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Incubus
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E-book157 pagine2 ore

Incubus

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Info su questo ebook

Horror - racconti (115 pagine) - Undici racconti dell’inquietudine. Undici storie sul filo invisibile del terrore. Undici incubi che si annidano nella realtà quotidiana…


Abilmente celata nel quotidiano, la paura può assumere diverse forme, insinuandosi nella nostra mente con i suoi gelidi tentacoli.

Cristian Borghetti ci accompagna in un luogo dove nulla è ciò che sembra, tra ombre, ossessioni, deliri ed esseri soprannaturali. Perché la paura può assumere molte forme…


Cristian Borghetti è nato il 10 settembre 1970 a Lecco, dove vive e lavora. Ha pubblicato romanzi con diverse case editrici: Ora di vetro (Montedit), Tre volte all'inferno (Perdisa Pop), Le cabinet Masson (StreetLib), Phobia (StreetLib), Hawthorn bend (StreetLib), Incubus (Weird Book). Suoi racconti sono usciti in diverse raccolte come 365 Storie Cattive (AISEA ONLUS), Le Nereidi – (Circolo della trama), Tremare senza paura e Horror Polidori Vol. 1 e 2 (Nero Press Edizioni), Malombre (Dunwich Edizioni), Cuori di Tenebra (Weird Book).

Ha collaborato con brevi articoli e interviste per i blog La tela Nera e Orasenzombra.

Fa parte dell'ufficio stampa de LA RETE per cui scrive articoli per Praesidivm.

LinguaItaliano
Data di uscita6 ott 2020
ISBN9788825413229
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    Anteprima del libro

    Incubus - Cristian Borghetti

    Praesidivm.

    Alla fine dell’estate

    Li trovarono ancora legati, nonostante le onde alte almeno tre metri avessero investito con forza il molo per tutta la notte.

    Alex era con loro.

    Quando, alle prime luci dell’alba, arrivammo alla spiaggia di Ocean Grove, dovemmo farci largo tra la folla: gente del posto, giornalisti, curiosi, tenuti a bada dalla polizia, che aveva circoscritto la zona in prossimità dei pali dove degli innocenti erano stati giustiziati.

    Regnava un surreale silenzio; solo i flash delle macchine fotografiche esplodevano come lampi di un temporale in arrivo…

    Nessuno poteva credere che fosse accaduto, che fosse tutto vero.

    L’odore del mare, forte come mai lo avevo sentito in quarantacinque anni, mi bruciava le narici, coprendo il lezzo pungente che veniva da sotto il pontile.

    Avevo sempre raccomandato ad Alexander di non dare retta agli sconosciuti, come potevo immaginare…

    Il vecchio, disteso faccia a terra sul pietrisco, ammanettato con lacci di plastica, con la mascella rotta, non era uno sconosciuto.

    Cosciente nonostante il colpo ricevuto, con gli occhi spalancati, ci guardava, interrogandosi su cosa fosse successo. Avrei dovuto saltare il cordone della polizia e ammazzarlo con le mie mani, le stesse che erano state riconoscenti con lui. Come me, però, nessuno dei genitori accennò a una reazione. Soltanto l’agente Coltraine, seduto in disparte, con la testa fra le mani, lo aveva colpito con un gancio così potente da renderlo inoffensivo.

    Tutti conoscevano Rupert il pugile, il campione dei massimi del corpo di polizia di Ocean Grove, un gigante buono, che si era trovato a passare di lì lungo il suo giro di corsa. Era stato attratto al pontile dal tredicesimo bambino, chissà come sfuggito alle grinfie di quel demonio.

    Il piccolo Jacob era stato l’ultimo della conta… Aveva aiutato il vecchio nel suo folle disegno, senza rendersi conto del pericolo, per quanto possa rendersene conto un bambino di undici anni, quanto sono incoscienti e spericolati a quell’età; quanto lo era Alexander.

    Così vivace, impetuoso, sempre pronto a correre un rischio sulle attrazioni più alte e veloci dei luna park… Credo avesse preso da Catherine, la mia compagna, sua madre.

    Ringrazio Dio per averle risparmiato questo dolore: se ne è andata l’anno scorso, dopo una lunga agonia; non avrebbe sopportato nulla di simile.

    Eravamo una bella famiglia Cath, Alex e io, fino a che lei non si è ammalata; dopo è arrivato lui, il vecchio. Avevo bisogno di una mano con Alexander, lui sembrava una persona a modo. Abitava a pochi passi da casa nostra, era affabile, gentile con noi e sopratutto con i piccoli…

    Con il tempo mi ero fidato di lui. Aveva le chiavi di casa, accompagnava Alex a scuola, ai tappeti a molla a saltare, al campo di baseball a giocare.

