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Freddo come la pietra
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E-book520 pagine11 ore

Freddo come la pietra

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Info su questo ebook

Serie The Dark Elements - Vol. 2

Layla Shaw deve rimettere insieme la sua vita andata in pezzi: impresa non facile per una ragazza di diciassette anni, praticamente certa che le cose non possano andare peggio di così.

Il suo migliore amico, Zayne, straordinariamente bello, è da considerare off-limits, a causa del misterioso potere che da sempre affligge Layla: il suo bacio è in grado di rubare l'anima di chi lo riceve. Fuori questione, quindi, l'idea di poterlo baciare. Inoltre, il clan dei Warden, che l'ha sempre protetta, comincia a nascondere segreti pericolosi. E per finire, Layla non vuole pensare a Roth, sexy e trasgressivo principe dei demoni, che riusciva a capirla come nessun altro.

Ma talvolta toccare il fondo è solo l'inizio. Perché all'improvviso i poteri di Layla iniziano a crescere e le viene concesso un assaggio di ciò che finora le era sempre stato proibito. Poi, quando meno se lo aspetta, Roth ritorna, con notizie che potrebbero cambiare il suo mondo per sempre. Sta finalmente per ottenere quello che ha sempre desiderato ma il prezzo potrebbe essere più alto di quanto Layla è disposta a pagare.


LinguaItaliano
Data di uscita7 lug 2015
ISBN9788858937068
Autore

Jennifer L. Armentrout

Autrice al vertice delle classifiche del New York Times e di USA Today, oltre a scrivere romance si è cimentata con successo nei generi Young e New Adult, fantascienza e fantasy. Attualmente vive a Martinsburg, West Virginia. Con HarperCollins ha pubblicato le serie Covenant, Titan, Dark Elements, The Harbinger, Blood and Ash e Flesh and Fire.

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    Anteprima del libro

    Freddo come la pietra - Jennifer L. Armentrout

    Copertina. «Freddo come la pietra (Dark Elements - Vol. 2)» di Armentrout Jennifer l.

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Stone Cold Touch

    Harlequin Teen

    © 2014 Jennifer L. Armentrout

    Traduzione di Alice Casarini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-706-8

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Frontespizio. «Freddo come la pietra (Dark Elements - Vol. 2)» di Armentrout Jennifer l.

    A coloro che non smettono mai di credere, che non smettono mai di provarci, che non smettono mai di sperare.

    1

    Dieci secondi dopo che la prof. Cleo era entrata con passo leggero nell’aula di biologia e aveva acceso il proiettore e spento le luci, Bambi decise che non stava più comoda avvoltolata intorno alla mia vita.

    L’irrequieto serpente demoniaco che sembrava un tatuaggio non era capace di restare fermo a lungo, specialmente durante una noiosissima lezione sulla catena alimentare, e quando iniziò a strisciarmi sulla pancia mi irrigidii, resistendo alla tentazione di ridacchiare come una iena mentre lei mi saliva fra i seni per poi posarmi sulla spalla la testa a forma di diamante.

    Passarono altri cinque secondi, durante i quali Stacey mi fissò con aria perplessa. Mi sforzai di sorridere, ben sapendo che Bambi non aveva ancora finito. E infatti, un attimo dopo, la sua linguetta saettò fuori facendomi il solletico sul collo.

    Mi tappai la bocca con la mano, soffocando una risatina mentre mi dimenavo sulla sedia.

    «Ti sei fatta di qualcosa, per caso?» mi chiese Stacey a bassa voce, scostandosi la folta frangia dagli occhi scuri. «Oppure la mia tetta sinistra è saltata fuori dalla scollatura ed è in bella vista? Perché, come mia migliore amica, sei obbligata a dirmelo.»

    Anche se sapevo che la tetta era al suo posto nella felpa – o almeno lo speravo, dato che la scollatura a V era piuttosto pronunciata – non potei fare a meno di guardare mentre abbassavo la mano. «La tetta è a posto, tranquilla. Sono solo un po’... agitata.»

    Stacey arricciò il naso prima di riportare l’attenzione sulla cattedra. Feci un respiro profondo e pregai che Bambi restasse dov’era per il resto della lezione. Quando si muoveva sulla mia pelle era come se avessi dei tic incontrollabili, e contorcermi sulla sedia ogni cinque secondi non avrebbe certo aiutato la mia popolarità, già di per sé inesistente. Per fortuna le basse temperature e l’avvicinarsi del giorno del Ringraziamento mi permettevano di indossare dolcevita e maglie a maniche lunghe che nascondevano Bambi alla vista.

    Be’, almeno finché non decideva di strisciarmi su fino alla faccia, cosa che adorava fare in presenza di Zayne. Lui era un Guardiano bellissimo, membro della razza di creature che potevano assumere sembianze umane quando volevano, ma la cui vera forma era quella che gli umani definivano gargoyle. I Guardiani avevano il compito di proteggere l’umanità, dando la caccia alle creature maligne della notte... e anche a quelle che si aggiravano in pieno giorno. Eravamo cresciuti insieme, e da anni avevo una colossale cotta adolescenziale per lui.

    Bambi si spostò e la sua coda mi fece il solletico sul fianco.

    Non avevo idea di come avesse fatto Roth a sopportare che Bambi gli strisciasse continuamente addosso.

