Otto anime
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Un fantastico viaggio dalle tinte rosse come il fuoco della passione e del sangue, nere come le tenebre dei demoni del passato e d’argento come l’acciaio delle armi, delle corazze e degli scudi infranti. Un viaggio tra la luce e l’oscurità, che lascerà il segno nel cuore degli eroi e di tutti i viaggiatori pronti all’avventura e ai colpi di scena, in cui il coraggio e i nobili ideali saranno messi a dura prova affinché il Bene trionfi sul Male.
Antonio Marcello è nato a Como ed è cresciuto a San Fermo della Battaglia, al confine con la Svizzera. Il suo nome anagrafico è Antonio Marcello ma si presenta al mondo letterario con lo pseudonimo di Anthony Cristel, in onore dei maestri del fantasy anglosassoni e dei suoi cari. Si è diplomato come perito elettrotecnico ed è da sempre amante del genere fantastico. Ha partecipato a varie fiere ed eventi letterari tra cui la “Fiera del Libro di Como”, il “Festival delle Frontiere Letterarie, l’apertura della “Settimana della Cultura del Comune di Malnate”, nonché a trasmissioni radiofoniche e televisive regionali. Ha pubblicato La corona di sangue. Libro Bianco (Casa Editrice Kimerik, 2013) e La corona di sangue. Libro Nero (Casa Editrice Kimerik, 2015).
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Anteprima del libro
Otto anime - Anthony Cristel
Anthony Cristel
Otto anime
EDIFICARE
UNIVERSI
© 2019 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it
I edizione elettronica novembre 2019
ISBN 978-88-5508-726-1
Distributore per le librerie Messaggerie Libri
Le nostre decisioni e le nostre azioni sono i pesi che possono spostare l’ago della bilancia verso la Luce o verso l’Oscurità. Noi siamo solo pedine sulla scacchiera del destino dove, anche il più debole, può diventare il più importante e valoroso...
(Vanderlas, Signore degli Elfi)
Capitolo 1
Il ritorno degli eroi
Il vento caldo del sud soffiava forte tra le vele delle barche che, leste e come foglie al vento, navigavano verso il porto di Madek sulle acque azzurre del Lago dei Tre Regni.
Nella capitale del Meridio, carovane e carrozze di mercanti provenienti da tutte le terre confinanti, brulicavano tra grida e risate di incontri e contrattazioni.
Bancarelle ricolme di merci provenienti dalle Lande Verdi, il regno degli Elfi, erano quelle più affollate, d’altronde da quel regno giungevano i frutti e le verdure più succulente e prelibate oltre al fatto che i costi di quelle merci erano tra i più bassi dell’intero mercato.
Molti erano anche i prodotti provenienti dall’emirato: datteri dolci, pesci e carni essiccate e salate erano le cibarie più ghiotte di quelle terre del sud mentre manti, foulard e tessuti erano i manufatti più venduti tra le bancarelle Emire.
Le vie e le case della capitale meridionale dell’Impero brulicavano di gente e vita, e tutti i più importanti edifici erano stati già ricostruiti dopo la riconquista e la liberazione dell’intero regno dall’invasione delle orde oscure guidate da Velgus, il Signore delle Terre Morte e dai suoi alleati.
Le ferite della città erano ancora ben visibili ma la ricostruzione era stata veloce e senza sosta alcuna, la vita aveva ripreso appieno la sua strada, tra pace e armonia fra tutti i popoli dell’intero continente.
In mezzo alle decine di barche provenienti dall’est, una sembrava più lesta delle altre, con vele ben più alte e con rifiniture di miglior pregio: non si trattava certo di una comune nave mercantile e sui ponti dell’imbarcazione si potevano scorgere soldati in scintillanti armature e candidi manti sulle spalle.
Al centro della vela principale legata all’albero maestro spiccava il falco di fuoco, il simbolo di Vendoras, il Signore reggente delle Lande Verdi.
La nave superava una ad una tutti i mercantili umani ed elfici che, appena venivano accostati dal magnifico legno, porgevano le proprie riverenze con inchini e saluti verso le guardie sul ponte.
Un caldo vento soffiava nelle bianche vele che sembravano capaci di rapire ogni singolo soffio nelle loro tele, come ingorde, spingendo veloce come volo di gabbiano la barca verso il pontile principale di Madek.
