Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'alba della rivolta
L'alba della rivolta
L'alba della rivolta
E-book332 pagine4 ore

L'alba della rivolta

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Adrenalinico come Hunger Games
Incalzante come The Walking Dead

Londra, 2057. Attentati, scontri a fuoco, esplosioni e rapimenti sconvolgono la città. Nessuno è più al sicuro. A trent’anni dalla Grande Epidemia che ha decimato la popolazione mondiale, chi controlla la salute controlla il mondo. E quell’uomo è Richard Stuart Sanderson, a capo della Life, la multinazionale medica più influente del pianeta. Per sconfiggere per sempre la paura delle malattie, Sanderson ha intenzione di realizzare una rivoluzione genetica. Un’utopia che finalmente sta per realizzarsi. Non tutti però sono d’accordo con i metodi autoritari della Life. Un gruppo di uomini e donne ribelli si è stretto intorno al dottor John Knox, un tempo braccio destro di Sanderson. Cosa può fare un semplice uomo, costretto alla clandestinità, contro la potenza di un organismo che dispone del pieno consenso dei governi? Niente, dice la ragione. Combattere fino alla morte, dice il coraggio.
All’uscita da uno dei Controlli Sanitari Obbligatori, il destino di Tom Becker si scontra con quello di Louise, una ribelle. Una pistola puntata alla tempia, e la storia sarà scritta di nuovo: alle prime luci dell’alba, su Londra si accenderà la rivolta.

«Il genere ancora una volta è quello apocalittico, il più adatto a liberare la fantasia e a sperimentare nuovi modelli narrativi. […] Consigliato a chi ama guardare la terra dal futuro e a chi si interessa di fantaletteratura.»
la Repubblica

«La prova vivente che esiste ancora chi è in grado di fare magie con le parole.»
Letteraturahorror.it
Roberto Galofaro
è nato a Palermo nel 1979 e vive a Roma da quasi vent’anni. Lavora nell’editoria praticamente da sempre, è stato correttore di bozze, redattore, editor e si è occupato di produzione.
Sandro Ristori
è nato a Firenze nel 1982 e vive e lavora a Roma. Scrive, traduce, legge, impagina e immagina libri.

Insieme hanno scritto i due thriller paralleli La città brucerà al tramonto e L’alba della rivolta.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2016
ISBN9788854198708
L'alba della rivolta

Correlato a L'alba della rivolta

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Distopia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L'alba della rivolta

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'alba della rivolta - Roberto Galofaro

    1366

    Prima edizione ebook: luglio 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9870-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Roberto Galofaro – Sandro Ristori

    L’alba della rivolta

    Nota

    Questo romanzo parte dalle stesse premesse di La città brucerà al tramonto: la Grande Epidemia del 2027, il potere illimitato della Life di R.S. Sanderson, la lotta dei ribelli legati a John Knox. Esattamente come quello ha inizio a Londra, nell’estate del 2057. Non è dunque il seguito né il prequel, né la stessa storia narrata secondo un altro punto di vista: è un ulteriore possibile futuro. Una sorta di Sliding doors distopico, in cui un battito d’ala di farfalla modifica, prima impercettibilmente poi in maniera sensibile, la storia, i caratteri, le azioni. I flashback dei due romanzi sono coerenti e complementari: proprio come nella realtà, il passato è immutabile, il presente e il futuro sono condizionati da un numero infinito di variabili. Tutte decisive.

    Capitolo 1

    15 luglio 2057

    Il momento è vicino. Comincerà con un’imboscata o con uno scontro a viso aperto, forse sarà una parata che finisce in guerriglia, o forse sarà lo scoppio di una bomba, la prima di una lunga serie. Gli sembra persino di sentire il ticchettio di un timer. Qualcosa deve accadere, qualcosa accadrà molto, molto presto.

