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Mirabile Dictu - Storie Maledette Raccontate dal Diavolo
Mirabile Dictu - Storie Maledette Raccontate dal Diavolo
Mirabile Dictu - Storie Maledette Raccontate dal Diavolo
E-book423 pagine5 ore

Mirabile Dictu - Storie Maledette Raccontate dal Diavolo

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Info su questo ebook

SEI RACCONTI DA BRIVIDO CHE FARANNO EMERGERE L'ETICA DAL PUNTO DI VISTA DEL DIAVOLO. Il diavolo Liar Hell in questa raccolta ha incluso sei storie maledette, sei storie in cui a farla da protagonisti saranno streghe vendicative, oggetti posseduti, personalità disoneste e deità con l’ego spropositato. Alcune ve le racconterà lui stesso, altre i diretti protagonisti. Attenti, però! Vi esorta a trarne una morale o, quanto meno, un monito per non cadere vittime delle tentazioni. In questa Raccolta:

LA MALEDIZIONE DI MONEC
La leggenda di Xochimilco ritorna alle cronache: morti e cadaveri si susseguono uno dopo l'altro, affiorano dalla laguna e mettono a dura prova i nervi di Handy Ruiz, un agente dell'FBI. Riuscirà a risolvere il caso, o diventerà vittima dello spirito di Monec?

LA MALEDIZIONE DI ANANSI
Un gruppo di cinque ragazzi esegue un rituale per scherzo, invocando la divinità Anansi. Il trickster per eccellenza li obbligherà a un gioco il cui premio è la loro stessa vita. Un gioco a cui nessuno vorrebbe partecipare.

LA MALEDIZIONE DI AZAZEL
In pieno apogeo ottomano, una bambina-sposa sottoscrive un patto col demone Azazel per potersi vendicare del suo aguzzino. Riuscirà a portare a compimento il suo piano, ma barattando molto più della sua anima.

LA MALEDIZIONE DI HATHOR
Jack entra in contatto con il suo doppelgänger attraverso il riflesso di uno specchio; l’alter ego gli predice l’imminente dipartita. Si scambieranno i ruoli delle loro insulse esistenze, nel tentativo di ingannare la morte e tornare a nuova vita, ma il risultato sarà un qualcosa di inaspettato.

LA MALEDIZIONE DI CARNIA CLAVUS
Lo spirito di un’antica strega, imprigionato in una vecchia statua, si propone di aiutare un alcolizzato e un bambino prossimo alla fame perpetua, per riscattare le loro esistenze disastrate. Purtroppo, il sodalizio con Carnia Clavus sarà per loro tutt'altro che salvifico.

LA MALEDIZIONE DELLA MORTE
Dopo secoli di fede riposta in Dio, l'uomo non ha ancora capito che le sequele del disegno divino necessitano di una coscienza al di là di ogni conoscenza. Lo scoprirà a proprie spese un uomo, la cui grazia richiesta è quella di voler morire.
 
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2023
ISBN9791222097411
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    Anteprima del libro

    Mirabile Dictu - Storie Maledette Raccontate dal Diavolo - Liar Hell

    Prefazione

    È la storia, non colui che la racconta.

    Una citazione da paura, apparsa per la prima volta nel racconto: Il metodo di respirazione, incluso nella raccolta Stagioni diverse del 1982. Sono dell'idea che questa frase, letta con occhi da scrittore, susciti una certa attrazione, un magnetismo viscerale. Possiede un qualcosa di molto profondo, più del mero significato letterario. È un mantra che pulsa effimero, celato nell’inconscio. Un potere letterario che c’intrappola con ragnatele di drammi fatati, che ci fa piangere per un lungo addio o, quanto meno, sganasciarci per la più esilarante delle battute.

    Ed è vero... pensateci un attimo: è alla storia che ci affezioniamo, alla trama, un pelino di meno al suo autore. Devo essere sincero, è stata quest’arma di seduzione mentale che mi ha spinto a pubblicare la presente raccolta, il cui tema principale sono le maledizioni. Non che mi reputi bravo quanto il caro Re Stefano, ma sono dell’idea che anche queste storie di letto saranno in grado di attirare la vostra attenzione. Se dopo riusciranno a non farvi spegnere l’abat-jour, o a non farvi sradicare dal letto alle tre di notte per una pisciata, be’ tanto meglio: vorrà dire che siete sulla giusta strada per la dannazione.

