Il tuo istinto non sbaglia mai: La razionalità eccessiva ti complica la vita? Impara a trarre vantaggio dalle decisioni spontanee
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Anteprima del libro
Il tuo istinto non sbaglia mai - Andrea Jolander
cervello.
L’INCONSCIO: AIUTANTE E SALVATORE
Le capacità dei sensi e dell’istinto
Quello che le persone sono in grado di fare fisicamente non è tema di quest’opera. Sul nostro corpo sappiamo praticamente tutto e se vogliamo scoprire di più sulle sue capacità basta sfogliare il libro dei record. No, quello di cui tratteremo qui si svolge completamente nella nostra testa.
Tutte le capacità di cui parleremo hanno un aspetto in comune: guidano il nostro comportamento senza che noi ce ne accorgiamo minimamente. Questo pensiero potrebbe sembrare un po’ spiacevole, ma non preoccupatevi: più vi occuperete di queste capacità, più riconoscerete che esse non ci dominano, ma giocano a nostro favore. Anche se a qualcuno questa ipotesi potrebbe sembrare politicamente scorretta, quasi tutti al termine di una lunga e dura giornata lavorativa sogniamo di arrivare a casa e di essere accolti da una schiera di domestici. Cuoco, giardiniere, donna delle pulizie, maggiordomo, autista – forse anche un personal trainer e un massaggiatore? In effetti, la cosa più utile è considerare le nostre capacità nascoste proprio in questo modo: una schiera di aiutanti invisibili che ci risparmiano un sacco di lavoro, ci proteggono dai guai e sanno fare alcune cose molto meglio di noi stessi.
Iniziamo a osservare questo fenomeno in ambiti che non hanno ancora a che fare direttamente con la nostra psiche. Cominciamo con alcune prestazioni che i nostri sensi riescono a garantire senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo.
Prendiamo per esempio un senso a cui la maggior parte di noi crede di poter rinunciare senza grossi problemi: l’olfatto. Se per un paio di giorni siamo molto raffreddati, ci innervosiamo soprattutto perché abbiamo il naso chiuso e non riusciamo a respirare bene. Che l’olfatto sia fuori gioco lo notiamo principalmente dal fatto che i nostri piatti preferiti hanno lo stesso gusto del cartone bagnato. Altrimenti non ne sentiamo particolarmente la mancanza.
Cosa dovrebbe saper fare quindi?
Già qualche anno fa i ricercatori hanno scoperto che noi uomini abbiamo una capacità estremamente utile: evidentemente siamo in grado di capire quale partner potenziale faccia più al caso nostro per assicurare alla prole il bagaglio genetico ottimale e garantirgli di ammalarsi il più raramente possibile. È ormai noto anche il modo in cui ci riusciamo: grazie solamente al nostro olfatto – ma senza che ce ne rendiamo minimamente conto – siamo in grado di captare determinati ormoni che trasportano queste informazioni. Per esempio, le donne preferiscono annusare le t-shirt di uomini che posseggono varianti immunologiche diverse dalle proprie rispetto a quelle di uomini a loro molto affini da questo punto di vista. Più il sistema immunitario del partner si differenzia dal nostro, maggiore è la probabilità che un figlio avuto in comune abbia un sistema di difesa dalle malattie di cui nemmeno noi disponiamo. Visto che questo tema aleggia spesso nei mass media, potreste esclamare: Ehm, in realtà ho sentito dire esattamente il contrario…
.
Invece no, è proprio così. È vero che perdiamo la testa per persone il cui bagaglio genetico è piuttosto simile al nostro, e non solo nella scelta del partner, ma anche nella scelta degli amici. Per quanto riguarda il sistema immunitario, però, la differenza non sarà mai abbastanza grande per il nostro naso.
Per esempio, potremmo avere di fronte una persona che ci sta proprio simpatica, che è gentile e capisce il nostro senso dell’umorismo… e magari è anche carina. Ciononostante, diventa solo il nostro miglior amico, ma non il partner di una vita. Chiaro, potrebbero esserci anche delle cause psichiche, ma potrebbe anche essere che il naso e il cervello abbiamo deciso che no, dal punto di vista immunologico non sarebbe proprio una buona idea avere dei figli insieme.
