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Voglio che tu lo sappia!
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Voglio che tu lo sappia!
E-book208 pagine2 ore

Voglio che tu lo sappia!

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Info su questo ebook

"A otto anni avevo fatto sei traslochi, a venti dieci".

Così inizia un capitolo di questa raccolta di aneddoti, insieme seri ed esilaranti, su Belluno, Cortina, Padova e Milano, dagli anni '50 al 2020.

Ambienti sempre diversi, una serie di perdite e di rinascite, la montagna, la città, il '68, raccontati senza mai prendersi troppo sul serio.
LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2020
ISBN9788831666688
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    Anteprima del libro

    Voglio che tu lo sappia! - Bepi Tissi

    Indice

    Che cos’è questo libro

    Proemio

    Capitolo I BELLUNO NELLA PREISTORIA

    Ur-Belluno: prima del Tempo Frammenti Big Bang-1947

    Ultimi echi sumerici La Valle Agordina 1950-1953

    Capitolo II L’EVO ANTICO Cortina d’Ampezzo 1953-1959

    Capitolo III L’EVO DI MEZZO Belluno dal 1959 in poi

    Criminal minds

    Il greto del Piave e altre storie

    Capitolo IV L’ETÀ DELLE RIVOLTE Padova, gli anni roventi 1967-1976

    Capitolo V L’EVO MODERNO Le avventure di un bellunese a Milano 1976-2020

    Capitolo VI IL RICHIAMO DELLA FORESTA

    Cianfrusaglie atemporali

    Epilogo

    La Busa del Focolbìn

    FILO GUIDA degli eventi narrati

    UNA SPECIE DI BIBLIOGRAFIA

    FILMOGRAFIA

    DISCOGRAFIA

    ESPERIENZE RACCOMANDATE

    Bepi Tissi

    Voglio che tu lo sappia!

    Titolo | Voglio che tu lo sappia!

    Autore | Bepi Tissi

    ISBN | 978-88-31-666-68-8

    © 2020 – Tutti i diritti riservati all’Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall’Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l’Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6 – 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Ai miei figli Lucia e Nicola

    A Rossana, che, come Mendeleiev, ha evocato l’ordine nascosto nel caos della mia chimica mentale

    In copertina: lavori di pietrificazione di Girolamo Segato.

    Da: Gino Pieri, Girolamo Segato, a cura del Municipio di Belluno, 1936.

    Che cos’è questo libro

    Caro lettore,

    qui troverai una sfilata di aneddoti, soprattutto su Belluno, ma anche su Cortina, Padova, Feltre e Milano. E qualche divagazione.

    A volte i brani sono legati da un filo conduttore, altre volte si salta di palo in frasca. Buona parte del libro parla di un mondo che non esiste più, o di cui restano solo tracce sbiadite. Ci sono ricordi riemersi dopo decenni, rimaneggiati e trasformati dal lavorìo incessante della memoria mentre vivevo a Milano. Gli episodi narrati sono visti al telescopio, con tutte le deformazioni prospettiche che lo strumento comporta. Se alcuni tra essi possono essere resoconti fedeli, altri non credo lo siano del tutto. La distanza, del resto, è la madre della voglia di ricordare.

    Oltre ai miei ricordi personali, ci sono storie raccontatemi da altri, che hanno subito un doppio rimaneggiamento. Non aspettarti che abbiano il rigore dovuto da un cronista o da uno storico. Piuttosto, per non sbagliare, leggili come racconti mitologici.

    Poiché i luoghi descritti sono per me anche epoche, ho seguito più o meno un ordine cronologico, con qualche balzo temporale in avanti e indietro. Se è soprattutto Belluno che ti interessa, puoi saltare il Capitolo II sugli anni di Cortina.

    E il titolo? A un certo punto lo troverai.

    Ringraziamenti

    La pubblicazione di questo libro è stata possibile anche grazie ai suggerimenti e alle osservazioni di mia moglie, redattrice editoriale per professione e attenta lettrice, con cui ho potuto sperimentare il tradizionale conflitto tra autore e redattore.

    Ringrazio anche Giulia Tabacco, cui si deve la prima revisione integrale, l’amico scrittore Biagio Bagini e l’amico editore Egidio Fiorin per le dritte editoriali; Isabella Panfido per gli incoraggiamenti.

