Terra nova
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Fantascienza - racconto lungo (56 pagine) - Un nuovo pianeta, senza ingiustizie, senza carceri, senza problemi. Ma forse i problemi ci sono, ma sono stati nascosti.
Una "Terra Nuova": sì, ma quale?
Emel vive a New Beacon: pianeta trovato nel cosmo, terraformato e ripopolato dai superstiti del disastro ecologico terrestre. Qui vige un nuovo benessere, non esistono carceri e tutti sono felici e prosperi, salvi dall'anarchia dei progenitori. Ma se è davvero così, perché ai confini ci sono i ribelli? E perché la giornalista Victoria, moglie del funzionario di propaganda Emel, è sparita senza che il Governo abbia fatto altro che insabbiare tutto?
Alla ricerca di risposte, Emel si trova presto in un gioco più grande di lui, verso un altro pianeta, molto più antico e molto più vero, che forse non è affatto nuovo… ma che ospita risposte, resistenze, rinascite. E la verità di cui si ha bisogno per vivere.
Caterina Franciosi è nata nel 1990 in una piccola cittadina della riviera romagnola al confine con le Marche. Ha frequentato il Liceo Classico e, successivamente, la facoltà di Lingue e Culture Straniere all’Università di Urbino. Nel 2018 apre il blog Il Salotto Letterario che si occupa di interviste e recensioni. Collabora con diverse case editrici, siti web, gruppi Facebook e riviste, tra cui l’associazione culturale Italian Sword&Sorcery nella sezione racconti e il magazine Life Factory Magazine nella sezione recensioni. Ha pubblicato racconti in varie antologie, tra cui Eau de Vampire, Il Marinaio e la Sirena e Vento del Nord (in Dreamscapes – I Racconti Perduti, editrice GDS), Dietro il muro (in Ali Spezzate, PAV Edizioni, contro la violenza sulle donne), Corvi di Guerra (in Guerriere, antologia fantasy al femminile edita da Le Mezzelane) e La carità di murt (in Halloween all’italiana, dal contest del portale LetteraturaHorror.it). Il suo racconto La pioggia ricorda è uscito per la collana Delos Passport.
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Anteprima del libro
Terra nova - Caterina Franciosi
9788825411621
Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre.
Albert Einstein
Prima parte
New Beacon
Capitolo 1
La celebrazione
I numeri sull’orologio da scrivania scattarono sul cinque e la musica riempì l’ufficio di Emel. L’uomo stiracchiò le braccia sopra la testa e, senza accorgersene, iniziò a canticchiare a mezza voce l’inno trasmesso dagli altoparlanti. L’occhio rosso della telecamera non lo perdeva di vista, appollaiato in alto a destra nella stanza, incurante del fatto che l’orario di lavoro dei dipendenti della Continental Show fosse terminato in anticipo.
Come ogni anno, quel giorno tutto il Continente cominciava i festeggiamenti per la più importante delle ricorrenze: il momento in cui i primi coloni terrestri erano giunti su New Beacon dopo anni luce di peregrinazioni spaziali a bordo della Mayflower II. L’astronave originale era ancora conservata in un’area riservata sotterranea del Palazzo dei Governanti, come monumento e come monito; cosa che ogni pubblicità, telegiornale o programma televisivo non aveva mancato di sottolineare almeno una dozzina di volte. Emel sbuffò, nascondendosi la bocca dietro la mano.
New Beacon si era rivelato un dono del destino, sottolineavano i Governanti a ogni occasione buona: era l’unico pianeta del sistema Gamma 7 su cui splendesse un Sole e su cui il processo di terraformazione avesse avuto successo. Gli altri pianeti Gamma, quelli che andavano dal numero 1 al numero 6, si erano rivelati inadatti alla vita, ma utili come miniere di metalli e minerali, e il pianeta numero 7 era apparso davvero come un faro agli occhi dei terrestri ormai sull’orlo del collasso. Il nome era stato scelto da quelli che una volta venivano definiti gli Stati Uniti d’America, in onore di uno dei più grandi miti americani dell’epoca, quello della luce che aveva guidato i nuovi Padri Fondatori verso la Newfoundland, la terra promessa. D’altronde, erano stati proprio gli scienziati americani della NASA a scoprire New Beacon e gli Stati Uniti si erano arrogati il diritto della scelta del nome.