    Una fitta di dolore lancinante mi trafisse il petto, togliendomi il fiato. Senza pensarci, afferrai l’anello con la pietra spezzata che pendeva dalla mia catenina, l’anello che una volta conteneva il sangue di mia madre, la famigerata Lilith. Sentire il freddo del metallo fra le dita mi calmava. Non per via del vincolo familiare, dato che non avevo mai avuto alcuna vera relazione con mia madre, ma perché, insieme a Bambi, l’anello era il mio ultimo legame con Astaroth, il Principe degli Inferi, che aveva fatto la cosa meno demoniaca in assoluto.

    Ho perso me stesso nel momento in cui ho trovato te.

    Roth si era sacrificato per immobilizzare Paimon, il bastardo che voleva scatenare sulla terra una razza di demoni particolarmente feroce, bloccandolo nella trappola del diavolo progettata per spedire negli Inferi chiunque vi fosse tenuto prigioniero. In teoria l’onere e l’onore di impedire a Paimon di fuggire sarebbero dovuti spettare a Zayne, ma all’ultimo momento Roth... aveva preso il suo posto.

    E adesso era fra le fiamme dell’inferno.

    Mi protesi in avanti e appoggiai i gomiti sul tavolo gelido, senza avere la più pallida idea di cosa stesse spiegando la prof. con la sua voce soporifera. Le lacrime mi bruciavano in fondo alla gola mentre fissavo la sedia vuota davanti a me, che era stata di Roth. Chiusi gli occhi.

    Due settimane. Erano passate trecentotrentasei ore dalla notte nella vecchia palestra, ora più ora meno, e ancora non mi era diventato più facile pensarci, nemmeno per un secondo. Faceva male come se fosse successo solo un istante prima e non ero sicura che sarebbe stato diverso un mese o anche un anno dopo.

    Una delle cose più difficili da sopportare erano le bugie. Stacey e Sam mi avevano fatto mille domande quando Roth non era tornato, dopo la notte in cui avevamo localizzato la Piccola chiave di Salomone (l’antico libro che conteneva le risposte a tutto quello che avevamo bisogno di sapere su mia madre) e lui era stato catturato da Abbot (il capo del clan dei Guardiani di Washington che mi aveva adottata da bambina). Alla fine avevano smesso, ma era l’ennesimo segreto che dovevo tenere nascosto a loro, che erano tra i migliori amici che avessi mai avuto.

    Anche se ci conoscevamo da una vita, nessuno dei due sapeva che ero metà Guardiana e metà demone. E nessuno dei due aveva capito che Roth non si era ammalato di mononucleosi o aveva cambiato scuola. E a volte anche per me era più facile pensare che le cose stessero davvero così, ripetere a me stessa che lui era in un’altra scuola, e non dove si trovava sul serio.

    Il bruciore si spostò nel petto, simile al lento ma costante ribollire del sangue nelle vene che avvertivo sempre. Il bisogno di rubare un’anima, la maledizione che avevo ereditato da mia madre, non era diminuito nemmeno un po’ nelle ultime due settimane. Anzi, semmai pareva che fosse cresciuto. La capacità di risucchiare l’anima a qualunque creatura ne avesse una era il motivo per cui non mi ero mai avvicinata a un ragazzo.

    Finché non era arrivato Roth.

    Dato che era un demone, l’insignificante problemino dell’anima non si poneva proprio, visto che lui non ce l’aveva. E a differenza di Abbot e di tutto (o quasi) il clan dei Guardiani, Zayne compreso, a Roth non importava che fossi un ibrido. Mi aveva... mi aveva accettata così com’ero.

    Sfregandomi le mani sugli occhi, mi morsi l’interno della guancia. Quando avevo trovato la collana riparata e ripulita nell’appartamento di Roth, dopo che Petr, un Guardiano che si era rivelato essere il mio fratellastro, l’aveva rotta attaccandomi, mi ero aggrappata alla speranza che Roth non fosse davvero finito all’inferno. Che in qualche modo fosse fuggito. Ma con il passare dei giorni quella speranza si affievoliva sempre più, come una candela nel bel mezzo di un uragano.

    Ero convinta che se Roth avesse avuto la possibilità di tornare da me, ormai l’avrebbe già fatto, e questo voleva dire che...

    Quando il petto mi si strinse dolorosamente, aprii gli occhi e lasciai uscire lentamente il respiro che stavo trattenendo. L’aula mi appariva un po’ sfocata attraverso il velo di lacrime che cercavo di ricacciare indietro. Sbattei le palpebre un paio di volte mentre tornavo ad appoggiarmi allo schienale della sedia. Qualunque cosa stesse mostrando la lavagna luminosa, mi sembrava senza senso. Aveva a che fare con il cerchio della vita? No, quello era Il Re Leone. Se continuavo così, avrei finito per essere bocciata in questo corso. Pensando che fosse il caso di fare almeno finta di prendere appunti, sollevai la penna e...

    In prima fila, le gambe metalliche di una delle sedie grattarono il pavimento con un rumore stridulo. Un ragazzo schizzò in piedi come se qualcuno gli avesse acceso un fuoco sotto il sedere. Era circondato da un alone giallo pallido che gli crepitava intorno a intermittenza, accendendosi e spegnendosi come una luce stroboscopica. Era la sua aura, e per me non era una novità vederla, anche se ero l’unica in grado di cogliere il riflesso dell’anima delle persone. Erano di tutti i colori, a volte di due tonalità o più, ma non ne avevo mai vista una lampeggiare in quel modo. Mi guardai intorno e l’insieme di aure tremolò debolmente.

