Dimmi dove ti fa male e ti dirò perché: I richiami del corpo sono i messaggi dell'anima
Di Michel Odoul
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Anteprima del libro
Dimmi dove ti fa male e ti dirò perché - Michel Odoul
estranei.
Introduzione
«Viviamo in un'epoca moderna» dice un famoso radioanimatore. Viviamo in un'epoca in cui la comunicazione e i media non sono mai stati così sviluppati, potenti e «ad alto rendimento». L'immagine dell'uomo moderno rispecchia quella di un «contesto dinamico», seduto dietro alla sua scrivania dove telefoni (da tavolo, portatili e per l'automobile), fax, videotel e minicomputer rappresentano gli accessori del potere di comunicazione con il mondo intero, disponibile in qualsiasi istante.
Tuttavia, il quadro è ben lungi dall'essere così idilliaco come l'apparenza vuol farci credere. Questa comunicazione è infatti troppo spesso vuota e illusoria (se non è fatta intenzionalmente). Tutti questi accessori non sono altro che protesi, escrescenze, che compensano la nostra incapacità di essere e di comunicare veramente, e che ogni volta ci permettono di barare un po' di più o di trascendere la nostra paura dell'altro. È sufficiente constatare il fulmineo successo dei videotel e delle loro messaggerie per convincercene.
Il nostro attuale sistema di vita, l'onnipresenza e la sovranità assoluta dei media, la trappola del materialismo, l'accelerazione costante della nostra quotidianità ci hanno poco a poco condotto a confondere vita ed esistenza, vita ed agitazione, vita e frenesia. Ciò si è attuato con il nostro implicito consenso, addirittura su nostra richiesta. Sempre di più, sempre più in fretta, ecco il nostro slogan, il nostro motivo ricorrente, ma per fare cosa? Per risvegliarsi un giorno, ad una qualsiasi età, malati o depressi, e constatare tristemente di aver camminato a fianco di se stessi, a fianco della vita?
La nostra società, la nostra educazione e anche una certa comodità ci hanno portato a ricercare la soddisfazione dei desideri esteriori. Apprendiamo quindi a gestire, padroneggiare, dominare, possedere o comunicare con questo esterno. Questa corsa a perdifiato ci allontana ogni giorno un po' di più da noi stessi e ci priva della nostra stessa sostanza. Solo la morte o la malattia ci riconducono, d'obbligo e per forza di cose, a noi stessi. In quell'istante, lo smarrimento è grande.
Chi è l'uomo che ci ritroviamo tristemente a scoprire nello specchio? Che significato ha questo corpo che ci fa del male? Chi è l'essere quasi sconosciuto che dimora in questo letto? Eppure è il nostro primo ed unico interlocutore. Colui con il quale non abbiamo mai veramente parlato, né che ci siamo presi la briga di conoscere, ovvero noi stessi! Questa scoperta diviene talmente intollerabile che chiediamo al nostro medico di darci qualcosa che faccia tacere le nostre sofferenze, per le quali non deve esserci posto nella nostra vita. Eppure, se solo sapessimo! Questi mali non sono, di fatto, che urla disperate che la vita e il nostro corpo trasmettono alle nostre orecchie tappate, assordate da tutto questo rumore che facciamo agitandoci. Sono segnali di allerta, testimoni dei nostri squilibri, ma non possiamo udirli e ancor meno comprenderli.
Il proposito di quest'opera è quello di colmare questa lacuna permettendoci di «ri-aprire le nostre orecchie».
Ricollocheremo l'essere umano nel suo contesto di vita e nella sua globalità. Studieremo le motivazioni e le regole del funzionamento di quel gioco straordinario che è la vita. Infine impareremo a riconoscere e a comprendere i nostri dolori, le tensioni e le sofferenze, per poterne ricevere il messaggio e agire di conseguenza affinché qualcosa possa mutare.
