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La bocca della salute: Manuale di dentosofia olistica Dalla salute della bocca al benessere di corpo e psiche
La bocca della salute: Manuale di dentosofia olistica Dalla salute della bocca al benessere di corpo e psiche
La bocca della salute: Manuale di dentosofia olistica Dalla salute della bocca al benessere di corpo e psiche
E-book313 pagine3 ore

La bocca della salute: Manuale di dentosofia olistica Dalla salute della bocca al benessere di corpo e psiche

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Info su questo ebook

La bocca della salute è una guida olistica che aiuta a ristabilire armonia nell'organismo, inteso come corpo-mente-anima, attraverso le molteplici possibilità terapeutiche offerte dalla dentosofia, una medicina moderna che affonda le radici in tradizioni millenarie. Riconoscendo il legame che intercorre tra cavo orale e disagio psicofisico, in virtù del fatto che la disposizione dentale è il riflesso del nostro stato generale, l'osservazione della dentizione ci fa ottenere un codice per leggere la nostra storia e, grazie a esso, intervenire per ripristinare il giusto equilibrio. I risultati sono sorprendenti e i casi clinici lo dimostrano. L'approccio terapeutico della dentosofia è in grado di eliminare i blocchi emozionali che spesso danno luogo a disturbi fisici quali emicranie, mal di schiena, allergie, acufeni, vertigini, problemi muscoloscheletrici e numerose altre patologie. Aiuta inoltre a svolgere un'efficace autoanalisi emozionale per comprendere quali blocchi impediscono di vivere serenamente. L'importanza della masticazione alternataL'importanza della masticazione alternata Solitamente non diamo molta importanza alla masticazione unilaterale. Anzi, spesso non ci accorgiamo neppure di masticare da una sola parte...Continua a leggere...
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2015
ISBN9788868201715
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    Anteprima del libro

    La bocca della salute - Francesco Santi

    umano.

    Prima parte

    Capitolo 1.

    BOCCA E DENTI, UN AFFASCINANTE VIAGGIO NELL’ANATOMIA UMANA

    Se gli occhi sono la porta dell’anima, allora la bocca è la porta di tutto il resto. È letteralmente l’ingresso del nostro corpo.

    — MARK A. BREINER

    La nostra bocca ha numerose funzioni, di cui ci occuperemo in dettaglio più avanti. Adesso ci soffermeremo maggiormente sulle peculiarità – spesso poco considerate – dei nostri denti. Essi, ovviamente, giocano un ruolo fondamentale in tutto ciò che la bocca fa. Iniziamo quindi a conoscerli un po’ meglio.

    La parte visibile del dente, quella che spunta dalla gengiva, si chiama corona ed è ricoperta dallo smalto – la sostanza più dura tra quelle che compongono il nostro organismo. Basti pensare che i fossili degli ominidi che ci hanno preceduti nel cammino evolutivo presentano spesso denti eccezionalmente ben conservati, anche a distanza di milioni di anni. Lo scheletro, invece, non ha sopportato altrettanto bene il passare dei millenni. Allora – c’è da chiedersi – perché in poco tempo la carie può avere effetti così distruttivi? Più avanti cercheremo di rispondere a questa domanda.

    La parte invisibile del dente, la radice, non è ricoperta da smalto, ma da un’altra sostanza chiamata cemento, su cui si fissano le fibre di un legamento che àncora il dente all’osso: il legamento parodontale. Si tratta di un legamento elastico che permette al dente un minimo movimento all’interno dell’alveolo – la sede ossea che lo accoglie – che funge da cuscinetto e da ammortizzatore per le forze che durante la masticazione (o peggio durante il serramento o il bruxismo) gravano sul dente. Talvolta mordere con forza un oggetto troppo duro può lesionare alcune di queste fibre e rendere il dente molto dolente per diversi giorni. Si tratta di una grande differenza tra denti naturali e impianti: questi ultimi infatti sono saldati direttamente nell’osso, senza l’interposizione del legamento e non possono compiere il più piccolo movimento.

    Al di sotto dello smalto e del cemento, il dente è costituito da una sostanza chiamata dentina o avorio. Mentre lo smalto è bianco e traslucido, la dentina è giallastra e opaca ed è il suo maggiore o minor trasparire dallo strato esterno che rende il dente più o meno bianco. La dentina è anche meno dura e mineralizzata dello smalto.

    Infine, il nucleo centrale del dente è una cavità, detta camera pulpare, protetta da smalto e dentina, che contiene fibre nervose e vasi sanguigni e linfatici che provvedono al nutrimento delle cellule viventi del dente.

