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Piccole Donne
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Piccole Donne
E-book346 pagine5 ore

Piccole Donne

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Info su questo ebook

"Piccole donne” è un capolavoro della letteratura giovanile scritto nel 1868 da Louisa May Alcott e tradotto in tutto il mondo. Le protagoniste sono le quattro giovani sorelle March, Meg, Jo, Beth ed Amy, la loro famiglia e i Laurence, i vicini di casa.
Radicate a saldi principi morali, sostenute da un grande sentimento religioso, da un profondo senso di dignità e dalla fede nel lavoro, le quattro sorelle affrontano le difficoltà e le gioie che la vita mette loro davanti. La Alcott incornicia con grazia ed efficacia la vita delle quattro piccole donne con le loro avventure, le disillusioni, gli amori e, sullo sfondo, la grande guerra di Secessione americana.
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2020
ISBN9788831372077
Autore

Louisa May Alcott

Louisa May Alcott was a 19th-century American novelist best known for her novel, Little Women, as well as its well-loved sequels, Little Men and Jo's Boys. Little Women is renowned as one of the very first classics of children’s literature, and remains a popular masterpiece today.

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    Anteprima del libro

    Piccole Donne - Louisa May Alcott

    americana.

    CAPITOLO PRIMO

    Il gioco dei pellegrini

    — Natale non sembrerà più Natale, senza i regali —brontolò Jo sdraiata sul tappeto.

    — Che tristezza essere poveri! — sospirò Meg, guardando il suo vecchio vestito.

    — Però non è giusto che alcune ragazze abbiano tante cose belle e noi niente! — aggiunse la piccola Amy con voce piagnucolosa.

    — Però abbiamo mamma e papà e ci vogliamo tanto bene — disse Beth soddisfatta, dal suo cantuccio.

    I quattro giovani volti, illuminati dal fuoco nel caminetto, si rischiararono un momento a queste parole, ma si oscurarono di nuovo quando Jo disse con tristezza:

    — Ma papà non è qui con noi e non tornerà per molto tempo! — Non disse forse mai più ma tutte lo aggiunsero silenziosamente, pensando al padre così lontano, sui campi di battaglia.

    Nessuno parlò per un minuto, poi Meg disse con voce alterata:

    — Sapete bene che la ragione per cui mamma ha proposto di non comprare regali per Natale è che teme che sarà un inverno molto duro per tutti noi; lei crede che non dovremmo spendere i nostri soldi in divertimenti quando i nostri uomini soffrono in guerra. Non potremo fare molto noi, ma possiamo fare dei piccoli sacrifici e farli con gioia, anche se temo che io non ci riuscirò — e Meg scosse la testa pensando con rammarico a tutte le belle cose che desiderava.

    — Ma non credo che quel poco che potremmo spendere potrebbe alleggerire le sofferenze di nessuno; il misero dollaro che abbiamo non potrà certo aiutare l’esercito! Sono d’accordo anch’io a non aspettarmi regali né da mamma né da voi, ma vorrei, comperarmi "Undina e Sintram"! È da tanto tempo che lo desidero! — disse Jo, che aveva una vera passione per la lettura.

    — Io volevo comprarmi qualche libro di musica! — disse Beth, con un sospiro che nessuno riuscì a sentire tranne la scopetta e le molle del camino.

    — Io comprerò una bella scatola di matite da disegno della Faber; ne ho proprio bisogno — disse Amy risoluta.

    E Jo, guardandosi i tacchi delle scarpe, come avrebbe fatto un ragazzo, disse — Mamma non ha detto nulla riguardo ai nostri risparmi e suppongo che non sarebbe contenta se ci privassimo di tutto quello che ci può far piacere. Compriamoci quello che desideriamo e divertiamoci un po’; mi pare che lavoriamo abbastanza per meritarcelo! —

    — E lo so bene io che, quasi tutti i giorni, devo far lezione a quei ragazzini noiosi, mentre sarei davvero felice di starmene a casa! — disse Meg ricominciando a lamentarsi.