Da oltre quindici anni pratico le tecniche energetiche, e in particolare la Pratica Taoista di Armonizzazione delle Energie, e ho potuto constatare fino a qual punto il corpo di ciascuno di noi parli (addirittura gridi) di ciò per cui soffriamo veramente nel nostro intimo. La nostra realtà profonda, il nostro inconscio, la nostra mente, la nostra anima (ad ognuno la scelta) ci parlano, ci dicono in continuazione cos'è che non va. Ma noi non ascoltiamo e non udiamo. Perché?
La ragione della nostra «sordità» è duplice. Innanzitutto non siamo capaci o, per meglio dire, non abbiamo voglia di prestare ascolto ai messaggi «naturali» che ci vengono inviati (sogni, intuizioni, premonizioni, sensazioni fisiche, eccetera). Così, questi devono farsi sempre più acuti ed intensi (malattie, incidenti, conflitti, morte.) perché noi li possiamo finalmente udire o per forzarci ad arrestarci. In secondo luogo, benché non possiamo perlopiù evitare di avvertire il dolore (come fare altrimenti?), non sappiamo tuttavia decodificarlo, leggerlo. In tal caso, il dolore serve solo ad arrestare momentaneamente un processo inadeguato, ma non a comprenderlo e a mutarlo radicalmente. Nessuno infatti ci ha insegnato a procedere con una simile traduzione. La nostra scienza particellare ha separato il corpo dalla mente, lo esamina, lo seziona e lo studia come se fosse una macchina. I medici sono diventati in gran parte eccellenti meccanici. Siamo come marinai che ricevono messaggi Morse senza averne appreso il meccanismo di utilizzo. L'incessante bip-bip si fa sgradevole e finisce col metterci a disagio, con lo scombussolarci. Allora ci rivolgiamo al meccanico di bordo affinché blocchi il sistema oppure, cosa ancor più grave, tagli i fili per farlo tacere del tutto e permetterci così di assaporare una pace apparente. Però il bip-bip ci avvertiva della presenza di una falla nello scafo che avremmo dovuto riparare.
Ora, impareremo a decifrare questo linguaggio. Ma cercheremo anche di comprenderlo. Intendo dire che non sarebbe buona cosa assestare un colpo solo se avvertite un dolore in un determinato punto. Equivarrebbe a fare della sintomatologia elaborata. Mi sembra invece importante anche spiegare perché ciò funzioni in questo modo. Per tale ragione il libro si suddivide in tre parti ben distinte.
Nella prima parte proporrò un approccio globale, olistico dell'uomo e della sua esistenza, ricollocandolo in un insieme coerente dove le cose sono collegate tra di loro. In tal modo potremo comprendere meglio «le ragioni della scelta», collegando la mente, l'anima, la psicologia conscia ed inconscia a questo corpo fisico di cui abbiamo parlato.
Nella seconda parte dell'opera farò riferimento alla codificazione taoista delle energie e ricollocherò l'uomo nel suo ambiente energetico. Lo Yin, lo Yang, i meridiani di energia conosciuti dall'agopuntura. Attraverso di essi vedremo come dentro di noi tutte le cose sono connesse tra di loro.
Nella terza ed ultima parte, infine, darò una «definizione dei luoghi». Fornirò una spiegazione semplice di ogni parte ed organo del nostro corpo. Infine, mostrerò quali effetti sono prodotti e da quali «cause», ossia fornirò il linguaggio simbolico dei messaggi del corpo.
AVVERTENZA PER IL LETTORE
Tutti gli esempi citati in questo libro sono reali. Tuttavia, per garantire l'anonimato, le persone vengono identificate mediante nomi che sono stati modificati. Qualsiasi somiglianza con una persona che abbia lo stesso nome e viva la medesima situazione costituisce senza alcun dubbio il segno che ciò che viene scritto in questo libro risponde al vero, ma in nessun caso potrà trattarsi della medesima persona.
