articolo pubblicato