    Il nervo del dente è contenuto in una camera dalle pareti rigide e inestensibili. Ecco perché il mal di denti è così insopportabile: quando, in seguito a un’infiammazione, affluisce più sangue alla polpa, le terminazioni nervose vengono schiacciate causando un dolore parossistico, esacerbato da tutto ciò che può ulteriormente aumentare l’afflusso di sangue, come il calore o lo stare sdraiati.

    Tendiamo a pensare ai denti come masse solide, compatte, impermeabili, ma non è così. La superficie dello smalto è cosparsa di minuscoli pori, che sono il punto terminale di una fittissima serie di milioni di canalicoli che permeano lo smalto e la dentina. Questi tubuli contengono un fluido che scorre incessantemente tra i vasi contenuti nella polpa e la superficie dello smalto. Questo fluido permette un continuo scambio di nutrienti tra il dente e il resto dell’organismo. Approfondiremo il meccanismo di questa circolazione nel capitolo dedicato alla carie.

    La funzione principale dei denti è la masticazione, che permette di dare il via al processo della digestione. L’essere umano adulto possiede trentadue denti, di forma e dimensioni differenti, adatti a scopi diversi. Per ogni arcata abbiamo i quattro frontali, chiamati incisivi, che hanno la funzione di prendere e tagliare il cibo, inviandolo ai settori posteriori della bocca, dove viene triturato e sminuzzato. Abbiamo poi due canini, uno per lato, deputati a lacerare il boccone, e finalmente i premolari (quattro, due per lato) e i molari (sei, tre per lato contando i denti del giudizio), i masticatori veri e propri.

    Nella nomenclatura internazionale ciascun dente è indicato con un numero. Vi può così capitare di sentir parlare il vostro dentista del 38 o del 42. Potreste chiedervi: "Cosa sono questi, se ho (al massimo) trentadue denti? Immaginate di tracciare una croce, il cui braccio orizzontale separa l’arcata superiore da quella inferiore, mentre quello verticale passa in mezzo ai due incisivi centrali superiori e ai due inferiori. La bocca viene così divisa in quattro quadranti, ognuno indicato da un numero: 1 per il superiore destro, 2 per il superiore sinistro, 3 per l’inferiore sinistro, 4 per l’inferiore destro. All’interno di ciascun quadrante si numerano poi i denti, iniziando a contare dall’incisivo centrale. In questo modo ogni dente è caratterizzato da una coppia di numeri, il primo è quello del quadrante, il secondo quello della posizione occupata nel quadrante. Così l’11 sarà il primo dente del primo quadrante, cioè l’incisivo centrale superiore di destra. Il 38 dell’esempio precedente è l’ottavo dente del terzo quadrante, cioè il dente del giudizio inferiore sinistro, e il 42 il secondo del quarto quadrante, cioè l’incisivo laterale inferiore destro.

    Ciascun dente, con il suo legamento parodontale, la gengive e l’osso che gli competono, forma un’unità funzionale, che il dottor Voll chiamò odontone (v. Le scoperte del dottor Voll).

    Il nemico pubblico numero uno: la carie

    Oggigiorno c’è una specie di rassegnazione nei confronti della carie: nonostante tutto l’arsenale di mezzi di prevenzione messo in campo dall’odontoiatria moderna, si considera un evento normale e ineluttabile essere colpiti da carie nel corso della vita. Ma è veramente così? Lo smalto dei denti è la sostanza più dura e resistente del nostro corpo. Infatti, nei crani degli uomini preistorici, i denti spesso sono eccezionalmente ben conservati ancora dopo decine di migliaia di anni. Nonostante questo, quando andiamo regolarmente alle visite di controllo dal dentista, ci sembra quasi normale che trovi una o più carie da curare, senza che questo metta minimamente in discussione il nostro stile di vita. La visione del mondo dominante non ci fa rendere conto del fatto che anche una piccola lesione in un dente è un evento gravissimo: dovrà essere sostituita da un materiale estraneo al nostro organismo. Ma anche il restauro meglio eseguito ha una durata limitata nel tempo e il nostro dente non potrà mai più essere quello di prima. Per tutta la vita siamo condannati a portare una protesi (anche le semplici otturazioni sono protesi: sostituiscono artificialmente una parte di un organo). Quanto ci è successo fino a oggi non ci deve far precipitare in un’orgia di rimpianti, sensi di colpa e recriminazioni. Anche in questo caso è fondamentale ricordare e fare nostri i due detti: Nessun senso di colpa, per quanto grande, potrà mai cambiare il passato; nessuna apprensione, per quanto grande, potrà mai cambiare il futuro e I nostri errori passati hanno lo scopo di guidarci, non di limitarci. Perciò, con atteggiamento costruttivo verso il futuro, dobbiamo porci due domande:

