I figli dello sciagurato trombettiere
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Anteprima del libro
I figli dello sciagurato trombettiere - Jakob Shalmaneser
Des vagues
Tutto questo mare come gamma di frequenza ha 47 ~ 862 MHz, non iniziate a lamentarvi che non lo vedete bene, e che non distinguete le singole creste. Solo gli stupidi iniziano col lamentarsi, anziché riconoscere la meraviglia del mondo.
Ho promesso di osservare con attenzione che il comportamento dei presenti non pregiudichi il regolare moto di questo mare. Come esso è grandioso! Come il sole che discolora ogni casa e ogni veste non discolora questo azzurro che barbaglia di bianco e indugia sul verde! Dìtelo con me, quanto è grandioso! Io sono responsabile di questo lungo tratto di riva: non voglio che teniate le calze, che abbiate paura, che temiate vi siano buche improvvise sotto un azzurro così puro. Lo vedete da voi, no, che non vi è all’orizzonte nulla che si eriga asciutto?
Se qualcuno è caduto a capofitto in una buca pochi passi dopo la battigia, con la testa in giù e i piedi all’insù, non è colpa di questo mare: chi gli ha detto di camminare nel mare? Chi gli ha detto di bagnare la sua maglia dalle fitte righe orizzontali in questa smisurata quantità d’acqua che non lo ha chiamato?
Restate seduti. Bagnàtevi solo le labbra, se le avete riarse. L’immensità della conoscenza che possedeva Talete non gli fece desiderare d’imparare il nuoto: valete voi forse più di Talete?
Irridete giustamente chi resta ritto sui propri piedi caldi per contare le creste che vengono a infrangersi sulla riva: imparate a ridere di colui che vuole camminare dentro il mare, quasi fosse un gigante! I poteri dei vostri calcagni e delle tozze dita nelle quali finisce il vostro corpo possono essere esercitati in qualsiasi momento: perché proprio per entrare in questo mare che non vi cerca?
Pipientes e albopicti giungeranno al tramonto e vi faranno guerra. Io nulla posso contro di loro: non iniziate a guardarvi le braccia roteandole finché la spalla relativa lo consente, non schiaffeggiate senza costrutto l’aria, è una guerra intrinsecamente ridicola, e la perderete.
Per ogni bene che vi portate in casa esigete il ritiro del bene che non volete più in casa. Credete stupidissimamente che le cose nuove siano migliori di quelle antiche.
Voi vedrete — no, non lo vedrete perché sarà notte — le nuvole andàrsene di notte sopra questo mare, nella speranza d’ingrassare velocemente. No, lo vedrete perché vi sarà più di metà della luna, e vi sentirete miseri perché non avete la leggerezza per ascendere. Ma se le nuvole non torneranno al mattino, a mezzogiorno le schegge di pietra sulla riva saranno bollenti, e le rughe dei vostri piedi non sapranno dove premere, e la gallòria dentro i vostri petti bene scolpiti non vi servirà a nulla, se non a farvi saltare senza nessuna musica a farvi da molla.
Vi sono quattro contenitori ermetici. Il più grande conterrebbe il terzo, che conterrebbe il secondo che conterrebbe il più piccolo, ma questa estrema razionalità non riesce di nessuna utilità, giacché avete riempito ogni contenitore con cose unte e insane, che neppure avete mangiato e che finirete col buttare nel water, ogni vostra finzione protesica fissata a radici che stanno marcendo. Perché non avete fame? Perché fissate la spuma che viene a rompersi poco distante dai vostri piedi e non aprite neppure uno dei contenitori che avete portato? Che li avete portati a fare, dunque?
Questo mare ha sempre rispettato questa riva e continuerà a farlo. Non monterà mai su di voi, a uccidervi e trascinarvi al largo, riempiendovi le interiora di sudice alghe. Non avete comprato nulla, oggi, stando seduti qui a guardare il mare nel quale non siete entrati: tranne un domani nel quale di nuovo resterete seduti, i petti dentro maglie dalle tante righe orizzontali.