    Le ruote del furgone sobbalzano sulle buche. Le strade, nella periferia est di Londra, sono malridotte, l’asfalto pieno di crepe e di buche. Sono state dimenticate e abbandonate, proprio come lui, proprio come tutti loro. Nel retro del furgone sono in sei, i cappucci abbassati sulle spalle, finalmente a capo scoperto. Dai finestrini ciechi non passa né un filo di luce dei lampioni né uno spiffero dell’aria afosa della notte; solo le minuscole lampadine sul tettuccio permettono di vedere all’interno. Tengono tutti uno zaino tra le gambe, quello del vecchio è grande la metà degli altri: ognuno fa quel che può, senza tirarsi indietro. Tra le due panche, alcune scatole ricolme di monitor e apparecchiature elettroniche, altre stipate di lenzuola e abiti e vettovaglie.

    Nessuno dice una parola, gli occhi bassi, le mascelle serrate. Se dovessero fermarli a un posto di blocco, la loro impresa finirebbe nel peggiore dei modi. Soltanto Greg, il più giovane, canticchia una canzone, a voce troppo bassa perché sia possibile capirne le parole, finché suo fratello Kanu lo zittisce con una manata e un’occhiata di traverso. Il vecchio li guarda ancora una volta, e ancora una volta la speranza e la paura gli stringono il petto.

    Sembrano prigionieri, ostaggi. Costretti a spostarsi di nascosto, con il volto coperto, a fuggire da un rifugio a un altro, da un nascondiglio a un altro, sempre braccati, sempre in pericolo. Sono eroi, invece, sono tutti dei maledetti eroi. Un giorno la loro storia sarà raccontata, pensa il vecchio, i loro sacrifici saranno riconosciuti. Fino ad allora, fino all’alba in cui potranno affermare di aver vinto su questo sistema totalitario, devono rimanere nascosti, muoversi senza mai farsi vedere, e se serve scappare come topi inseguiti da gatti troppo ingordi. Ed è sempre così: quando arriva l’allarme bisogna sgomberare in meno di un’ora, raccogliere tutto ciò che è possibile salvare, abbandonare o bruciare il resto, cancellare le prove della loro stessa esistenza randagia. Ogni volta che una delle loro tane viene scoperta, inquadrata dalle telecamere nascoste, intercettata dai satelliti, individuata dagli scanner, è sempre la stessa storia. Da quanti anni va avanti?

    Questa volta è stato Greg a dare il segnale. Una pattuglia che percorre il quartiere una volta in due giorni non desta sospetti. Ma poi le auto diventano quattro, tutte misteriosamente anonime, e le vedi percorrere a passo d’uomo i viali di una zona come quella, una zona in cui, per quanto ne sa il governo, nessuno vive più da venticinque anni e non è rimasto neanche un minuscolo filo di rame da razziare. Significa una sola cosa: hanno trovato una traccia.

    Greg è stato bravo a non perdere nemmeno un minuto. Ha corso a perdifiato, aggirando le ronde, per dare la parola d’ordine che nessuno vuole mai sentire, e in meno di mezz’ora è stato stabilito il piano di fuga. Alcuni andranno a ovest, da Dreimann, altri si sposteranno a nord della città. Con il suo gesto, Greg si è guadagnato la stima di tutti, e ha chiesto e ottenuto di poter viaggiare insieme con lui, con John Knox in persona.

    Già. Per qualcuno sei un eroe e un modello, anche se sei un uomo più anziano dei tuoi anni, e anche se la tua seconda vita da ribelle ha un prezzo che braccia più forti delle tue devono sostenere per te. Per gli altri là fuori, invece, lui è soltanto una leggenda. L’uomo che era al comando insieme a Sanderson e ha osato prendere parola contro di lui, mille anni fa ormai, e che per questo è stato cacciato dall’Olimpo. Lo hanno dato per morto, e la sua scelta di rimanere in silenzio ha dato spago a questa diceria, mentre piano piano i suoi uomini crescevano di numero, disertando i Controlli Sanitari Obbligatori, rinunciando a una vita comoda ma stabilita dall’alto, pronti a battersi per riconquistare la libertà.