    Che diavolo stava succedendo?

    La Cleo si accigliò con la mano bloccata sopra il proiettore. «Dean McDaniel, che diamine stai...»

    Dean si girò di scatto verso i due ragazzi seduti alle sue spalle. Erano appoggiati allo schienale delle sedie, con le braccia incrociate e le labbra incurvate in un sorriso beffardo. Dean aveva la bocca serrata in una linea sottile e il viso paonazzo. Rimasi a bocca aperta quando piantò una mano sulla superficie bianca del tavolo e con l’altra sferrò un pugno alla mascella del ragazzo dietro di lui. Lo schiocco echeggiò in tutta l’aula, seguito da vari gridolini di sorpresa.

    Cazzarola!

    Mi raddrizzai sulla sedia e Stacey picchiò le mani sul nostro banco. «Porca merda» sussurrò, sgranando tanto d’occhi nel vedere il ragazzo colpito da Dean crollare a sinistra e precipitare a terra come un sacco di patate.

    Non conoscevo bene Dean. Cavoli, non pensavo di avergli mai detto più di qualche parola in tutti i quattro anni di superiori, ma era un tipo normale e tranquillo, alto e slanciato, molto simile a Sam.

    Decisamente non il tipo da cui ci si sarebbe aspettati che spedisse un ragazzo – per giunta più grosso di lui – direttamente alla settimana prossima con un cazzotto.

    «Dean!» gridò la Cleo, con il petto possente che si sollevava mentre correva ad accendere le luci. «Cosa stai...?»

    L’altro ragazzo schizzò in piedi come una freccia, con le mani sui fianchi strette in grossi pugni minacciosi. «Ehi, che problemi hai?» Girò intorno al tavolo, sfilandosi rapidamente la felpa con il cappuccio. «Vuoi prenderle?»

    Quando i vestiti iniziavano a volare via era sempre una storia seria.

    Dean fece una smorfia seguendolo verso la pedana. Gli altri compagni si tolsero di mezzo facendo stridere le sedie. «Oh, non vedo l’ora.»

    «Una rissa!» esclamò Stacey, frugando nella borsa e tirandone fuori il cellulare. Parecchi studenti stavano facendo lo stesso. «Questa devo assolutamente riprenderla.»

    «Ragazzi! Fermatevi immediatamente.» La Cleo sbatté la mano sul muro, attivando l’interfono collegato con la segreteria. Si sentì un bip e lei si voltò freneticamente in quella direzione. «Guardia di sicurezza nell’aula 204, subito!»

    Dean si lanciò verso il suo avversario, bloccandolo a terra. Volarono pugni mentre i ragazzi rotolavano contro le gambe di un banco vicino. In fondo alla classe eravamo al sicuro, ma io e Stacey ci alzammo comunque. Un brivido mi increspò la pelle quando Bambi si spostò all’improvviso, agitandomi la coda sulla pancia.

    Stacey si alzò sulle punte degli stivali, cercando l’angolazione migliore da cui riprendere la scena. «Che storia...»

    «... assurda?» terminai io, facendo una smorfia quando il ragazzo mise a segno un pugno che fece rimbalzare all’indietro la testa di Dean.

    Stacey mi guardò, perplessa. «Stavo per dire fantastica

    «Ma si stanno...» Feci un salto quando la porta dell’aula si spalancò sbattendo contro il muro.

    Le guardie di sicurezza sciamarono nella stanza, andando dritte verso la rissa. Un tizio che sembrava un armadio intrappolò Dean fra le proprie braccia e lo trascinò lontano dall’altro studente, mentre la Cleo saltellava qua e là come un colibrì impazzito, tenendosi la pacchiana collana di perle finte con le mani.

    Una guardia di mezza età si inginocchiò di fianco al compagno a cui Dean aveva dato il pugno. Solo in quel momento mi resi conto che non si era più mosso dopo che era crollato a terra. Mentre la guardia si chinava sul ragazzo steso a pancia in su sul pavimento, avvicinandogli la testa al petto, nello stomaco mi si formò un grumo d’ansia che non aveva nulla a che vedere con il fatto che Bambi si stava muovendo di nuovo.

    La guardia scattò all’indietro e afferrò il microfono che aveva sulla spalla. Aveva il viso bianco come le pagine del mio quaderno. «Emergenza medica: serve assistenza immediata. Adolescente maschio, diciassette o diciotto anni. Contusioni visibili lungo il cranio. Non respira.»

    «Oh mio Dio» sussurrai, afferrando il braccio di Stacey.

    Un silenzio improvviso calò nell’aula, spegnendo il brusio concitato. La Cleo si fermò accanto alla cattedra, le mascelle che sbattevano senza fare rumore. Stacey inspirò forte mentre abbassava il telefono.

    Il silenzio che era seguito alla chiamata urgente fu rotto da Dean, che rovesciò la testa all’indietro e scoppiò a ridere mentre l’altra guardia lo trascinava fuori dalla classe.

    Stacey si sistemò dietro le orecchie i capelli neri, lunghi fino alle spalle. Non aveva toccato la fetta di pizza che aveva sul piatto, né la sua bibita in lattina. Neanch’io l’avevo fatto. Probabilmente stava pensando alle stesse cose a cui pensavo io. Il preside Blunt e lo psicologo della scuola al quale non avevo mai badato più di tanto avevano offerto a tutta la classe la possibilità di andare a casa.