In poco tempo la galea raggiunse l’attracco e, come se d’incanto quel caldo vento si arrestasse, l’imbarcazione cominciò a rallentare accostandosi dolcemente al pontile.
Subito, due delle magnifiche guardie scesero dal fianco, legando due cime ai legacci d’attracco.
Vedendo quell’imbarcazione, tutti cominciarono a chiedersi chi fosse giunto nel Meridio e, in pochi attimi, sei Guardie Imperiali raggiunsero il molo.
Nel frattempo, sul ponte della nave, si potevano scorgere alcune figure intente in saluti e riverenze reciproche mentre una passatoia fu calata, e le due guardie a terra la fissarono per consentire lo sbarco dei passeggeri.
Un meraviglioso condottiero elfico, in una splendida armatura dorata avvolta in un mantello di seta che il vento carezzava dolcemente ad ogni suo passo, discese lentamente dalla passatoia mentre i sei militari, disposti su due file, si avvicinavano timorose d’innanzi alla possanza di quel condottiero.
Il Capitano al centro dei primi due soldati, dopo aver deglutito come per cercare di riprendere fiato e parola per lo stupore di quella visione, facendo un passo avanti, si arrestò in attesa di un cenno da parte dell’elfo che, dopo aver dapprima scrutato attentamente con sguardo serio i militari, infilò lentamente la mano destra sotto il manto.
L’elfo, vedendo gli sguardi preoccupati e attoniti delle guardie, estrasse velocemente una busta color avorio su cui era apposto il sigillo reale elfico e, dopo aver sorriso loro, la porse lentamente al Capitano dicendo: «Porgete i più cari saluti all’Imperatore da parte del nostro Signore...» e, dopo aver fatto loro un lungo inchino, si voltò risalendo lungo la passatoia mentre gli sguardi e le bocche delle guardie divenivano ancor più sorprese e spalancate.
Poi, raggiunto nuovamente il ponte dell’imbarcazione, si avvicinò a due figure a cui porse nuovamente un inchino, ritornando velocemente sulla plancia di comando della barca.
Intanto, un po’ imbarazzato, ma allo stesso tempo ricolmo di curiosità per ciò che stava accadendo d’innanzi ai propri occhi, il Capitano guardò attentamente la busta tra le mani mentre i cinque soldati attendevano con gran trepidazione di scoprire cosa ci fosse scritto su quella missiva.
Lentamente e con la mano tremolante, il comandante ruppe il sigillo estraendo la lettera:
Capitano di Madek,
le porgo i miei più cordiali saluti.
So per certo che questa mia richiesta le possa sembrare alquanto bizzarra ma i miei due cari amici fanno ora ritorno nelle vostre terre dopo mesi di lunga assenza. Le chiedo con grande cortesia di accompagnarli nella Locanda del sovente ritorno
e di dar loro scorta nell’acquisto di due destrieri di ottima salute e corsa (lei certo saprà dove potranno trovare i migliori cavalli della città). Per l’enorme disturbo e per il pagamento di quanto essi necessiteranno, i miei emissari le consegneranno quanto necessario. Il restante denaro sarà da ritenersi onere per le sue azioni, per il suo prezioso tempo e per quello delle sue guardie.
Certo di avere la sua collaborazione e riguardo verso i miei amici, la ringrazio nuovamente, augurandole salute e gioia, con la benedizione di Eldath e del mio popolo.
Vendoras
Reggente di Sedin
Signore delle Lande Verdi
Appena il Capitano terminò di leggere la lettera, una delle due guardie elfiche si avvicinò a lui, porgendogli un piccolo sacchetto di stoffa color sabbia con un legaccio scuro di corda mentre, sul suo volto, stupore e sorpresa facevano al pari con gli occhi spalancati nel vedere su quel documento il nome del Signore delle Lande Verdi.
Il militare, afferrando la piccola bisaccia, capì subito dal peso e dal rumore che il contenuto era monete e pietre preziose e, guardatosi subito circospetto attorno, dopo aver infilato il sacchetto sotto al mantello, si rivolse alle guardie: «Svelti, preparatevi che abbiamo ospiti speciali da scortare in città!»
