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Rebecca felis
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E-book255 pagine4 ore

Rebecca felis

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Chi è Rebecca Felis? Un'insospettabile vicina di casa? Un'assassina? Una strega? O semplicemente una di voi? Un romanzo cinico, ironico, con un irresistibile tono noir. Un viaggio inquietante e avvincente attraverso le porte dello spazio e del tempo. Chiudete gli occhi... Evitate le superfici riflettenti. Potreste scoprire che il vostro peggior incubo, sia proprio il volto che ogni mattina guardate allo specchio. "state attenti a ció che desiderate, perchè potrebbe avverarsi davvero. State attenti a chi volete diventare.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2013
ISBN9788868559397
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    Anteprima del libro

    Rebecca felis - Francesca Ghioldi

    Rebecca Felis

    di

    Francesca Ghioldi

    9 agosto.

    Quel giorno il telefono personale di Jude Carey non squillò. Non v'erano file interminabili di cittadini spaventati dietro la porta dell'ufficio. Regolando il cinturino di cuoio del suo orologio da polso, Carey non seguì la lancetta dei secondi contando fino a ventiquattro. Non andò a controllare nell'archivio dei casi risolti. Non aprì la finestra. Non accese la luce. Si sedette. Quel giorno non piovve come previsto. Le nuvole appesantite non si sdraiarono sui tetti delle case. Il tempo si era fermato... e nessuno avrebbe potuto farci nulla. Nessuno avrebbe potuto prendersi la responsabilità di cambiare le cose, poiché il silenzio si era impadronito delle voci... aveva chiuso le bocche, aveva stordito i più audaci; si era preso gioco del fracasso della giustizia. Perfino il vecchio campanile di Blackwood aveva represso il movimento delle campane arrugginite, rintanandole solitarie. Strisciavano qua e la, lungo il corridoio del commissariato, fugaci e controllate domande sul come, sul perché uno come Jude Carey fosse arrivato tardi. Tardi... non era esattamente come dire irrisolvibile, era assai peggio. Forse il tempo era davvero finito fra le centinaia e centinaia di vicende di poco conto, forse... perché sennò come spiegare la fretta beffarda, quell'inciampo violento proprio sul punto di arrivo? Così... dopo l'umiliante e rumorosa caduta dell'ispettore Carey, era sceso un silenzio fastidioso, uno di quei mutismi insopportabili e che, senza particolari permessi o scusanti si era insinuato fra le soluzioni degli ottimisti. Tutto ciò era ripugnante quasi quanto l'aver fallito. Tempo. Sotto la lingua, addormentato fra i denti. Sarebbe stato molto più facile alzarsi in piedi e ammettere di aver tralasciato un dettaglio di fondamentale importanza. Quel piccolo, insignificante quanto prepotente dettaglio aveva rovinato tutto; tutto quello su cui l'ispettore aveva basato le proprie conoscenze sudate, studiate, programmate, perfettamente incastrate nel cervello come se i pensieri rischiassero di fuorviare le capacità della ragione. D'altronde era un vero insulto alla scienza dover ammettere che tutto sommato per una volta, anche una sola volta nella vita, l'inspiegabile diventa l'unica traccia da seguire... le voci senza corpo, gli unici testimoni... oltre quelli morti da secoli, naturalmente. Quel giorno, il mattino non era affatto somigliante al risveglio delle ore posticipanti la notte. I minuti non erano affatto somiglianti allo scandire attento di un tempo ordinario. Carey era una di quelle persone che mettono l'orologio solo per poter coprire i propri battiti cardiaci, renderli sincronizzati col presente...  mai lasciarli a se stessi poiché l'onore, il pieno controllo di sé, rendono l'uomo capace di superare ogni avversità... e nel modo più dignitoso anche. A Jude Carey piaceva quindi: parlare al telefono con i serial killer, scovare nei loro toni l'imbarazzo traditore; riportare le notizie scandalose dei colleghi su un  blocchetto per gli appunti a quadretti, buttare il foglio poi... e sentirsi una persona straordinariamente ordinaria. Quel che accadeva di insolito era semplicemente un incidente di cui non lamentarsi troppo, dato che, il giorno dopo, ogni cosa sarebbe tornata al proprio posto. Le porte dei carceri si sarebbero chiuse nuovamente, le vedove degli assassinati si sarebbero consolate con i decennali amanti, le donne, le donne in genere se ne sarebbero state alla larga da uomini come lui. Come sempre...

