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Memorie di fango
Memorie di fango
Memorie di fango
E-book162 pagine2 ore

Memorie di fango

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Info su questo ebook

il Nanni, eroe cinico e disincantato, e lo Scrittore (il "cronista" del racconto), idealista e misericordioso, sono i protagonisti di un romanzo ambientato sul palcoscenico folle e doloroso della seconda guerra mondiale, nella fase della sconfitta e della fuga. Le avventure dei soldati italiani vengono descritte in presa diretta: dall'Africa alla Grecia, dai campi di prigionia, alla liberazione. E il racconto si fa analisi ogniqualvolta il narratore si sforza di interpretare gli eventi e trovar loro un senso, anche quando le strade che vengono percorse non sembrano portare da nessuna parte. 
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2017
ISBN9788885491137
Memorie di fango

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    Anteprima del libro

    Memorie di fango - Simone Mazza

    NARRABILANDO

    A uno che disse:

    «Dimentichiamo.»

    E all’altro, che rispose:

    «No.»

    PARTE PRIMA

    VITA NEL DESERTO

    Una delle armi degli inglesi, non ufficiale, s’intende, è certamente il deserto. Oggi abbiamo camminato per quaranta chilometri giusti giusti; e in parecchi avevano anche quindici o sedici chili di zaino sulle spalle. Il Bergonzoli ci ha detto di non lamentarci, che i soldati di Napoleone ne portavano venti o addirittura ventitré. Sai che consolazione!

    Comunque siamo finalmente arrivati fin nei pressi di Al Gizìa, nel mezzo di una manovra di accerchiamento alquanto strana. L’obiettivo finale è Tobruk, ma evitando la via Balbia e anche gli accampamenti nell’altopiano a sud della via Balbia: ci è toccato, più o meno da Marsa El Brega, virare verso sud est fin qui! Ora risaliremo a nord est, fino al mare.

    Mi sono informato, tra gli ascari: al gizzia significa il forno, il che dice tutto. Pensavamo infatti che quella scarpinata di fianco all’Orfellan fosse quanto di peggio potesse capitarci in questa guerra (intendo almeno fino agli scontri armati); invece, quando siamo arrivati, anziché il sollievo, ci è sopraggiunto addosso un caldo che ci curvava la schiena e le nostre parti scoperte erano così rosse che, spogliati, pareva di essere dei diavoli, con tatuaggi bianchi a forma di vestiti!

    Il Caporal Maggiore Walter Giannini, detto il Nanni, ha anche commentato che, in effetti, era forse preferibile marciare con venticinque chili sulle spalle ma al fresco!, come i soldati di Napoleone.

    «Dovevi farti arruolare per andare in Russia!» gli rispondono.

    Il Nanni è l’unico che si permette certe confidenze e non solo per il grado: ha già combattuto in Libia nel ’41, con Bergonzoli, quand’era artigliere semplice.

    «Chi dice che ho sempre perso, chi dice che ho sempre vinto. Hanno tutti ragione: non ho conquistato niente, ma sono sempre rimasto vivo!»

    Ha questa notte il cielo nostro chiaro

    un telo nero nero,

    Anche la luna sta dietro il riparo

    del suo noto sentiero.

    Ma lungo la via Balbia a cento a cento

    sono discese le stelle:

    Vengono avanti in lento movimento

    elettriche fiammelle.

    È un tacito rombare di motori,

    un noto sferragliare

    Di cingoli, autoblindi, sicché i cuori

    nostri fanno esultare.

    O Marsa El Brega vigile e assetata

    di inglesi e indiani,

    In te ha fatto muro la Sabratha,

    sopra colline e piani.

    Ci siamo stretti a te con i cuori accesi

    pronti tutti a una sorte

    Crivellata ti abbiamo perché gli inglesi

    abbiano qui la morte.

    Domani scriveranno la nostra storia

    di questa guerra altera

    Altri passi altri passi avranno la gloria

    d’aver nostra bandiera.

    Ho trascritto questo canto perché, dopo tanta strada nel deserto, avevo bisogno di ricordare gli ultimi successi e di rimotivarmi per i futuri! E poi perché le sofferenze del deserto non inducano a credere che io abbia smesso di amare l’Africa! In attesa di raggiungere gli avamposti decisivi, sono contentissimo della missione cui sono stato prescelto, anzitutto perché asseconda il mio sentimento di naturale amor patrio e in secondo luogo perché così posso anch’io collaborare con le gloriose milizie che si battono per collegare al nostro lontano impero, per via di terra, la cosiddetta quarta sponda. Il mito dell’imperialismo inglese, il mastodontico gigante dai piedi di argilla, sta per crollare e io sarò orgogliosissimo di essere una punta sgretolatrice di questo Stato usuraio.