    Ma lasciate che mi presenti: mi chiamo Liar Hell, un povero diavolo con la passione per le storie. Passione che mi sono trascinato dietro da quando sono caduto dall’alto dei cieli. Qualcuno della vecchia guardia mi ha confidato che sia il motivo principale per il quale mi hanno cacciato anche dalle Malebolge... Non stavo mai zitto, sempre lì a rompere i maroni con le mie storie. Ci mancava le raccontassi anche ai barattieri, quando s’affacciavano dalla pece bollente. A prescindere, ora mi hanno relegato dietro a questa specie di scrivania piena di tarli, a redigere le vostre generalità, ogni qualvolta il barbuto El decide di mandarvi qui giù. Cosa che non fa ogni giorno, tra l’altro. Di conseguenza, essendo a corto di dannati, – e questo è un male, non per me, in generale s’intende, – ho più tempo per coltivare questa passione, al ché mi son detto: «Perché non farlo come Dio comanda?»... Pardon: «Pape Satàn, pape Satàn aleppe»... Dicevo, a regola d’arte... fatto bene... insomma, avete capito. Eccomi dunque, avvolto nel mio nuovo outfit da podcaster: camicia, bretelle e pizzetto caprino, armato di cuffie, microfono e filtro anti-pop, pronto a torturarvi a suon di racconti.

    Ma torniamo un attimo a questa raccolta. Maledizioni, questo antico augurio nefasto che ammorba le nostre esistenze già dai tempi della Genesi:

    Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sia tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita.

    È stato proprio El a scagliare la prima delle maledizioni a noi fragili angeli caduti. Poi è toccato ai vostri antenati mangia-mele e, come se fosse un titolo nobiliare, avete ereditato il vizio. E qui viene il bello, eh sì, perché nel corso dei secoli vi siete arrabattati assai per ingegnarvi i metodi più creativi per il loro utilizzo. Dalle defissioni dell’antica Roma, agli anatemi inclusi nei colophon dei libri medievali, da quelle donate in punto di morte, fino a quelle impregnate negli oggetti di uso comune. Ma le più belle di tutte sono quelle scagliate con le imprecazioni, dove la fatalità, o chissà quale entità invocata, subentra a sostegno del male. Ebbene, in questa raccolta ho incluso sei storie maledette, sei storie in cui a farla da protagonista saranno streghe vendicative, oggetti posseduti, personalità disoneste e deità con l’ego spropositato. Alcune ve le racconterò io, altre i diretti interessati. Attenti, però! Vi esorto a trarne una morale o, quanto meno, un monito per non cadere vittime delle tentazioni.

    Perciò care anime orfane, conscio di aver fatto cosa gradita, non mi resta che augurarvi buona lettura e, se non lo leggerete tutto, visto che siamo in tema… Che il diavolo vi porti!

    La Maledizione Di Monec

    Questa prima storia si svolge in un locus terribilis e narra dell’utero del male: Xochimilco, genitrice d’involucri di plastica contenenti anime precluse all’aldilà. Una terra d’infanti che bisbigliano idiomi inintelligibili tra la vegetazione, una laguna che vanta un cospicuo numero di iscrizioni all’anagrafe dei dannati. Son dovuto salire dagl’inferi per verificare con i miei occhi cosa fosse questo posto e da chi fosse abitato. Beh, sono corso a nascondermi dietro la mia scrivania; e io che pensavo mi sarei trovato di fronte a un fatto di cronaca nera, camuffato da leggenda popolare… Altroché! La stessa idea l’ha avuta il protagonista di questo racconto, ma lui si è spinto dove non doveva, perdendo molto più di se stesso e suggellando il proseguo di una maledizione imperitura.

    1

    Virginia Beach,

    25 Giugno 2026

    «... Invece da questa parte abbiamo la camera matrimoniale con cabina armadio e bagno» disse Madison. Justin non poté fare a meno di sbavare, fissando quel sedere a mandolino che sballottava con leggiadria a destra e a manca. Suzie mise fine a quell’incanto lascivo, infrangendo una gomitata nel costato dell’uomo.

    «Hai finito di guardarle il culo?» Bofonchiò Suzie.

    Madison si voltò, convinta che fosse richiesta la sua attenzione, e Justin si tramutò in uno zerbino.

    «L’acquistiamo» disse.

    «Non dovremmo prima parlarne insieme?» Gli domandò Suzie con cipiglio.

    «Fate pure» proruppe Madison, intuendo l’imbarazzo salire in cattedra.

    Quando Suzie finì di mettere Justin in riga, scesero dabbasso. Madison li aspettava con un sorriso da volpe, illuminata da un fascio di luce proveniente dall’atrio, nel quale appariva come un essere celestiale, pronta a donare la sua provvidenza dietro lauto compenso.

