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Birthright
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E-book174 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Candra Rosewood vuole scoprire chi ha causato la morte dei suoi genitori.


Tuttavia i suoi piani subiscono una svolta inaspettata quando incontra e sente nascere l'attrazione per Kane Smith, giovane misterioso legato proprio ai suoi genitori. Kane non è però come appare: quest'uomo affascinante nasconde un segreto terribile e la sua fissazione per l'adorabile Miss Rosewood, insieme al suo desiderio di marchiarla come propria, cambierà per sempre la vita di Candra.


Ma a Utica, in Illinois, si celano altri oscuri segreti che coinvolgono la famiglia Rosewood, informazioni sconosciute a entrambi e che sembrano riguardare proprio Candra. Che cosa si nasconde nella eredità dei Rosewood? E cos'è accaduto in passato che ha cambiato per sempre il destino della famiglia?

LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2022
ISBN4867472506
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    Anteprima del libro

    Birthright - Sue Mydliak

    1

    Nel tempo necessario a darmi la notizia e farmi rientrare, i miei genitori erano già stati seppelliti e l’indagine sulla loro morte, benché inconcludente, archiviata. Ancora non capivo perché non mi avessero aspettata. Perché tutta quella fretta? Non che avessi altri parenti, o no? Papà non ne aveva mai fatto parola, né lo aveva fatto la mamma. Strano. Mentre percorrevamo le strade familiari, una metà di me non credeva che se ne fossero andati, e l’altra era spaventata a morte da ciò che avrebbe potuto esserne stato di loro.

    La realtà stava prendendo piede e la sofferenza mi colpiva in luoghi che nemmeno sapevo esistessero. Le cose sarebbero tornate di nuovo normali? Il dolore sarebbe sparito, alla fine? Ora che il mio passato era morto e sepolto, non avrei avuto altra scelta se non continuare sul nuovo sentiero che il fato aveva decretato per me.

    Sembrava che tutto ciò che fosse accaduto nella mia vita fino a quel momento mi avesse preparata a restare da sola. Non avevo nessuno, nessun parente a cui rivolgermi per avere conforto; ero rimasta io, adesso, da sola. Avevo passato l’adolescenza in collegi davvero costosi, ma, per qualche ragione, non avevo mai stretto nessuna vera amicizia.

    Ero nata a Utica come i miei genitori. I miei avevano vissuto qui tutta la vita; innamorati dai tempi della scuola. Mia madre decise di lavorare da casa, mentre mio padre, lui non aveva bisogno di un lavoro a tempo pieno. Il ramo americano della famiglia Rosewood risale fino al diciottesimo secolo e aiutarono a costruire Utica. Erano stati degli investitori. I miei genitori erano ricchi, capite. Strano che, anche se non avevamo problemi finanziari, non vidi mai nella nostra vita una lampante ostentazione di ricchezza. Non ricordo di aver mai visto mio padre lasciare casa per andare al lavoro. Mamma mi disse che era una persona importante e quando, da bambina, le chiedevo cosa facesse, lei mi allontanava e diceva che non avrei dovuto chiederlo. Mi chiamava Miss Curiosina e mi mandava fuori a giocare. Nelle mie fantasie infantili, immaginavo fosse un gangster, il Don di una grande famiglia italiana, e avesse un lavoro illegale. Qualunque fosse la mia fantasia, non mi preparò per la realtà.

    Un giorno, mi feci coraggio e chiesi a mio padre cosa rendesse il suo lavoro così importante. Mi sentii spaventata, il che mi sorprese, perché non avevo mai avuto paura di mio padre, ma ne ebbi allora. Mi disse che non avrei dovuto chiederglielo e che avrei dovuto soltanto essere felice di avere un padre che poteva permettersi di mandarmi in quelle ottime scuole e che passava così tanto tempo con la sua famiglia. Da quel giorno non glielo domandai più.

    Mia madre diceva sempre che gli assomigliavo. Avevo i suoi capelli color rame e scuri, occhi verde smeraldo e una carnagione bianca come l’avorio, ma non riuscii mai a scorgerlo da me. Ero bassa come mamma, arrivavo solo alle spalle di mio padre, e i miei capelli, quando ero lontana da casa per la scuola, perdevano il loro color rame e invece sembravano bruciare come le fiamme arancioni di un fuoco violento, per quello li tenevo corti. I miei occhi cambiarono in modo indefinito, diventando meno verdi, più nocciola, e persino grigi nei giorni nuvolosi.

    Ero anche una ribelle, da piccola. Volevo essere il figlio che mio padre aveva sempre negato di volere. Devo essere stata una delusione per mia madre. Non ero la tipica ragazzina. So che le sarebbe piaciuto farmi indossare dei vestiti e degli abiti pieni di volant, solo che non volevo. Come mio padre, sono sempre stata più felice in paio di jeans e un vecchio maglione.

