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La Banda degli Spiriti Sgagi 2: La tana dei draghi
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E-book253 pagine3 ore

La Banda degli Spiriti Sgagi 2: La tana dei draghi

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Info su questo ebook

La Banda degli Spiriti Sgagi è un romanzo divertente ed esaltante, un’avventura tutta da seguire della banda imprevedibile e scapestrata, costituita anche da spiriti in grado di trasformarsi di continuo e di combinarne delle belle…
Per la neonata “Banda degli Spiriti Sgagi” le cose non vanno come dovrebbero. Dopo la loro prima avventura conclusasi con un grande successo, hanno infatti deciso di metter su una vera e propria agenzia investigativa, capace di scovare i criminali e assicurarli alla giustizia. Ma nessuno li chiama, non hanno alcun ingaggio. Finché un giorno si presenta da loro una donna di nome Marta, che racconta una storia davvero incredibile. Suo marito Giorgio negli ultimi tempi si comporta in maniera strana. Forse la sta tradendo? La realtà è ben altra. L’eterogeneo gruppo di investigatori, costituito da spiriti incarnati in esseri umani e da veri umani, entra così in azione. In breve tempo si ritrovano ad investigare su improbabili sedute spiritiche, sullo scabroso mondo dei trapianti illeciti di organi, e ad affrontare pericolosi incontri con altri spiriti dalle singolari fattezze: i “draghi”.
 
Franco Zerio è nato nel 1961 a Moròn, città nella provincia di Buenos Aires. Trasferitosi in Italia all’età di sei anni, vive tuttora a Pordenone. Lavora in provincia di Venezia presso un’azienda che opera nel settore degli allestimenti navali, dove si occupa della parte tecnicocommerciale. È appassionato di ciclismo: dalle lunghe pedalate solitarie trae ispirazione per le sue storie. La Banda degli Spiriti Sgaci. La tana dei draghi è il suo secondo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2019
ISBN9788830612686
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    La Banda degli Spiriti Sgagi 2 - Franco Zerio

    draghi

    1

    Il grado di sopportazione stava arrivando ai minimi termini. L’entusiasmo che ci aveva coinvolto inizialmente per quella scelta condivisa a pieno titolo, stava via via lasciando spazio a prevedibili delusioni. Non spirava alcun vento propiziatore che ci desse la spinta necessaria per cominciare una nuova avventura.

    Forse ci eravamo illusi che aver fatto per una volta un buon lavoro di squadra, ci autorizzasse a pensare, e a sperare, che tutto potesse accadere con maggiore facilità.

    Forse non avevamo nemmeno messo in dubbio la nostra natura di eletti, di prescelti dagli dèi. A noi, tutto era destinato, dalle eccezionali capacità cognitive all’appartenenza ad una cerchia superiore.

    Evidentemente ci sbagliavamo.

    Guardandolo dal punto di vista ottimistico, si poteva pensare che stavamo passando un periodo carente di richieste di carattere investigativo, guardandolo invece dal punto di vista pessimistico si poteva paventare la peggiore delle ipotesi: mollare tutto.

    A poco a poco stavamo colando a picco, non trovavamo nessun appiglio che ci permettesse di aggrapparci, pur con le unghie affilate, per dare un senso ai nostri obiettivi.

    Eppure eravamo sempre restati in contatto con le forze dell’ordine perché ci informassero di eventuali casi da risolvere alla nostra portata, non volevamo certo sostituirci ai naturali tutori della legge. Magari inconsciamente non ci rendevamo conto che la società stava cambiando direzione, il buonismo stava prendendo il sopravvento. La malvagità, la corruzione, il malaffare che sembravano insiti nei geni umani, cosa di cui pensavamo non ci si potesse sbarazzare, si stavano trasformando in energia pulita.

    Claudio era riuscito a trovare un bell’ufficio in una zona centrale della nostra ridente cittadina. Era posizionato al primo piano di un edificio moderno posto all’angolo di un incrocio, aveva delle grandi finestre che permettevano un’ampia panoramica, le stanze erano spaziose e molto luminose. Ci eravamo dotati di tutto il necessario, scrivanie tecnologiche di colore antracite, belle sedie girevoli in finta pelle nera con ruote pivottanti, armadi archivio, portadocumenti, computer di ultima generazione; avevamo perfino una lavagna magnetica cancellabile a secco dove c’era scritto (per il momento…), con l’evidente intento di incitare lo spirito di gruppo: Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo. Firmato Claudio. In realtà poi ho scoperto che era una famosa frase detta da Henry Ford. Dulcis in fundo un video proiettore… «Non si sa mai, non avessimo un cazzo da fare…!», aveva detto profetico il Sorcio.