    «Siamo ancora indecisi tra questa e un’altra che abbiamo già visto» disse Suzie con tono smorfioso.

    «Bene, però è mio dovere informarvi che proprio oggi scade la promozione ai nuovi clienti, ovvero un ulteriore sconto del quindici per cento, e un bonus vacanza.»

    «Un bonus vacanza?»

    «Sì, l’agenzia ha deciso di offrire un viaggio per le coppie sposate o che contraggono matrimonio entro i tre mesi successivi all’acquisto dell’immobile.»

    «Oh! E dove sarebbe la destinazione di questo pacchetto vacanza?»

    «Città del Messico! Una settimana, con vitto e alloggio presso un hotel a cinque stelle del centro.»

    «Hai sentito? Ma è una delle nostre mete preferite!» Disse Suzie rivolta verso Justin, trattenendosi dallo spiccare il volo.

    «Bene! Perché perdervi allora un’occasione del genere? È tutto spesato.»

    I due piccioncini si osservarono negli occhi e tutto il dissenso di Suzie scomparve.

    «Ok, abbiamo un accordo» finì per dire.

    «Avete fatto un’ottima scelta. Se per voi va bene, vi aspetto domani alla stessa ora in agenzia per definire le pratiche.»

    «D’accordo» risposero all’unisono i due.

    «Ora vogliate scusarmi, ma ho appuntamenti con altri clienti.»

    Madison uscì dalla casa, lasciando Suzie assorta nei suoi film mentali da luna di miele, e Justin con gli occhi che, a stento, si trattenevano nelle orbite.

    2

    Xochimilco,

    un mese dopo

    L’umido era una costante opprimente. La calura e l’afa, grevi sull’asfalto, discioglievano in un riverbero l’inerte desolazione. I due contemplavano circospetti la strana struttura, finché un moscone verde metallizzato entrò nell’abitacolo. Un colpo di giornale mise fine al ronzio.

    Sbuffi e sospiri d’impazienza.

    «Beh, da fuori sembra tutt’altro» sentenziò Thomas. Lo strano igloo assemblato era composto da elementi in alluminio e pannelli in metacrilato, si espandeva sul terreno per circa cento metri quadri, emanando discrezione e una sinistra aura opaca. Greg sbuffò e tentò invano di staccarsi di dosso la camicia intrisa di sudore, poi affogò il borbottio del furgone e osservò torvo Thomas.

    «Vuoi spiegami per quale motivo continui ad aspirare il nulla da quel bicchiere vuoto?»

    «Voglio solo infastidirti» rispose beffardo Thomas, e continuò a suggere aria con la cannuccia.

    «Entriamo» replicò Greg. Una volta sceso sbatté con violenza la portiera e si affacciò dentro l’abitacolo.

    «Potevi sceglierti un altro mestiere, se hai tutta questa paura.»

    «Non è paura.»

    «Ah no? E allora perché tutta questa riluttanza?»

    «Perché siamo a Xochimilco... Ti dice niente?»

    «No! È uguale a qualsiasi altro posto.»

    «Non penso proprio» finì per dire Thomas che, con vivida apatia, usciva fuori dal veicolo.

    Scuro in volto e a capo chino, seguì il collega mentre si apprestava a entrare. I due vennero accolti da un’atmosfera offuscata e da un pungente miasma. La fioca luce sfarfallante dei neon e il rumore del silenzio aumentavano la sensazione di vuoto abissale. L’impianto refrigerante commutava radicalmente il clima esterno e, oltre a intirizzire, creava istantanee nuvole di fatua condensa dall’alito dei due uomini. Di colpo la luce rimase fissa e la grande struttura mostrò il suo interno. Al centro, due tavoli settori di rigido metallo apparivano come altari di cruenti rituali. Sul lato sinistro stazionavano delle lettighe e, adagiati sopra di esse, dei sacchi di plastica con all’interno parti putrescenti di cadaveri reclamanti una degna sepoltura o, quanto meno, di essere deposti dentro le celle frigo allestite prospicienti l’entrata. Vicino alle barelle sostava un cesto di lavanderia, che ingabbiava delle bambole orribilmente mutilate in egual misura al numero delle salme.

    «E con questa sono quattro» disse Greg, mentre trasportava l’ultima salma e l’allineava alle altre.

    «Speriamo non ne arrivino ulteriori. L’afa fuori e questo freddo dentro non ci lascia tregua... E a dirla tutta, ho ancora sonno!»