    — Tu non hai certo delle giornatacce come le mie – disse Jo – Ti piacerebbe forse stare rinchiusa ore e ore con una nervosa, pignola e vecchia signora che ti fa trottare continuamente, che non è mai contenta e che ti tormenta finché non vorresti buttarti giù dalla finestra o metterti a piangere? –

    Beth si guardò le mani ruvide e disse, con un sospiro che questa volta sentirono tutti — So che è inutile lamentarsi, ma penso che lavare piatti e tener in ordine la casa sia il peggiore lavoro del mondo! E le mie mani diventano così ruvide che non posso più suonare una nota! —

    —Io credo che nessuna di voi soffra quanto me — gridò Amy — Voi altre non andate a scuola e non dovete stare con ragazze impertinenti che vi tormentano se non sapete la lezione, che ridono di voi se non avete un bel vestito o ti sfamano perché vostro padre non è ricco, e v’insultano perché non avete un bel naso!

    — Amy, forse volevi dire diffamano e non sfamano! – la corresse Jo ridendo.

    – So cosa voglio dire e smetti di essere così statirica a riguardo. È opportuno usare belle parole per migliorare il proprio vocabolario – rispose Amy con dignità.

    E Meg, che ricordava tempi migliori disse – Smettetela di rimbeccarvi a vicenda. Jo, non ti piacerebbe avere tutto il denaro che papà ha perduto quando eravamo piccole? Santo cielo! Come saremmo tranquille e felici senza preoccupazioni! –

    — L’altro giorno però mi pare tu abbia detto che ti ritenevi molto più fortunata dei figli dei King, perché nonostante tutti i loro soldi, litigano e brontolano continuamente. –

    — È vero, Beth, l’ho detto! E credo davvero che noi siamo molto più fortunate di loro; beh, dobbiamo lavorare, ma ci divertiamo fra di noi e siamo «una bella squadra», come direbbe Jo.

    — Jo usa sempre delle parole così volgari! — osservò Amy, gettando uno sguardo di rimprovero alla lunga figura sdraiata sul tappeto. Jo, a queste parole, si alzò a sedere, mise le mani nelle tasche del grembiule e cominciò a fischiare.

    — Non lo fare, Jo, sono cose da ragazzacci.

    — È appunto per questo che lo faccio.

    — Io non posso soffrire le ragazze rozze e poco femminili.

    — E io non posso soffrire le ragazze smorfiose che fanno le preziose.

    — Gli uccellini dello stesso nido vanno d’accordo — interruppe Beth, la paciera, con una smorfia così curiosa che le due sorelle scoppiarono in una risata e il battibecco finì all’istante.

    — A dir il vero, ragazze, avete torto tutt’e due — disse Meg, cominciando, in veste di sorella maggiore, la sua predica:

    — Tu Josephine, ora sei abbastanza grande; dovresti piantarla con quei tuoi modi da maschiaccio e iniziare a comportarti meglio. Quando eri piccola non ci si faceva caso, ma adesso sei alta, porti i capelli raccolti e dovresti ricordarti che sei una signorina e non un ragazzo –

    — No che non lo sono! e se tirarmi su i capelli mi fa diventare una signorina, li tirerò giù e porterò la treccia giù fino ai venti anni! — disse Jo, strappando la retina dai capelli e facendo cadere sulle spalle una bellissima treccia castana — Odio pensare che devo crescere e dovrò essere la signorina March, dovrò portare abiti lunghi e restare composta come un fiore in una serra! È la cosa più insopportabile del mondo essere una ragazza quando invece adoro i lavori, i modi e i giochi dei maschi! Non riesco ad accettare di non essere un maschio, ora più che mai, perché muoio dalla voglia di andare a combattere a fianco di papà e invece mi tocca stare a casa a far la calza come una vecchia di cent’anni! — E Jo scosse il calzino blu che stava finendo per i soldati facendo tintinnare i ferri come due nacchere e fece rotolare per terra il gomitolo di lana.

    — Povera Jo! Deve essere proprio orribile, ma nessuno può aiutarti! Dovrai accontentarti di cambiare il tuo nome in un nome maschile come Jo e ti puoi divertire a far da fratello a noi altre — disse Beth, accarezzando la testa arruffata che si era posata sulle sue ginocchia con una mano il cui tocco, né la lavatura dei piatti, né le spolverate avrebbero potuto rendere meno dolce.