    Sarebbe stato un giorno come tutti gli altri, quel 9 agosto. Sarebbe stato un normalissimo giorno da appendere al muro spoglio dell'ufficio. Tardi... Era arrivato tardi invece; ed era come se anni di carriera si fossero vergognati di tanti anticipi. Aveva fatto tutto il possibile per vincere anche quella battaglia, si era svegliato ogni mattina due ore prima per cercare dentro di se le soluzioni migliori...  e non era stato sufficiente. Non era stato sufficientemente attento a certi segnali che avrebbero potuto cambiare l'ordine delle cose, dei fatti... o del futuro stesso.  Avrebbe dovuto capire prima... La razionalità, i sani principi degli schemi e della logica, non erano che superflui punti interrogativi    posti su di una linea discontinua. La ragione era un inganno. La logica... inganno. Ma come accettarlo? Rebecca Felis era solo un'insignificante ragazza fatta di muscoli, di gambe, di capelli. Era un comunissimo essere umano con seri problemi di accettazione sociale, un numero nel cerchio della statistica, solamente un'altra persona depressa, schizoide, come la maggior parte degli assassini. Non poteva che essere uno scherzo riuscire ad incastrarla. L'aveva vista... non aveva nulla che potesse anche solo vagamente ricordare... non era particolarmente magra, particolarmente bassa, o brutta. Non era particolarmente...così. Quelle come lei esistono solo nei libri. continuava a ripetersi Carey. Esistono nei libri e nei film horror.

    Quel giorno ogni cosa sarebbe cambiata. I cittadini di Blackwood non avrebbero potuto guardarsi allo specchio come il giorno precedente... i loro volti sarebbero rimasti nascosti sotto strati di paura e confusione. E per la prima volta, nessuno avrebbe osato raccontare, senza guardarsi alle spalle, la verità. Quella verità scomoda che avrebbe per sempre bussato alle loro porte non appena il buio cominciava a stendersi sulle strade. E la verità si vede allo specchio... corre fra le gambe degli ingenui... e non da mai... mai abbastanza tempo.

    Ancora tempo dunque... Se solo ci fosse stato un principio di disastro ad avvertire il suo infallibile intuito... se solo avesse dato retta alle voci del passato, quelle voci che annunciano le stragi, allora forse non si sarebbe ritrovato rannicchiato nel proprio ego distrutto, si sarebbe alzato, avrebbe reagito...avrebbe trovato, avrebbe capito. Non era di certo la sua prima indagine. Aveva seguito personalmente i biotecnologi nei laboratori, studiato le analisi identificative genetico forensi, aveva valutato ogni margine di errore, escludendo le teorie meno probabili. Ma ogni riferimento vagamente attendibile, cadeva ogni volta, precipitando in un buco nero, dentro il quale numeri e parametri, certezze, rigori, si sgretolavano come zolle di terra secca.  E quel Peterson...

    Nerone l'avrebbe ribattezzato poi Steve, agente della scientifica. Peterson il sopravvissuto folle. Troppo vecchio, segnato, inattendibile. Con quella sua voce rauca e le unghie nere.

    Dimentichi il tempo. Il tempo non esiste. Dia retta alle voci...

    Quelle parole... impazzite, urlavano nella testa di Carey, picchiando sulle tempie.

    Ma quali? Quali voci?! disse infine l'ispettore sbattendo i pugni sul muro.

    Peterson sobbalzò a quell'improvviso rumore. Per un attimo la calma forzata e colpevole si infranse come un vetro rotto ed i frammenti tintinnanti caddero sulle palpebre di Carey... occhi sbarrati, offuscati dalla rabbia, dal sudore. Come poteva essere che quel tempo così reale, si nascondesse invece dietro una cortina di insignificanti nulla? Eppure lo scandire dei secondi di un orologio non era immaginario, la vecchiaia, il deperimento del corpo... erano reali, era fisica. Le stagioni andavano dall'inverno all'estate e l'evoluzione umana era un processo naturale che niente e nessuno avrebbe potuto fermare.