    Per dire la verità avevamo trovato tutto in un’asta fallimentare di arredo d’ufficio e, con un ragionevole investimento ed altrettanta dose di buongusto, avevamo trasformato l’ufficio in un piacevole ambiente, decisamente al di sopra delle nostre aspettative.

    Quando però manca il lavoro, le giornate sono interminabili ed il senso di colpa e la frustrazione prendono il possesso delle tue corde nervose e cominciano a tirarle, a torcerle, a pizzicarle e tutto ti sembra fastidioso, pruriginoso e infinitamente insopportabile.

    Quella mattina ci eravamo trovati io, Claudio e il Sorcio seduti in ufficio, tutti e tre a guardare fuori dalla finestra senza sapere cosa dire, sembravamo imbambolati. Comunicavamo con il linguaggio del corpo, degli sguardi, se continuavamo così, presto avremmo finito col capirci emettendo suoni inarticolati, come nel mondo animale.

    Il desiderio che succedesse qualcosa era palpabile, sarebbe bastato che il telefono squillasse, che qualcuno bussasse alla porta e chiedesse un nostro intervento, chissà… magari… a volte può succedere che un’entità malvagia stia minacciando di distruggere la terra, e noi ci saremmo subito resi disponibili per salvarla, trasformandoci in supereroi… ma forse ci saremmo accontentati anche di andare a salvare una vecchietta molestata da un cane rognoso.

    Ma purtroppo niente di tutto ciò stava accadendo, la realtà parlava chiaro, silenzio ed inoperosità erano l’unica realtà tangibile.

    «Che merda», disse Claudio, «non ci credo, non è possibile che non succeda niente in questa cazzo di città. Guardi i telegiornali, apri i giornali e sembra che il mondo vada a rotoli, che tutto sia un problema, da qualsiasi parte ti volti la gente si lamenta, non ne può più. La burocrazia oltrepassa ogni limite, ci si accusa per ogni piccola cazzata, la sopportazione ad accettare delle regole è al collasso, la società è nervosa, ha bisogno di gente come noi che risolva i problemi, e noi stiamo qui…come dei pirla ad aspettare che qualcuno si faccia vivo, che bussi alla porta. No signori… mi dispiace ma bisogna cambiare strategia».

    «E cosa vorresti fare?», chiesi io.

    Io inteso come entità astratta ero Bruno, il fondatore di questo gruppo di sbandati, anzi no… forse era più giusto identificarci come miracolati. Era nato tutto per caso, da un’incontro fatto una notte in un cimitero dove per uno strano segno del destino incontrai degli spiriti. Uno si può chiedere… ma che cazzo ci facevi in un cimitero di notte? Lasciamo perdere e andiamo oltre.

    Se volete, pensate a quelle strane cose del karma.

    Sta di fatto che quella notte, il mio merdometro personale segnava tempesta. Essermi trovato in un cimitero di notte, era il minore dei problemi, ma aver incontrato degli spiriti che si erano incarnati in esseri umani, faceva di quella situazione una storia che era meglio non raccontare a nessuno.

    L’ironia della sorte volle che proprio ad un tipo come me, figlio unico, con un unico genitore ancora in vita, la mamma, alla quale era meglio non far sapere niente, capitasse una cosa del genere. Per dovere di cronaca, devo riconoscere anche che mia madre qualche affinità con gli alieni l’aveva, visti certi suoi atteggiamenti. In ogni caso abitavamo in case separate e questo fatto mi rendeva tutto più facile, non dovevo rendere conto a nessuno della mia vita e delle mie scelte, a tal punto che decisi non solo di fare la loro conoscenza, ma anche in breve tempo di diventare il loro mentore.

    Ma continuiamo con la storia…

    Il Sorcio, con sguardo ispirato, come se avesse elaborato nelle sinapsi del suo cervello per tutto il tempo in cui Claudio ci aveva smarronato sulla torva realtà, come se qualche neurotrasmettitore gli avesse flippato una brillante idea da buttare giù come un bel poker d’assi, ci disse:

    «Salendo le scale vedo sempre nel contenitore dei volantini pubblicitari un sacco di attività che fanno la promozione dei loro prodotti, e stavo pensando che questo potrebbe essere un valido sistema per farsi conoscere».

    «Mago lui», rispose Claudio, "ma come fai a pensare che con il nostro tipo di attività, un’Agenzia Investigativa, ci possiamo confondere con quel tipo di proposte, noi non vendiamo prodotti, forniamo servizi, non proponiamo occasioni commerciali con sconti e ribassi, la nostra missione è quella di risolvere problemi sociali, garantendo la riservatezza e la professionalità».