    — Quanto a te, Amy — continuò Meg — Sei schizzinosa e troppo fasulla! I tuoi modi ora fanno divertire ma se non stai attenta diventerai un’ochetta. Mi piacciono le tue maniere gentili ed il tuo modo raffinato di parlare, ma quando ti sforzi di essere elegante, le tue assurde parolone sono brutte quanto i modi volgari di Jo. —

    — Se Jo è un maschiaccio ed Amy un’oca, io che cosa sono? — domandò Beth pronta a prendersi la sua parte di predica.

    — Tu sei un angelo e basta — rispose Meg abbracciandola e nessuno la contraddisse perché «Topolino» era la cocca della famiglia.

    Siccome i nostri lettori amano conoscere l’aspetto dei loro personaggi, ora descriveremo la piccola scena delle quattro sorelle sedute a lavorare alla fioca luce del crepuscolo mentre fuori la neve di dicembre cade silenziosa e il fuoco scoppietta allegro nel camino. Il salotto era una vecchia ma confortevole stanza anche se il tappeto era logoro e il mobilio molto semplice. Qualche quadro appeso alle pareti, libri stipati in ogni angolo, crisantemi e rose di Natale che fiorivano alle finestre rendevano piacevole quell’atmosfera casalinga. Margaret, la maggiore delle quattro sorelle, aveva 16 anni ed era molto carina. Bionda, un po' paffutella, aveva gli occhi azzurri, una bocca dolce e delle mani fini e bianche di cui era molto orgogliosa.

    Jo, aveva 15 anni era molto alta e magra, scura di carnagione; ricordava vagamente un puledro, perché non sapeva mai dove, né come tenere le sue lunghe gambe che sembravano esserle sempre d’impiccio. Aveva una espressione risoluta nella bocca, un naso bizzarro, e gli occhi grigi e affilati, che sembravano vedere tutto e che potevano essere, di volta in volta, severi, furbi o pensierosi. I suoi lunghi e folti capelli erano la sua unica bellezza; ma li portava quasi sempre in una rete, perché non le dessero fastidio. Jo aveva le spalle un po’ curve, piedi e mani grandi; i vestiti quasi sempre scuciti che le cascavano di dosso e l’aria di una ragazza che sta trasformandosi rapidamente in donna, nonostante la cosa non le garbasse per niente.

    Elisabeth - o Beth come tutti la chiamavano - era una rosea ragazzina di 13 anni, con i capelli lisci e gli occhi luminosi; i modi gentili, una voce timida e un’espressione dolcissima che raramente veniva turbata. Il padre la chiamava «Piccola Tranquillità» e il nome le si confaceva a pennello, perché sembrava vivere beata in un mondo tutto suo da cui non usciva se non per stare con i pochi che ella amava e stimava.

    Amy, la più piccola, era un personaggio importante, secondo la sua opinione, almeno. Era bianca come la neve, con gli occhi azzurri, e dei folti capelli biondi che le scendevano inanellati sulle spalle; era pallida e magra, e faceva di tutto per comportarsi sempre come una vera signorina.

    Quali fossero i caratteri delle quattro sorelle, lo scopriremo strada facendo.

    Suonarono le sei e Beth, dopo avere spazzato la cenere dal camino, prese un paio di pantofole e le avvicinò al fuoco per scaldarle.

    La vista delle vecchie pantofole parve avere un effetto positivo sulle ragazze: voleva dire che la madre sarebbe rincasata di lì a poco e loro volevano prepararsi ad accoglierla. Meg smise di predicare e accese il lume; Amy si alzò dalla poltrona, senza che nessuno glielo ricordasse e Jo dimenticandosi di essere molto stanca, si alzò per tenere le pantofole più vicine al fuoco.

    — Sono tutte sciupate; mamma dovrebbe averne un altro paio. — disse Jo dopo un breve silenzio.

    — Avevo pensato di comperargliene un paio col mio dollaro — disse Beth.

    — No, gliele voglio comperare io — strillò Amy.

    — Io sono la maggiore… — cominciò Meg, ma fu interrotta da Jo che disse con voce energica:

    — Io sono l’uomo di famiglia e ora che papà non c’è, spetta a me comperare le pantofole: perché, se vi ricordate, papà raccomandò la mamma a me, quando è partito.

    — Sapete cosa faremo? — disse Beth — Compreremo tutte qualcosa per la mamma e niente per noi.

    — Questa è una bella idea, Beth, brava! Ma cosa prenderemo? — esclamò Jo. Tutte e quattro pensarono un momento poi Meg esclamò, come se l’idea le fosse sorta alla vista delle sue belle mani: — Io le regalerò un bel paio di guanti.