Noi non ci rendiamo per niente conto di questa capacità e anche i partecipanti allo studio non ne sapevano nulla. Sono servite le analisi del sangue dei soggetti coinvolti e degli uomini che avevano portato le t-shirt per scoprire che, sebbene non ne fossero coscienti, il loro inconscio era riuscito a dar loro i consigli più giusti.
Probabilmente vi starete chiedendo da dove arriva allora l’abitudine di cospargersi abbondantemente di profumi e colonie. Già da millenni continuiamo a sperimentare note profumate sempre nuove. Il nostro inconscio non può essere così potente da spingerci a fare di tutto per rendere inefficace questo istinto speciale di cui disponiamo.
Ottima riflessione. Anche i ricercatori si sono posti questa domanda e cos’hanno scoperto? Preferiamo proprio i profumi che sostengono e rinforzano il nostro cocktail ormonale immunitario, mentre siamo nauseati da quelli che non lo fanno.
Perché ci stupiamo così tanto di avere questa capacità? Normalmente non abbiamo difficoltà a riconoscere questa capacità negli animali. Avrete già sentito parlare di cani che riescono a captare l’odore
del tumore al seno. A dire il vero nemmeno gli umani sono così incapaci in questa disciplina: nel test delle t-shirt riusciamo quantomeno a capire chi soffre di un’infezione batterica e chi no. Lo avreste mai pensato?
O avrete sentito parlare del gatto che vive in una casa di riposo americana e riesce a capire quale sarà il prossimo ospite a morire, e non lo lascia mai solo nelle ultime ore di vita. Non solo i piccioni, anche i gatti riescono a ritrovare la via di casa a chilometri di distanza. Passeri e fringuelli costruiscono i nidi con i mozziconi di sigaretta per tenere a distanza i parassiti. Tutti questi fatti ci sembrano piccoli miracoli che alla fine ci fanno pensare che gli animali abbiano capacità più sorprendenti di quelle che conoscevamo finora.
Il fatto che non crediamo di avere capacità simili dipende da quello che il ricercatore António R. Damásio definisce l’errore di Cartesio, il filosofo francese del XVII secolo che coniò il principio del cogito ergo sum (penso, quindi sono). Siamo ancora disposti a credere che le nostre elevate capacità di pensiero ci contraddistinguano come umani e traccino la linea di confine con il mondo animale, gestito unicamente dall’istinto. Ci piace sottostare all’erronea supposizione che l’uomo sia un essere votato esclusivamente alla ragione e che tutte le nostre azioni e decisioni siano il risultato di riflessioni consapevoli. Non c’è nulla di più sbagliato, come vedremo più avanti. Senza i nostri spiritelli servizievoli che prendono decisioni importanti (come la scelta di un partner immunologicamente adatto) al posto nostro svolgendo questo lavoro senza che ce ne rendiamo conto, saremmo praticamente spacciati.
Tra l’altro, il naso e il cervello posteriore scoprono un sacco di altre cose, addirittura su persone che non abbiamo mai incontrato in vita nostra. Anche nell’esperimento seguente l’abbigliamento non particolarmente pulito ha un ruolo importante: basandosi solo sull’odore di una t-shirt portata per tre giorni, i partecipanti sono stati in grado di riconoscere con un’elevata precisione se l’uomo o la donna avevano ancora addosso il capo. È un bene, poiché questa facoltà è a sua volta collegata alla capacità di riconoscere determinati ormoni. Inoltre, i partecipanti all’esperimento ci hanno azzeccato anche quando si trattava dell’età e di determinate caratteristiche personali dei soggetti che portavano la t-shirt, quantomeno fintantoché queste erano connesse alla produzione particolarmente elevata e caratterizzante di specifici ormoni, sebbene fossero ovviamente convinti di aver semplicemente tirato a caso.
La capacità di distinguere il partner adatto da quello che non fa per noi solo grazie a particelle di odore che non siamo nemmeno coscienti di percepire è assolutamente interessante, ma è anche tragico che questo dato di fatto non tocchi minimamente la nostra coscienza.
L’importante è che funzioni. Altre attività del nostro inconscio ci stupiscono, ma non ci sogneremmo mai di metterle in discussione: per esempio, molte persone riescono ad aprire gli occhi all’ora esatta in cui vogliono alzarsi anche senza aver messo la sveglia.
