Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Stormachine
Stormachine
Stormachine
E-book349 pagine7 ore

Stormachine

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (285 pagine) - Non servono sbarre quando la prigione te l’hanno scolpita dentro. Piegati dalle angherie, i rifugiati di una colonia agricola spaziale sembrano destinati a soccombere alle leggi di un Impero buio. Ed è nel buio che gli uomini diventano tempesta.

Non servono sbarre quando la prigione te l’hanno scolpita dentro. Lui è un gigantesco sbirro, quadrato e ottuso; lei una criminale dalla pelle rossa; loro dei detenuti di una colonia spaziale in cui si coltivano cereali. Vite diverse ma un destino comune: piegarsi alle angherie del dittatore locale. È così che va il mondo nel 5126. Ventidue miliardi di persone vivono in orbita attorno al sole, sotto la bandiera di un unico Impero. Un Impero superstizioso e malato di potere che non ferma gli abusi dei suoi funzionari. Un Impero decadente nel quale uomini e macchine dipendono da un subuniverso geometrico, proprio come un tempo fu con l’elettricità o il fuoco. Un Impero buio. Ed è nel buio che gli uomini diventano tempesta.
Stormachine è un romanzo finalista del Premio Urania 2016.

Cresciuta al Cairo, milanese di adozione, Franci Conforti è laureata in biologia, giornalista professionista, docente all’Accademia di Belle Arti. Nel 2016 ha vinto il Premio Odissea con Spettri e altre vittime di mia cugina Matilde (Delos Digital). Nel 2017 ha vinto il premio Kipple con il libro Carnivori (Kipple). È tra i finalisti del Premio Urania 2016 con il romanzo Stormachine (Delos Digital).
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2018
ISBN9788825406047
Stormachine

Leggi altro di Franci Conforti

Correlato a Stormachine

Ebook correlati

Fantascienza per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Stormachine

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Stormachine - Franci Conforti

    9788865308646

    Avvertenze per i viaggiatori

    Stiamo per avventurarci nell’anno 5126 d.C. Ventidue miliardi di persone vivono in agglomerati artificiali in orbita attorno al sole. L’espansione è stata possibile grazie alla scoperta di un subuniverso bidimensionale ipertangente al nostro. Ogni congegno, dal più banale al più complesso, si basa su questa tecnologia, proprio come un tempo è stato per l’elettricità o per il fuoco. Atterreremo su un’immensa piattaforma spaziale chiamata Granspica perché è su questo pianuroide che sta per succedere qualcosa.

    Prima di partire, però, un’avvertenza. Chi affronterà quest’avventura avrà a che fare con termini che, nelle prime pagine, sono affidati all’intuizione. C'è chi se ne delizia, chi tira avanti badando alla storia e chi preferisce le spiegazioni. Il famigerato Glossario Semialfabetico di Jack Geronte è a disposizione di tutti. Ci troverete i termini più rilevanti e, a seguire, un tratteggio delle vicende storiche connesse agli eventi. Le parole presenti nel glossario sono segnate in corsivo nel testo, alla loro prima apparizione.

    Sia chiaro che il Glossario e il suo autore non sono ben visti dagli Storici Imperiali. Per consultarlo si deve prendere la sotterranea che porta in fondo al volume. Giunti a destinazione sarà sufficiente rovistare tra le pagine e ricordarsi di dire: mi manda Jack.

    Antefatto

    Noi siamo geometrici. Guardiamoci attorno. Adesso. Rettangoli ovunque; le case, il cellulare, la finestra in cui incorniciamo il mondo. Un numero impressionante di rettangoli. Provate a contarli se ci riuscite. Abbiamo una vera passione per i rettangoli ma anche per i quadrati, per i cerchi e i poligoni e le stelle. E queste forme semplici influenzano i nostri pensieri e certe nostre emozioni. Allora chiediamoci, da dove viene questa passione per la logica geometrica e dove ci porterà? Ecco, così scriveva nel 2017 un anonimo autore del pianeta madre. Noi, quasi tremila anni dopo, sappiamo fin troppo bene da dove viene e dove ci ha portato.

