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Transiti d'infanzia nell'oscurità
Transiti d'infanzia nell'oscurità
Transiti d'infanzia nell'oscurità
E-book172 pagine2 ore

Transiti d'infanzia nell'oscurità

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Info su questo ebook

Letture d’infanzia: narrazioni non per bambini, ma di bambini; vivi, vivi di vita propria, lontani dallo stereotipo gentile che rasserena i loro adulti. Carichi, a volte travolti, da passioni arcaiche, prossime alle radici del mondo, che essi, forse, sanno ancora sentire.
Letture partecipi e quindi inquietate di storie corrusche, in cui la nascita ritrova il suo senso di evento crudele, e non così distante dal rischio di perdita e di morte. Esercizio di conoscenza: letterario, certo; di passioni profonde, sorprendenti e inattese; ma soprattutto esercizio di costruzione di una pedagogia ancora capace di condivisione e di immedesimazione, di un impegno per comprendere, ed aiutare a crescere, senza troppo cambiare. Come dice uno dei protagonisti, che: “… vuole carpire e comprendere come si nomina il mondo e se nominarlo fa accadere qualcosa”; ciò che noi chiamiamo magia, non sempre (o quasi mai) innocente. T.G.
Francesco Caggio, pedagogista, è autore di numerose pubblicazioni sui servizi educativi per l’infanzia. Dirige la rivista online “Interventi educativi, conversazioni sulla cura”. Vive e lavora a Milano.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mag 2020
ISBN9788832761276
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    Anteprima del libro

    Transiti d'infanzia nell'oscurità - Francesco Caggio

    legge.

    Introduzione

    Il primo bambino che incontriamo finirà col diventare, cercando disperatamente il padre, un bambino-pesce, aprendoci così alla conferma della doppia natura dei bambini: in parte del consesso umano e in parte di madre Terra, ogni qual volta non hanno più collocazione qui fra noi.

    Di un’appartenenza cosmica sono i bambini di Anna Maria Matute; bambini altri e quindi spesso abitanti dell’oltre. Poco più in là, grande sognatore, c’è Miguilim anch’esso in parte malato, ma poco cosa.

    Sensibile come una foglia; tal quale alla Bambina che verrà poi, che attende di guarire con gli occhi: sperduta con la sua infanzia malata in un ospedale.

    Arriva, con vicende simili - e non poteva essere diversamente - a quelle dei bambini che la precedono, Meta, vitalmente innamorata del legno della botte che la contiene in castigo, condannata poi a tradirsi stabilmente. In sua compagnia incontriamo poi le bambine di Cora Sandel, che respirano lungo le strade e raccolgono anemoni, ma non solo; con loro, altri bambini costretti e delusi, come la Bambina di Rosetta Loy, irretita nelle recite sdolcinate e ferree della madre.

    Dopo di questa c’è Hildegart, pallida figura sullo sfondo della vicenda della madre e c’è ancora un’altra Bambina, ambedue prese da efferati delitti che inverano le diffuse fantasie di morte che aleggiano sui bambini; bambini che a furia di giocarci ci restano come se fosse passato un angelo a realizzare l’evocato.

    Come accadrà nella vicenda di Marina che chiude il cerchio.

    Un fragile incanto

    fluisce la vita tradita

    Leggendo:

    Čingiz Ajtmatov, Il battello bianco.

    Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1991.

    Prendimi con te sul battello e io

    ridiventerò il tuo solito figlio. ¹

    Forse il pensiero magico, l’animismo e l’onnipotenza infantile sono la difesa estrema e necessaria ai bambini per non soccombere da subito di fronte ai dati di realtà; essi sono preveggenti e sanno come potrebbe andare a finire per loro, soprattutto quando sono in una situazione al limite, a rischio e indefinita, sempre in allerta per la propria stessa sopravvivenza. Allora sì che avere un fiorito pensiero magico, avere un vivido pensiero animistico, avere la capacità di prefigurare il futuro e ogni giorno che viene secondo i loro piccoli e disperati desideri, allora sì che tutto questa diventa fughe incantate, oasi di un mondo tutto per sé, per i propri occhi e per la propria testolina che pensa e ripensa e ragiona e discetta e giudica i grandi e le cose che vanno accadendo. Ultimo diafano, seppur ben costruito e strutturato discorso di consolazione, tutto l’affannato pensare del bambino: consolazione fatta di mito e di poesia per reggere al tradimento che viene perpetrato ogni giorno contro la propria piccola persona, pur esuberante di una vitalità irrisa, misconosciuta e non vista.

    Come diceva la nonna: da tempo il fiume avrebbe lavato le sue ossa, trascinandole dritto nell’Issyk Kul’, dove i pesci e tutte le creature acquatiche le rimirerebbero. E nessuno starebbe a cercarlo, ad affliggersi per lui - perché non varrebbe la pena di gettarsi in acqua, dato che di lui nessuno ha bisogno ². E non poche volte accade che dei bambini non ce n’è alcun bisogno; sono antieconomici, sono fuori da un discorso economico; anzi. Ci sono e riescono ad esistere se li si colloca in un territorio non governato dall’economia.