Sapete di essere vivi solo perché sudate. Siete certi che il mondo continuerà dopo di voi, perché questo forte odore di sesso e di morte che promana da questa smisurata quantità d’acqua è come uccidesse tutte le deboli ragioni dei nichilisti. Nel latte umano viene escreto fin da sùbito il desiderio di persistere: all’unica donna che prima ha tentato goffamente di allattare in mezzo a tutti il suo fantolino ho sorriso, riavendone un sorriso breve e non sentito. Perché avrei dovuto scacciarla?
Nel momento in cui gli uomini e le loro spose non venissero più qui a temere il mare, io perderei il lavoro. Io amo questi uomini e queste donne, perché non vivranno per sempre e perché non sapranno mai il motivo per cui raccolgono e conservano quei piccoli ciottoli traslucidi. Ehi tu! Hai mai messo in ordine i ciottoli che hai portato via da qui, una volta tornato nella tua camera? Li hai ordinati per colore, forma o dimensioni? Hai messo quelli che ti piacevano di più in una determinata scatola e quelli che ti piacevano meno in un’altra? Oppure hai aperto la finestra e li hai gettati sul breve prato attorno alla casa, per il piacere di spaesarli?
Non mi risponde. Un documento per lui umiliante è stato inoltrato al sistema postale — che sarà responsabile della successiva consegna — venerdì scorso, ed egli è venuto a questa riva per rigettare da sé quell’orrore cartaceo e banale col rumore incensurabile del mare, col suo fetore di vagina, sale e mucillagini, per dare ipnosi a se stesso con questo moto acquoso che nessun ordine ministeriale potrà mai sospendere.
Io non conosco questo documento perché non l’ho scritto, ma so che stringe il suo stomaco nell’angusto anello dell’ansia. Devo avvicinarmi a lui e promettergli che non gli verrà mai recapitato? E se, dèttogli io ciò, lui mi guardasse e mi credesse uno stupido che crede di potere inceppare il sistema postale? Se si offendesse profondamente, sia perché capisse che lo voglio racconsolare, sia perché uso, per consolarlo, uno strumento semplicistico come un giocattolo ligneo per un treenne?
Non mi risponde e neppure mi guarda. La riga della cute troppo esattamente bianca tra una direzione dei capelli e quella opposta gli dà un’aria poco intelligente, come di ragazzo che non sedurrà. Sta rimacinando ansioso e senza più saliva l’attesa di un donzello con la cappa rossa che gli chiederà come si chiami, farà sì con la testa e dalla sua borsa sformata di corame ormai senza più colore tirerà fuori una busta colore dell’onta, pesante, contenente un documento piegato più volte senza armonia, cui sarebbe stata ben più idonea una busta più grande.
Se tu mi guardassi ti sorriderei, ma tu preferisci oppormi la tua tempia impallidita dall’incandescenza del sole, e rimacinare l’angoscia che teme ma attende l’arrivo del donzello con la cappa rossa. Cosa vuoi che vengano tra tutte queste gambe deboli e ignude, tra tutte queste righe che tagliano i petti e le pance di uomini senza coraggio... Chi vuoi che per indirizzo abbia dato una riva senza case, con baracchini senza fondamenta rigati a loro volta di rosso e di bianco...
Credi che sia cosa divina, il sistema postale? Che le cappe rosse sulle spalle dei donzelli sottopagati siano il segno di chissà quale inesorabilità? Lo sai cosa prendono all’ora? Te lo devo dire ridendo o facendo la fronte livida di colui che si indigna per conto terzi? La vedi la schiena che hai davanti? Smettila di rimacinare il pensiero della tua indegnità e del documento che la certifica: guarda quella schiena. Prima, quando si è voltata, le hai visto baluginare quel sapiente sorriso? Lo sai quanti gessi e cere e resine aspettano al buio tutta la