    Nella tasca superiore del suo zaino, Knox ha conservato la copia degli ultimi report ricevuti. Subito dopo che li hanno stampati hanno staccato la corrente a tutto l’edificio, isolandolo completamente. Leggere dai fogli stropicciati è praticamente impossibile a quella luce fioca, ma il piccolo Greg si è subito reso utile: ha allungato un braccio e illuminato con la torcia tascabile. Il vecchio lo ringrazia con un cenno del capo, e un sorriso di orgoglio si allarga sul volto di Greg.

    Ci sono anche buone notizie. Nessuno dei ribelli è stato preso, nessun covo è stato scoperto e nessuna delle loro comunicazioni criptate è stata decifrata. Ma ci sono anche delle brutte notizie. L’attività del laboratorio di Edimburgo è aumentata esponenzialmente e dalle email decrittate si deduce che le misure di sicurezza sono state raddoppiate. Informazioni identiche, quasi riga per riga, arrivano da Manchester. La segretezza sui materiali trasportati in entrambi i casi è stata massima: non è stato possibile tracciare nessuno dei furgoni e dei camion che hanno scaricato continuamente nella scorsa settimana. Nessuno degli interni ha potuto ottenere dettagli più precisi.

    Lui sa cosa significa, lo sa fin troppo bene. Significa che il protocollo della Life è passato a pieno regime, le sperimentazioni hanno fatto un salto di livello e questo certamente per uno scopo.

    Prima ancora di chiedersi quale sia la prossima mossa da fare, Knox può prevedere la prossima mossa di Sanderson. Farà di tutto per stanarli, ridurli al silenzio, cancellarli. Forse con un’azione eclatante, un’imboscata, per l’appunto, o un attentato. Senza neanche rendersene conto, Knox ha accartocciato i fogli.

    «Signor Knox».

    La voce di Greg interrompe il flusso dei suoi pensieri.

    «Posso farle una domanda?»

    «Certo, certo».

    «Ecco, io mi chiedevo se… Mia madre, sa… Vorrei farle sapere che sto bene».

    «È una dei nostri, tua madre?»

    «No, signore. Non ha voluto darmi retta e si è presentata al

    CSO

    . Ecco, dopo la morte di mio fratello in ospedale, e nessuno che ci ha voluto dare uno straccio di spiegazione, io ho disertato. A mia madre prenderà un infarto quando le guardie andranno a chiedere di me…».

    «Capisco come ti senti. Anche io avevo una famiglia. Ma non c’è modo di comunicare con i civili se non mettendo a rischio tutti gli altri. E tu non vuoi metterci a rischio, vero?»

    «Certo che no, signore». Una punta di tristezza nella voce. Ha diciassette anni, troppo piccolo per tagliare i ponti senza rimorsi, troppo giovane per ricominciare da capo senza rimpianti. Knox gli dà una pacca sul ginocchio. Sistemeremo ogni cosa, tutto tornerà normale, la nostra vita e le vite di tutti, vorrebbe dirgli. Invece non riesce a dire niente.

    Ma la domanda di Greg ha innescato una catena di intuizioni nel dottore. Comunicazione. Rivelazione. Sfida. Prima ancora che la caccia ai ribelli abbia inizio, sarà Knox stesso a farsi vivo con il capo della Life. E non sarà un qualunque messaggio digitalizzato, ma qualcosa che non lasci dubbi sulla paternità e sulla firma. Del resto, nel suo vecchio ufficio, più di qualcuno sarà felice di poter fare un favore a un vecchio amico di ritorno dal mondo dei morti.

    Greg osserva la smorfia allargarsi sul volto del vecchio, le rughe intorno agli occhi che si comprimono. È un sorriso di beffa, ma basta a rincuorarlo.

