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L'Amore da Dentro
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L'Amore da Dentro
E-book112 pagine1 ora

L'Amore da Dentro

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Info su questo ebook

L'Amore da Dentro racchiude due racconti.

Il ritorno dell'Astronauta, nel trentaduesimo giorno di marzo è la storia di un amore giovanile interrotto e di un ritorno sui monti natii di un ragazzo diventato vecchio lontano da sé stesso, dal suo mondo, dal suo sogno d'amore impossibile. I volti del passato riemergono, e la vita, che immaginiamo tracci dei cerchi volenterosi di chiudersi, invece si avvolge e fluisce nella sua natura spiraliforme.

"Si vede Antonio sulla cima del mondo" è la narrazione breve, intensa e densa degli ultimi istanti di Antonio, sospeso tra il suo essere guerriero di luce e il suo stato di coma irreversibile. Tutti gli amori possibili si intrecciano in storie antiche, in sentimenti irrisolti, in un amore adolescenziale tumultuoso e potente, attraverso una scrittura avviluppante e precisa

In entrambi i racconti le storie delle diverse qualità d'amore confluiscono tutte nei rispettivi punti finali.
LinguaItaliano
Data di uscita19 feb 2024
ISBN9791221461725
L'Amore da Dentro

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    Anteprima del libro

    L'Amore da Dentro - Mauro Vasta

    Il ritorno dell’astronauta

    Nel trentaduesimo giorno di marzo

    Secondo giorno di marzo

    I MASCHI

    Se voi foste me sareste accovacciati sulla riva, sul punto pietroso del ruscello.

    Se foste me sareste bambini con ancora i calzoni corti.

    Se foste me ignorereste di proposito il barilotto che avreste dovuto riempire di acqua per poi riportarlo subito a casa; lo avreste ignorato con ostentazione fin dapprincipio e tuttavia ogni tanto lo sfiorereste con lo sguardo, di sottecchi, lasciandolo svettare lì dove giace, semi inclinato nel terreno accidentato, nel solletico dell’erba alta.

    Se foste me avreste un dito immerso nell’acqua: il dito indice. Lo spostereste a caso da un punto all’altro del ruscello, nelle parti più o meno veloci e su quelle più o meno profonde, fin dove lo renderebbe possibile l’intera lunghezza del braccio e il sorriso inconsapevole e stupito della vostra curiosità, a dispetto della rabbia che vi ribolle dentro.

    Guardereste le pieghe provocate dal vostro dito e i mulinelli e i piccoli gorghi e anche le semplici rughe; i vostri occhi ingordi ingoierebbero tutto ciò che disturba il ricomporsi dello scorrere placido del ruscello anche solo per un istante.

    Se foste me, portereste il dito indice alla bocca, ne suggereste le gocce d’acqua come fosse un dolcissimo miele e mai, mai, neanche per un istante, mai sareste sul punto di piangere.

    Avreste le palpebre asciutte, la rabbia continuerebbe a bollire lentamente come una pignatta di ceci sul bordo del focolare, avreste il dito indice bagnato e forse anche il resto della mano, tutto il braccio sarebbe bagnato ma non le ciglia, perché non piangereste. Sareste arrabbiati e delusi ma fermi e ostinati e orgogliosi come devono esserlo i maschi, perché i maschi non piangono mai. Non avreste mai capito se bisognava ritenerlo un vero e proprio comandamento, ma l’avreste di sicuro ritenuta una cosa vera perché la ripetono tutti, tutti la ripetono, ad ogni occasione, lo dicono tutti che i maschi non piangono mai, anche se io un giorno ne vidi uno di maschio che era grande e grosso e piangeva, un giorno vidi un maschio piangere nella penombra della stanza grande, seduto su una seggiola bassa accanto al letto per cui le sue ginocchia erano buffamente alte fino quasi al mento. Lui dondolava la schiena avanti e indietro e farfugliava qualcosa e piangeva e piangeva e piangeva e farfugliava qualcosa con la voce cantilenante e impastata, dondolava e piangeva e farfugliava sulla sedia bassa, con le ginocchia alte, al capezzale della mia zia sfortunata. Quell’uomo, di cui non ricordo altro, quell’uomo era l'eccezione che violava il principio valido per tutti i maschi del mondo, quell’uomo piangeva e per quanto ne so pianse per sempre perché lo fece dal primo all’ultimo istante in cui io lo vidi e cioè dal momento in cui riuscii ad entrare nella stanza, fino a quello in cui qualcuno dei grandi si accorse di me e mi costrinse ad uscire dalla camera della morta.

    Se foste me non sareste morti, avreste i calzoni corti e gli occhi non baluginanti o particolarmente espressivi, non sareste vivaci e pronti, ma semplicemente vivi e aperti e sorprendentemente capaci di fare entrare con ognuno dei vostri sensi, grandissime quantità di mondo dentro voi stessi e più precisamente in quello spazio sconfinato in cui un giorno sareste stati sicuramente capaci di sistemare tutto e che avreste creduto comune a tutte le persone, grandi e piccole, uno spazio dentro, uno spazio infinito che mai niente e nessuno al mondo sarebbe stato davvero capace di riempire.

    Se foste me infine vedreste arrivare dalla cima della collina il vostro cugino Mino, che poi sarebbe anche il vostro miglior amico, insieme a Cicala, s’intende. Noi tre siamo sempre stati una cosa sola, ognuno lo specchio dell’altro, incapaci di pensarci davvero come diverse unità perché abbiamo condiviso e moltiplicato le sensazioni e le emozioni e le paure e le gioie come se fossimo stati sempre e comunque un’unica cosa.