Diventa più difficile quando ci confrontiamo direttamente con l’attività del nostro inconscio ma dubitiamo delle sue capacità. Lo facciamo continuamente perché non abbiamo imparato a fidarci di quanto arriva direttamente dalle profondità del nostro cervello eludendo il pensiero conscio. Istinto è solo uno dei nomi che potremmo dare a questa capacità: qualcosa che, come già detto, associamo più al mondo animale. Chiaro, siamo portati a pensare che un po’ di istinto continui ad avere la sua importanza anche per noi uomini. Se facciamo qualcosa di giusto che magari ci ha anche salvato la vita, ma su cui non abbiamo riflettuto nemmeno per un decimo di secondo, esclamiamo stupiti: ho solo seguito l’istinto.
Anch’io ho fatto un’esperienza simile. Mentre ero in autostrada, all’improvviso mi si parò davanti un furgone il cui autista considerava evidentemente superfluo lanciare un’occhiata allo specchietto retrovisore; la mia macchina iniziò a sbandare e vedendo il pianale di carico dell’autocarro avvicinarsi sempre più pericolosamente al parabrezza, riuscivo a pensare solo: ci siamo, è finita.
L’aspetto sorprendente è che non andai in panico. Al contrario, da un momento all’altro le mie emozioni si erano completamente spente. Riuscii a riprendere il controllo dell’auto e solo dopo aver imboccato l’uscita successiva tornai a provare sensazioni – lo shock di essermi trovata improvvisamente in pericolo di vita, ma anche la rabbia contro l’autista scellerato – e dovetti fermarmi un attimo a destra per tornare in me. Ho vissuto quest’esperienza circa trent’anni fa, ma ancor oggi mi stupisco di come l’istinto di sopravvivenza mi abbia salvato la vita semplicemente escludendo qualsiasi emozione che, in quel momento, avrebbe assorbito parte della concentrazione di cui avevo bisogno per scampare il pericolo.
Tutto questo lo registrai con enorme stupore solo successivamente. Quello che lì per lì non percepii, ma di cui ora sono cosciente, è che il mio corpo aveva già reagito e stava compiendo la giusta manovra ancor prima che si formasse in me la consapevolezza della situazione in cui mi trovavo. L’informazione (Allarme rosso! Pericolo di vita!) era già stata tramutata in azione in altre parti del mio cervello, là dove arrivano i segnali visivi e nel centro dove si controllano i movimenti. La parte che chiamiamo ragione o percezione cosciente, invece, era stata catapultata nel luogo dell’accaduto con 150 millisecondi di ritardo.
Sicuramente avete già avuto esperienze simili nella vostra vita. Ciononostante, la maggior parte di noi ritiene che, normalmente, la parte inconscia non abbia molto da dire e rimanga assopita. E invece è proprio il contrario: l’inconscio fa turni di lavoro di ventiquattr’ore su ventiquattro ed è attivo anche quando la ragione si prende una pausa di circa sette ore durante la notte. In questo periodo il cervello ripete instancabilmente quello che ha imparato per fissarlo meglio, proprio come uno scolaro diligente che ripete la poesia a memoria. Chi ammette con soddisfazione di avere bisogno di dormire solo poche ore, probabilmente non sa ancora che le ore di sonno servono a renderlo ben più intelligente delle ore di veglia.
Il cervello cerca di riparare durante il sonno anche le ferite e le malattie psichiche, soprattutto nella fase in cui sogniamo molto. Ciononostante, il giorno dopo facciamo fatica a ricordarci delle nostre visioni notturne. Durante la fase dei sogni la muscolatura viene inibita per evitare che iniziamo a muoverci e a imitare quello che stiamo vedendo sul nostro schermo interno; contemporaneamente vengono spenti i settori del cervello atti al salvataggio delle informazioni.
Chi vuole, però, può imparare a gestire i propri sogni con consapevolezza. Recentemente ho sentito parlare di un programma che permette agli sportivi professionisti di acquisire la capacità di ripetere e ottimizzare i movimenti durante la fase notturna dei sogni. L’Io si allena durante il sonno, mentre il corpo dorme profondamente e in tutta tranquillità. Questo fenomeno è comune a tutti gli uomini, gli sportivi imparano solo a farci caso.