    — Io le pantofole: le più resistenti che ci sono — gridò Jo.

    — Io alcuni fazzoletti orlati tutti da me — disse Beth.

    — Io comprerò una bottiglia di Acqua di Colonia, che piace tanto alla mamma e che non costa molto; così mi potrà anche rimanere qualche soldo per i miei lapis — aggiunse Amy.

    – Come faremo a darle i regali? – chiese Meg

    – Li metteremo sul tavolo poi la chiameremo e la guarderemo aprire i regali, come facevamo per i nostri compleanni, ricordate? – rispose Jo

    Beth, che stava tostando il suo viso e i toast contemporaneamente, disse: – Quando veniva il mio turno di sedermi su quel trono e mettere in testa la corona per vedervi arrivare in fila con i regali in mano e un bacio, mi spaventata da morire. Mi piacevano i regali e i baci ma era terribile stare lì seduta ad aprire i pacchetti mentre voi mi guardavate! -

    Jo, camminando su e giù per la stanza con le mani dietro la schiena e il naso per aria, disse:

    – Facciamole credere che vogliamo comprare qualcosa per noi e prepariamole un’improvvisata! Dobbiamo andare a fare le compere domani pomeriggio Meg, perché c’è tanto da fare per lo spettacolo della notte di Natale! –

    — Questa, però, è l’ultima volta, che recito nello spettacolo: ormai sono troppo grande — disse Meg, che, quando si mascherava da bambina sembrava più piccola delle altre.

    — Credo che continuerai a recitare finché potrai indossare le lunghe vesti bianche con i capelli sciolti e i gioielli di cartone indosso! Sei la migliore attrice della compagnia e se tu manchi che cosa faremo? Dovremo smettere anche noi — disse Jo — A proposito: bisognerebbe fare una prova stasera; vieni qua Amy, fai un po’ quella scena dello svenimento; stai sempre lì impalata come un pezzo di legno.

    — Non posso fare meglio di così: non ho visto mai nessuno svenire, e non voglio mica farmi dei lividi come fai tu quando ti butti per terra! Se posso cader giù adagio senza farmi male, allora farò la scena a modo tuo, ma se no, mi lascerò andare su di una seggiola in modo aggraziato e non m’importa nulla se anche Hugo mi minaccia con la pistola! — rispose Amy, che non era portata per il teatro, ma che era stata scelta a far quella parte perché era abbastanza piccola e l’eroe del dramma poteva, senza troppa fatica, trasportarla in braccio fuori della scena.

    — Fai così: congiungi le mani e trascinati per la stanza gridando con terrore: «Roderigo, salvami, salvami!» — e Jo attraversò barcollando la stanza e cacciò un grido melodrammatico che strappava il cuore.

    Amy cercò di imitarla, ma congiunse le mani in avanti e camminò come un automa, ed il suo oh prolungato sembrava provocato dalla puntura di uno spillo piuttosto che dal terrore e dall’angoscia. Jo, emise un gemito sconsolato, Meg rise di cuore e Beth lasciò bruciare il pane, tanto era interessata a seguire la scenetta divertente. — È tutto inutile! Fai meglio che puoi quando arriva il tuo momento e se il pubblico ride non prendertela con me! Vieni Meg – disse Jo.

    Le cose andarono allora un po’ meglio, perché Don Pedro sfidò il mondo intero con un discorso di due pagine che recitò senza un solo sbaglio: Hagar, la strega, cantò con grandissimo effetto un terribile incantesimo mentre faceva bollire i rospi nel suo pentolone; Roderigo strappò le sue catene e Hugo finì la sua vita tra gli spasimi dei rimorsi e dell’arsenico, esalando l’ultimo respiro con un selvaggio Ah! Ah!

    — È la miglior recita che abbiamo mai fatto — disse Meg, mentre il morto si rialzava e si stropicciava i gomiti.

    — Non so come fai a recitare e a scrivere delle cose tanto belle Jo! Sei proprio come Shakespeare — esclamò Beth, convinta che le sue sorelle fossero dei veri geni in tutte le cose.