    Ma io non avevo nessuno che venisse a prendermi. Morris, autista e tuttofare del clan, nonché persona assolutamente deliziosa, non era ancora autorizzato a scarrozzarmi in giro, dato che l’ultima volta che eravamo stati in macchina insieme un tassista posseduto aveva cercato di giocare all’autoscontro con noi. E non volevo svegliare Zayne o Nicolai: quasi tutti i Guardiani purosangue di giorno dormivano, trasformati in statue di pietra. E Stacey non voleva andare a casa e beccarsi il fratellino minore. Così eravamo andate in mensa.

    Anche se nessuna delle due aveva fame.

    «Sono ufficialmente traumatizzata» dichiarò lei, facendo un respiro profondo. «Sul serio.»

    «Be’, non è che il tizio sia morto» rispose Sam masticando un boccone di pizza. Gli occhiali con la montatura di metallo gli erano scivolati sulla punta del naso. I ricci castani gli piovevano sulla fronte. La sua anima, una tenue combinazione di giallo e blu, tremolava come facevano tutte le altre da quella mattina, spegnendosi e accendendosi come per farmi cucù. «Ho sentito che l’hanno rianimato in ambulanza.»

    «Questo non cambia il fatto che abbiamo visto un ragazzo prendere un pugno in faccia così forte che è morto proprio davanti a noi» insistette Stacey con gli occhi spalancati. «O non hai colto il punto?»

    Sam mandò giù la pizza. «Come fai a sapere che è morto davvero? Solo perché un aspirante poliziotto dice che uno non respira, non vuol dire che sia vero.» Lanciò un’occhiata al mio piatto. «La mangi quella?»

    Scossi la testa nella sua direzione, esterrefatta. «È tutta tua.» Un secondo dopo, Sam afferrò la pizza con i cubetti di salame che avevo nel piatto. Il suo sguardo incrociò il mio per un istante. «Stai bene?» gli chiesi.

    Annuì mentre masticava di gusto. «Scusate. So che non sembro molto turbato.»

    «Ma non mi dire» borbottò secca Stacey.

    Un dolore sordo mi divampò dietro gli occhi mentre prendevo la mia lattina. Avevo bisogno di caffeina. E dovevo anche scoprire cosa diavolo avevano le aure di tutti quanti, che continuavano a lampeggiare. L’alone colorato che circondava gli umani rappresentava il tipo di anima che avevano: quelle completamente pure erano bianche; i colori pastello erano i più comuni e di solito indicavano anime buone, ma più i colori si scurivano, più lo stato delle anime era discutibile. E se un umano non era circondato da quell’alone rivelatore significava che faceva parte del Team Senz’Anima.

    Cioè si trattava di un demone.

    Ormai non mi capitava quasi più di andare in giro a marcare le creature senz’anima, un’altra utilissima dote che dovevo al mio sangue misto. Se toccavo un demone, era come se gli appiccicassi addosso un’insegna al neon, cosa che permetteva ai Guardiani di individuarlo facilmente.

    Be’, con i demoni di alto rango non funzionava. Ma non c’era molto che fosse efficace con loro.

    Non avevo smesso per via di quello che era successo con Paimon e perché poi mi avevano proibito di marcare. Abbot aveva annullato per sempre la punizione dopo quella notte nella palestra, ma mi sembrava sbagliato marcare demoni a caso, specialmente adesso che sapevo che molti di loro potevano essere innocui. Quando lo facevo puntavo ai Camaleonti, che erano pericolosi e avevano l’abitudine di mordere le persone, ma lasciavo stare i Pandemoni.

    E a dire il vero, se la mia routine nel marcare era cambiata, il merito era tutto di Roth.

    «Probabilmente quei due idioti non lasciavano in pace Dean» continuò Sam spazzando via la pizza in un nanosecondo. «La gente prima o poi esplode.»

    «La gente di solito non ha pugni che si possono considerare armi letali» lo rimbeccò Stacey.

    Il mio cellulare cinguettò, attirando la mia attenzione. Mi chinai per tirarlo fuori dalla borsa. Quando vidi che era un messaggio di Zayne gli angoli delle labbra mi si sollevarono in un sorriso anche se il dolore dietro gli occhi continuava ad aumentare.

    Viene a prenderT Nic. C vediamo in palestra qnd arrivi.

    Ah, l’addestramento. Il mio stomaco fece una buffa capriola, una reazione familiare quando si trattava di allenarmi con Zayne. Perché a un certo punto, tra le varie prese e mosse di attacco e di difesa, lui cominciava a sudare e inevitabilmente si toglieva la maglietta. E, be’, anche se stavo malissimo per la perdita di Roth, Zayne senza maglietta era comunque un bel vedere.

    E Zayne... per me aveva sempre significato il mondo intero e ancora di più, e questo non era cambiato. Non sarebbe cambiato mai. Quando mi avevano portata al clan, da bambina, ero terrorizzata e la prima cosa che avevo fatto era stata nascondermi in uno sgabuzzino. Era stato Zayne a convincermi a uscire, tenendo in mano un orsacchiotto di peluche che avevo battezzato Mr. Moccio. Da allora gli ero sempre rimasta incollata. Be’, almeno finché non era comparso Roth. Zayne era stato il mio unico alleato, l’unica persona che sapeva cos’ero e... Dio, lui c’era sempre per me, e nelle ultime due settimane era stato la mia roccia.