    Dopo questa imbeccata di Claudio, seguì un breve momento di silenzio e di riflessione.

    «Ma guarda che forse non ha tutti i torti il Sorcio…», intervenni nuovamente.

    «Ecco l’altro Mago…», continuò Claudio, «di’ anche tu la tua, Bruno, visto che siamo in vena di sparare cazzate».

    «Secondo me non è una brutta idea, d’altronde è un modo come un altro per farci conoscere. Mi sembra che la nostra attività abbia un estremo bisogno di avere un po’ di visibilità, anche perché peggio di così non si può andare, e quindi bisogna trovare un rimedio… e anche in fretta».

    Seguì un ulteriore silenzio, però questa volta più lungo e riflessivo.

    Stranamente il progetto non aveva nulla di concreto da offrire, eppure visto da un’inverosimile prospettiva ci aveva incuriosito. Non avevamo niente da perdere e quell’aria ristagnante ci costringeva a buttarci allo sbaraglio, senza stare tanto a guardare cosa c’era sotto.

    Claudio, pur non essendo tanto convinto, si era preso l’incarico di studiare qualcosa assieme ad un grafico di sua conoscenza, per creare una presentazione dignitosa della nostra attività, senza cadere troppo nel banale. Dopo qualche giorno di trattative, prove e riflessioni, erano riusciti a definire una bozza abbastanza esaustiva che titolava… Agenzia Investigativa – Spiriti Sgagi, e nella locandina c’era rappresentato un angelo alato stilizzato con la faccia da putto. Forse voleva rappresentare la volontà del nostro gruppo di sorvegliare e proteggere i nostri futuri clienti. Claudio non si era espresso in merito, «mi è venuto così!», aveva detto, tagliando corto.

    Tutto sommato non era male, ma soprattutto con quella iniziativa speravamo che qualcosa si muovesse e che pur non presentandoci in modo autorevole, potessimo comunque essere contattati da qualcuno, così da tirarci fuori dalle sabbie mobili.

    Delle operazioni di volantinaggio ci occupammo sempre noi, la Banda al completo: assieme a me c’erano Claudio, Marco, il Sorcio, il Kep e Bube e avevamo deciso di suddividerci minuziosamente le aree della città per cominciare a prestare questo nuovo tipo di servizio.

    L’impegno che ci mettevamo e la ventata di aria fresca che respiravamo e che era servita a spazzare le nuvole, ci avevano messo di buon umore e, nonostante tutto, contavamo sulla riuscita di questa nuova iniziativa. Quando ci ritrovammo alla sera in ufficio ognuno relazionò su quanti volantini aveva piazzato e sul fatto che era impossibile che qualcuno non ci avesse contattato. «Altrimenti vorrà dire che se non c’è richiesta per catturare i malviventi, ci converrà diventare noi stessi malviventi… a mali estremi estremi rimedi», sentenziò Bube.

    Passò solo un giorno, un corto e fottutissimo giorno dopo mesi di silenzio, quando si fece sentire una persona per chiedere se eravamo disponibili ad ascoltarla per risolvere un problema personale che la stava angosciando da tempo. Veniva da chiedersi perché nella vita sembra tutto difficile, quando poi basta un attimo perché le cose cambino, e soprattutto perché si snobbino le idee più elementari, quando alla fine sono quelle che ti risolvono i problemi. Misteri della fede. Ci rendemmo subito disponibili… «Ci mancherebbe altro», rispose Claudio al telefono, ironizzando.

    E così il giorno seguente Marta, questo era il suo nome, la nostra potenziale prima cliente, si trovava seduta davanti alla scrivania di Claudio a raccontare la sua storia.

    Marta era una bella donna, sui trentacinque anni ben portati, curata nella presenza, aveva un particolare timbro di voce, caldo e profondo, quasi suadente. A espandere la presenza c’erano penetranti occhi castano scuro e le raffinate sopracciglia nere che li sovrastavano, volatili come i baffi di Salvador Dalì. Ci aveva messo in crisi non appena aveva iniziato ad aprir bocca. Io, Marco e Claudio la stavamo fissando come tre idioti, stavamo riponendo talmente tanta attenzione e stupore su quello che stava dicendo, da ritenerlo equivalente a quello che si presta al racconto di un tragico olocausto.

