Fiammiferi
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Anteprima del libro
Fiammiferi - Gabriele Ametrano
cenere
Introduzione: Il viaggio, i temi
Siamo Fiammiferi e viviamo in un mondo di cera: un sonno, un sogno in cui ogni uomo è ravvolto; il dubbio, il buio in cui ogni uomo è nascosto; l’illusione, l’immedesimazione in cui ogni uomo è assorto.
Siamo Fiammiferi e viviamo in un mondo in cui le forme si sono dissipate ineffabili, metafisiche e astratte, dissolvendosi in dubbiosi e oscuri sogni su una tela dimenticata: un confuso puro schizzo, difficilmente completabile e stentatamente comprensibile se non fosse per l’intervento del poeta che, accorrendo in nostro aiuto, demiurgo del ricordo, mette a fuoco, immagina, esaspera, impagina.
Siamo Fiammiferi, come la poesia, un fiore raro, ma effimero per un Dio che, con gusto beffardo, condanna il poeta alla pittura: dipinge il poeta, dipinge nelle tenebre, sulle tenebre e con le tenebre sprazzi di tenebre, tanto che ormai più l’oscurità che la luce ama, più il male che il bene.
Siamo Fiammiferi, come i fiori, come le poesie che dunque sono floreali enti: se qualche lettore s’azzarderà, senza paura, con tanto coraggio, ad avvicinarsi alle mie rime, cogliendole le vedrà sfiorire eternamente attraenti tra le mani, invece annaffiandole ne godrà (questo io spero), inebriandosi dell’essenza più profonda: o ne amerà il messaggio soffuso nei petali, impresso nei soffici pollini, o ne sarà tremendamente allergico.
L’unica certezza è che alla lunga delle mie poesiole farà quel che vorrà, trapiantandole nel proprio spensierato e fecondo giardino, ma almeno, come io auspico, non ne resterà totalmente indifferente.
E allora non esito a dirvi di rendere questo libretto, fin da subito, vostro: ascoltate la mia voce su queste carte, ma osservate coi vostri occhi questi Fiammiferi, effimere stelle in cui confluiscono convergenti universi, ognuno dei quali è scritto per noi, e che vanno solo decifrati. A ognuno di voi e a me una propria chiave di lettura: usiamo i nostri occhi come specchi che rendono tutto più bello.
Non a caso per i miei versi confido nella capacità dell’uomo di trovar beltà e poesia anche dove magari non ve n’è: ognuno vede quel che vuole vedere e quindi vi chiedo il favore di partir col presupposto di cercare per trovare una qualche bellezza.
E la bellezza è il nostro punto di partenza.
Bellezza: il riflesso del nostro amore, l’espirare della nostra anima, la firma del nostro essere uomo che deve affermare la testimonianza del suo essere vivo e che deve cimentarsi nell’espressività e cementarsi nell’immortalità.
Proprio l’uomo è bellezza e in quanto tale deve esprimersi, esternando la propria essenza per percepire ed elargire agli altri la propria estasi e realizzazione. E dunque per tal motivo io, che dalla sua ricerca sono stato mosso, mi chiedo come sia possibile che alcuni uomini rinuncino ad essa o percepiscano come inconcepibile la bellezza, l'arte, ed è ancora più difficile spiegarsi come sia possibile che molti non ne sentano né la necessità né la presenza.
Forse è la loro usuale abitudine.
Forse soffrono davvero la mancanza del bello.
Forse è la loro mancanza di abitudine all'arte, o forse è la loro abitudine ad accettarne la mancanza.
In effetti un uomo che tanto a lungo ha patito l'oscurità, che tanto a lungo è vissuto nelle tenebre più dure, una volta alla luce, deve cercare di riabilitarsi, ma impulsivamente e istantaneamente socchiude ferreo, ma involontario, le palpebre.
Così chi ha vissuto senz’arte, una volta che ne entra a contatto, ne sente una spontanea repulsione e ne soffre una parziale, se non totale, cecità.
E fa male attendere inutilmente o in modo estenuante il sole, e fa male affidarsi al lume dei fiammiferi, se non ci si identifica in questi oggetti effimeri.
Il rimedio a questo patimento è però insito nella nostra natura e non possiamo quindi cercare nessuna giustificazione.
Infatti anche nel buio esiste l’arte e anche nel buio esiste la luce: proviene sempre dai nostri occhi, ma soprattutto e innanzitutto dall'anima, dai nostri sensi. Infatti l’arte non è solo vista, ma è molto altro: è godimento per il nostro tatto, perché potremmo cercarla a tentoni anche nella caverna meno luminosa; è percezione uditiva, perché del suo flusso, caducamente atemporale, ne potremmo contare i fluviali mormorii; è aria inebriante, perché ne percepiamo l'essenza celeste e cristallina e infine è assaggio, perché l'arte è soprattutto poesia e i suoi versi, sia i suoi malleabili suoni sia i suoi articolati anfratti, io voglio pronunciare, e voglio sentirli risuonare dal profondo della gola fino alle punta più estrema delle mie labbra.
La bellezza è tutto questo: una stupefacente meraviglia e un mirevole stupore sono impressi nell’animo e, se adeguatamente stimolati, eclissano e surclassano quel dannoso estetismo fine a se stesso. La vana estetica non ci lascia nulla: appaga in modo effimero i nostri bisogni, quelli più superficiali, ma paradossalmente li aumenta, creando una dipendenza esasperata, e quel vuoto che ci lascia, quel vuoto con cui ci ripaga, diventa sempre più ingombrante e insopportabile.
E tu perdi la tua essenza, perché l'estetica è qualcosa di artificioso e artificiale che deturpa e contamina la tua purezza: spero di esser riuscito a evitarla.
Per la bellezza il discorso è diverso: poiché essa nasce da un'esternazione dell'uomo, esprimendo sia i sentimenti più limpidi sia i più perversi, riassimilarla equivale quindi ad un ritorno alla bellezza stessa e di