Nel frattempo che i soldati si disponevano tre da un lato e due dall’altro della passerella, dalla barca due figure lentamente si accingevano a scendere a terra: il primo fu un uomo con barba e capelli lunghi neri corvini, sulle cui spalle portava una tunica di seta nera, cinta in vita da una cinghia di cuoio con fibbia argentata mentre ai piedi portava calzari in corame scuro.
In mano stringeva da un lato un bastone alle cui estremità erano incastonati due cilindri argentei mentre dall’altra parte teneva una bisaccia di stoffa semivuota.
Nonostante il suo semplice abbigliamento, sul suo viso trapelava un non so che di potente, forse le folte ciglia corvine su occhi scuri e seri, o forse ancor più il suo sguardo dal quale era possibile scorgere diversi anni e diverse battaglie vissute e combattute.
E poi, quella collana con incastonata una pietra rossa, un rubino che pareva emetter luce propria, come se all’interno della pietra stessa un fuoco vivo vi fosse stato costretto all’interno, dava all’uomo una parvenza di magico e di ancor più elevato.
Dietro di lui, un altro uomo, molto più giovane, avanzava con passo molto più deciso ma allo stesso tempo imponente e, in un certo senso, divino: un uomo dai capelli corti e pizzetto ben curato, entrambi di color castano, alto e robusto con indosso una luccicante cotta di maglia argentata.
Alle sue spalle, volteggiava un mantello verdastro legato al collo da una corda dorata, con spallacci argentei su cui erano incise rune elfiche.
In vita una cintura in cuoio con fibbia anch’essa argentata su pantaloni di stoffa scura, mentre ai piedi calzava stivali in pelle bruni.
Agganciata alla cintura portava una mazza ferrata finemente lavorata, con sei lame luccicanti, così come l’impugnatura dell’arma stessa.
In mano stringeva uno zaino di cuoio che, la sua possanza lo faceva sembrare molto più leggero di quello che in realtà fosse. Ed infine, al collo portava un simbolo sacro, una runa antica simboleggiante Eldath che, indosso ad un uomo simile, poco rispecchiava un portatore di pace.
I due uomini raggiunsero il pontile mentre le due guardie elfiche a terra, dopo aver porto loro un inchino, slegarono le corde per poi salire velocemente sulla passerella.
Dopo pochi attimi la barca cominciò ad allontanarsi sotto gli occhi di molti pescatori e abitanti di Madek, incuriositi e stupefatti dalla magnificenza di quella nave e curiosi di sapere chi fossero i suoi passeggeri.
Il Capitano raggiunse i due uomini posizionandosi alle loro spalle, mentre accompagnavano sia con gli occhi, sia con il saluto l’allontanarsi dell’imbarcazione.
«... mmh-mhh... scusate signori, io sono Gustav, il Capitano della guardia del porto di Madek, Capitale del Meridio, e siete i benvenuti nell’Impero. Ho avuto l’ordine di farvi scortare nella città fino a quando lo vorrete ed ho il vero piacere di conoscervi, amici del Signore delle Lande Verdi.»
I due, lentamente si voltarono mentre la barca elfica ormai si trovava a distanza e, l’uomo in nero, guardò con un sorriso il Capitano, porgendogli la mano in segno di saluto: «Grazie, Capitano Gustav. Siamo ben lieti di conoscerla ma penso che non avremo bisogno della vostra scorta. Le Terre Bianche sono ormai libere e pertanto non occorre la vostra protezione...»
«Mi permetto di insistere. Ho ricevuto ordini di scortarvi durante il vostro soggiorno qui in città, di portarvi al miglior venditor di cavalli e di indicarvi un ottimo posto dove poter passar la notte. Con l’occasione, avete idea di quanto tempo volete restare a Madek? Il vostro amico
mi ha indicato una locanda ma, in base al tempo che deciderete di trascorrere qui, sarò lieto di portarvi in un luogo molto più confortevole e di vostro gradimento.
«Se Vendoras ha suggerito una locanda, desideriamo pernottare in quel luogo, se non vi dispiace, Capitano. Io sono Mogal, ed il piacere di conoscervi è mio. Il mio compagno Norgus ed io, pensiamo di restare poco a Madek. Il tempo di trovare una buona cavalcatura e di riposarci per questa notte, e domani stesso partiremo verso Archisian.»