    1.   Cos’è che può mantenere la bocca in salute?

    2.   Perché i miei denti si sono cariati?

    La prima domanda è quella che si pose negli anni Trenta del secolo scorso Weston Price. Era il direttore della scuola di odontoiatria di Filadelfia e, constatando lo stato di salute disastroso delle bocche dei suoi compatrioti, decise di affrontare il problema in modo originale: anziché cercare le cause che facevano ammalare i denti degli abitanti dei paesi industrializzati, volle capire perché le popolazioni cosiddette primitive avessero i denti indenni dalla carie. Decise di girare il mondo e di osservare e comparare le dentature delle popolazioni con cui sarebbe venuto a contatto: in dodici anni percorse più di 140.000 chilometri, fotografando un numero impressionante di arcate dentarie. Il suo intento era riuscire a dimostrare l’incidenza delle diverse abitudini alimentari sullo stato di salute dei denti.

    I suoi viaggi iniziarono nelle valli svizzere, dove osservò che gli abitanti delle alte valli, i quali avevano mantenuto il modello di alimentazione tradizionale, conservavano dentature sane. I bambini, inoltre, non solo mostravano denti senza carie ma persino arcate ben allineate. Gli abitanti dei villaggi vicini, collegati alle città da ferrovie o strade, soffrivano di carie e i loro figli avevano arcate insufficientemente sviluppate.

    Dopo la Svizzera, si recò in Irlanda, poi visitò gli eschimesi, i pellerossa del Nord America, i polinesiani, i Maori, gli aborigeni australiani, i peruviani e gli indios dell’Amazzonia. Ogni tappa dei suoi viaggi confermava che le dentature erano impeccabili finché le popolazioni rimanevano isolate. La costruzione di strade e ferrovie, seguita dall’introduzione nell’alimentazione di prodotti sottoposti a raffinazione, aveva come conseguenza la comparsa delle carie. Weston Price poté verificare le sue conclusioni all’interno di una stessa famiglia, osservando quindi uno stesso patrimonio genetico: i membri della famiglia trasferiti in città avevano denti cariati, a differenza di quelli rimasti nei villaggi. Price dimostrò anche una modificazione della forma delle arcate dentarie, che, dopo l’incontro con la civiltà, diventavano più strette, con palati alti, a volta, senza lo spazio per contenere tutti i denti bene allineati. Parallelamente comparivano respirazione orale e deglutizione atipica.

    Weston Price raccolse le sue fotografie e le sue osservazioni nel libro Nutrition and physical degeneration (Alimentazione e degenerazione fisica), uno dei primi moniti lanciati per avvisare dei pericoli insiti in un’alimentazione fondata su cibi raffinati. Infatti, parallelamente all’aumento delle carie, diminuiva la resistenza alle malattie.

    Oggi, nel XXI secolo, la carie può essere considerata una patologia, legata a un processo metabolico reversibile, orientato verso la demineralizzazione di smalto e dentina.¹ Ma cosa vuol dire reversibile? I denti bucati si possono riparare da soli? Purtroppo non è così; dobbiamo chiarire bene cosa si intende per reversibile e per farlo bisogna partire proprio dall’inizio.

    La carie, almeno all’inizio, è un processo dinamico: quando il pH scende sotto 5,5, i sali minerali dello smalto iniziano a sciogliersi nella saliva e si ha la demineralizzazione. Non appena il pH risale al di sopra di 5,5, si verifica il processo opposto: i sali minerali dalla saliva rientrano nello smalto e si ha la remineralizzazione. Questi due processi possono verificarsi alternativamente più volte al giorno, il che significa che tutti i giorni ci ammaliamo di carie, ma il più delle volte per fortuna guariamo. La carie, come viene abitualmente intesa, si forma quindi quando la demineralizzazione batte la remineralizzazione per un certo periodo di tempo e si forma una cavitazione a carico del dente.