    (J. Geronte. Discorso astratto numero 9, anno Unificato 1511 ovvero 5111 d.C.)

    1

    Nonome

    Non c’erano celle, non servivano. Il pavimento della sala operativa della Questura era rettangolare così come la porta, le scrivanie, le sedie e l’edificio stesso. Rettangolari e di color grigio-verde come quasi tutto il resto.

    NoNome se ne stava ginocchioni, mani legate dietro la schiena, sguardo fisso a quel pavimento. Prigioniera. Respirava a bocca aperta, ansimando senza far rumore, con il viso nascosto sotto una massa di riccioli rossi. La sua avventura era finita in uno dei luoghi più sperduti dell’intero sistema solare; l’avevano arrestata a borgo Granraccolto, su di un pianuroide arcaico e piatto come una tavola conosciuto con il nome di Granspica.

    Gli agenti in divisa elastica elettroblu seguivano alla lettera le procedure. Erano tre tipici octoni di sesso maschile, cioè dei di cubi carne larghi quanto doppie porte. Sfoggiavano mandibole squadrate e un’unica folta arcata sopraccigliare, ben evidente. La mancanza di astuzia era compensata dalla prestanza fisica e dalla massa muscolare che, dopo un millennio a gravità superiore a quella standard, li portava a pesare sui duecento chili. Insomma, erano dei veri octoni. La ragazza senza nome invece veniva dallo spazio, pochi muscoli e carne morbida; pesava meno di quaranta chili e lì, su quel vecchio pianuroide fuori mano, faticava anche solo a respirare.

    Due agenti analizzavano il materiale sequestrato; il capo, quello che sfoggiava il grado di triquadro d’oro, chiedeva e richiedeva alla ragazza nome, codice di registro, funzione sociale e corpo celeste di provenienza; tutte domande che i colleghi dei mondi di Fasciadensa si sarebbero risparmiati perché NoNome aveva la pelle di un rosso tanto scuro da emanare bagliori nerastri e questo era un dato identificativo più che sufficiente per capire ch'era una nativa del planetoide Fucina.

    Tanta ignoranza fu una piccola fortuna per NoNome proprio come lo fu il fatto che quegli agenti, a differenza della maggior parte degli octoni, preferivano le consuetudini internazionali dell’Umano Solare Impero a quelle locali. Per esempio profumavano decisamente di lozione al resinepino e non avevano l’abitudine d’interpretare le leggi imperiali per assecondare il Dom Protettore. I simpatizzanti di Dom Zorkar infatti avrebbero linciato quella dannata rossa figlia d’un vortice, e senza tante spiegazioni, in piazzetta Quadra dove era stata arrestata in flagranza di reato e con tanto di testimoni.

    I crimini compiuti erano penali. Dopo essere sbarcata illegalmente sul pianuroide aveva manomesso una delle sezioni a quadrelle della parete nel retro del municipio, si era introdotta di soppiatto nell’anagrafe e aveva tentato di rubare chissà che dati. Il che era strano perché l’anagrafica era pubblica e avrebbe semplicemente potuto aspettare che fosse giorno e chiedere all’addetta. E questo gli agenti proprio non se lo spiegavano. Oppure se lo sarebbero potuti spiegare additando come colpevole l'umanesido, il che era decisamente vietato. Il genere umano non era affetto da nessun tipo di decadenza mentale e chiunque affermasse il contrario era un nemico dell'Impero e della gloriosa Età dell'Oro. Anche per questo motivo, prima di consegnarla al dipartimento di Giustizia, gli agenti volevano vederci chiaro.