«Nessun uomo può rivelarvi qualcosa
che già non risieda, assopito,
nell'alba della vostra conoscenza…»
Khalil Gibran
Colui che ha un'idea giusta della Provvidenza
non resta ai piedi di un muro
che minaccia di crollare.
Mong Tzu
Parte prima
Qualche nozione filosofica
Quale può essere il gioco della vita?
Mi pare sia difficile comprendere le relazioni tra il corpo e la mente e, di conseguenza, il significato delle malattie del corpo in rapporto alle ferite dell'anima, se non ampliamo la nostra visione dell'uomo e della vita. Infatti, se ci limitiamo allo stadio dell'uomo «macchina», ossia composto di pezzi indipendenti e intercambiabili in funzione dei progressi tecnologici della scienza, i resoconti che esporrò più avanti o le testimonianze portate da altri autori potrebbero esser scambiate per magia, veggenza o immaginazione bella e buona. Qui nasce invero il problema, vale a dire come e perché collegare le manifestazioni fisiche, i sintomi, le malattie o gli incidenti a ciò che avviene, a ciò che si produce dentro di noi. L'osservazione meccanicistica non può farlo perché la sua ottica è troppo «incollata» al sintomo, il suo campo di osservazione è troppo limitato, nel tempo come nello spazio. Ciò le impedisce di giungere alla vera causa che non potrà quindi essere spiegata che dal caso (avvenimento fortuito) o da elementi esterni (virus, microbi, cibo, ambiente, ecc.). Ampliando la nostra prospettiva e osservando l'uomo nella sua globalità fisica e temporale, potremo nuovamente mettere in collegamento le cose e gli eventi. È ciò che le religioni (dal latino religere = collegare) hanno presunto di fare, attribuendo all'essere umano la sua vera dimensione, che è innanzitutto spirituale. Allora potremo forse comprendere la ragion «d'essere» di quest'essere umano e, di conseguenza, anche le ragioni del suo «malessere».
Il processo dell'incarnazione
Secondo la codificazione orientale, la vita deriva dal Caos. Magma informe, disordine apparente che la scienza moderna e in particolare la meccanica quantistica «riscoprono» oggi, il Caos si è organizzato sotto l'azione di una forza strutturante, il Tao. Quest'ultimo si è a sua volta strutturato manifestandosi attraverso lo Yin e lo Yang, di cui il Cielo (Yang) e la Terra (Yin) sono le rappresentazioni terrestri (vedi illustrazione a pag. 23).
Collocato tra questi due poli, l'uomo è il luogo d'incontro di queste due espressioni energetiche del Tao sulle quali avrò occasione di ritornare ulteriormente. Discendendo dal caos informe, l'essere umano non è dunque che una vibrazione energetica priva di forma apparente, che i Taoisti chiamano lo Shen Prenatale, cui noi attribuiamo il significato di spirito o anima secondo le varie credenze. Per poter esistere, questo Shen sceglierà di appoggiarsi alle vibrazioni Yin di una donna (madre) e alle vibrazioni Yang di un uomo (padre). La sapiente mescolanza di queste 3 energie (Shen + energia della madre + energia del padre) gli consentirà di incarnarsi, ossia di esistere in un corpo fisico.
Questo processo d'incarnazione è beninteso molto più elaborato di quanto qui appaia. In merito a tale argomento ho scritto un'opera più completa, ma nel prossimo capitolo spiegherò come ciò avvenga sul piano delle energie. Tale spiegazione sarà in questa sede sufficiente a permetterci di comprendere il seguito. Tuttavia, resta per noi interessante studiare come questo processo si svolga facendo riferimento alle nozioni di Cielo Anteriore e di Cielo Posteriore, seguendo una sorta di filo conduttore che è ciò che la Tradizione definisce «il Cammino di Vita».
Mi piace molto anche il termine utilizzato da Paulo Coelho nel suo splendido libro «L'Alchimista»: «la Leggenda Personale». In questo libro viene espresso molto bene anche il significato profondo e iniziatico di ciò che è questo Cammino di Vita.