    «Allora...» disse Sam mentre inviavo un rapido ok a Zayne e rimettevo il telefono in borsa, «lo sapevate che quando i serpenti nascono con due teste, queste combattono una contro l’altra per il cibo?»

    «Cosa?» chiese Stacey, corrugando le sopracciglia finché non diventarono due minuscole lineette furiose.

    Lui annuì, sorridendo un po’. «Già. Una specie di lotta all’ultimo sangue... contro se stessi.»

    Per qualche strano motivo mi rilassai un poco quando Stacey soffocò una risata e commentò: «La tua capacità di assimilare nozioni inutili non smette mai di stupirmi».

    «È per questo che mi adori.»

    Stacey batté le palpebre e arrossì. Mi lanciò un’occhiata, come se in qualche modo dovessi aiutarla con la cotta per Sam che aveva appena scoperto di avere. Solo che io ero l’ultima persona sulla faccia della terra che potesse dare una mano quando si trattava dell’altro sesso.

    In tutta la mia vita avevo baciato un solo ragazzo.

    Ed era un demone.

    Quindi...

    Stacey scoppiò in un’allegra risata mentre prendeva la sua lattina. «Tu sogni. Sono troppo cool per l’amore, io.»

    «In realtà...» Sam aveva l’aria di chi stava per lanciarsi in una spiegazione sul rapporto tra amore e temperatura, quando il mio mal di testa esplose definitivamente.

    Risucchiando un breve respiro tra i denti serrati, mi premetti il palmo della mano sugli occhi e li chiusi forte per contrastare la fitta al calor bianco che mi trafisse il cervello. Fu fortissima e fulminea, finì quasi prima di incominciare.

    «Layla? Tutto bene?» domandò Sam.

    Annuii lentamente mentre abbassavo la mano e aprivo gli occhi. Sam mi stava guardando, ma...

    «Sei un po’ pallida» osservò inclinando il capo.

    Un violento senso di vertigine mi assalì mentre continuavo a fissarlo. «Tu...»

    «Io? Eh?» Lanciò un’occhiata veloce a Stacey, sconcertato. «Che ho fatto?»

    Non c’era nulla intorno a Sam, neanche una traccia del suo solito azzurrino uovo di pettirosso o del suo giallo burro. Il mio cuore saltò un battito quando mi girai verso Stacey. Anche il verde tenue della sua aura era scomparso. Il che significava che né Sam né Stacey avevano... no, loro un’anima ce l’avevano. Sapevo che ce l’avevano.

    «Layla?» mi chiamò Stacey sottovoce, toccandomi il braccio.

    Mi voltai, scrutando il resto della mensa affollatissima. Tutti sembravano normali, a parte il fatto che nessuno di loro era circondato da un alone. Nessuna sfumatura colorata. Il battito cardiaco mi accelerò e le sopracciglia mi si imperlarono di sudore. Cosa stava succedendo?

    Cercai Eva Hasher, di cui conoscevo fin troppo bene l’aura, e la trovai seduta qualche tavolo più indietro rispetto al nostro, in compagnia di quello che Stacey definiva amorevolmente il solito branco di stronze. Di fianco a lei c’era Gareth, il ragazzo con cui aveva una storia tira-e-molla. Era appoggiato in avanti, con le braccia piegate sul tavolo, e fissava il vuoto con occhi rossi e vacui. Era uno che amava divertirsi, ma non ricordavo di averlo mai visto strafatto a scuola, neanche una volta. Non c’era nulla intorno a lui.

    Tornai a guardare Eva. Di solito quella brunetta strafiga era circondata da un alone viola, segno che la sua anima era in uno stato discutibile da un bel po’ di tempo. Avevo sempre una gran voglia di assaggiare la sua anima. Ma anche lo spazio intorno a lei era vuoto.

    «Oh mio Dio» sussurrai.

    La mano di Stacey si strinse intorno al mio braccio. «Che succede?»

    Il mio sguardo guizzò di nuovo verso di lei. Ancora niente aura. E poi verso Sam. Niente nemmeno lì. Non riuscivo a vedere una sola anima.

    2

    Del resto del pomeriggio ho un ricordo approssimativo. Detestavo pensare che Stacey e Sam fossero abituati ai miei immotivati sbalzi d’umore e al fatto che scomparissi all’improvviso, ma era così. Nessuno dei due mi metteva pressione a proposito del mio strano modo di fare.

    Quando vidi Nicolai che mi aspettava davanti alla scuola, capii che la mia specialissima capacità di percepire i demoni era andata a farsi benedire. Tutti i Guardiani avevano anime pure, una meravigliosa aura candida che aveva il sapore del paradiso, come ben sapevo. Perfino quella di Petr era immacolata, anche se lui si era rivelato il peggior tipo d’uomo che esistesse sulla faccia della terra e avesse cercato di uccidermi.

    Ma Nicolai, un Guardiano che era buono quanto Zayne, quel giorno non era circondato dal solito alone bianco. Salii sull’Escalade nera, sgranando gli occhi mentre mi tiravo dietro la portiera.

    Lui mi lanciò una rapida occhiata. Nicolai sorrideva di rado da quando aveva perso la compagna e il figlio, morti durante il parto. A me inizialmente sorrideva un po’ più che agli altri, ma dalla notte in cui il clan mi aveva sorpresa con Roth non lo aveva più fatto.