    Claudio per primo si accorse che Marta, mentre esponeva i propri problemi, ci guardava con aria perplessa, come a chiedersi: non mi starò mica affidando ad una banda di ritardati…?. Questo dubbio indusse Claudio a girarsi immediatamente verso di noi, constatando che effettivamente ci eravamo fatti prendere la mano: Marta ci aveva fatto perdere il controllo, ci aveva resi dipendenti, aveva annientato la nostra forza di volontà.

    Prima mossa da fare urgentemente era cambiare direzione.

    «Da quanto tempo siete sposati?», domandò Claudio con voce imponente, inserendosi a gamba tesa nel primo spazio che la cliente aveva lasciato vuoto di parole e di sguardi. Era una domanda che in quel momento stava come il culo di un elefante nel seggiolino di un neonato, ma era servita quantomeno a riportare un’attenzione evanescente ad una normale condizione di vigilanza.

    Ci fu subito uno scuotimento di sguardi, un nuovo invio dopo il reset, la luce negli occhi ritornò ad essere luminosa e non spenta come quella di un pesce in decomposizione.

    Marta, pur sorpresa da quella domanda, rispose comunque, pur continuando ad avere dubbi sul comportamento di quello strano gruppo di investigatori.

    Per fortuna nel proseguo del racconto le cose andarono migliorando, la storia aveva preso dei risvolti interessanti e le interconnessioni tra la sua esposizione delle problematiche e la nostra richiesta di informazioni su particolarità e piccoli dettagli furono logiche e persuasive, seguendo un’impostazione decisamente professionale.

    La storia sostanzialmente non appariva diversa da tante altre; il marito di Marta, che si chiamava Giorgio, nell’ultimo periodo si stava comportando in modo strano, spesso e volentieri arrivava a casa tardi, imputando quei ritardi ad impegni di lavoro o a partitelle di calcetto fatte con un nuovo gruppo di amici che lo avevano tirato dentro perché uno di questi era un suo vecchio compagno di squadra quando molti anni prima giocava ancora a calcio. Giorgio faceva l’avvocato in uno studio associato, ed era, a detta di Marta, una persona precisa ed affidabile, a volte fin troppo pignolo, negli ultimi tempi però era decisamente cambiato, era diventato più trasandato, più sbadato, meno presente nella vita famigliare, cosa parsa subito evidente a Marta. Sembrava che qualche infatuazione lo avesse coinvolto e portato fuori carreggiata, gli avesse fatto cambiare abitudini e atteggiamenti. Avevano un figlio maschio di dodici anni, Mattia, il quale però non si era accorto di alcun cambiamento del padre, da adolescente viveva in una sua dimensione di vita personale dove non lasciava spazio, ancora per il momento, ad eventuali problemi e beghe famigliari.

    Marta aveva provato a parlare anche con i soci dello studio di Giorgio, erano suoi vecchi amici e compagni di università e, vista la loro profonda conoscenza, pensava che si sarebbero sicuramente accorti se qualcosa fosse cambiato nei suoi atteggiamenti. Effettivamente anche loro avevano notato qualcosa, ma lo adducevano al fatto che nella vita ci possono anche stare dei momenti in cui una persona non è più la stessa. Sapevano anche che frequentava un nuovo gruppo di amici con cui andava a giocare a calcetto, ma niente di più. Loro pensavano piuttosto che ci fossero dei problemi famigliari transitori, cosa normale in tutte le famiglie, e quindi nessuno di loro si era preoccupato più del dovuto.

    Ma la cosa che più inquietava Marta, quella per cui aveva deciso di prendere provvedimenti, e infine di venire da noi, era che inspiegabilmente Giorgio si era fatto tatuare un Diavolo alato nel bel mezzo della schiena, tra le scapole.

    «Non è grande…», aveva spiegato Marta, «sarà dieci centimetri per cinque, ma non riesco a capire perché se lo sia fatto, non è tipo da tatuaggi, anzi è sempre stato critico a tal proposito, soprattutto nei riguardi delle persone che abusano di questo tipo di arte. E non capisco neanche perché abbia deciso per quel tipo di raffigurazione. Ho provato a chiederglielo, a capire perché abbia fatto una cosa del genere senza chiedermi niente, non che io potessi oppormi, ma magari ci avremmo ragionato sopra. E invece lui per tutta risposta mi ha detto: È stata una decisione presa da quasi tutti i componenti della nostra squadra di calcetto, mi è piaciuta l’idea e ho deciso di farlo anch’io, d’altronde ci chiamiamo i Diavoli Neri…. E come se non bastasse, quando gliel’ha fatto vedere a nostro figlio Mattia, lui per tutta risposta, dopo aver sgranato gli occhi, ha detto: Figo papà". Ci mancava anche quella esclamazione per gonfiare l’ego di una persona che andava a caccia di consensi. Tutto questo mi ha amareggiato, non so più cosa pensare».