    Ai miei amici Sonia, Dario, Edo, Paolo e Luciano sono debitore per aver levato un urlo di protesta quando, un giorno di Luglio del 2019, in un taxi diretto a un monastero tibetano, ho ventilato l’idea, subito ritirata, di cambiare il titolo, che mi sembrava troppo criptico.

    Tu speri di trovare il senso dell’esistenza nell’infinito, ma appena ti volgi verso di esso, appena fai questo, te lo lasci alle spalle. È qui che esso ha dimora, nel nostro labile mondo intermedio, fluttua sfuggente sulle nostre incerte quote.

    Potrai sempre vestire l’infinito dei panni della finitezza, se vorrai ingannarti. Ma forse è proprio questo che vuoi.

    Masima Khahnh, Dialoghi del Mondo Intermedio.

    Le penultime cose, per Kipling, hanno un enorme valore: surrogano le mancanti cose ultime.

    Claudio Magris, prefazione a Kim.

    Stammi accanto, Starbuck; fammi guardare un occhio umano; è meglio che guardare nel mare o nel cielo; è meglio che guardare in Dio.

    Herman Melville, Moby-Dick.

    Chi siamo, e da dove veniamo?

    Io sono Tissi e vengo da Belluno.

    Proemio

    La Provincia di Belluno è divisa in tutto in dieci parti, una delle quali abitano gli Agordini, la seconda i Fodòm, la terza gli Ampezzani, la quarta i Cadorini, la quinta i Comeliani, la sesta i Sappadini,¹ la settima gli Zoldani, l’ottava i Pagotti, la nona i Feltrini e la decima quelli che nella loro lingua sono detti Bellunesi e in italiano Belumàt. Ciò basta a far capire che è molto più grande della Gallia, che era divisa in tre sole parti.²

    Queste entità etno-geografiche non hanno un solido riconoscimento amministrativo, ma sono identità molto forti. Non dite mai Cadorino a un Bellunese, o a un Ampezzano, o Bellunese a un Fodòm. E così via. Ogni valle è un mondo.

    La ferrovia raggiunge Belluno da due lati, da Padova³ e da Venezia, in quest’ultimo caso per la mediazione di Ponte nelle Alpi, con cambio. Da Ponte si spinge fino a Calalzo di Cadore, dove termina a tappo.

    ___________________

    ¹ Sappada di recente si è fatta annettere al Friuli per godere dei privilegi parassitari delle Regioni a Statuto Speciale.

    ² La Gallia è divisa in tutto in tre parti, una delle quali abitano i Belgi, un’altra gli Aquitani e una terza coloro che nella loro lingua si chiamano Celti e nella nostra Galli. Cesare, La guerra in Gallia, incipit.

    ³ Da qualche anno con frequente cambio a Montebelluna.

    Capitolo I

    BELLUNO NELLA PREISTORIA

    Ur-Belluno: prima del Tempo

    Frammenti

    Big Bang-1947

    Quando arrivò a Belluno l’Elettricità, ‘el Lètrico’,⁴ si seppe che il nuovo prodigio illuminava senza fiamma ma era anche pericoloso, non si dovevano toccare i fili se no si moriva. Tutti lo avvicinarono con religioso rispetto.

    Tutti, tranne uno. Il suo nome non ci è stato tramandato. Ebbene, questo Incredulo si mise a dichiarare pubblicamente che lui non ci credeva al Lètrico, non credeva che a toccare i fili si moriva. Divampò un clima di sfida e di scommessa. Si giunse all’ordalìa: davanti a uno stuolo di curiosi, il Nostro cominciò ad arrampicarsi su per un palo della luce. Qualcuno tentò di dissuaderlo, invano. Giunto a portata di braccio, afferrò il filo.

    Le leggi dell’Elettrologia fecero il loro dovere, la scarica lo attraversò e lui precipitò a terra. Portato in ospedale privo di sensi, sopravvisse. Gli amici andarono a trovarlo.

    Alora, adèss ghe crédito? Ci credi?

    L’Incredulo sorrise: Mia morto!