    Abbiamo cominciato subito a montare le tende, perché ci stavano assalendo i soliti nugoli di zanzare, che qui arrivano cattive, furibonde e golose come cornacchie. E quando pungono, fanno altrettanto male.

    Scherzando, ammonivo che nell’Inferno di Dante, gli insetti pungessero coloro che non decidevano mai. «E infatti siamo soldati...» mi ha replicato asciutto il Nanni «decidono gli altri.»

    Non ho mai visto un soldato come il Nanni: è il migliore, sa tutto di armi, tecniche di combattimento; è una cartina geografica ambulante e alla sua età è già caporalmaggiore: se avesse un diploma di maturità, probabilmente sarebbe già sottotenente. Eppure, talvolta, pare che al Nanni non interessi nulla di nulla: non la carriera, non l’impero, nessuno dei valori per cui siamo qui: ha sempre un’ironia amara, insieme deludente e affascinante.

    Pragmatico, lo definiva chi aveva già combattuto con lui: «Posto un obiettivo, pensa subito al modo con il quale lo si possa raggiungere.»

    In ogni caso, ci aiuta a tenere i piedi per terra: La volontà è importante – ci diceva – ma se voglio far saltare in aria un blindato inglese, non mi basta la fede: mi serve anche un’arma adatta.

    Io sono lo Scrittore. Cioè, veramente mi chiamo Mario, matricola 246811, artigliere semplice, assegnato alla 85° Brigata Fanteria, II Battaglione, V Compagnia I Divisione Sabratha. Ma per tutti sono lo Scrittore, perché prima di partire ho fatto il Real Ginnasio e avevo cominciato a lavorare in una redazione di un giornale. In realtà, andavo in giro per la città e annotavo quello che succedeva, poi firmavo testimone oculare e andavo a portare i pezzi al giornale. Siccome erano buoni, me li pubblicavano, nei trafiletti locali. E così faccio qui, faccio il testimone oculare e trascrivo quello che succede, quello che ritengo degno di nota.

    E, insomma, oltre a permettermi di citare Dante, qualche volta, mi vedono scrivere su questo diario. Così sono lo Scrittore.

    Non ce ne sono tanti, qui, che scrivono. Qualche saluto scarabocchiato per i cari e poco di più.

    Il Bigio si è ammalato. Aveva una faccia! Sulle prime, ci siamo spaventati, perché temevamo fosse malaria e che il vaccino non avesse funzionato. Invece non è febbre, né mal di gola; piuttosto, è una forma di dissenteria dolorosa e persistente. Ci siamo decisi a metterlo in quarantena, perché Orlando, il suo compagno di tenda, non ce la fa più a vederlo e a sopportarlo: suda che pare una fontana, povero cristo, e fa delle smorfie che a guardarlo viene il magone. Poi sta continuamente alla latrina, così se ne è scavata una apposta dietro la tenda. «Dopo le prime tredici o quattordici scariche, non esce più niente» commenta l’Orlando, con dovizia di particolari. Diavolo, a sentir lui, il Bigio non riesce né a sedersi né a star dritto, come se avesse dentro un Carcano 38 con tanto di baionetta; questi i racconti di Orlando.

    «Oh, Cagnone! Che ti è successo? Hai una faccia...»

    Cànepa, si chiama, di Imperia. Ma lo chiamiamo Cane, Cagnone, Cagnaccio... o anche Cane-Figlio-di-un-cane, talvolta. È un tipo tosto, ma è sempre molto serio.

    «Ho fatto un incubo, era un pezzo che non capitava. Ho sognato che ero su una collina e volevo scendere perché avevo dei nemici alle spalle...»

    «Che nemici?»

    «Non lo so, erano neri, forse ribelli. E allora voglio scendere, ma solo se non c’è sotto nessuno; invece continuano a passare dei soldati a cavallo... italiani, inglesi...»

    «Insomma, non c’era mai il varco libero.»

    «Proprio così, accidenti! Mi cresce l’ansia, perché io voglio scendere, no? Ma non riesco e mi viene la paura che uno arrivi e mi colpisca alle spalle. E allora, proprio nel momento in cui vedo uno scorpione alla mia destra e mi distrae, ecco che arriva uno alle spalle, avvolto in tuniche bianche, come, come...»

    «...come i Tuareg!»

    «Ecco, giusto. E mi pianta un coltello nella schiena! E non ho nemmeno il tempo di pregare o di salutarvi. Fine. Fine della maledetta storia!»

    «E va bene, Cane, hai fatto un dannato sogno! Ora prenditi qualcosa da bere e calmati.»

    «È che mi sento che mi succede...»

    «Storie. Pensi che ti succeda perché lo hai sognato?»