    Indagarono, requisirono, frugarono. Nelle tasche del manto da viaggio, trovarono numerosi aggeggi, probabilmente da scasso. Matrici fluide, rotatori dillinger, stiletti a lame corte, separatori di fase e ganasce magnetiche. Roba fina. Professionale. Dedussero fosse una ladra oltre che una vandala reticente che si ostinava a ignorare le loro domande. Così, per farle capire che tanto quel suo mutismo non serviva proprio a nulla, alle domande si rispondevano da soli, per deduzione, e a voce alta.

    – Vedi? Le scopriamo comunque le cose che vogliamo sapere! Che ti credi!

    Per esempio, il pianeta natale doveva essere Sagom34 visto che il velivolo monoposto della criminale era partito da lì, due anni prima; inoltre il mezzo era stato segnalato in varie stazioni e boe di servizio di Fasciadensa, posti poco raccomandabili come Nepide, Krob-skuan e pure Sette72Missusci. I furti dovevano rendere bene se poteva permettersi tutti quei viaggi. O era una spia?

    Tra il materiale sequestrato nel velivolo della ragazza trovarono anche un’arretrata unità di memorie. L’agente in capo ruotò il multiottaedro ottonato, la batteria era carica. Le facce triangolari s’illuminarono debolmente lungo precise linee prima invisibili. Era una sorta di diario di bordo indicizzato, strambo quanto tutta quella faccenda. Presero a visionarlo dall’inizio, come ogni buon agente quadro avrebbe fatto.

    Udirono un click e le note ascendenti di un motivetto. La voce suadente e notturna di un vecchio disse: Enciclopède d'arcaiche storie per ragazzi orfani. Pausa, nessuna immagine e, dopo la ripetizione dello stesso jingle, la voce del vecchio prese a narrare la storia di un ragazzo cresciuto negli avamposti lunari mille anni prima, quando la vita era pericolosa e l’umanesido non affliggeva ancora i popoli del sistema solare.

    – Ehi capo, ma questo potrebbe essere un vero racconto del passato! In tal caso sarebbe una violazione del Monopolio Storico Imperiale…

    Il triquadro d’oro si voltò con una certa stizza e una certa fatica dovuta alla massa muscolare.

    – Certo, giusto; avvisiamo subito l’esagono di sorveglianza Imperpol, così facciamo una figuraccia come la volta scorsa. Accidenti! Sono quelli come te che mi fanno pensare che ci sia del vero in quella storia della decadenza umana!

    L’agente quadro semplice corrugò il centro del sopracciglio.

    – Ma capo, lei non può credere nell’umanesido! È un reato!

    – Oh, per l'Impero! Certo che non ci credo. Era solo una battuta per dire che sei scemo. Ma ti devo spiegare sempre tutto!? Non hai ascoltato cosa ha detto il vecchio? Non è storia, nel senso di roba del passato, ma storie, al plurale, come i film a cui partecipiamo durante il ciclo Connessione.

    L’agente quadro semplice ammutolì. Forse il capo aveva ragione. Lavorare, socializzare, connettersi, dormire. Questi erano i quattro lati del ciclo di vita degli esseri umani che appartenevano alla geometria dei quadri. Otto ore ogni lato, per comporre il giorno locale di trentadue ore. E a ogni ciclo Connessione era possibile partecipare alle avventure che, in fondo, erano delle storie anche se multisensioriali.

    Bulkoc, così si chiamava il triquadro d’oro, si risistemò i calzoni tra le cosce.

    – Sai qual è il tuo problema Dellob? Hai troppo entusiasmo, ti ecciti per qualsiasi stronzata.

    Dellob tacque imbronciato. Il capo non capiva certe cose. Scoprire un reato contro il Monopolio Storico era un buon modo per avere una promozione, fare carriera.