Il Capitano, sentendo quel nome, Norgus, si accigliò per un secondo: voci di quell’uomo e del suo passato erano sopravvissute anche alla Guerra Bianca... un Druido, un figlio della Natura, un protettore dei boschi del Meridio, ma erano giunte voci che anche lui avesse partecipato alla spedizione verso il Gasternadh, il cuore del Regno del Male. Erano infatti molti i mesi che di lui non si aveva alcuna notizia e se solo la metà di quelle voci fosse stata vera, allora sarebbe stato un vero eroe e certo, l’esser giunto su quella nave elfica, rafforzava ancor più quell’ipotesi.
Poi, cercando di capire meglio chi essi fossero, rispose: «Bene, allora per prima cosa vi farò scortare da Abario. Vi assicuro che non esiste scuderia migliore della sua qui a Madek. Poi, prima di portarvi nella locanda, avete intenzione di conoscere meglio la nostra bellissima città? Di vedere qualche chiesa o magari di visitare il nostro mercato? Siete davvero fortunati perché oggi sono giunte molte barche dall’Emirato e numerose carovane dai Colli d’Argento e ci saranno pertanto numerose nuove merci.»
«Capitano, vi ringrazio nuovamente ma, a parte la cavalcatura, per un po’ di tempo non avremo bisogno di altro, abbiamo già tutto il necessario ma, se il mercato si trova sulla strada verso la locanda o verso la stalla, un’occhiata saremo ben lieti di darla.» rispose Mogal indicando il proprio zaino sorridendo.
«Sollo! Maximo! Accompagnate i nostri ospiti da Abario e ditegli di dar loro le migliori cavalcature che ha. Passerò poi io di persona a pagarle. Quando avranno finito, accompagnateli alla Locanda del sovente ritorno
. Vi raggiungerò tra qualche ora, ho altre faccende da sbrigare nel frattempo... purtroppo i delinquenti sono sempre presenti a Madek, nonostante ci siamo liberati di gran parte dei loro capi!» esclamò Gustav chiamando due delle guardie per poi porgere i propri saluti ai due avventurieri, incamminandosi verso le porte della città.
«Finalmente eccomi di nuovo nelle mie terre. Non vedo l’ora di tornare a Corenea e rivedere i miei cari amici... troppo tempo sono stato lontano e il cuore mi si stringe nell’attesa di avere loro notizie...» disse Mogal volgendo lo sguardo verso ovest.
«Vero, Mogal. Finalmente siamo tornati a casa... Speriamo solo che dopo tutto questo tempo non sia cambiata troppo. Qui il Male ha lasciato segni indelebili e ferite ancora dolorose, sia nel corpo, sia nello spirito di questi popoli...» rispose il Druido poggiando la mano sulla spalla dell’amico.
Entrambi cominciarono ad incamminarsi verso il cancello di accesso alla città fortificata lungo la strada che dal porto attraversava l’intera capitale del Meridio, fino a raggiungere il cancello d’uscita che l’indomani i due amici avrebbero dovuto attraversare, per poi dirigersi verso ovest, verso Archisian nei pressi della quale sorgeva il monastero di Corenea, dove Mogal aveva vissuto e in cui era cresciuto prima della sua partenza verso il Gasternadh.
Sì, anche lui era uno degli eroi che aveva partecipato alla distruzione delle Porte Nere e, grazie a lui, il Male non aveva inghiottito nella sua oscurità le Terre Bianche e tutti i popoli liberi del continente.
Appena giunti sulla strada principale, molti erano i curiosi che scrutavano attentamente i due viandanti: il loro arrivo non era certo passato inosservato e la notizia era corsa velocemente tra le vie della città.
Molti bambini, ancor più curiosi, corsero per vedere Norgus, il Druido, il Corvo Nero, il Ragno Lesto, il Lupo Astuto... questi erano solo alcuni dei soprannomi che i cacciatori e le popolazioni del Meridio avevano dato a quell’uomo, figlio della natura e protettore di tutte le creature figlie di Eldath. E la curiosità di sapere chi fosse quell’uomo accanto a lui era ancor più forte, non solo per i bambini.
Ad un certo punto, due piccole canaglie, vestite di stracci e di fango, presero coraggio e corsero velocemente verso di loro, sperando così di riuscir a portare a casa qualche moneta.
Subito Mogal, con un sorriso e un dolcissimo sguardo pieno di amore, si chinò su di un ginocchio allargando le