    «Stai bene?» chiese, guardandomi con gli occhi azzurri identici a quelli di Zayne. Tutti i Guardiani avevano gli occhi di un azzurro intensissimo che ricordava un cielo estivo prima di un temporale. I miei erano di un grigio chiarissimo, come se fossero stati privati di ogni colore, un effetto del sangue di demone che scorreva in me.

    Nel vedere che non reagivo e continuavo a fissarlo con aria ebete, il suo bel viso si accigliò leggermente. «Layla?»

    Sbattei le palpebre come uscendo da uno stato di trance e osservai la gente che affollava il marciapiede. Il cielo era coperto per via della pioggia gelida caduta fino a poco prima e le nuvole gonfie ne preannunciavano altra, ma non c’era traccia delle anime. Scossi la testa. «Tutto okay.»

    Non parlammo più durante il tragitto inutilmente lungo verso il complesso residenziale subito al di là del ponte. Il traffico era sempre una rottura. Quando veniva a prendermi Morris, lui non parlava – non lo faceva mai – ma io fingevo di conversare con lui. Con Nicolai era tipo sette volte più imbarazzante. Mi chiedevo se pensava ancora che avessi tradito il clan aiutando Roth a trovare la Piccola chiave di Salomone e se mi avrebbe mai sorriso di nuovo.

    Mi sembrò che ci volessero trenta minuti e dieci anni prima che l’Escalade si fermasse davanti alla villa. Come al solito, afferrai la borsa e spalancai la portiera. L’avevo fatto così tante volte che non guardai dove mettevo il piede. Sapevo che il bordo del marciapiede che portava agli scalini della veranda sarebbe stato proprio lì.

    Invece quando saltai giù il mio stivaletto non trovò altro che aria. Persi l’equilibrio e istintivamente misi le mani in avanti per attutire la caduta. Il mio zaino rotolò da una parte mentre atterravo sui palmi. Bambi si spostò senza preavviso, arrotolandosi attorno alla mia vita come se temesse di finire spiaccicata se fossi crollata del tutto.

    Bell’aiuto, davvero.

    Riuscii a fermarmi un nanosecondo prima di sbattere la faccia, scivolando sulla pietra rotta e sdrucciolevole, e mi sbucciai la pelle delle mani, cosa che mi provocò lievi fitte di dolore.

    Nicolai schizzò fuori dall’Escalade e si precipitò al mio fianco in tempo record, imprecando a voce alta. «Tutto bene, piccolina?»

    «Ahi» mi lamentai, riportando il peso sulle ginocchia mentre sollevavo le mani martoriate. A parte il fatto che mi sentivo una gazzella zoppa, era tutto a posto. Con le guance rosse, mi morsi la lingua per evitare di lasciarmi scappare una sfilza di parolacce. «Sto bene.»

    «Sicura?» domandò stringendomi un braccio per aiutarmi a rimettermi in piedi. Nell’istante in cui mi toccò, sentii Bambi cambiare posizione e strisciarmi su per il collo, fino alla mascella. Non appena la vide, Nicolai tolse la mano di scatto, poi si schiarì la voce e mi guardò dritto negli occhi. «Ti sei graffiata le mani.»

    «Guariranno.» Sarebbero bastate poche ore. E allora forse Bambi si sarebbe sistemata in un punto un po’ meno visibile. A nessuno dei Guardiani piaceva vederla, per almeno una tonnellata di motivi. «Cos’è successo al marciapiede?»

    «Non ne ho idea.» Sconcertato, Nicolai fissò la pietra grigia sbriciolata. «Dev’essere stata tutta quella pioggia.»

    «Strano» borbottai, notando che la mia borsa era finita in una pozzanghera. Sospirai e con passo pesante andai a tirarla fuori dal fango.

    Nicolai mi seguì su per gli scalini. «Sei sicura di non esserti fatta male? Posso chiedere a Jasmine di darti un’occhiata alle mani.»

    Non sapevo proprio perché Jasmine, un membro del clan di Guardiani di New York, fosse ancora da noi. Non che lei mi creasse alcun problema. La sua sorellina Danika, invece, la bellissima gargoyle purosangue che voleva avere dei bambini da Zayne, era tutta un’altra storia. Anche se, considerato quello che avevo condiviso con Roth, non avevo certo il diritto di essere gelosa.

    L’amaro bruciore, però, rispuntava ogni volta che vedevo quella bellezza bruna. Era uno schifo avere due pesi e due misure, ma vabbè.

    «Tranquillo. Sto bene» dissi mentre aspettavamo che Geoff, nascosto da qualche parte nelle viscere della villa, ci aprisse la porta chiusa a chiave. «Ho solo la grazia di un elefante in una cristalleria, è evidente.»

    Nicolai non rispose e, grazie al cielo, un attimo dopo la porta principale si aprì. Facendo attenzione a non cadere in un’imprevista buca nel pavimento, appena varcata la soglia appoggiai la borsa in un angolo e corsi in camera mia.

    Buone notizie: non rotolai giù per le scale e Bambi aveva deciso di abbandonare la mia faccia e mi si stava di nuovo arrotolando intorno al corpo.

    Per colpa del traffico e dell’estemporaneo volo fuori dalla porta ero in ritardo per l’appuntamento con Zayne, ma mentre mi sfilavo gli stivali mi chiesi quanto sarei riuscita a concentrarmi sull’allenamento, dato che tutto a un tratto il mio cervello sembrava perdere colpi.

    Perché non riuscivo a vedere le anime? E cosa significava?