    L’uomo solleva la tazza di caffè, inspira profondamente l’aroma. Digita il comando per le tapparelle e sorseggia guardando la finestra. Come dietro un sipario, oltre i vetri appare Londra, semiaddormentata e placida, dalle sponde del Tamigi con i ponti deserti, giù giù fino in fondo, fin dove l’occhio si perde nella bruma. Adora la vista da quest’altezza alle sei del mattino. Un’intera città brulicante di vita, un organismo pulsante che deve a lui più di quanto sia possibile immaginare. Distesa ai suoi piedi, è come contemplare una porzione del suo personale regno. C’è di che essere orgogliosi.

    La routine del lavoro è un sollievo, una certezza. Oggi è un gran giorno?, si chiede. È sempre un gran giorno, alla Life, si risponde, come recitava il vecchio spot per il reclutamento del 2025.

    La colazione è sul vassoio nero: il piattino su cui appoggerà la tazza, le uova strapazzate, il bacon croccante, con due macinate di pepe nero. La forchetta a sinistra, il coltello a destra. La signorina Leoncastle lo sistema personalmente e puntualmente sulla scrivania, nella stessa posizione, nello stesso ordine, così esattamente ogni giorno da cinque anni in qua. Anche quello è un rituale rassicurante. L’abitudine è il miglior ansiolitico che l’uomo abbia mai inventato. Quella e il Ketamene, tra i più redditizi brevetti della Life…

    E lì, proprio sul piattino, vede il biglietto. Probabilmente sarà caduto di mano alla sua assistente. Ma è una cosa mai accaduta, in cinque anni, quella donna sembra un androide, tanto è prudente e accurata e precisa.

    Perciò è più incuriosito che arrabbiato. Almeno finché non dispiega il pezzetto di carta e riconosce la grafia. Quel biglietto è stato scritto per lui, per Richard Stuart Sanderson in persona.

    L’uomo è ribellione, fantasia, violenza. Non calcolo, norma, statistica. Come vedi non sono solo. Siamo tanti, e siamo pronti. Fermati, Sanderson. Questo è il primo messaggio. Poni fine agli esperimenti, e sarà anche l’ultimo.

    JK

    R.S. Sanderson sente il sangue pulsare sulle tempie. Quell’uomo dovrebbe semplicemente essere al cimitero.

    «Signorina Leoncastle!», urla con tanta rabbia che quasi non serve utilizzare l’interfono.

    Polly Leoncastle entra silenziosamente, gli occhi timidi e bassi. Si passa distrattamente le mani sulla gonna per eliminare una piccola piega, invisibile a chiunque, inaccettabile per lei.

    «Glielo chiederò una volta sola: mi ha lasciato lei questo biglietto?».

    È abituata agli scatti d’ira del capo, ma finora non è mai capitato che quell’ira fosse rivolta a lei. Le trema la voce: «No, signore, non so di cosa stia parlando».

    «Qualcuno ha lasciato un messaggio accanto al caffè. Chi ha portato la colazione?»

    «Le cucine l’hanno consegnata alle cinque e quaranta precise, come al solito».

    «Chi le ha passato il vassoio? Quali mani lo hanno toccato?». Chiunque sia in grado di portare un biglietto sulla sua scrivania può arrivare a lui, quando vuole, in qualsiasi circostanza.

    «Il fattorino… Frank Shaman, signore, come al solito. È di turno il lunedì e il giovedì. Ma non mi ha parlato di nessun messaggio…».

    Sanderson batte il pugno sul tavolo. «Signorina Leoncastle, chiami subito questo Frank Shaman a rapporto da me e chiami immediatamente Trunch».

    «Cosa vuole che faccia per primo, Mr Sanderson?»

    «Maledizione! Chiami Trunch, è una questione di sicurezza nazionale».

    Capitolo 2

    16 luglio 2057

    Le 6:30. Il suono della sveglia non lo sorprende, ha già gli occhi aperti, come tutte le mattine. Questo però è un giorno speciale: il fascio di luce proietta sul soffitto il promemoria decisivo, in tre sole lettere maiuscole,

    CSO

    . L’orchestra suona un brano molto delicato, l’ideale per un risveglio morbido.