    «Tu non hai voglia di fare un corno» ribatté Greg. Si appollaiò su uno sgabello e, finito di strofinarsi le mani sul lindo camice, accese una Camel e l’aspirò con bramosia. Thomas stava in disparte, appoggiato a un carrello porta-salme; il picchiettio continuo del suo piede echeggiava in tutta la stanza, mentre si rosicchiava le unghie.

    «Questa volta sarà alquanto diverso. Non sarà come gli altri lavori.»

    «Che intendi?» Domandò Greg.

    «Ho dato una sbirciata ai corpi. Quello strazio non è opera di qualche cartello messicano, né tantomeno di qualche pazzo a briglie sciolte.»

    «Ah no? E di chi allora?»

    «Non lo so. So solo che questo posto è maledetto, e noi non dovremmo essere qui a occuparcene.»

    «Mmh. Allora spera che chi ci paga lo stipendio la pensi come te.»

    Thomas annuì col capo, gli mancava poco a raggiungere la falange del dito medio.

    «Inoltre, questo modo di farci arrivare qua senza preavviso, senza spiegarci niente, tipo: fate quel cazzo che vi diciamo, non mi piace per niente.»

    «Non frustrarti. Sono appena le sedici, tra poco arriveranno e ci spiegheranno tutto l’ambaradan» declamò Greg.

    «Beh, sai che ti dico? Io libero un carrello e mi sdraio, così recupero un po’ di sonno perso.»

    «Oh, sai invece cosa ti dico io? Primo, non mi sembra il caso di farti riconoscere; e secondo, non ho nessuna intenzione di prendermi strigliate per colpa tua.»

    Thomas sbuffò. I due rimasero in silenzio un paio di secondi, giusto il tempo di notare l’atmosfera mutare in modo strano. L’aria sembrò rarefarsi e il tanfo di morte divenne più intenso.

    Nel mentre, una leggera folata di aria fredda, accompagnata da un sibilo, sospirò vicino ai due. Raggelarono. Entrambi si fissarono negli occhi, capirono di aver percepito qualcosa di innaturale. Thomas deglutì a stento e Greg, grattandosi la nuca, volse lo sguardo a destra e a manca. A un tratto l’ultima sacca mortuaria accantonata alle altre si restrinse, come se qualcuno al suo interno avesse azionato una macchina per il sottovuoto, eliminando tutta l’aria per poi risputarla e persistere con quel macabro scherzo. Così come iniziò, così si fermò di colpo, e una quiete tombale avvolse l’obitorio. A Greg cadde il mozzicone in terra, mentre a Thomas si pietrificò il volto. Greg prese coraggio e, con fare riluttante, si ricompose per avvicinarsi alla lettiga porta-salme. Avanzò a passi lenti; le suole stridevano sinistre, aumentando il nefasto presagio dei due. Arrivato a poco meno di trenta centimetri dalla salma... Sbamm! La porta pneumatica dell’entrata si spalancò e Thomas emise un gridolino acuto. Tre individui sostarono per un secondo nell’atrio della struttura, e quella frazione bastò alla luce proveniente dall’esterno per annerire le loro sagome ed evidenziarne le altezze decrescenti. Era arrivata la cavalleria. Thomas e Greg sospirarono.

    I tre, con fare baldanzoso, raggiunsero i due medici.

    «Bene!» disse uno del terzetto. «Lasciate che mi presenti: sono l’assistente alla direzione della divisione investigativa criminale dell’FBI, Edgart Brown. Alla mia sinistra l’agente speciale Handy Ruiz e alla mia destra – di sicuro l’avrete già riconosciuta – Consuelo Garcia Lopez, criminologa profiler, nonché vostra superiore.» L’uomo era una specie di adone mulatto sulla cinquantina, un fisico possente avvolto da un impeccabile abito di pregiata stoffa italiana, che gli assicurava un impeccabile aplomb formale.

    «Sono stato incaricato di formare una task-force per risolvere una scia di misteriose morti avvenute nella laguna di Xochimilco. Motivo per la quale presenziamo qui. Le vostre referenze, nonché le vostre skills, sono perfette per il caso in essere.»

    «Come mai non se ne occupa l’unità investigativa messicana?» Lo interruppe Greg.