    Sa come si dice? annuì improvvisamente Noah Peterson.

    La lingua rigida. Il palato molle. Gli spazi tra un dente e l'altro. Neppure saliva. Vecchio, pazzo. Pazzo e spaventoso. Spaventato al punto da sembrare bugiardo.

    Scherzo di cattivo gusto? Beffa ben macchinata? ringhiò Carey senza voltarsi.

    Non sia idiota, ispettore...

    Peterson se ne stava lì, ciondolante sulla sedia davanti alla scrivania di Carey. Il volto semi nascosto dal buio. Per ben ventidue minuti non aveva aperto bocca. Non si poteva dire che era sempre stato su quella sedia, probabilmente si era alzato, era tornato indietro di qualche secolo per poi rendersi  conto di non aver comprato abbastanza alcol per sopravvivere al presente.

    Ha ragione. Me lo dica lei. Mi dica come si dice senza usare quella parola.

    Quale parola? sorrise Peterson.

    La lingua imbevuta di birra. La pelle rattrappita e semi umida delle gengive. L'aria passava schiumosa in mezzo alle parole.

    Sa quale!

    Oh, caro il mio ispettore... credo proprio che bisognerà pure che qualcuno lo dica a questo punto. Su, coraggio... lo dica. Le prometto che resterà fra me e lei.

    Puzza. Puzza di piscio alcolico.

    Mi prende in giro forse? incalzò l'ispettore.

    Le sembro il tipo che fa del sarcasmo?

    Io la avviso...

    Non arriveremo proprio da nessuna parte in questo modo. Lei deve considerare....

    Cosa? Cosa devo considerare?

    Questo.

    Le dita di Peterson scivolarono all'interno di una tasca. Un fruscio. Carey  indietreggiò guardando la porta della stanza. La  mano destra sulla fondina.

    Ecco! sogghignò Noah Peterson poggiando un accendino sulla scrivania.

    Vuole dar fuoco al commissariato?

    Lei ha bisogno di logicità per sopravvivere ai dubbi... sospirò Noah premendo il tasto del gas. Stia a guardare. Se io decidessi di chiudere una mano e lasciare una fessura... e poi con l'altra mano iniettare del gas all'interno della prima... e poi... e poi se girassi la rotellina dell'accendino e facessi fuoriuscire la fiamma...

    Uno scatto metallico. La fiamma. Noah aprì la mano socchiusa e il fuoco che prima era imprigionato al proprio interno, si sparse su tutta la superficie del palmo e sulle dita. Agitò poi, in un immediato secondo la mano facendo svanire frettolosamente e silenziosamente le tracce della fiamma.

    Vede ispettore... questo i bambini lo chiamano... magia.

    Arrivi al punto.

    E poi mi lascia andare? Devo pisciare.

    Solo se le sue risposte risulteranno appropriate.

    Dica... Magia.

    Dirò carcere, se non caccia fuori da quella bocca qualcosa di sensato. Ho fatto dei controlli su di lei... Pare che si diverta parecchio a giocare al piccolo sommelier nei reparti di alcolici dei supermercati. Per non parlare dell'incendio al bosco di Blackwood ieri... Ma potrei anche chiudere un occhio sull'ultima vicenda. Mi dica quello che sa!

    E va bene, va bene, va bene! rispose Noah storcendo la bocca e alzando gli occhi verso il soffitto grigiastro. Riprese Anche se devo deluderla su di una cosa: io con l'incendio di ieri, non c'entro proprio nulla.

    E chi è stato? Rebecca Felis?

    Temo di si...

    E perchè mai avrebbe dato fuoco alla sua macchina?

    Forse per far perdere le sue tracce. Per far pensare di essere morta.

    Non abbiamo trovato nessun cadavere in quella macchina però...

    Noah si grattò la testa e annuì.

    Anche da morta troverebbe il modo di sparire.

    Carey lo guardò perplesso. Decise di cambiare argomento. Per non rispondere a quell'assurdità.

    Chi era Alice? Perché lei conosce questo nome... giusto?

    Noah esitò per un secondo.

    Alice...

    Suvvia... non faccia il finto tonto! Kyteler... Alice Kyteler.

    Le interessano i fantasmi allora!