    Dovevo parlarne con qualcuno. L’avrei detto a Zayne, decisi, ma non a suo padre. Non mi fidavo più molto di Abbot, da quando avevo scoperto che aveva sempre saputo chi erano mia madre e mio padre. Ed ero abbastanza sicura che nemmeno lui si fidasse al cento per cento di me.

    Tirai fuori un paio di pantaloni della tuta e una T-shirt dalla cassettiera e li gettai sul letto. Zampettando per la camera in calzini, mi sbottonai i jeans e mi sfilai il maglione. L’elettricità statica mi fece crepitare i capelli sciolti e qualche ciocca si sollevò intorno alla testa. Zayne avrebbe saputo cosa fare. Dato che Roth...

    La porta si spalancò e Zayne piombò nella mia camera. «Nicolai mi ha detto... Cristo!»

    Rimasi immobile di fianco al letto, con gli occhi che mi diventavano grandi come astronavi. Cacchio! Avevo ancora il maglione appeso a un braccio, ma non indossavo nient’altro che il reggiseno – quello nero – e i jeans mezzi sbottonati. Non so perché il colore del reggiseno facesse differenza, ma restai là con la bocca spalancata.

    Zayne si era bloccato di colpo, e, com’era successo con Nicolai, non vidi nessun alone perlaceo intorno a lui. Al momento, però, mi preoccupava di più quello che vedeva lui: la sottoscritta, in piedi davanti a lui, in reggiseno (nero).

    I suoi splendidi occhi azzurri erano sgranati, le pupille quasi verticali. I capelli biondi, anche se di recente li aveva tagliati, erano ancora abbastanza lunghi da incorniciargli gli ampi zigomi. Le labbra piene erano socchiuse.

    Per dieci anni ero cresciuta accanto a Zayne. Aveva quattro anni più di me e io l’avevo idolatrato come avrebbe fatto una qualsiasi sorella minore, ma niente di quello che provavo per lui da un paio d’anni a questa parte poteva dirsi fraterno. L’avevo desiderato sin da quando ero diventata abbastanza grande da apprezzare i ragazzi con gli addominali scolpiti.

    Ma Zayne era e sarebbe sempre stato fuori dalla mia portata. Era un Guardiano purosangue e benché in quel momento non riuscissi a vedere la sua anima, sapevo che ce l’aveva e che era purissima. E anche se per lui non era mai stato un problema starmi supervicino in passato, una relazione con qualsiasi ragazzo avesse un’anima sarebbe stata troppo pericolosa visto che l’avrei trasformato in un milkshake al sapore di anima.

    E poi suo padre si aspettava che si accoppiasse con Danika.

    Bleah.

    In quel preciso momento, comunque, il suo potenziale futuro insieme a Danika sembrava lontanissimo. Zayne mi stava fissando come se non mi avesse mai vista prima, e onestamente non ricordavo che mi avesse mai vista in costume, figurarsi in reggiseno. Cercai di non pensare alle mutandine a pois rossi che si intravedevano dall’apertura dei jeans.

    E poi mi resi conto di cosa stava fissando.

    Arrossendo, seguii il suo sguardo che mi scendeva lungo il collo e ancora più in basso. Sentivo la coda di Bambi guizzare vicino alla spina dorsale. Mi si era arrotolata intorno alla vita, con il lungo collo proteso fra i miei seni e la testa appoggiata sopra quello destro, come se fosse il suo cuscino personale, appena sotto il punto in cui mi arrivava la collana.

    Lo sguardo di Zayne scivolò lungo il tatuaggio e io feci una smorfia, diventando ancor più rossa. Chissà cosa pensava nel vedere Bambi così in bella vista, a ricordargli inesorabilmente quant’ero diversa da lui... No, non volevo saperlo.

    Fece un passo avanti e si fermò di nuovo mentre il suo sguardo tornava a salire lungo il mio corpo, sfiorandolo con l’intensità di una vera e propria carezza. Qualcosa scattò in me, e l’imbarazzo si trasformò in un calore inebriante. Sentii un peso sul petto e i muscoli del mio ventre si contrassero.

    Sapevo che dovevo rimettermi il maglione o almeno cercare di coprirmi, ma c’era qualcosa nel modo in cui lui mi fissava che mi impediva di muovermi, e volevo... volevo che mi vedesse. Che si accorgesse che non ero più la bimbetta che si nascondeva nello sgabuzzino.

    «Dio» mormorò infine con una voce profonda e roca. «Sei bellissima, Layla. Un dono.»

    Il cuore mi fece un salto mortale nel petto, ma dovevo avere anche un qualche guasto alle orecchie, perché era impossibile che avesse detto così. In passato aveva detto che ero carina, mai che ero bellissima o un dono. Non con i capelli che mi ritrovavo, di un biondo così chiaro che sembravano bianchi, o con l’aspetto che ricordava una bambola Bratz fuori di testa, con gli occhi e la bocca troppo grandi per il mio viso. Cioè, non che fossi proprio inguardabile, ma di certo non ero come Danika. Con quei capelli neri lucidissimi e la figura slanciata e armonica, lei era sbalorditiva.

    Io, invece, pochi minuti prima ero caduta dalla macchina e da lontano mi si poteva tranquillamente scambiare per un’albina.

    «Come?» sussurrai, incrociando le braccia – maglione e tutto – sulla pancia.

    Zayne scosse la testa mentre camminava – o meglio, marciava – verso di me con passo deciso e con una grazia da fare invidia a un ballerino. «Sei bellissima» ripeté, fissandomi con quei luminosi occhi di un blu incredibile. «Credo di non avertelo mai detto.»