Poiché nella maggior parte dei casi non abbiamo idea di tutto quello che elabora il nostro cervello, riteniamo che l’inconscio faccia capolino solo quando stiamo intaccando le nostre riserve e siano necessari riflessi incondizionati. Se così fosse, potremmo dare la mano al nostro vecchio amico Cartesio.
Non c’è nulla di più sbagliato. Al contrario, quello che chiamiamo ragione è, in realtà, la parte di noi che crede di essere il capo. Ma come già sappiamo il vero lavoro lo fanno gli altri.
Già questo è un buon motivo per dedicarci un po’ più a quello che chiamiamo istinto.
Negando le nostre capacità istintive o anche avendo perso il contatto con esse, l’uomo dimostra di essere arrogante. È piuttosto logico: gli animali prendono tutte le decisioni della loro vita senza rifletterci particolarmente, sebbene gli scienziati dubitino anche di questo assunto, visto che ci sono sempre più indizi che lasciano supporre che anche gli animali siano in grado di pensare.
Inoltre, essi dimostrano anche capacità che non avremmo mai attribuito loro perché le consideriamo perlopiù caratteristiche prettamente umane. Le gru sono capaci di usare le nostre automobili come schiaccianoci: lasciano cadere le noci in incroci molto trafficati e aspettano pazientemente il semaforo rosso successivo per recuperare i gherigli dall’asfalto. I maschi degli uccelli giardinieri costruiscono giardini pittoreschi per il semplice motivo che le femmine ne vanno matte; alcune specie di questa famiglia utilizzano addirittura rami spogli come pennello e ricorrono a coloranti naturali per dipingere le strutture portanti di un bellissimo azzurro. Un maschio in grado non solo di costruire una casa, ma di improvvisarsi anche giardiniere e decoratore, avrebbe sicuramente ottime chance anche tra le femmine della nostra specie.
Perché ci stupiamo della capacità degli animali di sapere sempre con esattezza cos’è meglio fare in qualsiasi situazione? E perché, al contrario, consideriamo spesso noi stessi come degli esseri che prendono sempre decisioni sbagliate e che hanno perso completamente il contatto con l’istinto? Non è solo decisamente illogico – è anche completamente sbagliato.
Come detto, normalmente concediamo al nostro istinto di prendere il sopravvento quando succede qualcosa che davvero mette a repentaglio la nostra esistenza; come per tutti gli esseri viventi, uno di questi casi è anche il mantenimento della specie. Almeno in Europa centrale è scientificamente provato che il genere umano non è comparso sulla Terra con le sembianze odierne, ma che abbiamo degli avi animaleschi che gestivano la prole in modo del tutto istintivo. Sarebbe davvero sorprendente se avessimo perso del tutto questi istinti.
Vorrei proporvi due esempi tratti da un ambito che rientra veramente nella sfera dell’istintività e che chiamiamo comportamento genitoriale intuitivo.
Si tratta di atteggiamenti che le persone appena diventate genitori – e non solo loro – tengono nei confronti dei figli dappertutto nel mondo. Da un lato tendono a parlare con il neonato mantenendo una distanza di circa venti centimetri, dall’altro però utilizzano un linguaggio particolare che in generale viene definito maternese o madrese. Nessuno ha detto a questi genitori che devono misurare una distanza da naso a naso di venti centimetri perché quella posizione corrisponde esattamente al punto di messa a fuoco dei neonati. No, lo sanno istintivamente.
Il maternese, che gli esperti chiamano anche con il termine inglese motherese o baby talk, era caduto in discredito per un periodo; gli scienziati temevano che i bambini potessero crescere stupidi, ossia che il loro sviluppo linguistico non venisse favorito a sufficienza parlando loro in questo modo. Fortunatamente, anche in questo caso si è imposta l’idea che – nuovamente guidati dall’istinto – facciamo assolutamente la cosa giusta quando ci rivolgiamo ai neonati in questo modo. Il maternese usato dagli adulti è caratterizzato da un tono di voce più alto del normale, con accenti ben marcati e pause più lunghe. Tutto questo contribuisce non solo a rendervi più percepibili dal neonato, ma serve anche a fargli capire: ora stanno parlando proprio a me. Più