Il Cammino di Vita o la Leggenda Personale
Il Cammino di Vita è una sorta di filo conduttore che ciascun essere umano segue nel corso della sua esistenza. Potremmo paragonarlo allo scenario di un film o al «diario di bordo» degli attuali piloti di rally. Avanziamo lungo questo percorso utilizzando un veicolo particolare che è il nostro corpo fisico. Gli orientali ci propongono un'immagine molto interessante di questo veicolo e del relativo Cammino di Vita. Noi siamo, dicono, come un carretto, un Calesse che rappresenta il nostro corpo fisico e che circola su un sentiero che simboleggia la vita o piuttosto il Cammino di Vita. Vediamo fin dove possiamo spingere quest'immagine.
Il sentiero su cui avanza il Calesse è una strada sterrata. Come tutte le strade sterrate, presenta buche, gibbosità, sassi, solchi e fossi da ogni lato. Le buche, le gibbosità e i sassi sono le difficoltà, gli urti della vita. I solchi sono gli schemi già esistenti che prendiamo da altri e che riproduciamo. Le fosse più o meno profonde rappresentano le regole, i limiti da non superare se non si vuole incorrere in un incidente.
Questo cammino comporta talvolta delle curve che impediscono la visibilità oppure attraversa zone di foschia o di temporale. Sono tutte fasi della nostra vita in cui ci troviamo «nella nebbia», nelle quali abbiamo difficoltà a veder chiaro o a poter anticipare alcunché perché non possiamo «vedere davanti a noi».
Questo Calesse è trainato da due cavalli, uno bianco (Yang) che si trova sulla sinistra e uno nero (Yin), a destra. Questi cavalli simboleggiano le emozioni, da cui si evince fino a qual punto siano esse a tirarci, ovvero a condurci nella vita. Il Calesse è guidato da un Cocchiere che rappresenta la nostra mente, il nostro Conscio. Esso è dotato di quattro ruote, due anteriori (le braccia), che danno la direzione o piuttosto implicano la direzione data dal Cocchiere ai cavalli, e due posteriori (le gambe) che portano e trasportano il carico (del resto, sono sempre un po' più grosse delle ruote anteriori). All'interno del Calesse c'è un passeggero che non si vede. Si tratta del nostro Maestro o Guida Interiore, del nostro Non-Conscio, della nostra Coscienza Olografica. I cristiani lo chiamano «Angelo Custode».
Il nostro Calesse personale avanza dunque sul cammino della vita, guidato in apparenza dal Cocchiere. Tengo a sottolineare in apparenza, perché se è vero che è lui a guidare, in realtà è il passeggero a precisare la destinazione. Ritroveremo ulteriormente questa spiegazione quando affronteremo gli argomenti del Cielo Anteriore e del Non-Conscio, delle scelte stabilite dallo Shen Prenatale e, in seguito, dallo Shen incarnato. Il Cocchiere, che è la nostra mente, conduce pertanto il Calesse. Dalla qualità della sua vigilanza e della sua condotta (ferma, ma dolce) dipenderà la qualità e la comodità del viaggio (esistenza). Se egli maltratta i cavalli (emozioni) e li sottopone ad angherie, questi ad un certo punto si innervosiranno o s'imbizzarriranno e rischieranno di provocare un incidente, proprio come le nostre emozioni talora ci conducono ad atti irragionevoli, se non addirittura pericolosi. Se il conducente è troppo rilassato, se manca di vigilanza, il tiro passerà nei solchi (imitazione degli schemi parentali, per esempio) e noi seguiremo quindi le tracce di altri, correndo il rischio per esempio di andare a finire nel fossato come loro, se l'hanno fatto. Allo stesso modo, se il Cocchiere non è vigile, non saprà nemmeno evitare le buche, le gibbosità (colpi, errori della vita) e il viaggio sarà molto disagevole per il Calesse, il Cocchiere stesso e il Maestro o Guida Interiore.