    «No, ma io non...»

    «Non dire che non lo sei.» Il suo sguardo scese ancora una volta verso il punto in cui era appoggiata la testa di Bambi e un sospiro mi sfuggì dalle labbra dischiuse. Una volta tanto, il mio famiglio demoniaco non si mosse. «Perché è così, Layla: sei bellissima.»

    Mi si formò un "grazie" sulla punta della lingua, perché sembrava la cosa giusta da dire, ma la parola mi morì sulle labbra quando lui sollevò la mano. La spallina del reggiseno mi era scivolata giù dalla spalla e lui ci infilò sotto due dita. Quando la sua pelle sfiorò la mia, un brivido mi attraversò il corpo.

    A un tratto avvertii in me una strana brama di possesso. Provavo l’incontenibile bisogno di rivendicare Zayne come mio, un bisogno così profondo e forte che mi tremavano le ginocchia e il fiato mi si bloccò in gola. Nel momento in cui lui fece scivolare la spallina al suo posto, sfiorandomi la pelle, il desiderio mi pervase al punto che, pur sapendo che veniva da me, ebbi l’impressione che non mi appartenesse del tutto. Era una sensazione potentissima, ma...

    Il suo sguardo incrociò il mio, e mi resi conto che le sue pupille erano completamente verticali. La bocca mi si seccò e per un folle istante pensai che stesse per baciarmi. Tutti i muscoli del mio corpo si irrigidirono, cosa che fece guizzare Bambi lungo la mia spina dorsale. Nemmeno mille fantasie, e Zayne era stato il protagonista di parecchie, mi avrebbero potuta preparare a quel momento. Lui... lui significava tutto per me e prima di Roth...

    Roth.

    Il respiro mi si bloccò in gola al pensiero del demone dagli occhi dorati. Non feci fatica a visualizzare la sua immagine mentale, i capelli scuri come l’ossidiana, gli zigomi alti e spigolosi, le labbra incurvate in quel sorrisetto malizioso che mi faceva infuriare e mi eccitava al tempo stesso.

    Come potevo starmene lì con Zayne, a desiderare che mi baciasse – perché lo volevo sul serio – quando avevo appena perso Roth?

    Ma in fin dei conti non avevo mai davvero avuto Roth e baciare Zayne era impossibile.

    Con quello che mi parve uno sforzo enorme, lui distolse lo sguardo e lanciò un’occhiata dietro di sé. Oh, Signore, la porta era aperta. Chiunque sarebbe potuto passare e mi avrebbe vista lì in piedi. In reggiseno... in reggiseno nero.

    Rossa come un peperone, feci un passo indietro e mi infilai il maglione in fretta e furia prima di voltarmi, lisciandomi i capelli elettrizzati con le mani. Mi sentivo il viso come se avessi preso il sole nel bel mezzo di una tempesta solare e non avevo idea di cosa dire mentre mi allacciavo i jeans con le dita tremanti.

    Zayne si schiarì la gola, ma quando parlò aveva una voce ancora più profonda e roca del solito. «Forse avrei dovuto bussare, eh?»

    Contai fino a dieci, mi voltai e mi sforzai di alzare le spalle con finta nonchalance. Mi stava ancora fissando come se non mi fossi rimessa il maglione. «Io entro sempre in camera tua senza bussare.»

    «Sì, ma...» Alzò le sopracciglia e si sfregò la mano sulla mascella. «Scusami per non aver bussato e per... ehm, per lo sguardo fisso.»

    A quel punto mi sentivo come se avessi schiacciato la faccia contro il sole. Mi sedetti sul bordo del letto e mi morsi il labbro. «Tutto a posto. È solo un reggiseno, no? Niente di eclatante.»

    Zayne si sedette al mio fianco e chinò il capo verso di me. Folte ciglia dorate gli schermavano gli occhi. «Giusto, niente di eclatante.» Si interruppe e sentii che il suo sguardo si allontanava da me. «Sono venuto quassù perché Nicolai mi ha detto che sei caduta, davanti a casa.»

    Oddio. Avevo scordato quell’umiliante capitombolo.

    «Stai bene?»

    Sollevai le mani. I palmi erano graffiati e arrossati. «Sì. Sto bene. Ma il marciapiede no. Hai idea di cosa gli sia successo?»

    «No.» Si sporse e mi prese la destra, accarezzandomi delicatamente la parte graffiata con il pollice. «Non era così stamattina quando sono tornato dalla caccia.» Le ciglia si sollevarono. «Hai chiesto a Jasmine di medicarti?»

    Anche se era bellissimo farmi tenere la mano, la ritrassi con un sospiro. Jasmine aveva un talento innato per curare con le erbe e i rimedi naturali. «Sto bene. E poi lo sai anche tu che domani tutti questi segni saranno spariti.»

    Mi guardò un istante prima di sdraiarsi all’indietro sul letto, appoggiandosi su un gomito. «È per questo che sono venuto. Ho pensato che ti fossi fatta più male di quanto dicevi e che fosse per quello che non mi avevi raggiunto in palestra.»

    Mi girai di scatto verso di lui e lo guardai allungare l’altro braccio e afferrare Mr. Moccio. Lo piazzò fra noi mettendolo a sedere e io sorrisi.

    «Nicolai ha detto anche che ti comportavi in modo strano in macchina» aggiunse dopo un momento.

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