    Il mio piccolo campione…

    Lì a terra, a pochi passi da me, c’era la sua maglietta numero 32, l’età di sua madre.

    Oh, mio Dio! Cath perdonami! Per cinque lunghi anni gli ho affidato il tuo bambino!

    In quella mattina di settembre, qualcuno si appartò per piangere, altri per vomitare, altri per non svenire: nessuno di noi voleva dare soddisfazione al mostro e alla sua follia: dodici bambini di undici anni, maschi, nudi, legati ai pali del pontile, lasciati lì a morire consumati dal sole e dalla furia del mare.

    Oh, se penso alla sofferenza, al dolore di Alex!

    – Ragazzi – disse loro il vecchio con la sua voce roca e rassicurante – andiamo a giocare giù al molo…

    – Sìììììì – risposero i bambini, euforici, pronti per una nuova avventura – andiamo al molo! Al molo!

    Amavano quel suo modo di fare, i giochi che sapeva inventare, i luoghi in cui li portava e li faceva divertire; il mio piccolo mi raccontava sempre, orgoglioso e felice, delle avventure a cui aveva preso parte. Non era la prima volta che andavano al molo, abbandonato da tanti anni, ci erano già stati, si erano divertiti.

    Eppure, avrei dovuto capirlo o ascoltare chi mi aveva messo in guardia; avrei dovuto fidarmi del mio sesto senso, della mia vista, del mio udito, quando… Anche gli altri genitori avevano un’ottima opinione del vecchio, sempre disponibile.

    Oddio, se ripenso alle sue mani in quelle di Alex, alle sue dita nei capelli che facevano capolino sulle spalle, che gli accarezzavano la schiena…

    Non facevo altro che rivederlo, mentre toccava il suo viso, la sua bocca, le sue braccia, le sue gambe, quando si prendeva cura di mio figlio ammalato e poi lo baciava.

    Come ho potuto?

    Dio mio, cosa ho fatto?

    Le onde s’infrangevano sulla riva, sollevando pietre e conchiglie, la risacca era forte e ritraeva il mare con una violenza che…

    Cosa nascondeva il volto rugoso del vecchio, dietro il moto ondoso dei solchi sul viso, solo apparentemente tranquillo?

    Odio, ecco cosa. Odio covato in segreto per anni, riversato, poi su di noi, come una furia cieca e devastante, tutta in una notte. Nessuno poteva fermare l’acqua e l’acqua aveva spazzato via i nostri bambini…

    Di lì a poco, la polizia cominciò le operazioni di recupero: uno a uno, i cadaveri furono slegati, deposti a terra e coperti con lenzuola bianche, come quelle del suo lettino che, da lì in poi, sarebbe rimasto vuoto, come un enorme buco nero che niente avrebbe più riempito; nero come i dodici sacchi di plastica, preparati dal Coroner.

    Li attendeva l’obitorio; ci attendeva il riconoscimento, il momento peggiore.

    L’ultimo a essere slegato fu Alexander, il primo della conta. Lo raccolsero come Cristo liberato dalla croce, sbiancato da un pallore disumano, brutalmente offeso dalla furia incontenibile del mare, martoriato dal pietrisco, dalle corde strette.

    Lo adagiarono sui sassi bianchi…

    – Eccoci arrivati! Attenti a non scivolare, mi raccomando – disse loro il vecchio, sempre attento e premuroso. – Oggi giochiamo ai Normanni. – La sua voce li rassicurava e allo stesso tempo li incitava. – Chi sa dirmi come era fatta una delle loro velocissime navi da guerra? Ricordate cosa c’era sulla prua? Chi sa dirmelo?

    – Una Chimera rispose il coro eccitato e scalpitante.

    Continuavo a fissare il vecchio. Cosa lo aveva cambiato così repentinamente dall’oggi al domani? Lo avevo visto uscire con Alexander, mano nella mano ieri mattina, salutare i vicini e prendere con sé anche i loro bambini…

    Mi fidavo di lui.

    E non io soltanto.

    Domande, troppe e inutili!

    Dio, quanto tempo avrà impiegato a completare il suo assurdo gioco di navi da guerra?!

    Come?

    Quando?

    Perché?

    Ancora domande.

    Dio dov’eri, quando tutto questo è successo?!