    D’altra parte poi la nonna non lo considerava nemmeno della famiglia perché non era suo nipote, se non acquisito e diceva che era un estraneo: E un estraneo è sempre un estraneo per quanto tu lo nutra e lo accudisca. Un estraneo… E se lui non volesse esserlo, un estraneo? Perché poi proprio lui? La nonna sì che è un’estranea, piuttosto! ³, pensava invece il ragazzetto precisando che i punti di vista fra adulti e bambini non sempre coincidono.

    Ma la nonna intuisce, nella sua impossibilità di governare e forse liberarsi del piccolo, che il bambino, per quanto solo, ha tanti amici con i quali parlare e che lo tengono in vita: è pur vero che non sempre gli adulti sanno quello che di vivo e segreto i bambini hanno tutto per sé. Il mondo è molto generoso con loro perché essi lo partecipano o lo rivitalizzano con gli occhi, le mani e i pensieri neonati, allertati ed espansi. Hanno i loro presepi viventi: allora c’è il masso cammello accosciato, e ancora il masso sella, e ancora quello lupo e infine il masso preferito il masso "thank" ⁴.

    Ma non solo; non bisogna dimenticare i vegetali! Divisi come un gruppo di amici ⁵ in i preferiti, i coraggiosi, i paurosi, i cattivi e fra di loro morbide e amate le campanule vengono accarezzate dallo sguardo del bambino che infine arriva alle arudinarie - le preferite - steso. Si sta al caldo e tranquilli. E, soprattutto, non nascondono il cielo… . Ogni tanto, oppure spesso, il bambino ha bisogno di ritrovarsi: "Bisogna stendersi sulla schiena e guardare in alto. Dapprincipio attraverso le lacrime non si vede quasi niente. Ma poi arrivano le nuvole, e tu distingui lassù quello che vuoi. Le nuvole lo sanno che tu non sei contento, che te ne vorresti andare, dove che sia: oppure prendere il volo perché nessuno ti ritrovi,…" . Certo, quando si sa che gli altri possono fare a meno di te e che tu sei lì a dar fastidio si vuole solo morire, affinché gli altri ti piangano e sentano la tua mancanza. Ma sarà così? Desiderio di esserci con la fantasia di sentire, una volta andati via: "‘È sparito, il bambino, dove ritrovarlo, adesso?…’ E perché questo non accada…, le nuvole si trasformeranno in tutto quello che vorrai tu" .

    Seguire le nuvole è tenersi compagnia con tutti gli esseri viventi che guardano giù con le loro diverse forme che mutano; guardare i mutamenti lenisce sperando così che qualcosa accadrà anche a chi e per chi le segue. Divagare è sottrarsi al quotidiano.

    E guardare il cielo è forse la prima forma di preghiera perché le parole nella concavità del cielo trovano posto.

    Ma cosa sa la nonna di tutto questo? Certo non sa che è vivo, che ha per amiche persino le nuvole e che può andare, con loro, dove vuole. Che lo cerchi! È inutile che poi urli e faccia scenate, tanto lo rimprovera sempre, anche quando se ne sta segretamente nascosto con il suo binocolo a guardare il lago. La sua meta, là dove deve andare. Tanto non lo cercherà, lo dice sempre!

    Le nuvole: sì, rivolge spesso lo sguardo al cielo cercando un segno, una scia, un avvertimento che qualcosa possa accadere di nuovo; il cielo è il luogo della speranza.

    È lì che corrono i pensieri vagabondi che lasciano pensare di poter andar via, elevarsi, ascendere, forse risorgere. E ancora forse è il luogo dove qualcuno da lassù ci guarda, ci segue creandolo volta per volta nel modificare la forma delle nuvole così docili o dando nome al loro divenire.

    Non solo massi, non solo vegetali, non solo nuvole, ma ci sono anche il binocolo, la cartella: con tutti questi oggetti, parti di se stesso, il bambino colloquia fitto, fitto…, come anche con il battello bianco. Il bambino, attraverso il suo incalzante colloquiare, passa i giorni a costruire il suo mondo fantastico pur sapendo bene che realtà poi ogni giorno incontra.

    Altro che la nonna e il brutale capo guardia forestale! Cosa sanno mai loro del battello bianco che fila liscio ed elegante, silente eppure movimentato sul grande lago dove la nonna lo vede già annegato?

    Intanto nel fiume non annega, per ora. Per fortuna che il nonno gli ha costruito un argine che difende i suoi lunghi bagni ed immersioni dalla irruente corrente del fiume. Un laghetto tutto per sé dove giocare a fare il pesce guardando a occhi aperti il fondale; un altro mondo, limpido. Semmai potesse trasformarsi in un pesce! Potrebbe andare via scendendo a valle verso il padre che fa servizio nel battello bianco che lui stesso, allungato per benino fra i massi e con il binocolo, cerca ogni volta all’orizzonte.

    Il nonno non solo gli ha costruito con le sue mani l’argine sicuro, specchio e contenitore della sua seconda storia, ma è con lui che parla della grande Madre-Cerva.