    Nessuno vuole fare tardi nel giorno dei Controlli Sanitari Obbligatori. Perché anche cinque minuti di ritardo così come d’anticipo vengono registrati e considerati nella valutazione sull’idoneità psicologica. Ma Tom è preparato anche a questo e un sorriso si allarga sul suo volto mentre si libera del lenzuolo. Ha indossato il suo abito preferito, ieri notte, così ha guadagnato preziosi minuti di vantaggio sul nemico. Si stira un po’ i pantaloni con il palmo della mano. Le scarpe nere e lucide sono allacciate un po’ strette, ma forse è solo l’effetto della dormita. Saltella fino al bagno e si guarda allo specchio: la rasatura è stata perfetta, non c’è neanche bisogno di ritoccarla. La giacca gli cade a pennello, e il blu dell’abito, di raffinato taglio italiano, è scuro al punto giusto. Potrebbe andare a un matrimonio, vestito così. Ah! La cravatta. Sceglie dall’armadietto la più indicata, tra le tante sfumature di grigio. Non gli piacciono le cravatte sgargianti né quelle con trame e disegni. Solo cravatte a tinta unita, e grigie. È sempre stato il suo modo di interpretare l’eleganza. Non sa come, ma il nodo è perfettamente riuscito, un demi-Windsor da fare invidia a un professionista. Sorride allo specchio, e l’immagine risponde con un sorriso ancora più largo. Sei un bell’uomo, Tom. Grazie, e anche tu sei molto affascinante, Tom. Con questo aspetto incredibilmente serio è sicuro di impressionare qualsiasi tribunale medico!

    L’auto lo aspetta già in moto, parte spedito e si immette nel traffico che scorre persino più del normale. Lascia l’auto a un parcheggiatore in livrea, sembra quasi un ufficiale della marina. Sale a due a due i gradini dell’ampia scalinata dell’ospedale – l’insegna lampeggia sulla facciata, incurante del sole già alto.

    Non appena supera le porte scorrevoli, gli inservienti lo riconoscono e vengono a prenderlo. Tom riassapora la sensazione ambigua di essere fra amici e di essere etichettato come una minaccia. Gli fissano al petto un badge con il suo nome e cognome ben evidenti. Lo accompagnano in una stanza ampia ma vuota, con quattro poltrone al centro e una grande vetrata che affaccia su un marciapiedi. Sembra la sala d’attesa di una stazione, né più né meno. Seduto, sente l’ansia crescere. Si guarda intorno in cerca di distrazioni, ma non c’è neanche una rivista. Anche le pareti destra e sinistra sono in vetro. Nella stanza a sinistra c’è una donna, seduta con le ginocchia strette, come se fosse tesa. Ma chi non lo è, prima di un

    CSO

    ? Qui decidono l’idoneità sociale, c’è di che cambiare una vita. Guardando meglio, Tom si rende conto di riconoscere quella donna con un buffo cappellino piumato. La chiama: «Signorina Scrumble!». Quella si volta, ma non ricambia il saluto, si limita a socchiudere gli occhi e a stringere le labbra, infastidita.

    È sempre così, la signorina Scrumble, in ufficio non risponde mai a un saluto. Nessuno sa niente di lei, se ha marito, se ha figli e quanti e di che età. Tom sarebbe curioso di poter scoprire qualcosa su di lei. Con Samuelson scommettono un caffè ogni lunedì mattina sul colore del tailleur che indosserà la signorina Scrumble. Glielo hanno anche raccontato, per strapparle una risata, ma quella niente, troppo presa dal suo lavoro al computer. Che buffo però che sia lì per i Controlli nel suo stesso giorno.

    Oltre la parete destra, c’è un’altra sala identica alla sua. Su una panca, al centro della sala c’è McCullum. È curvo su se stesso, come se stesse dormendo. Sembra molto più vecchio dell’ultima volta che lo ha visto, due settimane fa in ufficio. Più magro, più malato. Ma com’è possibile che sia ancora lì? Quando mai i

    CSO

    durano così a lungo?