    In una delle case all’inizio di via dei Fabbri, vicino al ponte di Borgo Prà, in tempi remoti (prebellici?) viveva Gino, o meglio Jino, forse di origine padovana, perché la Ji è del dialetto padovano.

    Orbene, questo Jino era di tirchieria così rocciosa che risparmiava sul cibo con un espediente astutissimo, che egli stesso raccontava. Una volta la settimana si preparava il minestrone e, giorno dopo giorno, lo consumava. Verso la fine del ciclo, però, le caratteristiche organolettiche del residuo si facevano impegnative. La versione domestica della macchina di Lord Kelvin era ancora di là da venire.

    Ma Jino aveva escogitato un trucco.

    Si versava un bicchiere di vino e diceva a se stesso: Jino, se te magna sta menestra, dopo par premio te dae sto bel goto de vin. Spronato dalla speranza della ricompensa, ingollava stoicamente la minestra fino all’ultimo cucchiaio.

    Terminato il duro dovere, riversava il vino nel fiasco, esclamando beffardo: Jino, mona, te ho ciavà n’altra volta mi!

    A proposito di frigoriferi: il secondo frigorifero domestico della Provincia si trovava a casa nostra, almeno stando al rivenditore sig. Zatelli. Che però non disse dove si trovava il primo. O forse la mamma non si ricordava. Nella vecchia casa rossa con torretta sopra il Ponte Nuovo sull’Ardo, al n. 3 di via Lucio Doglioni, c’era, in cucina, vicino al camino, la macchina.

    Era un Kelvinator, marca intitolata al Lord inventore della macchina frigorifera.

    Quando cominciò a perdere corrente dalla maniglia, la mamma chiamò Zatelli. Che, come Mr. Wolf di Pulp Fiction, risolse il problema.

    La mete ‘na tola de legn par tera e la ghe monta sora prima de tocarlo.

    A differenza di Jino, tirchio contro sé stesso, un noto avvocato, principe del Foro bellunese, si trattava benissimo.

    Era diventato leggenda il suo pacchetto di sigarette con due buchi: da uno uscivano le Nazionali, che offriva agli amici.

    Dall’altro le Chesterfield. Che fumava lui.

    Dal carcere di Baldenìch un ergastolano evase. Non fuggì in Sudamerica né si arruolò nella Legione Straniera. Scese giù a Borgo Prà. E ci passò il resto della vita, indisturbato. Irraggiungibile. Quanto dista Borgo Prà dal carcere? Sì e no cento metri.

    Non solo la Polizia, ma nemmeno le SS durante la guerra entravano a Borgo Prà! dice con orgoglio Marilisa, che ci è nata.

    Come Borgo Piave, l’altro ex quartiere malfamato, anche il Prà ha subito l’ineluttabile destino dell’infighettamento, ma a differenza del primo è dall’altra parte di un fiume, come i più famosi ex quartieri popolari infighettati: la Rive Gauche, Trastevere, l’Oltrarno. E per di più si trova in Oltrardo, sulla riva sinistra dell’Ardo, cosa che gli dà un tocco fiorentino.

    L’Ardo confluisce nel Piave, o meglio nella Piave, e lì sopra c’è la città vecchia.

    Quando mio nonno materno, bolognese, visitò Belluno, disse che era la città dei falsi: c’era una via intitolata a Jacopo Tasso anziché Torquato, una a Tommaso Catullo anziché Valerio e c’era la ditta Michelin, che non si pronunciava Misclèn e non produceva pneumatici, ma biciclette.

    Le biciclette bellunesi fecero un grande progresso nell’ultimo dopoguerra, quando arrivò il cambio. Non tutti si capacitavano del fatto che si potesse fare meno fatica in salita se non c’era il motore. Angelin Basso, meccanico del ramo, era particolarmente scettico. Come Catone, ripeteva senza posa il suo pensiero: È tutta una allusione!.

    Non è tanto l’errore di vocabolario quanto lo stadio della Fisica di Angelin Basso che va capito: essa era arrivata al concetto di Lavoro, Forza per Spostamento, ma non ancora a quello di Potenza, Lavoro nell’Unità di Tempo.

    Ma intanto, pian piano, grazie al cambio, il Tempo aveva cominciato ad arrivare a Belluno.