    Appurata la natura ludica dell'Enciclopède, gli octoni si concentrarono sulle memorie incise dalla criminale. Posizionarono le sedie come pietre miliari, seguendo il lucore della griglia geometrale che divideva in quadrati perfetti l’intero volume dello stanzone. Le allinearono con una cura maniacale proprio come era allineato il resto dell’arredamento. Avviarono la riproduzione in modalità terza persona e campo lungo per garantirsi un certo distacco professionale, cosa non semplice perché la ragazza aveva un che d’esotico e le sue forme, come le sue movenze, erano decisamente conturbanti. Senza contare l’età. NoNome aveva meno di trent’anni e solo una percentuale infima della popolazione di Granspica era nella fascia under trenta. I giovani erano diventati rari da quando la durata della vita media superava i duecento anni. Se poi si contava anche la popolazione composta dai Venerati Anziani la curva di aspettativa media s’impennava decisamente ben oltre i trecento anni. Per questo i giovani erano tanto scarsi e facevano un effetto strano. Prezioso, sacro, oppure facevano un altro effetto, meno nobile. Era difficile dirlo. E gli agenti non erano immuni a questa malìa.

    Osservarono le registrazioni della ragazza in silenzio e con attenzione. Le immagini erano decisamente vivide, calde. Il triquadro d’oro smorzò l’illuminazione della sala per una resa migliore dei particolari. Si gustarono una passeggiata mozzafiato all’esterno del velivolo per la riparazione di un alettone, una languida partita a scacchi tra NoNome e il sistema di bordo e poi lei che leggeva poesie, lei che manovrava per evitare uno sciame meteorico, lei che si asciugava i capelli dopo la vapordoccia pasticciando col dito il vetro della telecamera. Gli octoni erano rapiti dalle materializzazioni luminose mentre NoNome, quella reale, sembrava una statua di lava sul pavimento color cenere.

    Tre ore dopo gli agenti arrivarono a una registrazione datata venti giorni prima. Il velivolo monoposto di classe nauti della criminale lasciava Fasciadensa per scivolare silenzioso, a propulsori spenti, oltre le quattro boe azzurre nel corridoio geometrico di lancio gravitazionale. Rallentava, si arrestava tra i lampeggianti arancio che segnavano la fine della zona a copertura del geom√, pronunciato geom, con la m lunga e vibrata. Da oltre un millennio i dati, le comunicazioni e l'approvvigionamento energetico dipendevano dal geom√ che altro non era che l’insieme dei programmi scritti dall'uomo in un subspazio del subuniveso, geometrico e bidimensionale, ipertangente al nostro.

    Questa storia della ipertangente il triquadro aveva sempre fatto fatica a immaginarsela. Di fatto però le cose stavano così: ogni differente punto del nostro universo risultava tangente sempre con uno stesso e unico punto di quell’altro subuniverso. E questo rendeva il geom√ disponibile ovunque; bastava essere in un’area servita da un’àshraba di connessione. Il che era un immenso vantaggio. Eppure NoNome stava per abbandonare questa sicurezza. Poche centinaia di metri oltre quel punto e il nauti avrebbe ricevuto il colpo di frusta necessario per affrontare lo spazio aperto. Un viaggio del genere con un monoposto non era uno scherzo. Le direttrici delle griglie d’orientamento geom√ s’erano già ridotte a quattro pallide linee subverdoline che si sfinivano nel buio creando un’illusione prospettica da brivido. Dicevano: se vai là fuori sei sola e sei morta. La rossa senza nome sfiorò la consolle con le dita, accarezzandola come fosse un cetobionte semivivente da compagnia; rassicurò la nave sussurrando parole in quella sua lingua vocalica e misteriosa. Un istante dopo la criminale e la sua nave balzavano avanti, nel buio, mentre la memoria luminosa si dissolveva nella stanza.

    Gli octoni tirarono su col naso e presero a esaminare l’ultima registrazione, quella che mostrava il nauti che riemergeva dalla spazio profondo e si avvicinava a Granspica.