    — Beh…non proprio! — rispose Jo modestamente — Credo però che «La Maledizione della strega» sia uno dei miei migliori scritti: ma mi piacerebbe tanto provare il Macbeth, se solo avessimo una botola per Banquo! Vorrei tanto fare la parte dell’assassino: È un pugnale quello che vedono i miei occhi? – mormorò Jo, stralunando gli occhi come aveva visto fare a un attore famoso e stringendo il pugno quasi volesse afferrare qualcosa nell’aria.

    — No, è la forchetta tostata con la pantofola di mamma invece del pane perché la scena ha incantato Beth — gridò Meg, e la prova finì in una grande risata.

    — Sono contenta di vedervi così felici, bambine mie — disse una voce allegra alla porta. Attori e pubblico corsero a salutare una signora dalla figura slanciata e materna con uno sguardo delizioso che sembrava dire posso aiutarti?. Non vestiva elegantemente, ma era una donna dal nobile aspetto e le ragazze credevano veramente che il vecchio mantello grigio e il cappellino fuori moda, coprissero la donna più splendida del mondo.

    — Bene, care, come avete passato la giornata? C’era così tanto da fare per preparare i pacchi da spedire domani che non ce l’ho fatta a tornare per cena. Ha chiamato qualcuno, Beth? Come va il tuo raffreddore, Meg? Jo, sembri stanca morta. Vieni a darmi un bacio, piccola. –

    Mentre faceva questa piccola indagine materna, la signora March si tolse il mantello bagnato, infilò le pantofole calde calde e, sedendosi in poltrona, prese Amy sulle ginocchia preparandosi, così, a passare l’ora più piacevole della sua giornata. Le ragazze intanto le si affaccendavano intorno cercando di renderle tutto confortevole, ognuna a modo suo; Meg sistemò la tavola per il thè, Jo andò a prendere la legna e mise a posto le seggiole urtando, picchiando e rovesciando tutto ciò che toccava; Beth trotterellava avanti e indietro tra il salotto e la cucina silenziosa e indaffarata ed Amy dirigeva il movimento generale standosene tranquillamente seduta sulle ginocchia della mamma, con le mani in mano.

    Mentre si radunavano intorno al tavolo, la signora March disse con un’espressione molto felice: — Ho una sorpresa per voi dopo cena. –

    Come un raggio di sole, un sorriso veloce brillò sui volti delle ragazze; Beth applaudì, incurante del biscotto caldo che teneva in mano e Jo sventolò per aria il tovagliolo gridando: — Una lettera, una lettera! Tre hurrah per papà! –

    — Sì, una bella e lunga lettera. Dice che sta bene e che spera di passare l’inverno meglio di quanto potessimo sperare per lui. Ci manda ogni sorta di amorevole augurio per il Natale ed un messaggio speciale per voi ragazze — disse la signora March toccando leggermente la tasca come se possedesse un tesoro.

    — Presto, presto, finite di cenare! Amy, non t’incantare a guardare il mignolo con quella smorfia! — disse Jo quasi soffocando nel suo thè e facendo cadere il pane imburrato col burro sul tappeto, per la fretta di ricevere la sorpresa.

    Beth non riuscì più a mangiare e, mentre le altre finivano, si ritirò nel suo cantuccio buio, pregustando la gioia che avrebbe provato.

    — Mi pare una cosa bellissima che papà, essendo troppo vecchio e debole per fare il soldato, sia andato nell’esercito come cappellano — disse Meg calorosamente.

    — Come mi piacerebbe essere un tamburino, un vivan… come si chiamano? o un’infermiera, per potergli stare vicina e aiutarlo — esclamò Jo con un profondo sospiro.

    — Deve essere molto scomodo dormire sotto una tenda, mangiare ogni sorta di robaccia e bere in un bicchiere di stagno — sospirò Amy.

    — Mamma, quando tornerà papà? — domandò Beth con un leggero tremito nella voce.

    — Dovrà stare laggiù ancora molti mesi, a meno che non si ammali. Egli vorrà compiere il suo dovere lealmente fino all’ultimo e noi certamente non gli chiederemo di tornare finché avranno bisogno di lui. Ora venite qui, che vi leggo la lettera! –

    Le ragazze si avvicinarono al fuoco: la mamma in poltrona con Beth ai suoi piedi, Amy e Meg si appollaiarono sui due braccioli e Jo appoggiata dietro, dove nessuno avrebbe notato segni di emozione se la lettera fosse stata toccante.