    Ultimi echi sumerici

    La Valle Agordina

    1950-1953

    Il cugino Marco divideva la storia dell’umanità in due periodi: il Mondo di Prima, che va dai Sumeri alla Seconda Guerra Mondiale, con qualche rimasuglio dopo la guerra, e quello successivo.

    Le estati passate a Col Cugnàn di La Valle Agordina⁶ fino all’età di cinque anni mi offrirono un contatto ravvicinato con gli ultimi fuochi del Mondo di Prima. Da Belluno ci eravamo dovuti trasferire a Roma, ma d’estate si tornava a Belluno, e un mese lo passavo a La Valle.

    La casa della Nina e di Franco che mi ospitavano era moderna, ma tutt’intorno c’era il mondo dei Sumeri: cavalli che trainavano carri di fieno, allacciato con funi di cuoio intrecciato; tecnologia del legno sviluppatissima, bambini ingegnosi lo lavoravano ad arte costruendo ogni genere di strumenti. Uno si era fabbricato un fucile-giocattolo che faceva un botto, lo stantuffo comprimeva l’aria contro un tappo avvolto nella stoppa, come il mio che però era di latta, aveva il tappo di gomma e soprattutto era comprato.

    Ero seduto nella piazzetta quando la vidi passare, veniva dai campi e portava delle corde di cuoio. Brunetta, un tipo interessante, la invitai a sedersi vicino a me. Non mi rispose in dialetto, ma diligentemente in italiano: Vado prima a mettere via queste funi. Erano, appunto, di cuoio intrecciato. ‘Fune’ non l’avevo mai sentito, lo appresi in quel momento da Luisa, io conoscevo solo corda. Arricchivo il mio vocabolario.

    Tornò, come aveva promesso e si sedette a fianco a me. Usavo un approccio diretto: Vuoi diventare una delle mie fidanzate? Nel conteggio largheggiavo, forse per non farla sentire sola. Restò a lungo perplessa, senza che mi venissero dubbi sul metodo, ma poi vidi che si lasciava baciare.

    Quando invece incontravo Luisella, la biondina, tutto era più difficile, si ritraeva. Avrebbe turbato i miei sonni per anni.

    Nel paese viveva una famiglia di pària, detti Frégoi o Chégoi, ritenuti ladri.

    Forse erano dei senza terra, seminomadi nell’ambito ristretto dell’agordino. C’erano, allora, nelle valli, delle specie di zingari che non si spostavano, come quelli delle canzoni, dalla Boemia all’Andalusia, ma entro circuiti geografici limitati.

    Molti anni dopo, Maria, la nostra domestica di famiglia, mi avrebbe rivelato che li conoscevano anche al suo paese, Forno di Canale,⁷ e ne diffidava. Disse anche che portavano al collo un fazzoletto, detto ‘el stràngol dei Frégoi’.

    Bepi Chégol/Frégol aveva la mia età e io ero l’unico che accettava la sua amicizia. Per questo mi si era affezionato, e anch’io lo ero, capivo la sua sofferenza di emarginato e poi si chiamava come me. Bepi mi invitava a condividere il suo mondo, cosa che presentava aspetti problematici.

    Un giorno vuole mostrarmi cosa sa fare: raccoglie un sasso e lo lancia verso una finestrina piccola, molto in alto, mandando in frantumi il vetro. Mira formidabile.

    Scappa subito, ma io che disapprovo non lo seguo, anche perché intuisco che la fuga è un’ammissione di complicità. Infatti la vecchina che esce gridando capisce subito chi è stato e non se la prende con me, anzi poco dopo mi fa vedere come si devono dare alle galline i gusci delle loro stesse uova: bisogna frantumarli, se no li riconoscono e non li mangiano.

    A me sembrava sleale approfittare dell’ingenuità delle galline per far compiere loro degli atti di cannibalismo, nei confronti dei propri figli per giunta, ma la vita era fatta così.

    Oggi nessuno lascerebbe un bambino di tre-cinque anni girare da solo per un paese, ma in quel mondo si poteva. Un sentiero nel verde mi porta in vista di una casetta isolata. Mi avvicino, esce anche lì una vecchina. Era un mondo pieno di vecchine buone. Mi invita ad entrare. Ravviva le braci nella cucina economica soffiando con un tubo dal

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