    I morti.

    I fantasmi!

    Gli assassinati!

    Quello che è. Sempre fantasmi.

    Si. Come vuole lei. sospirò l'ispettore cercando di controllare l'impazienza. Allora, questa Alice?

    Oh, si... dunque... Alice Kyteler... era una donna...

    Ma non mi dica!

    Non glielo dico.

    La Kyteler, cosa? Si sbrighi.

    Non credo voglia saperlo davvero.

    lo lasci decidere a me.

    Era una donna ricca e piacente. Tanto ricca da potersi permettere sia matrimoni che funerali.

    Chi morì?

    Gli uomini che aveva sposato, mi pare ovvio. Quattro in tutto. Strano, no? Tutti andati via nel sonno, misteriosamente.

    Jude Carey scoppiò in una fragorosa risata.

    Lo trova divertente?

    Assolutamente si!

    E cosa, se posso sapere, la diverte così tanto?

    Lei sostiene... No. Lei ne è convinto! Non ci posso credere...

    Non ho ancora finito...

    Oh, la prego, mi scusi... continui pure. incalzò Carey forzandosi di rimanere serio.

    Non venne arrestata subito, avevamo bisogno di prove. Alice abitava nei pressi di Dunmore Caves, a Ballyfoyle a nord di Kilkenny. Qualcuno aveva sentito degli strani versi provenire da Dunmore. Versi di animali sgozzati, urla di bambini. Kyteler si aggirava spesso da quelle parti. I bambini continuavano a sparire dal villaggio, le donne avevano smesso di mettere al mondo i figli per paura dei rapimenti. Una sera, vidi Alice Kyteler uscire da Dunmore Caves. Era visibilmente sconvolta, continuava ad imprecare e urlare frasi che non oso ripetere. Ricordo però di aver sentito un nome fra tutte quelle ingiurie... Petronilla. Petronilla di Meth.

    Petronilla...

    Già...Pensai subito ad una maledizione. Feci appendere sui muri della città degli appelli: chiunque avesse avuto informazioni sulle vicende di Dunmore, era pregato di denunciare nomi e fatti alle autorità di Kilkenny. Ovviamente nessuno avrebbe avuto il coraggio di irrompere direttamente nelle grotte di Dunmore. Due giorni dopo, una donna chiese un' udienza presso la corte giudiziaria. Disse di sapere ogni cosa sulle sparizioni dei bambini, disse di avere una decina di nomi fra cui la nostra amica Alice Kyteler.

    Quindi siete andati a prenderla? annuì Carey socchiudendo gli occhi. Gentilmente. Come si fa con un bambino che racconta una elaborata bugia fantasiosa.

    Naturalmente. Quello che non sapevamo era che la cattura della Kyteler avrebbe innescato meccanismi a catena che si sarebbero ripercossi da quel giorno... fino ad oggi. Questo, signor Carey, questo... vuol dire condannare un'innocente. Ma noi non lo sapevamo... non lo sapevo. Ogni cittadino venne ad assistere all'uccisione di Lady Alice, il mio nome venne osannato, venni ricoperto di elogi per aver liberato Kilkenny da... beh, da quello che lei chiamerebbe un'assassina seriale.

    Il volto di Jude Carey si irrigidì. Aveva sentito parole come far arrestare e maledizione troppe volte quella mattina. Oltretutto, notizie su quella nota vicenda storica erano facilmente reperibili su internet... e senza troppi sforzi. Chiunque con un minimo di ostinazione avrebbe potuto saperne di più. Alice era un omonimo. Casualità. Una vecchia storia sanguinaria. E un corpo fatto a pezzi , rinvenuto nella lavanderia di un hotel  il giorno prima, non avrebbe potuto centrare molto con quelle leggende, se non per il nome... e per qualche... dettaglio.  Per un attimo gli tornò in mente il suo vero lavoro. Il lavoro per il quale aveva così faticosamente lottato. Quando aveva cominciato ad occuparsi di storie di fattucchiere? Controllò l'orologio, senza rispettare i tempi di attesa soliti. L'orario non era un fattore a cui dar peso in quel momento, ma era pur sempre un aggancio reale. Era il momento in cui poteva essere libero di sentire la pianta del piede toccare il pavimento... sentire il tacco di gomma nera immobile e attaccato alla parte inferiore della scarpa lucida. Poter muovere le dita del piede e percepire lo sfregare del calzino sulla punta di cuoio delle sue Paciotti. Scarpe italiane. Scarpe silenziose che non destavano attenzioni durante la camminata. Non distraevano i passanti con quei Tic, tic, tic anni settanta. Non attraevano cani in cerca della toilette, non facevano inciampare bambini-bomba-idraulica, in preda a crisi di vomito. Non davano l'idea di fenomeno miliardario calamita per donne prorompenti. Solo... erano solo scarpe. Attrezzi ben cuciti per sfruttare la forza di gravità quando il piede era attaccato al pavimento. Il piede era sempre attaccato al pavimento. In qualche modo Carey riusciva a farlo.