Se il cocchiere si addormenta o non tiene le redini, saranno i cavalli (emozioni) a condurre il Calesse. Se il cavallo nero è il più forte (perché l'abbiamo meglio nutrito), il Calesse tenderà a dirigersi verso la destra e ad essere guidato dalle immagini emotive materne. Se è il cavallo bianco quello di cui ci occupiamo maggiormente e che ci domina, il Calesse si dirigerà verso sinistra, verso le rappresentazioni emotive paterne. Quando il Cocchiere sprona i cavalli a correre velocemente, li forza proprio come facciamo noi in alcune circostanze; se i cavalli si imbizzarriscono, sarà il fossato ad arrestare più o meno violentemente tutto il tiro con più o meno danni (incidenti e traumi).
Talvolta una ruota o un pezzo del Calesse si allenta (malattia), sia perché era poco resistente, sia perché il Calesse è passato sopra troppe gibbosità e buche (accumulo di comportamenti, di atteggiamenti inadeguati). Pertanto, bisognerà correre ai ripari e, a seconda della gravità del danno, potremo farlo noi stessi (riposo, cicatrizzazione), dovremo ricorrere ad un meccanico (medicina dolce, naturale) o, se è più grave, a qualcuno che vi ponga rimedio (medicina moderna). Tuttavia, sarà senza alcun dubbio importante per noi non accontentarci di sostituire il pezzo. Al contrario, sarà importante riflettere sulla condotta del Cocchiere e sul modo in cui potremo mutare i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti nella vita, se non vogliamo che «il guasto» si ripresenti.
Qualche volta il Calesse attraversa zone di scarsa visibilità, vale a dire che non vediamo veramente dove ci stiamo dirigendo. Può trattarsi di una semplice svolta. Possiamo vederla e prepararci al suo arrivo anticipandola. Dovremo allora rallentare, individuare in quale direzione svolta il sentiero e seguire la curva tenendo con forza le redini (dominare, per esempio, le nostre emozioni durante le fasi di cambiamento volute o subite). Quando vi è foschia o temporali, ci risulta più difficile guidare il nostro Calesse.
Dobbiamo «navigare a vista», rallentando il passo e basandoci sui bordi immediatamente visibili del sentiero. In questa fase dobbiamo avere una fiducia totale, per non dire «cieca» nel cammino di vita (leggi naturali, regole della Tradizione, Fede, eccetera) e nel Maestro o Guida Interiore (Non-Conscio) che ha scelto tale cammino. Sono quelle fasi della vita nelle quali ci sentiamo persi, «nella nebbia più totale» e in cui non sappiamo più dove stiamo andando. In tali circostanze non possiamo far altro che lasciare che la vita stessa ci mostri la strada da seguire.
Talvolta, infine, giungiamo ad incroci, biforcazioni. Se il sentiero non è munito di segnali, non sappiamo quale direzione prendere. Il Cocchiere (la mente, l'intelletto) può prendere una direzione a caso. Il rischio di sbagliarsi, addirittura di perdersi, è grande. Quanto più il Cocchiere è sicuro di sé, persuaso di sapere e padroneggiare tutto, quanto più vuole e crede di sapere quale direzione scegliere, tanto più il rischio sarà grande. Qui siamo nel regno della «tecnocrazia razionalista», dove la ragione e l'intelletto credono di poter risolvere tutto. Se invece è umile e onesto con se stesso, egli chiederà consiglio al passeggero (Maestro o Guida Interiore). Quest'ultimo sa dove sta andando, conosce la destinazione finale. Potrà quindi indicarla al Cocchiere, che la imboccherà, se sarà stato capace di udire la risposta. Infatti, qualche volta il Calesse fa molto rumore procedendo ed è necessario arrestarsi per poter dialogare con il Maestro o Guida Interiore. Sono le pause, le ritirate che talvolta facciamo per ritrovare noi stessi, poiché ci può capitare di perderci.
Si tratta di un'immagine semplice, ma che descrive al meglio