    Le telecamere del monoposto erano in modalità meno-geom√ e quindi non rilevavano le grandi direttrici energetiche della griglia subspaziale. Le immagini che fornivano erano quelle che avrebbe visto un occhio umano nudo, senza le percezioni extra fornite da una telecamera o dalla pellicola in lacrifilm che proteggeva e potenziava gli occhi di ogni persona.

    Il pianuroide era un titanico rettangolo, piatto e lucente, affondato nello sprofondo nero del cosmo; niente altro. Metteva paura. E il nauti si avvicinava a quell’approdo in un silenzio irreale.

    NoNome riattivò la visione più-geom√. Il lucore emesso dalla grande àshraba spaziale divenne visibile; la griglia geometrale d’orientamento riprese a dar ordine allo spazio cosmico dividendolo in settori quadrati di un bel subverde pallido. Le rette subblu erano le linee di carico energetico, quelle subrosse le linee dati. Erano linee deboli e a passo largo, il che confermava l’arretratezza del luogo. Poca cosa rispetto allo spettacolo sfolgorante che la griglia offriva tra i pianeti di Fasciadensa ma era comunque sufficiente a spazzare via l'informe nero cosmico.

    Il nauti proseguì la manovra di avvicinamento. Da quella distanza si distinguevano nettamente le tessere quadrate da cui era composta la superficie del pianuroide. Dieci chilometri per ogni tessera con un’estensione totale di circa trecentomila chilometri coltivati a cereali. Sul monitor apparvero infine i simboli che indicavano i sei maggiori centri urbani di Granspica con i loro porti spaziali, una voce sintetica leggeva i nomi man mano che la ragazza li guardava. Tra i sei scelse Granraccolto. Il piccolo nauti virò cambiando inclinazione. Si mise nella scia orbitale del pianuroide secondo la procedura standard d’avvicinamento. Granspica, colpita di taglio dai raggi del sole, mandò bagliori lunghi e morbidi dai colori indescrivibili.

    – Per l’Impero! Ma quanto è bella?! – si fece sfuggire Bulkoc anche se, in qualità di capo e triquadro d’oro, non avrebbe dovuto lasciarsi andare a certi commenti. Gli octoni annuirono e alcuni avevano pure gli occhi lucidi; nessuno di loro s’era mai avventurato nello spazio, né avrebbe voluto farlo, ma per un attimo sembrò loro d’esserci davvero. Roba da brividi su per la schiena.

    Il primo a riprendersi da quel momento di debolezza fu proprio il capo. Il triquadro si alzò con fare deciso e afferrò la ragazza per i riccioli color rubino, che erano lunghi e molto soffici. Lo fece con parecchio garbo, solo per darsi un tono e costringerla a guardarlo negli occhi. Occhi resi totalmente neri dalla pellicola di lacrifilm. Proprio come i suoi.

    – Allora? Chi stavi cercando all’anagrafe? E perché? Vuoi che passiamo ad altri metodi? Lo sai che sei in un protettorato di Dom Zorkar e che qui non andiamo tanto per il sottile? – e nel dirlo lanciò un’occhiata alla tenebrosa riproduzione del Dom che troneggiava in alta uniforme quaddera dal fondo dell’ufficio. Ma quella nulla, non aprì bocca.

    Non è che facesse la dura, anzi; Bulkoc sentiva che gli tremava tra le dita ma, evidentemente, non aveva ancora trovato la leva giusta per farla parlare.

    – Le chieda di questo, capo… – suggerì Dellob, il novellino.

    Tra il materiale sequestrato sul nauti c’era anche una scatoletta in piastame riccamente lavorata e dentro, con un certo disappunto, avevano trovato un lungo psicoverme tenioide. Era rossiccio, molliccio, con la testa nerastra, e si contorceva appiccicoso dentro la sua gelatina. Droga per ricchi. Roba che dava dipendenza immediata. Bulkoc prese la scatola.

    –E questo? Ci tieni? Ti conviene parlare o puoi dirgli addio.