    Torniamo al presente. scosse la testa infine Jude Lasciamo stare il karma per un momento. A  quanto pare ci sono troppe persone con lo stesso nome in questa vicenda. L'unica cosa che conta e sulla quale spero riusciremo a concentrarci è: la vera serial killer ora è in libertà. Deve solo dirmi dove. So che lei sa. Dobbiamo collaborare, Peterson...

    Sto cercando di farlo, ma mi è impossibile con tutto il suo scetticismo.

    Lei come si comporterebbe se fosse me?

    Probabilmente come sta facendo lei. Ma si ricordi che questo non è uno dei suoi casi da copione... Deve accettare l'irrazionale. In fondo c'è della logica anche in questo.

    Logica ha detto? Mi è già faticoso accettare la parata dei fantasmi viventi, mi lasci l'orgoglio da uomo di legge almeno...

    Non può permetterselo. Non ora.

    Peterson riprese l'accendino che aveva lasciato sulla scrivania.

    Mi dia la foto della Felis.

    Carey aprì l'archivio Rebecca Felis e porse la foto a Noah.

    Vede, ispettore... logica vorrebbe che se io ora provassi a dar fuoco a questa fotografia, ebbene, essa brucerebbe nell'arco di pochissimi secondi...

    Peterson girò la rotellina metallica dell'accendino e fece scivolare il pollice sul tasto del gas. Con l'altra mano, regolò l'intensità della fiamma, in modo da renderla più potente possibile. Avvicinò quindi la fotografia al fuoco...

    Uno...

    due...

    tre...

    La fiamma, toccando la superficie della fotografia, invece di spalancare le piccole fauci ardenti e di inghiottire la carta, si spense improvvisamente come se il viso di Rebecca Felis avesse soffiato sull'accendino. Quegli occhi cartacei non erano soltanto un dettaglio stampato su cartoncino lucido, non avevano nulla a che fare con la staticità bianchiccia tipica delle fototessere. Erano buchi neri che perforavano il volto... Probabilmente si erano fermati a guardare i secoli passati, i tempi degli sguardi inquisitori. Carey si rese conto di aver finito le scuse. Si sedette. Poggiò i gomiti sulla scrivania. Non sospirò cercando di sembrare confuso. Non si schiarì la voce per poi trovare un tono un po più basso per controbattere un'assurdità.

    Questo gli adulti come lo chiamano? sorrise Noah.