    Quasi tutte le lettere scritte in quei tempi difficili erano commoventi, specialmente quelle che i padri mandavano alle loro famiglie. In questa, invece, non si parlava molto delle difficoltà, dei pericoli affrontati o del desiderio di tornare a casa; era una lettera allegra, piena di speranza, piena di vivaci descrizioni della vita militare, delle marce e delle notizie di guerra; e solo alla fine il cuore di chi scriveva traboccava di amore paterno e parlava del gran desiderio di rivedere e riabbracciare le sue bambine.

    – Dai a tutte loro il mio amore ed un bacio. Di’ loro che sono sempre nei miei pensieri e che la notte prego per loro e che in ogni momento il loro amore è il mio unico conforto. Dover aspettare un anno prima di rivederle, mi sembrerà un’eternità ma ricorda loro che mentre aspettiamo, possiamo tutti lavorare in modo da rendere utili questi lunghi giorni di attesa. Io so che ricorderanno tutto quello che ho detto loro, saranno delle amorevoli figlie, svolgeranno fedelmente i loro doveri, lotteranno coraggiosamente contro i loro nemici interiori e li conquisteranno con tale audacia che quando tornerò, io sarò soddisfatto e più orgoglioso che mai delle mie piccole donne. –

    A quel punto ci fu una corale soffiata di naso; Jo non si vergognava della grande lacrima che le cadeva dalla punta del naso ed Amy dimenticò i suoi boccoli per nascondere il viso sotto il braccio della mamma e singhiozzare – Sono una ragazza egoista ma cercherò di migliorarmi così quando papà tornerà non rimarrà deluso. –

    -– Tutte lo faremo – esclamò Meg – io penso troppo al mio aspetto e odio lavorare, ma cercherò di migliorare, se posso! –

    Jo, convinta che tenere a freno un temperamento come il suo fosse molto più difficile che combattere contro i ribelli giù nel sud, pensò — Cercherò di diventare «una piccola donna» come lui mi chiama e di non essere furiosa e selvaggia, ma di fare il mio dovere qui invece di voler essere sempre da qualche altra parte. –

    Beth non disse nulla, ma si asciugò gli occhi con la calza blu dell’esercito e cominciò a lavorare a maglia con grande impegno, senza perdere tempo nel fare il suo dovere e proponendosi, nella sua piccola anima tranquilla, di fare tutto il possibile perché il padre non rimanesse deluso nelle sue speranze.

    La signora March ruppe il silenzio che era seguito alle parole di Jo dicendo con la sua voce allegra: — Vi ricordate quando da piccole giocavate al gioco dei Pellegrini? Come vi divertivate quando vi legavo addosso il sacco che chiamavate il vostro fardello, vi davo il cappello, il bastone e un rotolo di carta e vi facevo passeggiare per tutta la casa, cominciando dalla cantina, che chiamavate la Città della Distruzione, per arrivare su, su fino al solaio, dove mettevate tutti i vostri tesori per costruire una «Città Celeste».

    — Ah, come ci si divertiva! — disse Jo – Specialmente quando passavamo vicino ai leoni, dove sconfiggevo Apollyon e passavamo per la vallata dei Goblin! –

    — A me piaceva il posto dove lasciavamo cadere i pesi dalle spalle e li facevamo rotolare giù in fondo alle scale — aggiunse Meg.

    Beth sorridendo, come se il passato rivivesse davanti ai suoi occhi, disse — Il momento più bello per me, era quando salivamo su in cima e uscivamo sul terrazzo dove c’erano i nostri fiori, le piante e tante belle cose e stavamo là in piedi a cantare insieme sotto il sole! —

    — Io veramente mi ricordo poco di tutte quelle cose; tranne che avevo una grande paura della cantina e dell’entrata buia e che invece ero molto contenta quando si mangiava il dolce con il latte, su nel solaio! Se non fossi ormai troppo grande per questi giochi, quasi quasi mi piacerebbe giocarci di nuovo! — disse Amy che parlava di rinunciare ai giochi puerili alla veneranda età di dodici anni.