    Se foste me vedreste arrivare dalla cima della collina Mino, che tra tutti i cugini è quello che, oltre a me, nella casa del nonno ci abita davvero e per tutto l’anno e non solo nelle domeniche belle di primavera e non solo nei giorni del frastuono sudaticcio della vendemmia e non solo nel tempo orribile e saporito dei maiali, vedreste arrivare Mino che sarebbe venuto a cercarvi perché mandato da qualcuno dei grandi della casa, forse proprio dal vostro nonno, che era il capo dei maschi e di tutti, forse non necessariamente da lui, ma, in ogni caso da qualcuno dei grandi che lo avrebbe mandato a cercarvi perché accortosi di quella vostra assenza così esageratamente lunga per un bambino mandato al ruscello per fare acqua. Questo qualcuno dei grandi aveva certamente mandato Mino a cercarvi, vai tu Mino, vai a chiamarlo e digli di tornare subito qui, così avrebbe detto uno dei grandi a Mino, perché lo avrebbero sempre e per sempre chiamato Mino, escluso il padre che non volle smettere mai di chiamarlo Anselmo e questo perché sull'attribuzione del nome si era impuntato come una mula incinta nel suo unico impeto di auto affermazione, contravvenendo a secolari convenienze e tradizioni familiari e chissà che non sia stata proprio la sua voce ad alzarsi tonante per coprire quella di tutti gli altri dicendo a Mino di scendere al fiume, di andare lui, vai tu Anselmo, ma torna presto, non metterti a sognare pure tu come lo scimunito di tuo cugino, non perdetevi tra le frasche, non costringere pure me ad alzarmi dalla tavola, Anselmo!

    Se foste me vedreste Mino avvicinarsi e gli rispondereste col suo identico saluto, a specchio, fosse esso un semplice cenno del capo o un suono di gola o il vostro solito fischio. Sicuramente lo guardereste dritto negli occhi per mostrargli le vostre ciglia asciutte e orgogliose, perché i maschi non piangono mai, è una regola, nessun maschio piange mai, se si eccettua naturalmente il marito della zia sfortunata.

    Ma Mino non baderebbe al vostro mancato pianto perché sarebbe particolarmente compreso nel proprio compito di riportarvi al più presto in casa e vi chiederebbe, con una voce inedita e sghemba, di tornare su con lui. Userebbe una voce stranamente stridula da costringervi a voltarvi per guardarlo e studiarlo, perché la sua voce risuonerebbe come falsa anche mentre si sforza di usare il tono che solete usare l’un l’altro e con cui però questa volta vi direbbe che comunque non c’è niente di male nell’andare a raccogliere l’acqua, che non è vero che è un lavoro da femmine, che lui stesso era stato mandato più volte ed era sceso dal costone con il barilotto in equilibrio sulla testa, che andare al fiume non era mica fare il lavoro delle lavandare.

    Allora voi lo guardereste coi vostri occhi asciutti nei suoi occhi seri e fareste per la prima volta anche a lui la domanda che avete inutilmente rivolto a tutti i grandi della casa, la domanda a cui nessuno vi ha mai risposto davvero se non con un sorriso o con una scrollata di spalle o con un inumidirsi di occhi, avreste chiesto per la prima volta anche a lui di dirvi dove si trova precisamente la stella su cui sono posizionati gli occhi di vostro padre che vi guarda su dal cielo, il vostro padre volato in paradiso, di dirvelo per favore, per favore, dove sono gli occhi di mio padre e dov’è la stella della zia sfortunata e dove è andata a finire il bene di mia mamma, dov'è il suo bene che è stato sostituito dalla pazzia che le è entrata nella testa e non ne vuole più uscire e dov’è questo posto dove la tengono rinchiusa perché non riesce neanche a volermi più bene e si comporta come una bestia dei boschi che poi anche le bestie dei boschi vogliono bene ai loro figli, dimmi queste cose, fammi capire, perché altrimenti io l’acqua lassù non ce la porto.

    Se voi poteste vedere il volto di Mino, a questo punto, se voi foste me e riusciste a guardare nei suoi occhi, per la prima volta non vi trovereste il vostro specchio, non vedreste il velo di tristezza nel suo sguardo che sarebbe identico al vostro, ma semplicemente un nuovo sorriso, imbarazzato e preoccupato, che da quel giorno avrebbe fatto esordio sul suo viso, perché per la prima volta aveva un pensiero diverso dal vostro, una preoccupazione nuova e cioè l’esigenza di obbedire ai grandi più che di specchiarsi con voi, per la prima volta non gli importerebbe delle vostre paure e delle domande e delle angosce a di quello spazio grande che avete dentro e in cui tutto avrebbe dovuto trovare il proprio posto per diventare finalmente felici.

    Se voi foste me, in quel preciso istante guardereste vostro cugino Mino come se fosse la prima volta, lo riconoscereste come un'unità separata da voi; per la prima volta vedreste davvero la sua faccia da bambino già molto vecchio e allora lo separereste finalmente da voi per sempre e non gli avreste mai più rivolto le domande che vi bruciano dentro e che non trovano il ristoro di una risposta, le domande che sarebbero rimaste conficcate dentro la vostra mente come spini di rovo pungenti e insopportabili; lo avreste visto allontanarsi da voi, Mino, lo avreste visto

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