    «A dir la verità, ne sappiamo ancora poco. Posso dirvi, però, che sono loro ad avere chiesto la nostra collaborazione. Molti dei loro agenti sono riluttanti a investigare in quella zona, che a quanto pare è infestata da una sorta di leggenda metropolitana. Inoltre i campesini del luogo non vedono di buon occhio i sopralluoghi nelle chinampa. A ogni modo, a noi poco importa, ancora non abbiamo una pista, ma conto su di voi perché ne troviate una il prima possibile. Tengo però a precisare, signori, che se qualcuno di voi non volesse partecipare, non ci sono problemi. Però lo deve decidere ora, così che esca con me da quella porta» finì Edgar con tono monocorde. Thomas rimase spiazzato con i palmi rivolti verso l’alto, come se stesse recitando il Padre Nostro. Per un attimo l’idea di volersene tirare fuori lo rapì, ma la vergogna di essere etichettato come un vigliacco lo fece desistere.

    «Per ultimo, è imprescindibile che non vi lasciate condizionare e che manteniate un basso profilo... Bene, se non avete altre domande, dispongo che voi due vi occupiate degli esami autoptici, mentre la dottoressa Lopez e l’agente Handy si occuperanno delle indagini.»

    Domande da fare ce n’erano eccome, ma nessuno chiese altro. Thomas e Greg sembravano alunni messi in castigo. Edgar, dopo aver augurato in bocca al lupo e ricordato di far capo a lui per qualsiasi iniziativa, si eclissò e il resto del gruppo lo accompagnò verso l’uscita con sguardi attoniti. Un palpabile alone di disagio s’insinuò tra loro.

    «Diamoci da fare» proruppe la Lopez, mentre si avvicinava al cesto contenente le bambole. Thomas e Greg non si mossero, mentre l’agente Handy si diresse verso le lettighe porta-salme. Quel frangente rievocò nei due medici l’inesplicabile scena manifestatasi un attimo prima, i grotteschi rantoli provenienti dal cadavere racchiuso nel sacco. Thomas, pervaso d’angoscia, non resistette.

    «Poco fa, prima che voi entraste, quella cosa respirava» disse, incespicando nelle parole e indicando la salma. Greg sbuffò.

    «Respirava?» Domandò incuriosito Handy.

    «Sì» replicò Thomas, tenutosi a debita distanza come a non voler esserne partecipe. Greg, di soppiatto, gli si avvicinò alle spalle e, con un rimbombante Buh!, lo fece trasalire come un gatto, suscitando l’ilarità tra i presenti e smorzando la tensione.

    «Coglione!» Ribatté Thomas.

    «Vediamo un po’» disse Handy, abbassando la zip della sacca con un gesto secco e veloce, che ricordava una sfregiata di rasoio. Una zaffata di putredine uscì, investendo il volto dell’agente, che rispose allontanando il capo con una smorfia di ribrezzo. La dottoressa si avvicinò, incuriosita.

    «È stato rinvenuto così: braccio sinistro e gamba destra strappati, e una porzione dell’addome mancante, come se fosse stato dilaniato con inaudita violenza da grossi artigli» disse la Lopez.

    Handy annui, poi con irriverenza si rivolse a Thomas: «Ehi, si è mosso!»

    «Certo, come no!» Rispose Greg.

    «L’hai visto anche tu, quando è successo» replicò Thomas.

    «Saranno stati i gas del corpo a emettere quegli strani rumori.»

    «Conosco benissimo i fenomeni post mortem, e posso giurare che quella salma respirava ancora... È maledetta!»

    «Addirittura!» Esclamò la Lopez.

    «Sì, e sarebbe meglio non scherzare tanto sull’argomento. Prima v’informerete, prima capirete di cosa parlo.»

    «Prima eseguirete l’autopsia, prima capiremo cos’è successo» replicò altera la Lopez.

    I due anatomopatologi cominciarono a prepararsi. Handy iniziò a leggere le generalità dei cadaveri, mentre la dottoressa ritornò al cesto delle bambole. Sollevò la prima: natura morta strappata dall’ancora di un tempo post apocalittico; sporca e senza vestiti, gli mancava buona parte dei capelli, così come il braccio sinistro e la gamba destra. La Lopez, per un attimo, venne attratta dallo stringere la manina destra, protesa in un’ultima richiesta d’aiuto, ma si bloccò appena vide due asticelle nere e pelose fare capolino da un’orbita. Acuì la vista: una tarantola dall’addome bruno senape, fuoriuscì con un veloce e raccapricciante movimento. La Lopez sbarrò gli occhi e si ritrasse inorridita, abbandonando la bambola. Il tonfo sordo e l’acuto di disgusto attirarono l’attenzione degli astanti, che pietrificarono la dottoressa con lo sguardo.