    La signora March disse — Non siamo mai troppo vecchi per questo gioco, bambina mia, perché è un gioco che in un modo o nell’altro facciamo per tutta la vita. Abbiamo sempre i nostri fardelli da portare, la nostra strada è davanti a noi ed è la ricerca del benessere e della felicità a condurci attraverso le difficoltà e gli sbagli fino alla pace che è la nostra Città Celeste. Ora, mie piccole pellegrine, supponiamo che ricominciate il vostro gioco, non per scherzo, stavolta, ma sul serio e vediamo quanta strada ognuna di voi può percorrere prima che ritorni papà! –

    — Davvero, mamma? Ma dove sono i nostri fardelli? — domandò Amy che prendeva sempre le cose alla lettera.

    — Tutte avete detto poco fa quali erano i vostri fardelli…. eccetto Beth, ma credo che ella non ne abbia alcuno – disse la madre.

    — Oh, altro che se ne ho! I miei sono: i piatti da lavare, i cenci da spolverare, invidiare le ragazze che hanno bei pianoforti e avere paura delle persone! –

    I pesi di Beth erano così buffi, che tutti avevano una gran voglia di ridere, ma non lo fecero, temendo di offendere la sua grande sensibilità.

    —E va bene, facciamolo — disse Meg pensierosa — È solo un altro modo per invogliarci a cercare in noi la bontà e forse il gioco può aiutarci, perché noi ci proviamo a diventare migliori ma è un lavoro duro e spesso ce ne dimentichiamo senza impegnarci fino in fondo! –

    Jo, che colorava con la fantasia e un po’ di romanticismo anche la strada difficile e noiosa del dovere, disse: — Stasera eravamo cadute tutte nell’Abisso della Disperazione, ma è venuta la mamma a tirarci fuori come fece Aiuto in quel bel libro che abbiamo letto. Dovremmo però avere un libro di istruzioni, come aveva Christian. Come faremo ad averlo? —

    — Guardate sotto cuscini la mattina di Natale e troverete il vostro libro di istruzioni— rispose la signora March.

    Continuarono a parlare dei loro nuovi progetti, mentre Hannah, l’anziana domestica, sparecchiava; poi tutte e quattro si affrettarono a prendere i loro cesti da lavoro e si misero a cucire le lenzuola per la zia March facendo volare gli aghi. Era un lavoro noioso, ma quella sera nessuna brontolò. Anzi, adottarono la proposta di Jo, di dividere le lunghe cuciture in quattro parti chiamandole con i nomi dei continenti, parlando delle capitali e parlando dei diversi paesi mentre li cucivano.

    Alle nove smisero di lavorare e, come al solito, cantarono prima di andare a letto: soltanto Beth era capace di suonare quel vecchio pianoforte; aveva un tocco così dolce e leggero sui tasti ingialliti che era un piacere sentirla accompagnare le semplici canzoni che cantavano. Meg aveva una bella voce flautata e, insieme alla madre, dirigeva il piccolo coro. Amy cantava come un grillo, e Jo faceva sempre dei gorgheggi e delle variazioni a modo suo attaccando sempre fuori tempo e guastando, con una stecca, la più soavi melodie.

    Avevano sempre cantato fino dal momento in cui, piccine, avevano incominciato a balbettare «Brilla brilla piccola stella» ed ora era diventata un’abitudine cantare prima di coricarsi perché la madre era una cantante nata. La prima cosa che le ragazze udivano, appena sveglie, era la sua voce e l’ultima, prima di andare a letto, era ancora quella adorabile voce, perché le ragazze non diventarono mai troppo grandi per la loro familiare ninna nanna.

    CAPITOLO SECONDO

    Un Natale felice

    Jo fu la prima a svegliarsi in una grigia e fredda alba natalizia. Non vide calze appese al caminetto e rimase un po' delusa, come quando, una volta trovò la sua piccola calza in terra perché troppo ricolma di dolci. Poi, ricordandosi la promessa della mamma, cercò sotto il cuscino, dove trovò un piccolo libro rilegato in rosso. Lo riconobbe subito, perché vi era l’antica e meravigliosa storia della miglior vita che sia mai stata vissuta e Jo capì che quella era una vera guida per ogni pellegrino sul cammino della vita.

    Svegliò Meg con un «Buon Natale!» e la invitò a cercare sotto il cuscino. Meg trovò un libretto rilegato in verde con le stesse illustrazioni e, sulla prima pagina, alcune parole affettuose scritte dalla loro mamma, ed era questo che rendeva il dono così prezioso. Di lì a poco anche Beth ed Amy si

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