Sfido io, con tutti i soldi che avranno investito, pensò ironico Emel.
Le tavole grafiche davanti a lui si coprirono di luci pulsanti e festoni colorati che nel giro di pochi secondi si trasformarono in una riproduzione 3-D della Mayflower II. Nello stesso istante, il tatuaggio cominciò a prudergli sulla tempia, segno che le nanomacchine impiantate si stavano muovendo. Emel sfiorò il dispositivo cutaneo con la punta delle dita e vide lo stesso tripudio di immagini saltellare su e giù sulla cornea.
Il Nuovo Mondo all’insegna di pace, rispetto e prosperità, recitava in loop lo slogan. Un mondo illuminato, lontano dalla primitiva barbarie terrestre.
Gli venne il vomito.
Lanciò un’occhiata alla lucina rossa della telecamera. Se non si fosse alzato in fretta, la voce metallica avrebbe iniziato a bombardarlo di domande, come quando Emel si tratteneva in bagno qualche minuto di troppo. Sfiorò gli schermi delle tavole, che si oscurarono inghiottendo ogni colore, poi si alzò, si prese la giacca e lasciò l’ufficio.
Il corridoio era illuminato a giorno dalle luci colorate che tappezzavano il soffitto, quasi a volersi fare beffe dell’oscurità al di là delle finestre. I suoi passi erano morbidi sull’erba finta che copriva il pavimento degli uffici della Continental Show, e un gradevole profumo di fiori aleggiava nell’aria, grazie ai diffusori nascosti strategicamente.
– Ancora qui, signor Velass? – La voce metallica del portiere arrivò dall’ingresso. – Stavo giusto per chiudere.
Emel fece un sorriso, pur sapendo che l’androide guardiano era incaricato di riportare qualsiasi anomalia riscontrasse, fosse anche una macchia sulla finta moquette.
– Mi sono fermato a riposare un momento – disse Emel. – È stata una lunga giornata, il progetto pubblicitario del nuovo distaccamento speciale militare ci sta impegnando parecchio.
– Ma ora ha finito. – Gli occhi inespressivi del portiere si strinsero appena. – Si rilassi e si goda il giorno di ferie.
– Certamente.
– Che cosa farà di bello questa sera? – insistette il guardiano abbandonando la postazione e aprendogli la grande porta di vetro della hall.
– Oh, niente di speciale. Una cena veloce da qualche parte e poi tutti in piazza, ovviamente.
– Lo ha già confermato ai suoi colleghi?
– Chiedo scusa?
– La Continental Connection non ha ancora registrato una risposta da parte sua.
– Certo, che sciocco. – Emel si portò una mano sul tatuaggio alla tempia. – Ho avuto così tanto da fare che ho dimenticato di confermare. Lo faccio subito.
– Fantastico. – Il guardiano scoprì i denti bianchissimi. – Lei è riuscito ad avere qualche anticipazione sul discorso?
– Non ancora, signor…? – Emel esitò, cercando di indovinare il nome sul piccolo display della sua divisa.
– Ivan, signore. Sostituisco Donald.
– Ivan. Ci vedremo in piazza, suppongo. Le auguro una buona serata.
– Grazie, signore.
Emel chinò il capo in un cenno di saluto e uscì prima che l’androide guardiano continuasse con le sue domande. Ivan passò il badge e serrò la porta, senza smettere di fissarlo con quel sorriso robotico stampato in faccia.
Emel gli diede le spalle e si tirò il bavero al viso, per ripararsi dal vento freddo che spazzava la gradinata Continental Show. Raggiunse il marciapiede deserto, lo percorse fino alla fine dell’isolato, voltò l’angolo, e solo allora si fermò, nascondendosi tra le ombre. I grandi fari di luce bianca a bordo strada gli