    Da questi concetti possiamo comprendere che, per cercare di prevenire la carie, dobbiamo cercare di mantenere il pH della bocca al di sopra di 5,5 il più a lungo possibile e, per fare questo, possiamo adottare due metodi:

    1.   Mangiare cibi che non causino la formazione di acidi a livello orale, ma questo è abbastanza difficile. Non solo gli zuccheri semplici, infatti, ma tutti i carboidrati complessi sono fermentabili e producono acidi. Possiamo perciò fare dei pasti che non li contengano, ma soprattutto bisogna comprendere che non tutti i carboidrati e gli zuccheri sono uguali dal punto di vista della carie. Quelli integrali, infatti, se da un lato producono acidi, dall’altro sono ricchi di sali minerali capaci di neutralizzarli. Mentre i cereali e le farine raffinati sono molto poveri di sali e vitamine e non contengono quindi l’antidoto. Molto interessanti a questo proposito sono gli esperimenti condotti da Basil Bibby all’Università di Rochester. Mise a confronto dei campioni di smalto con diversi alimenti per valutare la quantità di acidi prodotti e la dissoluzione dello smalto. Scoprì così che il pane e le farine integrali producono più acidi dei loro omologhi raffinati, ma che stranamente provocano una dissoluzione dello smalto infinitamente minore. Questo si spiega proprio con il loro elevato contenuto di minerali e di magnesio in particolare.

    2.   Diradare i pasti. Se non mangiamo troppo spesso, tra un pasto e l’altro la bocca avrà il tempo di rimanere basica e i denti di remineralizzarsi.

    Fin qui però siamo ancora in un ambito esterno al dente. Incominciamo ad avere delle risposte, ma ancora non sappiamo quali sono i meccanismi interni al dente che lo rendono più o meno suscettibile alla carie e perché si caria proprio quel dente. Per rispondere a queste domande dobbiamo tornare all’anatomia del dente.

    Come abbiamo già accennato, il dente è percorso da innumerevoli minuscoli canalicoli che lo attraversano in senso radiale, dalla camera pulpare attraverso la dentina fino alla superficie dello smalto, dove si aprono in microscopici pori. Dentro questi canalini scorre incessantemente un liquido, con lo scopo di nutrire le cellule viventi che, oltre alla componente minerale inorganica, costituiscono il dente. Il più importante studioso di questa microcircolazione fu Ralph Steinman, dell’Università di Loma Linda in California. Egli scoprì che fisiologicamente questo flusso deve andare dal centro alla periferia ed è la fuoriuscita di piccolissime quantità di liquido dai pori dello smalto che può lavar via gli acidi ed esercitare un’azione di protezione dalla carie.

    I suoi esperimenti gli permisero di scoprire che una dieta cariogena, quindi ricca di zuccheri semplici, può inibire questo flusso, rallentandolo fino a invertirne la direzione. Tali studi sono in grado di spiegarci il nuovo modello di carie emerso negli ultimi tempi.

    Negli anni Venti del secolo scorso, l’americano G. V. Black, uno dei maggiori studiosi di carie dell’epoca, riteneva che l’attacco carioso iniziasse sempre dallo smalto, con demineralizzazione e formazione di una cavità e che quindi fosse facilmente diagnosticabile con l’esame visivo e l’uso di una sonda affilata. Nel suo Operative Dentistry descrisse così la diagnosi della carie: Va usata una sonda affilata, esercitando una certa pressione, e, se si verifica che la punta sia anche solo leggermente trattenuta quando la si ritrae, si deve curare il solco anche in assenza di segni di carie.

    Oggigiorno i mezzi diagnostici più raffinati che abbiamo a disposizione hanno permesso di stabilire che il più delle volte la carie inizia direttamente nella dentina, raggiunta attraverso i solchi, le fosse, le fratture e le porosità dello smalto. Quest’ultimo non è quindi soggetto a formazione di cavità, ma a un certo punto cede e crolla quando tutta la struttura che lo sostiene è stata sottominata.

    La carie nelle prime fasi è quindi un’entità molto più elusiva di quanto sia stato ritenuto in principio, entità che sfugge alla diagnosi tradizionale (esame visivo, specillo e radiografie) fino a quando non ha raggiunto una certa estensione. Sono quindi necessari nuovi mezzi diagnostici per intercettarla nelle prime fasi e tra questi uno dei più affidabili è il laser diagnostico.

    Ma torniamo agli studi di Steinman: perché la carie inizia direttamente nella dentina, spesso sotto uno smalto apparentemente integro? Proprio perché l’alimentazione moderna determina un’inversione del flusso del liquido che circola nei canalicoli del dente, che anziché dirigersi verso la superficie, come sarebbe fisiologico, prende a muoversi da questa verso il centro del dente. Viene così a perdere la sua azione di protezione, anzi porta all’interno della dentina gli acidi eventualmente presenti sulla superficie dello smalto.