    Pensiero magico, animismo e onnipotenza narrativa vengono donati ai bambini dagli adulti che ancora credono che ci siano storie che ci possono salvare; che ci siano storie che ci proteggono e che quindi possono salvare e proteggere ancor prima i bambini. Forse questa capacità di costruire storie per sé, di costruire impalcature narrative con una salvifica articolazione che dal passato porta i bambini a immaginare il proprio eventuale futuro è il dono che l’adulto fa al bambino ogni qual volta lo tiene accanto a sé radicandolo nel proprio petto accogliente e protettivo. L’adulto, che si fa cassa di risonanza per l’irruenza vitale del bambino, sa che poi lui andrà via lasciando andare il bambino; bambino che se ha storie sarà sostenuto da queste nella sua sempre rinnovata ricerca del desiderato. Con un pieno di storie il bambino può andar lontano dal corpo amato e amabile del suo adulto senza perdersi.

    L’adulto amoroso e libero trepida al pensiero di cosa possa accadere al nuovo viaggiatore: cosa gli accadrà? Allora è bene che abbia avuto il testimone di parole magiche per continuare a sognare, per continuare a sperare.

    Che storie consegnare ai bambini? Cosa porre nelle loro teste affinché si proiettino nel futuro saldamente ancorati alle proprie radici?

    Senza sogni, senza speranze e senza miti su cui fondare e dare senso a se stessi nel cosmo e nell’ordine delle generazioni, chi siamo noi? Chi siamo se non disorientati e sradicati esseri ingrati e irriconosciuti a noi stessi medesimi? Chi siamo? Ciechi senza alcuno specchio per riguardarci nello sguardo di chi ci ha generato, amandoci.

    E ancora: ma, il desiderio di vita nasce proprio dal pensiero magico, dall’animismo e dall’onnipotenza infantile che gli adulti sostengono? E quando si spegne definitivamente? C’è un passaggio luttuoso per tutti, a volte definitivamente luttuoso, con la perdita del bambino stesso; perdita anche di questo bambino che crede, fra le tante altre cose, alla vita autonoma e affettuosa, tutta per lui, del battello bianco. Molti bambini si sono persi nel passaggio luttuoso che dovrebbe aprire, invece, al desiderio di progettare oltre e attraverso il sognare. Adulti che sognano e progettano; il nonno sogna, lavora, progetta anche un futuro per il piccolo, ma non riesce a rompere il circuito mortificato e mortificante della sua famiglia. Forse è la percezione da parte del bambino di una certa impotenza del nonno ad aprire un nuovo corso per il bambino che si costruisce la sua storia, quella tutta per sé. Ha due possibilità! Bisognerebbe sapere però che storia si racconta: le storie a volte sono anche profezie non sempre fauste e questo molto dipende dagli adulti con i quali il bambino condivide i suoi giorni.

    Allora che sia degno d’amore l’adulto: per essere amati dai bambini forse bisogna stare, come adulti, nel luogo della dignità, essere adulti con dignità, essere eticamente irreprensibili, pena perdere credibilità e ascolto. …con sua grande amarezza gli adulti non si comportano come al ragazzo sembrava giusto .

    Il piccolo è molto severo e selettivo, sa di chi diffidare, sa chi non è affidabile, sa che deve guardarsi da chi ha intorno. È già stato tradito una volta quando la madre lo ha abbandonato al suo tenerissimo nonno, rimanendo egli estraneo agli altri; casualmente visto.

    Certo! Un bambino può essere un estraneo per gli adulti che lo circondano perché rappresenta molto delle assenze, delle nostalgie e dei desideri rimasti incompiuti in adulti fattisi sfilacciati e consunti dai propri lutti mai del tutto pianti, compresi e portati al sacro. Ma egli, nonostante tutto e malgrado tutto, ha il nonno: è proprio vero che basta solo una persona ad amare un bambino perché questi fiorisca, perché questi sorga alla parola, alla storia e alle storie e ne abbia per sé per riuscire ad immaginare possibili vite. Bisogna pure aver un’alternativa nella vita, ma che sia però vitale. Come fa il nostro bambino a distinguere se la sua seconda storia è poi davvero vitale? È una possibile ulteriore e concreta fuga dal suo piccolo mondo? Mondo che per lui è comunque pur sempre, ogni giorno, così ricco e stratificato e sorprendente; alle umiliazioni si risponde da sempre con l’immaginazione che non ha limiti.

    Fremere di vita e far fremere di vita ogni masso e ogni sua gibbosità sono magie che solo un piccolo può avere e coltivare proprio perché solo, in una fervida e creativa solitudine. Se l’oasi in cui si rinchiude è circondata da adulti altrettanto creativi.

    Per altro per quanti altri è possibile pensare di essere creativi? Quante possibili divagazioni dal proprio mondo gli adulti generano? Quanti, se non i bambini ancora nell’infanzia, riescono ad abitare gli orizzonti che si vanno scrutando oltre e al di là della propria grande solitudine? È nella solitudine che eccede, che si alimenta e fuoriesce l’immaginazione dialogica e vivida con le cose del mondo. Il mondo, è in ogni sua minuscola parte, un affidabile compagno immaginario; immaginario? Certamente per il piccolo è reale tanto quanto la realtà

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