    «Tutto a posto?» Domandò Handy, mentre riduceva in poltiglia l’aracnide.

    «Oh mio Dio, che schifo!» Disse la Lopez. La bambola l’ammaliava, fissandola dabbasso, e le accese una scintilla nella mente.

    «Aiutami!» Disse ad Handy. «Dispieghiamole tutte sul pavimento, forse ho trovato qualcosa.» Handy e la Lopez adagiarono le bambole in terra, disponendole una accanto all'altra, formando così un sudicio tappeto di plastica adatto per cerimonie vudù. Poi, senza che la collega gli dicesse niente, ma accompagnato dal suo sguardo d'intesa, Handy aprì tutti i sacchi delle salme, che risplendettero di una trucida offesa alla vita. La Lopez aveva visto lungo, aveva carpito l'anello di congiunzione tra le bambole e i cadaveri. La stessa ferocia con cui erano stati ridotti i corpi, era stata riservata alle bambole... o viceversa.

    «Ben fatto. Ma anch'io ho trovato un particolare: tutte le salme sono americane, nessun messicano, né tantomeno di altre nazionalità.»

    «È evidente che al fantasma di Xochimilco non vanno a genio i gringos» disse Thomas.

    «Ancora con questa storia? Non esiste nessun fantasma, ma solo un pazzo furioso che si diverte a massacrare degli innocenti» rispose Greg.

    «Ne sei sicuro? Vallo a raccontare a chi vive e lavora lì.»

    «Questa è bella! Un medico forense che crede alle favole» fece presente Handy.

    «Cosa stai insinuando?»

    «Che sei troppo condizionato dalla leggenda del luogo.»

    «Sono messicano, so di cosa parlo e porto rispetto. Cosa che non stai facendo tu.»

    «Stai affermando che sei di parte!»

    «No, dico che fareste bene a non prenderla alla leggera.»

    «Smettetela! Voi due, se siete pronti, iniziate: non ho alcuna voglia di passare la notte qui dentro» proruppe la dottoressa Lopez.

    Thomas dispose gli strumenti sterili sul vassoio, mentre Greg trasportò la penultima delle salme ritrovate. Una volta deposto il cadavere sul tavolo, fece illuminare di rosso il cerchio rec della videocamera.

    «Questa è l’autopsia del soggetto identificato come Mark Rivera. A dirigere l’esame autoptico sarò io, Greg Wrigth, assistito dal mio collega Thomas La Cruz, con la supervisione degli agenti speciali Consuelo Garcia Lopez e Handy Ruiz. Soggetto caucasico, ventisette anni, di Baltimora, rinvenuto nella chinampa denominata Isla de las Muñecas.» Mentre Greg continuava le valutazioni, Thomas riportava su una lavagna gli eventi della storia clinica più rilevanti; poi, tra i tagli del frangicoste e i tonfi degli organi sul piatto della bilancia, impressionava istantanee dello scempio.

    «Il decesso risale a meno di quarantotto ore.»

    «Cause?» Domandò Handy.

    «Ora arriva il bello!» Declamò Greg. «Come si può constatare, il livor mortis è quasi inesistente, questo perché il tronco del soggetto è stato separato in modo violento dalla parte inferiore. Squartamento! Ecco la causa del decesso.»

    «E quella è la bambola rinvenuta adiacente alla vittima» disse la Lopez, indicando una bambola sul pavimento, divisa in due.

    «Durante il sopralluogo non sono state trovate armi. Qualcuno lo ha legato a due veicoli, o a qualche animale da traino, e lo hanno fatto fuori facendogli soffrire le pene dell’inferno. Infine hanno inscenato una sorta di rituale sacrificale smembrando quel bambolotto» dedusse Handy a voce alta, e si accorse subito che il suo sesto senso, come in loop, continuava a cozzare contro quelle due parole: rituale sacrificale.

    «Ma è impossibile che qualcuno abbia agito da solo! Ci avrebbe messo molto tempo. Inoltre, il supplizio e le grida di dolore avrebbero allarmato i campesini dei dintorni» intervenne la Lopez.

    «L’avranno fatto fuori in qualche altro posto e trasportato lì» ribatté Handy.

    «Impossibile!» Disse Thomas, ignorando l’ultima replica e quella della Lopez. «La terra sotto le unghie e alcune tumefazioni dimostrano come la vittima abbia lottato contro il suo carnefice. Per essere smembrato così, avrebbe dovuto essere legato a due veicoli, ma non ci sono tracce di costrizione né sui polsi, né sulle caviglie, che però risultano slogati e fratturati.»