    Steinman scoprì anche che questo flusso è regolato da un ormone, secreto dalla ghiandola parotide, che a sua volta è sotto il controllo di un fattore prodotto nell’ipotalamo.² Ed è proprio questo fattore ipotalamico che viene inibito da una dieta ricca di zuccheri, privando il dente di una delle sue difese contro la carie. Inoltre, se pensiamo a quanto l’ipotalamo sia sensibile allo stress, ci rendiamo conto di come anche questo possa intervenire nella formazione delle carie.

    La salute del dente e l’efficienza del suo sistema circolatorio sono sostenute anche da meccanismi energetici. Come vedremo, ogni dente è in collegamento con un meridiano di agopuntura, che lo sostiene energeticamente. Una problematica a carico di un meridiano o sui distretti di sua competenza si può quindi ripercuotere sui denti a esso collegati, rendendo meno efficace la circolazione al suo interno e determinando un deficit dei suoi processi difensivi, il che lo rende più suscettibile alla carie.

    Ozonoterapia, un nuovo concetto di terapia

    Fino a poco tempo fa era normale pensare alla carie come qualcosa di irreversibile. Ma negli ultimi anni l’odontoiatria ha fatto passi da gigante, permettendo di trattarla come una lesione reversibile. Grazie all’ozonoterapia, infatti, si può evitare di sacrificare parte del tessuto dentale, scongiurando l’inserimento di materiali estranei che possono comunque creare qualche piccola forma di tossicità nell’organismo.

    Per capirne qualcosa di più dobbiamo fare un piccolo passo indietro, intorno al 1940, quando in Francia furono compiuti i primi tentativi di utilizzo dell’ozono in campo odontoiatrico. L’elevata tossicità di questo gas, tuttavia, ne precluse l’utilizzo. Solo un po’ più avanti, intorno agli anni Ottanta grazie ad alcuni studi condotti da Edward Lynch, si poté notare come le parti del dente affette da carie, trattate con elevate concentrazioni di ozono, potessero andare incontro a un processo di remineralizzazione. Questi studi portarono nei primi anni di questo secolo a realizzare un apparecchio in grado di erogare ozono esclusivamente sulla lesione cariosa, in totale sicurezza e senza alcun rischio di effetti collaterali.

    Perché proprio l’ozono?

    L’ozono è in grado di eliminare efficacemente i fattori che causano la carie, determinando un cambiamento nell’ecologia della zona malata. Infatti nella sede della lesione cariosa si assiste alla formazione di quella che viene chiamata nicchia acida: i batteri, fermentando i carboidrati presenti nel cibo, producono degli acidi, che da un lato causano la demineralizzazione delle strutture del dente, dall’altro creano un ambiente protetto, molto favorevole alla loro sopravvivenza (amano gli acidi) e invece ostile ad altre specie batteriche. La nicchia acida tende perciò ad automantenersi e a espandersi.

    Da parte sua l’ozono è uno dei più potenti agenti ossidanti esistenti in natura ed è capace di uccidere in pochi secondi tutti i batteri, i virus e i funghi con cui viene a contatto, perché questi non hanno i mezzi per difendersi dalla sua azione ossidante. Proprio per queste sue caratteristiche trova largo impiego in medicina in svariate situazioni, che vanno dal trattamento di patologie legate a scarso apporto di ossigeno a malattie batteriche o micotiche e alle ernie del disco.

    Ma torniamo all’odontoiatria: se viene erogato sulla superficie di un dente a una concentrazione adeguata e per un tempo sufficiente, l’ozono sovverte completamente la nicchia acida, eliminando non solo i batteri che causano la carie, ma modificando anche profondamente l’ecologia del sito: grazie all’ossidazione degli acidi, si arresta il processo di demineralizzazione e l’ambiente diventa sfavorevole alla proliferazione dei batteri cariogeni. Il più recente macchinario per l’ozonoterapia odontoiatrica, l’Healozone X4, è in grado di erogare l’ozono alla concentrazione di 32 grammi per metro cubo e di predisporre le strutture del dente alla remineralizzazione. Perché questa possa avvenire si devono rispettare due condizioni:

    1.   L’ozono si comporta come un farmaco topico e deve quindi poter raggiungere tutte le superfici

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