    NoNome si lasciò sfuggire una lunga riga nera di lacrime e distolse lo sguardo. Le tremolavano le labbra. Bulkoc sorrise, sentì di averla in pugno. Non per nulla era il capo. Le mise la scatola sotto gli occhi e, per farle capire che non scherzava proprio per un cazzo, prese a minacciare il tenioide con il pollice.

    – Allora? Lo schiaccio?

    La ragazza coi capelli color del fuoco socchiuse le labbra come per dire qualcosa, ma non disse nulla. Sporse la lingua in modo involontariamente seducente. Forse sfiorò uno dei pochi lunghi peli ispidi del tenioide. Ci fu una leggera scarica, come un piccolo arco di folgore celeste che partì dai tirchi apicali del verme, illuminò la bocca di lei e bruciacchiò i polpastrelli di lui. Odore di ozono.

    Nel subspazio la linea dati geom√ ebbe un’impossibile sovraccarico, come un gonfiore, mentre quella energetica fu percorsa da un’onda di luce subwhite. L’intera griglia geometrale della stanza sparì per una frazione di centesimo di secondo ma nessuno se ne accorse. C’era altro da guardare.

    NoNome, a occhi chiusi e bocca aperta, sporse in avanti il collo; aveva una ragnatela di folgori azzurrate tra la lingua e le labbra. Ingoiò il tenioide.

    Gli agenti le si lanciarono addosso urlando: no! E le forzarono la mandibola e le cacciarono le dita in gola ma la ragazza deglutì. Il danno era fatto.

    NoNome si fece d’un cupissimo rosso venato di cenere, madida di sudore, scossa dai brividi; i riccioli fradici le si incollarono alla fronte. Prese a schiumare, rovesciò gli occhi al soffitto contraendo la schiena in una sorta di attacco epilettico. Bulkoc l’acchiappò al volo impedendole di fracassarsi la testa sul pavimento grigio. Morbida e calda. E non pesava nulla; gli ricordò quella volta che da ragazzo aveva protetto nel cavo delle mani un uccellino.

    NoNome si fece floscia come un cencio di moull. Bulkoc bestemmiò.

    – Oh cazzo, questa la perdiamo! Maledetto il giorno che non è quadro! – imprecò l’uomo – Chiamate un dottore! Adesso, cazzo! Lo voglio adesso!

    – Un dottore… normale? – chiese Dellob.

    – Qualsiasi dottore, razza di cretino, porta qui chiunque capisca qualcosa!

    Era l’anno Unificato 1526 e fuori era appena iniziato tramonto68.

    Pianuroide Granspica

    …e proprio come noi, gli antichi avevano un rapporto ambiguo con la geometria e con il pensiero che ne deriva. Da un lato la consideravano una prerogativa umana, dall’altro ne intuivano il sapore alieno. L’incontro tra la scimmia e il monolite geometrico fa parte del nostro immaginario collettivo ma pochi sanno che non ha nulla a che vedere con il geom√. Ci arriva dal lontano 1968 d.C. L’idea fu di un certo Clarke e poi di Kubrick. In entrambe le versioni di Odissea Nello Spazio, la scintilla dell’intelligenza scocca quando l’animale-uomo incontra un parallelepipedo. Certo, per noi è un concetto scontato, all’epoca, però, era uno dei tanti modi di spiegare la differenza tra noi e il mondo animale. Ne ho scelto uno che mi piace particolarmente. Sentite cosa scriveva un drammaturgo irlandese di nome Shaw. L'uomo ragionevole si adatta al mondo. L'uomo irragionevole insiste nel cercare di adattare il mondo a sé. Quindi tutto il progresso dipende dall'uomo irragionevole. Ecco, in modo altrettanto irragionevole, io vi chiedo di sfidare la logica delle cose.