    «Allora come pensi che abbia agito il carnefice? O è stato il fantasma di Xochimilco a compiere tutto ciò?»

    Tutti risero beffardi, tranne Thomas, che avrebbe voluto folgorarlo con lo sguardo. Però fu solo un attimo: l’atmosfera mutò di nuovo in modo strano, dando l’impressione di essere stata attivata dall’ultima battuta di Handy.

    All’improvviso, una cella frigorifera si aprì da sola. Il braccio di un cadavere cadde da una lettiga, oscillando come il pendolo di un orologio, e il gas refrigerante invase l'ambiente, formando una nube gelida come in una foresta infestata. Nessuno si mosse di un millimetro; sconcertati, si osservavano tentando invano di capire cosa stesse succedendo, finché la loro attenzione fu rapita dalle ante della porta dell'entrata, che iniziarono a sbattere avanti e indietro a ritmo della canzone This boy, diffusa da una radio accesasi da sola. I neon presero a sfarfallare a intermittenza, finché non esplosero all'improvviso, scagliando schegge di vetro sui presenti. Un grido della Lopez spezzò il nero abissale che, come una mannaia, era calato nell’obitorio. Handy urlò di uscire tutti fuori, una pessima idea che scatenò il panico generale, causando una fuga caotica incontrollata: si calpestarono e caddero addosso l’un l’altro, sbattendo contro i carrelli porta lettighe e ferendosi con i cocci dei neon. Finché uno spiraglio di luce, proveniente da una feritoia, suggerì loro di varcare la porta.

    Thomas aveva le mani sanguinanti, così come il volto di Handy: una scheggia gli si era conficcata nella guancia. La Lopez si sedette in terra per riprendersi, mentre Greg, in preda al terrore, scoppio in un pianto; all'inizio sembrava liberatorio, ma non era altro che il preludio di una crisi.

    «Che cazzo è successo?» Gridò Greg. Nessuno rispose, pervaso da un grande senso di ineffabilità.

    «Qualcuno vuole spiegarmi cos’è successo?» Proseguì singhiozzando, mentre, chinato in avanti e con le mani rivolte al viso, contemplava il proprio dolore.

    «Calmati, ora e tutto finito, è stato solo...»

    «Non dirmi di calmarmi! Hai visto anche tu cos'è successo là dentro... AARGHH!»

    Greg si portò le mani dal viso al collo, qualcosa sembrava strangolarlo. Divenne bianco, non respirava e iniziò a schiumare dalla bocca. Gli occhi sbarrati sembrarono uscire dalle orbite, il suo corpo si curvò e s'irrigidì; le dita si piegarono ad artiglio, finché, sotto gli sguardi atterriti dei compagni, stramazzò esanime al suolo. Un anatema sembrava asceso dalle viscere dell’inferno.

    3

    Xochimilco

    28 Luglio 2026

    Handy inchiodò di colpo. A nulla valsero le bestemmie del pedone quasi travolto e i clacson delle auto dietro, dal farlo desistere a rinviare la telefonata.

    «Ti ripeto, adesso non posso sapere se ritorno. Dimmi, piuttosto, cos’è questa cosa molto importante? Pronto? Madison! Pronto? Ha riattaccato.»

    «E meno male! Va bene che stiamo andando all’ospedale, ma non voglio arrivarci con l’atlante dislocato per colpa delle tue frenate improvvise» disse la dottoressa Lopez.

    «Scusa» rispose Handy, intento a tamburellare col dito sullo sterzo.

    «Qualcuna è arrabbiata!» Esclamò la Lopez.

    «Già... Come se non mi dispiacesse perdermi il compleanno di mia figlia.»

    «Posso proporre a Edgar di somministrare il modello di autopsia psicologica ai familiari di Mark Rivera, dirgli che mi serve aiuto e farti venire con me. Con questa scusa potresti raggiungere la tua famiglia in Virginia.»

    «E perché lo faresti?» Disse Handy, riservandole un’occhiata alle gambe scoperte fino alle ginocchia.

    «Tra colleghi ci si aiuta, no?» Rispose la Lopez, tentando invano di risistemare la gonna. Handy annuì con la testa, gongolando con un sorriso che rischiarò la mente dalle preoccupazioni. Quando salirono al piano dove era ricoverato Greg, trovarono Edgar in sala d’attesa che passeggiava avanti e indietro come un carcerato, e Thomas seduto, fingendo di leggere una rivista. I quattro vennero raggiunti dal Dott. Castillo.