    «No. Penso che l’ho sognato, perché sento che ci lascio la pelle davvero, in questo mucchio di merda.»

    «E allora? – era in arrivo una delle ovvietà che il Nanni trasformava in aforismi da campo – può succedere o non succedere, anche se non lo sogni.»

    Anche il Tenaglia ha voluto dire la sua:

    «Una volta, mio cognato aveva sognato di trovare una lira intera in un campo. E l’ha trovata da bòn (davvero)!»

    «Tuo cognato è uno stronzo», il Nanni mica si tira indietro.

    «Perché, scusa?»

    «Perché voleva fare quello baciato dal cielo; magari i soldi li ha trovati davvero. E poi si è inventato di averlo sognato.»

    «I sogni, non so: non ci capisco molto... – si è inserito l’Orlando – ma il destino è diverso. Io ci credo. Credo che quando tocca, tocca.»

    «Ah, lo penso anch’io – il Ragazzini – è incredibile come le cose succedano sempre in momenti inaspettati.»

    «E cosa significa? Che siamo qui a parlare perché in qualche dannato libro fatto di nuvole qualcuno ha scritto che sarebbe accaduto?»

    «Questo parlare tra noi, questo è solo un bisbiglio che si perde nel vento, ma le grandi scelte no: sono già state fatte.» A parlare era stato Caprovito (non ho ancora scritto nulla di lui). È un giovanotto di vent’anni, volontario, che sta studiando per diventare ufficiale. Quando arrivano volontari al fronte, ci ricordiamo di come eravamo quando siamo partiti: entusiasti, idealisti, pieni di impegno e di fede. Caprovito, in quanto a fede, ci supera tutti: non solo è convinto che vinceremo, crede che Dio in persona scenderà al nostro fianco in battaglia per sconfiggere gli inglesi, che sono il popolo più malvagio della terra. A sentire Caprovito, esiste una specie di Spirito morale che costruisce la storia e la vita dell’umanità: talvolta questo spirito viene osteggiato dal demonio e la storia subisce una specie di interruzione o momentanea deviazione rispetto alla via del Bene supremo. «È una questione di tempo, perché lo Spirito di Dio è invincibile (come sta scritto). Ora ci sono date queste prove perché ritroviamo la fede nella vittoria finale, ma non dubitate che qualunque scelta venga fatta, noi assecondiamo un Disegno.»

    Gli ho chiesto come poteva sapere che il disegno fosse proprio quello e non un altro, ma l’ho chiesto senza ironia, perché Caprovito è un ragazzo a cui non si può non voler bene. Forse qualcuno potrebbe prendere le sue riflessioni come frutto di un fanatismo gretto e indisponente, invece Caprovito ha un’ingenuità e una dolcezza che lo rendono una persona assolutamente adorabile. Ha un’idea della vita militare quale è descritta nei manuali dei Figli della Lupa e mentre declama lo spirito indomabile dell’impero, egli ha il sorriso e l’innocenza del fanciullo.

    «Le tappe della storia! L’Italia, l’Impero... la vita, la morte... Secondo me, i grandi avvenimenti sono già decisi. Sarà Dio, sarà il Destino; non sentite anche voi che stiamo compiendo uno missione quasi divina?»

    «Il Duce dice che siamo noi a costruire il nostro destino.»

    «Insomma, io non so cosa diavolo è! Io mi sento solo che uno dei prossimi giorni, vedo un maledetto scorpione e poi mi prendo un coltello nella schiena!»

    «Tranquillo Cagnolone, ti guardiamo noi, su quella collina.»

    E qualche risata si è confusa col fumo delle sigarette, prima di cominciare a marciare.

    Msus è qualcosa di più che un villaggio: c’è un minimo di servizio in più, e almeno c’è l’acqua per lavarci e asciugarci il sudore, grazie a Dio!

    Ciononostante, la cacaglia del deserto colpisce ancora: dopo il Bigio, è stato Orlando il primo ad accusare qualche malore. «Ohi, m’ha ciapà!» ha esclamato davanti al fuoco, ieri sera, e ha cominciato a prendersi lo stomaco colle mani che pareva avesse un serpente nelle budella.

    «Ah! ghe séma» ha detto allora Vesio.

    «Che vuol dire?» ha chiesto il Ragazzini, ancora poco avvezzo ai vari dialettismi di ognuno.

    «Che ce la prendiamo tutti, adesso, porco dio!» ha risposto il Nanni.

    Così ci mancava questo.

    Il Nanni, che come suo solito è quello che si prende la briga di dirle in faccia, è anche andato dal Bergonzoli e gli ha detto più o meno che ci stavamo decimando da soli «...e alla fine ci raccolgono col mestolo!»

    «Hai finito?»

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