    (J. Geronte. Discorso astratto numero 13, aU 1511)

    2

    Bulkoc

    Anno Unificato 1528. Pianuroide Granspica, borgo Granraccolto, quarto piano, appartamento d’angolo, quattro stanze con quattro finestre di cui una occupata da una piccola àshraba di sesta subconnessa a quella di quinta piazzata nel centro della sottostante piazza Granrettangolo.

    L’appartamento era ordinato. Quel particolare tipo d’ordine fatto dagli uomini dal carattere preciso. Pareti e arredi color cobalto, a moduli quadrati. Un grande divano e una grande poltrona, tavoli a trasparenze, megaschermo per la stravisione geocom, luci diffuse in tinta. Niente roba inutile in giro.

    Finalmente a casa. Bulkoc prese a contorcersi per togliersi di dosso la divisa elettroblu che gli aderiva ai muscoli peggio di un mastice geloso. Aiutandosi coi piedi se la cavò e la tirò nel vano lavasciuga. Non è vero che il tempo aggiusta le cose. Da quando quella femmina rossa senza nome aveva ingoiato quell’accidenti di verme non si dava pace. Ed erano passati due anni. Due!

    – Ma che diavolo t’importa a te del perché e del per come, eh? Eh!? Non puoi metterti a salvare tutti i dannatissimi figli di spiroide che incontri! – si disse con le mani puntate al muro e la faccia allo specchio.

    Era una criminale e Giustizia l’aveva condannata. Fine. Non era colpa sua se quella da due anni era in coma; ingoiare quello schifo era stato un atto volontario, attraversare da sola mezzo sistema solare per fare una serie d’idiozie era l’ennesima prova dell’umanesido in atto, con buona pace per gli sforzi dell’Impero che tentava di minimizzare la percezione del declino mentale causato dalla vita nello spazio. L’umanesido era il prezzo da pagare per essere un grande popolo di stramiliardi d’anime in rotazione attorno a un sole che girava attorno a dei buchi neri. Quindi non aveva senso chiedersi perché l’avesse fatto. Anzi, chiederselo era l’ennesimo sintomo di regresso. Doveva convincersene. Scacciare l’idea che lei sapesse chissà cosa e lui no. Smettere d’indagare. Smettere di usare quella scusa per bazzicare le carovane di filaindiana. Smettere di guardare e riguardare il materiale sequestrato.

    Ma non smetteva. Forse perché un tempo aveva sognato di diventare investigatore imperiale. Be', non lo era, lo avevano scartato alle prime selezioni. Aveva ottenuto un punteggio ridicolo e un commento che ancora si faceva sentire, Non male, per un octone. E come ogni octone era lento e cocciuto; e non mollava la presa e se ne faceva pure un vanto.

    Mise la testa sotto il getto di vapore freddo. Voleva schiarirsi le idee per convincersi ch’era arrivato il momento di mollare, doveva riconoscere dov’era il confine tra essere tosti ed essere idioti. L’aveva superato da un po’, quel confine, vero?

    Primo meriggio, il ciclo Lavoro era finito e ora gli toccavano otto ore di ciclo Connessione. Nel resto dell’Impero la gente adorava stare in connessione, potendo non avrebbero fatto altro. Per Bulkoc non era così. Forse perché nel resto dell’Impero la gente aveva a disposizione milioni d’avventure, di spettacoli, di gare. Praticamente tutto. Ma qui no. Granspica aveva votato per la moderazione e Dom Zorkar ne andava fiero. Risparmi e aumento della produzione. Gratuitamente si accedeva solo ai notiziari di rete locale e poco altro, come quelle storielle sui contadini di successo. In alternativa c’erano le vecchie avventure della serie Asteriod Sbang Saga oppure la noia piatta di Vinci la spiga, i test delle Figure Perfette, la meditazione cubo-guidata e le corse di velocità nei tunnel pieni. E le community, naturalmente. L’unica emozione che gli suscitava tutto questo era l’impazienza di passare al ciclo successivo, alle otto ore di socializzazione dove avrebbe potuto andare in giro a far domande. Basta domande.