    «Ancora non si è svegliato. Potrebbe essere qualsiasi cosa ad aver causato la crisi, pertanto ci riserviamo di sciogliere la prognosi. Vi aggiorneremo non appena avremo i risultati delle ultime analisi.» Il medico si eclissò, lasciando nello sconforto i colleghi che avevano prestato il primo soccorso.

    «Non capisco come diavolo sia potuto succedere che, dopo esser andato via, Greg per poco abbia rischiato di lasciarci la pelle.» Prima che Edgar continuasse, la Lopez prese parola:

    «Thomas potrebbe continuare da solo gli esami autoptici, mentre io e l’agente Handy possiamo andare dai familiari di Rivera e capirne di più.»

    «Ci andrà da sola. L’agente Handy si occuperà delle indagini nel luogo dei ritrovamenti. Per quanto desolati, non possiamo permetterci rallentamenti».

    I quattro, usciti dall’ospedale, presero strade differenti, tranne Handy e la Lopez.

    «A quanto pare il tuo piano non è riuscito» commentò Handy, mentre apriva la portiera dell’auto.

    «Però ho evitato la ramanzina, quindi il minimo che puoi fare è accompagnarmi all’aeroporto... Non prima, però, di essere passati a prendere i miei bagagli» replicò la Lopez, leziosa.

    «Come desidera sua maestà» disse lui, sospirando e rimuginando se fosse il caso di ridere o piangere. Una cosa era certa: il compleanno della figlia era andato.

    Handy arrivò all’embarcadero Cuemanco. Scese dall’auto, varcò la porta a tre archi e si diresse verso il pontile. Il gracchiare di una radio, proveniente da un chiosco alla sua destra, trapelava da due giorni indiscrezioni su un tizio morto per annegamento. Questo sortì l’effetto di aumentare sia l’afflusso che la curiosità dei turisti, smaniosi di solcare le torbide acque della laguna su variopinte zattere vestite a carnevale. L’agente si fermò un attimo a osservare quell’andirivieni continuo, pensando a quanto il turismo fosse così fiorente, malgrado ci scappassero i morti. Poi scrutò con occhio clinico la tipica conformazione del luogo: giganti zolle di terra galleggianti, piantumati da alberi smunti e frondosi, costeggianti maestosi il canale.

    Particolare, pensò fra sé. Una mano si alzò da un’imbarcazione atipica, attirando l’attenzione di Handy. Lui prese ad avvicinarsi e il tizio, un colosso di quasi due metri, gli andò incontro.

    «L’agente Ruiz? Handy Ruiz?» Disse l’uomo, facendosi avanti e porgendo il saluto.

    «Sì, sono io» rispose Handy, stringendogli la mano con aria circospetta.

    «Piacere, sono l’agente Robert Chambers, dell’unità di ricerca subacquea USERT. Le sono stato assegnato come partner nelle indagini.»

    «Solo noi due? Non abbiamo altri agenti di supporto?»

    «I pochi che abbiamo sono dall’altra parte della laguna; a noi tocca questa zona. Se vuole salire...» Disse facendo un cenno a Handy. Partirono a tavoletta e svoltarono per il canale El Bordo, lasciandosi dietro la sfilata di zattere multicolore.

    «Se non sbaglio, è stato lei a risolvere il caso del macellaio di Chesapeake Bay?» Domandò Robert, sforzandosi di non far coprire il tono della voce dal motore della barca.

    «A quanto pare sono diventato famoso.»

    «A voglia, i notiziari ne hanno parlato per una settimana.»

    «Ai piani alti avranno pensato che andassi bene anche per questo caso. Inoltre, la promessa di un avanzamento di carriera è alquanto allettante.»

    «Beh, le auguro allora di risolvere anche questo.»

    «Dammi del tu, mi fai sentire vecchio. Come mai alcune delle terre... Com’è che le chiamano qua?»

    «Chinampa!» Rispose Robert.

    «Già chinampa. Perché molte non sono state delimitate?»

    «Sì. Questa laguna vive di turismo, è impossibile chiudere tutto: per i campesini sarebbe un disastro, morirebbero di fame. La polizia messicana ha interdetto le zone dove sono stati rinvenuti i cadaveri, poi hanno passato la palla... e il lavoro sporco a noi. Ora stiamo andando in quelle dove hanno trovato le ultime due vittime» finì per dire Robert. Handy rispose con un cenno di testa.

    Più andavano avanti, più la desolazione sembrava aver preso dimora: solo

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