    Quel giorno, era un giorno come tutti gli altri. Una vera tragedia. Un lunedì mattina simile ad un qualunque mercoledì. D'altronde i rimasugli di originalità erano rimasti a piangere sulle spalle degli anni in cui un pallone era ancora considerato un gioco. Le campane di Blackwood erano sempre state attaccate al campanile. Le vecchiette della cittadina erano sempre state le vedove di mariti violenti e autoritari. Le bocche, le bocche dei vili sarebbero rimaste chiuse, come sempre, di fronte ad un fatto così grave. Le streghe, le vere streghe erano già state bruciate, impiccate, torturate sotto gli occhi dei grandi inquisitori. Nulla di nuovo. Nulla che nessuno sapesse già. Nessun dettaglio scabroso insomma. Jude Carey era solito frugarsi nelle tasche ogni quarantacinque minuti per assicurarsi di avere sempre una gomma da masticare a portata di mano. Non una qualsiasi gomma, chiaro. Una Mint extra della Xilit One. Una di quelle con la confezione cartacea azzurra su ogni singola gomma. Era solito togliere la carta lentamente in modo da non causare strappi improvvisi e appiccicosi che si sarebbero rivelati assai fastidiosi. Era un bell'esempio di ricostruzione a grandezza naturale di Big Jim. Uno e ottantuno centimetri di altezza, torace ben definito, denti bianchissimi. Bianco Xilit One, naturalmente. Era proprio un bell'esempio di uomo attraente, come se ne sono già visti in giro dalla nascita del mondo. Chi fosse davvero Jude Carey importava poco, perfino a se stesso. Di lui bastava sapere le sue manie, la sua sfacciata padronanza del linguaggio, il suo modo di camminare. Le sue scarpe. Sarebbe sempre stato così, in fondo. Poiché nessuno prima di Noah Peterson si era seduto su quella sedia, davanti a lui, con le scarpe slacciate, un accendino in mano e con quello sguardo di chi sa esattamente di cosa sta parlando. Sapeva esattamente. Di-cosa-parlava. Di quella cosa a cui Carey faceva tanto schifo affrontare. Il regno dell'occulto. Il buco dell'isterismo fiabesco degli idioti. Era consentito a chiunque credere in qualsiasi cosa. A chiunque. Ma non a lui. Non a Carey.

    Sa come si dice? riprese Peterson infilandosi l'accendino in tasca.

    Mi piacerebbe che una volta tanto me lo dicesse davvero... rispose Carey stropicciandosi i capelli chiari.

    Mihi heri, et tibi hodie. Sa che vuol dire? Vuol dire... a me ieri, a te oggi. Quel che non si risolve ieri, è destinato ad essere ripreso oggi. E' una legge. E guarda caso... oggi è oggi.

    Era il 9 agosto. Solo il giorno prima un uomo era soltanto un uomo, una donna soltanto una donna, la merda soltanto merda. Solo il giorno prima i rospi bollivano nei calderoni a pagina 15 di Wikked and Queens. Bollivano per dodici dollari e trenta,in una pagina colorata di rosa e giallo. Per far aprire quella boccaccia ubriaca di Noah, invece, bastavano 2 dollari e 50, un apri bottiglia, e un'etichetta con su scritto KILKENNY, irish beer. Solo il giorno prima bastavano due o tre macchie ipostatiche per stabilire l'orario di decesso di tal persona, bastava verificare la rigidità cadaverica badando alla temperatura dell'ambiente, bastava che al laboratorio di medicina legale controllassero il contenuto dello stomaco per risalire ad un ipotetico ultimo pasto. Solo il giorno prima un cadavere era soltanto un cadavere. Aveva vissuto, si era fatto male, o gliene avevano procurato...e stop. Finito. Giusto o ingiusto, quel cadavere era un corpo. Un corpo a cui avrebbero prelevato la quantità giusta di tessuti bioptici per essere studiati al laboratorio. Un cadavere insomma, sarebbe stato trattato da cadavere e non da reperto storico. Alice Kyteler era un cadavere da museo. Era la  prima pagina del Blackwood Notices. Solo cinquecento anni prima si sarebbe battuta per la propria causa. Avrebbe tentato di usare i propri averi e la propria bellezza per guadagnarsi più tempo, poiché ogni donna che si rispetti, sa giocare col fuoco e con gli uomini meglio di quanto ci si possa in verità aspettare. A me ieri, a te oggi. Oggi era un ieri demolito da atti colpevoli. Atti colpevoli, silenzi innocenti. Alice Kyteler era innocente. Aveva dovuto inventarsi un modo, una sera, davanti ad una candela accesa, per rallentare la corsa inferocita del vescovo di Kilkenny. Aveva trovato che i suoi abiti le cingevano i seni in modo regale e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. I suoi fianchi erano un passaporto valido, il suo denaro e le sue parole, un fuoco col quale giocare, facendo divertire come bambini, gli uomini di legge, gli uomini della chiesa. Kilkenny era ormai diventato il parco giochi dei roghi umani. E Petronilla di Meth lo sapeva bene. Lo sapeva e l'aveva fatto sapere a Dunmore Caves. E Carey sapeva... sapeva che quel giorno le voci del passato, quelle voci ingiustamente soffocate,

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