    Arrivò al dunque, dopo aver fatto tutti questi discorsi di avvicinamento…

    «Comunque quello che mi ha più impressionato di questa storia», continuò Marta, «è l’espressione del volto di quel diavolo alato tatuato sulla schiena…».

    «Perché l’ha così colpita?», chiese Claudio.

    «Perché ha un’espressione malefica, a me ha dato l’impressione di non essere come gli altri tatuaggi, privi di vitalità, icone di rappresentazioni amorfe… questo invece sembra l’immagine del male, l’immagine di uno spirito maligno che riesce a parlare con lo sguardo attraverso il corpo che lo ospita».

    «Marta, ma non le sembra di essersi fatta suggestionare un po’ troppo? Magari da una figura che per Giorgio e i suoi compagni di squadra rappresenta solo un simbolo che richiama qualche gruppo di appartenenza. Mi sembra che più di qualche squadra abbia diavoli come simbolo. Magari è stata una semplice scelta tra le proposte del tatuatore, non lo veda come un simbolo del male, la consideri una bravata, la voglia di tornare giovani, il bisogno di rappresentare il proprio Io. Mi sembra che lei stia andando un po’ troppo oltre una ragionevole preoccupazione», rispose Claudio cercando di sdrammatizzare i dubbi e le paure di Marta.

    «Forse ha ragione lei… forse sarà una sensazione mia personale, deformata dal peso dei dubbi che mi sto portando dentro in questi ultimi tempi».

    «Lasci che le diamo una mano noi a risolvere questi dubbi e queste preoccupazioni e speriamo che non si tratti di niente di grave, ma che sia solo un periodo passeggero nella vita di Giorgio».

    Dopo questa prima analisi, ci lasciammo con Marta stabilendo quali sarebbero le nostre prossime mosse per capire cosa stesse succedendo a Giorgio. Pedinamenti, informazioni incrociate, senza per il momento approfondire le indagini che dovevano restare ancora preliminari. Decidemmo di procedere nel modo più concreto, quello che ci dava la possibilità di mettere in pratica le fenomenali doti dei nostri colleghi Spiriti. Il criterio di investigazione era quello di sempre, trasformarsi nell’essere che nel momento del bisogno si adattasse adeguatamente alle necessità.

    Negli ultimi mesi di inattività, il gruppo degli spiriti si era prefissato di raggiungere l’obiettivo di riuscire a far parlare l’essere di cui avevano preso le sembianze, era uno dei traguardi che avrebbero voluto raggiungere con maggior interesse, perché sarebbe stata la dimostrazione che con impegno e dedizione tutto si poteva fare.

    E così fu: dopo molti tentativi e fallimenti, erano riusciti a trovare il sistema per trasformare i consueti suoni gutturali degli esseri incarnati, di solito animali, in vere e proprie frasi parlate. Come in ogni traguardo, trovato il segreto per risolvere la formula, tutto era diventato più facile. L’esibizione era particolarmente comica per noi umani che li stavamo a sentire, le parole uscivano dalle loro bocche o becchi proprio come ci si immaginava dovessero uscire, ma nonostante tutto erano estremamente esilaranti.

    La voglia di cominciare una nuova avventura ci aveva elettrizzato: quando nello stesso pomeriggio io, Claudio ed il Sorcio convocammo il resto della banda per studiare le strategie da adottare per poi ripartire gli incarichi, dagli occhi di noi tutti traspariva una carica di energia contagiosa.

    Decidemmo che il Kep e Bube avrebbero pedinato Giorgio nei suoi spostamenti, mentre io e Marco dovevamo rintracciare il tatuatore che aveva seminato il simbolo del male (a detta di Marta), per capire se si trattava della semplice bravata di un gruppo di amici, oppure… chissà per quale altro strano motivo!!! Compito nostro era scoprirlo. Considerando che comunque in zona c’è n’erano solo due, non pareva essere un’impresa troppo impegnativa.

    Il primo tatuatore che eravamo andati a trovare, non aveva mai fatto dei tatuaggi con dei diavoli alati, ma se eravamo intenzionati a farne uno, sarebbe stato disponibile a prepararci dei bozzetti per vedere se erano di nostro gradimento… anzi aveva aggiunto: «Mi interesserebbe fare questo tatuaggio, perché non ne ho mai fatti di simili e mi divertirebbe trovare il soggetto». La sua natura inequivocabilmente

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