    Socializzare in modo sano significava il pranzo al Quadrato degli Agenti, la sala da ballo del circolo Trova il tuo Partner, le gite comunitarie per ammirare lo scroscio dati in movimento. O un giro sulla clessidra ottovolante che avevano costruito a Puntatriangolo. Bastava farseli piacere.

    Bulkoc si avvicinò al tavolo dove aveva disposto in quadrati concentrici le informazioni raccolte. Di cose in due anni ne aveva scoperte. Il tavolo era pieno di cubomemorie. La più interessante l’aveva pagata cara e per averla non erano bastati i contatti con quelli di filaindiana. S’era dovuto affidare a un quattromani dei peggiori, uno che si faceva chiamare Talpa, uno che non gli era piaciuto proprio per nulla. Gli ricordava certi teratos che aveva combattuto in un’avventura in Connessione. Talpa aveva arti sproporzionati e atrofici; labbra da rana e fiato fetido, a zaffate. E aveva il vizio di biascicare rumorosamente uno stecco che spostava con la lingua da un angolo all’altro della bocca mentre dava fondo alle sue doti di cacasenno. Se lo sentiva ancora in testa che diceva: …e quindi, caro il mio agente, credi ammé, ci sono solo due motivi per cui ci si prende la briga di manomettere i dati anagrafici di qualcuno. Il primo è aiutarlo, il secondo è fargli la pelle. Ci siamo capiti, eh?!

    No, il Talpa non gli piaceva, però grazie a lui ora sapeva che NoName stava mirando a qualcuno residente a tessera924. Il che era una vera fortuna perché t924 era una tessera del bordo e, come tutte le tessere del bordo del pianuroide, non si spostava mai. Per giunta era una tessera d’angolo, cioè ad alto rischio di mal di spazio e quindi poco abitata. In quel posto infame c’erano solo alcune cascine di octoni e alcuni importati ai domicili forzati, scaricati lì da vari pianeti del Protettorato del Dom. Solo loro e pochi altri riuscivano a vivere nella piccola frazione di Ponteprincipe, una manciata di case costruite sul baratro del mondo.

    Bulkoc aveva scartato gli octoni, su suggerimento del Talpa, e controllato i dati degli altri residenti. Mesi di lavoro fuori orario e sul tavolo ora aveva sei possibili identità bersaglio. Quattro di loro erano importati a soggiorno forzato. Imp-8973 detta Agnes, Imp-09485 detto Street, Imp-123098 detto Ulo e Imp-123099 detta Nira. Poi c’era un figlio d’immigrati terrestri, un certo Gustav Gleen Imm-2378999. Il sesto personaggio sospetto era un octone, Oct-66700332 ovvero fattore Petre Worer. Prima o poi avrebbe trovato una buona scusa per fare un salto da quelle parti e conoscerli di persona.

    Ma solo se non fosse riuscito a dare un taglio a tutta quella storia. Cosa che continuava a consigliarsi di fare.

    Darci un taglio non era semplice. Bulkoc era uno che si affezionava a quello che faceva. Per esempio, la memoria 8.75.1527 s’intitolava: Lei è una roug. Era il risultato della sua prima ricerca ed era una delle sue preferite. Aveva scoperto che NoNome apparteneva al piccolo popolo dei roug, l’unico geneticamente modificato nel sistema solare. Unico perché da 1528 anni, cioè dalla fondazione d’Impero, ogni modificazione era vietata. Era stata fatta questa eccezione perché il loro assetto cromosomico era inalterato da secoli. Inoltre le modificazioni erano solo adattive: la pelle rosso cupo e i capelli color fuoco permettevano loro di sopravvivere su di un planetoide che orbitava troppo vicino al sole, chiamato Fucina. A questo si doveva aggiungere che, durante la cospirazione degli amoral, i roug avevano combattuto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1