    Ed eccolo lì, il vecchio, come se nulla fosse accaduto. Due occhi spiritati, dietro la ragnatela del vetro rotto di un paio di occhiali, ci passavano in rassegna, uno a uno, sfidandoci apertamente. Non ero certo di poter sopportare ancora la sua assurda tranquillità senza reagire.

    Guardò ognuno dei presenti con aria compiaciuta, accennando un saluto di riverenza, abbassando il capo verso terra. Poi arrivò a me, fissandomi con lo sguardo vacuo, abbozzando un sorriso da ebete, con le sopracciglia alzate e un ghigno idiota tra le labbra…

    Non potei resistere oltre. Non potevo, per quel figlio non mio che tanto avevo amato, per sua madre, sopportare quella sua assurda smorfia di compiacimento stampata in faccia senza reagire. Le dita si strinsero in pugni serrati; le ginocchia, piegate, si caricarono per il balzo, ma il cordone della polizia era una barriera impenetrabile, un muro umano di divise blu, macchiate di sale e sudore.

    Mi chiedevo come potessero resistere loro stessi alla tentazione di farlo fuori, lì, seduta stante.

    Una scarica elettrica mi attraversò dai piedi alla testa; sussultai, mosso da una pulsione che mi spingeva a compiere qualsiasi gesto pur di avere soddisfazione e vendetta, un gesto come sfilare una pistola da una delle fondine, che erano così vicine e, con un movimento rapido, tolta la sicura…

    Un colpo, uno solo alla testa…

    Poi, fine del moto ondoso, del vecchio, fine di tutto!

    Tutti avrebbero ascoltato tuonare il colpo, visto la testa esplodere in una nube rossa, carica di sangue, ossa, cervello, un miscuglio spappolato pronto a piovere sopra ogni cosa.

    Mi guardai attorno, pregustando il momento, poi abbassai lo sguardo: eccolo lì Alexander, il primo bambino.

    Ah, Padre celeste, perché?

    Perché proprio lui?!

    Completamente nudo, livido, gonfio, con gli occhi fuori dalle orbite, pieni di sangue; le labbra cianotiche e i segni delle corde che lo avevano legato al collo, ai polsi, in vita, alle caviglie: quel demonio lo aveva crocifisso!

    – Facciamo la conta, poi prendiamo le corde dal furgone. – Il vecchio aveva premeditato tutto, preparato con cura il suo piano. – Ci sono dodici pali, dodici navi, dodici prue, a ognuna la sua Chimera. Siamo una flotta normanna che sfida l’oceano…

    Il vecchio esercitava una potente influenza e fascinazione sui bambini; riusciva a convincerli, coinvolgerli, con facilità…

    – Io sono il capo, il saggio, io che porto i segni delle ferite di guerra – diceva mostrando la cicatrice di un intervento cardiaco, che divideva in due il petto glabro, flaccido e cadente – mentre il tredicesimo di voi, estratto a sorte, sarà il comandante della flotta e capo di tutte le navi. La sua sarà l’ammiraglia: eccola!

    Indicò il palo centrale, il primo davanti al mare, con tanta passione, che i bambini cominciarono subito a chiamare in causa la sorte.

    Cominciò la conta: Alexander fu il primo, Jacob il prescelto.

    I bambini furono issati sui pali, uno dopo l’altro, assicurati per i polsi ai ganci arrugginiti, un tempo utilizzati per ancorare le barche, poi legati per i piedi, la vita.

    Il vecchio sapeva che da solo non sarebbe mai riuscito nel suo intento, ma con una squadra, una flotta di fedeli guerrieri…

    Tutti parteciparono al completamento del macabro disegno di quel pazzo: Jacob, da comandante, lavorò più di tutti e fu legato più in alto, sull’unico palo che superava il pontile in altezza.

    Fu la sua fortuna. I bambini, ormai crocifissi da più di un’ora, sotto il sole cocente delle due del pomeriggio, cominciarono a lamentarsi: – Fa caldo… Ho sete… Le corde stringono… Mi fanno male le gambe, le braccia… Sono stanco… Questo gioco non mi piace… Voglio andare a casa…

    Casa: nessuno vi avrebbe mai più fatto ritorno… Soltanto Jacob. Quel demonio voleva continuare a giocare nonostante tutto e tutti e lo fece, per Dio se lo fece, stringendo loro un cappio attorno al collo per farli tacere.

    Poi tornò da Jacob: – Avanti Comandante! Seguitemi!

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