    Tom prova a chiamarlo a voce alta, l’eco che si protrae a lungo tra le pareti vuote. Ma McCullum volta appena il capo, e non risponde. Non sembra neanche averlo riconosciuto. Tom si avvicina alla vetrata. Si sbraccia, si punta un indice al petto: «Ti ricordi di me? Lavoravamo insieme! Alla Life! Mi hai insegnato tutto tu! Prendevi sempre il caffè macchiato, le tue bustine di panna impilate in un ripiano del frigorifero sono ancora lì. Guarda che scadono se non ti decidi a ritornare, eh! Che fai qui? Devi ancora finire? O aspetti un treno anche tu?».

    Il volto di McCullum è del tutto inespressivo. Ora si è voltato di nuovo verso il binario.

    Alle spalle di McCullum arrivano degli uomini in camice bianco. Sotto il camice si intravede una divisa militare. Tom si irrigidisce, l’uomo invece sembra del tutto indifferente, si lascia sollevare per le spalle. I due lo scortano fuori, così Tom lo perde di vista. Ma un attimo dopo, anche lui sente qualcuno afferrarlo rudemente per le braccia e spintonarlo. «Ehi, ma che succede?», prova a protestare. Sulla divisa del medico il tesserino con la foto segnaletica mostra il suo nome: Herbert V. Karajan. E l’altro: Wolf A. Mozart. È uno scherzo? Se è uno scherzo non è affatto divertente. I due uomini indossano divise verde militare, hanno fisici massicci e muscolosi, la resistenza che Tom prova a opporre è ridicola, lo hanno praticamente sollevato da terra. Lo conducono fuori, sulla banchina del binario 1. Qualche metro più a destra c’è McCullum. Se Tom si dibatte per divincolarsi, McCullum al contrario è del tutto passivo. Tiene gli occhi bassi davanti a sé.

    Ed ecco che arriva il treno, un vecchio treno a vapore, con un assordante rumore di ferraglia. La scritta che si ripete sulla fiancata recita alternativamente:

    CSO NON SUPERATO

    e

    LA SALUTE RENDE LIBERI.

    Tom protesta, si mette a urlare, disperato, mentre i due uomini lo conducono a forza dentro uno dei vagoni merci. Dentro, illuminati dalla poca luce che riesce a entrare dal portellone, Tom vede decine e decine di persone, tremanti, ammassate l’una sull’altra, gli occhi sbarrati per la paura.

    Lo scaraventano dentro. «Buon viaggio verso la morte», gridano, e ridono, chiudendo con uno schianto il portellone e lasciandoli al buio.

    Si sveglia di scatto. È tutto sudato. L’aria condizionata si è guastata di nuovo. Era solo un sogno, si dice. Il monitor dice che sono solo le 6:02. Manca ancora mezz’ora buona al suono della sveglia. Era solo un sogno, si ripete. Sospira, si passa una mano sulla faccia. La sensazione orribile che l’incubo gli ha lasciato è ancora con lui. Ha la gola secca.

    È sempre così, tutte le volte che il giorno del suo

    CSO

    si avvicina, e tutte le volte sa che è meglio non prendere calmanti. Il sangue deve sempre risultare quanto più pulito possibile. Più dell’agitazione che il sogno gli ha messo in corpo, gli dispiace soprattutto di aver visto McCullum in quello stato. In ufficio non girano belle voci sull’esito del suo Controllo, addirittura pare che stiano già selezionando dei candidati che prendano il suo posto.

    Con questi pensieri non riuscirà a riprendere sonno. Si stiracchia. Allunga la mano per prendere il telefono. Ci sono tre email, tutte sull’indirizzo di lavoro.

    Ce n’è una di spam, la solita pubblicità dell’Ypnoia. Maledetti incompetenti. Tom la inoltra immediatamente a Mikhail Crammer dell’ufficio Potenziamento informatico, allegando un commento al vetriolo. Poi ci ripensa, limitandosi a segnalare la falla nel filtro antispam.

    Poi c’è un’email del Servizio Sanitario Nazionale: è un reminder. Il Servizio ricorda a Tom Becker che giovedì prossimo è previsto il suo ricovero giornaliero per l’espletamento dei Controlli Sanitari Obbligatori. Si parla del diavolo…

    La terza email, in cui lui è in copia, insieme ad altri venticinque colleghi, è del suo capo, Paul Bettys, ufficio Supervisione. È l’email ufficiale in cui viene comunicato a tutti gli interessati che la riunione di giovedì, quella in cui Tom deve presentare il progetto per il convogliamento dati, è rimandata di una settimana a causa del

    CSO

    di Tom. Brutta cosa i lunedì che cominciano in questo modo.

    Le 6:20. Ok, adesso può anche alzarsi. Si tira su a sedere ed ecco che, di colpo, una violenta fitta alla tempia destra lo costringe a chiudere gli occhi. Si aggrappa al cuscino. Pochi secondi di dolore lancinante, pulsante, intorno all’occhio destro, poi niente. Respira. Respira, Tom, fatti forza. Ancora pochi giorni e saprai a cosa sono dovuti questi assurdi, terribili mal di testa.

    Capitolo 3

    19 luglio 2057

    «Nome e cognome, prego».

    «Tom Becker».

    «La sua tessera? Indirizzo, attuale occupazione?»

    «West Pollock Road, 42. Responsabile gestione dati della Life Incorporated».

    Tom passa la sua tessera nello scanner. Il ronzio gentile del lettore ottico trasmette al computer gli ultimi trent’anni della vita di Tom Becker, riassunti e impacchettati in un sistema binario:

    CSO

    precedenti, situazione clinica, analisi del sangue, mappatura del

    DNA

    . Le poche malattie che Tom ha avuto nel corso della sua vita scorrono sullo schermo: la gastrite a diciassette anni, la brutta tonsillite che ha rovinato due settimane della sua vita, appena assunto alla Life. Tom se li ricorda bene, quei quindici giorni a casa, con la febbre. Ricorda la paura di essere licenziato, gli sguardi di sospetto dei colleghi, appena rientrato alla scrivania, i borbottii a bassa voce dei compagni di stanza quando lo vedevano entrare, la paura con cui correvano a lavarsi le mani ogni volta che per sbaglio lo sfioravano.

    La receptionist controlla i dati. Sorride freddamente a Tom, gli indica la scala in fondo al corridoio.

    «Il dottor Lostone la sta aspettando nella sala

    F

    , secondo piano. Lo stesso dottore, nella stessa sala di sei mesi fa, vedo».

    Tom fa un breve cenno di saluto e si avvia verso la scala. Non gli sono mai piaciute le receptionist delle strutture per il controllo sanitario. Professionalmente ostili. Come se avessero sempre paura di trovarsi di fronte a un malato. Di sicuro hanno visto troppe persone entrare per un controllo e uscire scortate dal personale sanitario, chiuse in un’ambulanza, portate via in fretta, per sempre esiliate dalla gente normale.

    E non gli sono mai piaciute neppure quelle scale, il corrimano, la luce intensa e asettica. Un ambiente pensato per portarti via piano piano dalla città che vive fuori e trascinarti a ogni passo sempre più dentro a un mondo diverso, un limbo in cui non ci sono punti di riferimento, non ci sono più nomi e neppure persone, ma solo sigle, dati scientifici, analisi. Quando arrivi al secondo piano, tutto il tuo universo, le cose che fanno di te ciò che sei, sono state spazzate via dal freddo grigio delle pareti, e del tuo futuro non rimane che una semplice risposta: positivo o negativo. Se risulti negativo a tutti i test, il dottore ti sorride, ti rispedisce all’accettazione, e di nuovo fuori, agli amici, al lavoro, a casa, alla tua vita. Se sei positivo… se anche solo un test è positivo…

    «Si accomodi, signor Becker. È un piacere rivederla. Come vanno le cose

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1