    Adesso non mi sentivo così ribelle; ero più insicura, forse per la prima volta nella mia vita, e se avessi potuto tornare indietro nel tempo e indossare uno di quei vestiti che mia mamma amava tanto, lo avrei fatto. Ma non potevo, adesso era troppo tardi.

    Nel viaggio di ritorno a casa, il cielo iniziò a ingrigire e il paesaggio divenne affettuosamente familiare. Ero vicina a casa mia ed ero abbastanza sicura, mentre l’auto raggiungeva la cima della collina, che Rosewood Manor si trovasse appena più su, solido e familiare. La recinzione in ferro battuto ancora proteggeva casa mia come quando ero piccola, ma adesso i cancelli imponenti erano aperti, quasi come se stessero aspettando il mio ritorno. La figliol prodiga, solo che adesso non ero più figlia di nessuno.

    Non volevo entrare; non volevo vedere nessun segno di lotta, o peggio di sangue. «Oh, Dio.» Alzai gli occhi al cielo. «Per favore, fa’ che non ci sia sangue» mormorai.

    «Ha detto qualcosa?» chiese l’uomo alla guida, mentre parcheggiava dietro la BMW di mia madre.

    «No, nulla» dissi, scendendo e pagando. Se ne andò senza esitazione e io realizzai che nessuno sapeva fossi tornata, tranne l’avvocato di mio padre. Mi aveva incontrata all’aeroporto e mi aveva portata nel suo ufficio per firmare dei documenti. Ero l’erede di una fortuna che sarebbe diventata mia solo dopo il matrimonio. La clausola nel testamento dei miei genitori mi aveva scioccato parecchio. Era il genere di cose che si leggono nei romanzi gotici o nei romance storici. Mentre l’avvocato me la spiegava, mi ero sentita scivolare in un salto temporale. Come un’eroina vittoriana, avrei ricevuto la mia generosa indennità quando fossi ricomparsa nell’ufficio dell’avvocato con un valido certificato di matrimonio e un marito. Immaginai potesse volerci un anno o anche dieci prima che accadesse.

    Lo stomaco mi si strinse e la pelle si coprì di sudore al pensiero di entrare in casa. Mi dissi con fermezza che qualcuno doveva aver fatto ripulire tutto. Prendendo un respiro per calmarmi, ricordai come, nella copia dell’autopsia che mi era stata mandata, ci fosse scritto che i miei genitori erano stati dissanguati. La causa di morte ufficiale era ipovolemia; detto in parole povere, la perdita di sangue.

    L’aspetto più strano della morte dei miei genitori era l’assenza di sangue nei loro corpi. Quell’informazione mi aveva sconvolta, e quando avevo cercato dissanguamento su internet, non era stata un’esperienza piacevole. L’immaginazione correva senza freni. Una parola mi balzò in testa, vampiro, ma la scacciai con ansia. Ora le indagini ufficiali si erano chiuse, dicendo che la morte dei miei genitori era accidentale, che l’assenza di sangue e le ferite sospette erano facilmente spiegabili come le azioni di una animale saprofago subite dopo la morte. Non potevo accettarlo; i miei genitori erano delle persone attente. Cosa avrebbe potuto ucciderli entrambi senza lasciare loro il tempo di chiamare un’ambulanza, la polizia, o anche un vicino?

    Sospirando, aprii la porta ed entrai. Fu un duro colpo, quel vuoto. Avvolse le sue braccia attorno a me e mi strappò il respiro. Annaspai in cerca d’aria mentre lottavo con il bisogno di lasciar uscire il dolore, la rabbia, ma lasciai scorrere le lacrime mentre vagavo per la casa in preda ai ricordi.

    Un forte schianto mi riportò alla realtà e andai nel panico. Pensai subito al peggio, che lui, l’assassino, fosse tornato. Afferrai l’arma più vicina, l’attizzatoio, e piano tornai sui miei passi verso l’ingresso. La porta d’ingresso era spalancata e l’aria fredda mi fece rabbrividire. La chiusi, un gesto secco, e mi accertai che non si aprisse di nuovo di schianto agganciando il chiavistello.

    Sentendo freddo, decisi di accendere il fuoco. Attraversai la casa fino alla porta sul retro e uscii. La rimessa era a qualche metro dalla soglia e sapevo che i miei genitori vi avevano riposto la legna per l’inverno. Per fortuna, la rimessa non era chiusa a chiave e trovai quattro ceppi che sarebbero stati perfetti. I miei nervi si erano calmati un pochino, ma, entrando di nuovo in casa, sentii che qualcosa non quadrava. Non ero sola; sembrava come se qualcuno o qualcosa mi stesse osservando. La pelle prese a formicolarmi e il mio cuore scalpitò. Mi dissi che era a causa della stanchezza o della tensione, ma sembrava quasi che la casa fosse viva e che il suo battito, ridotto al silenzio dalla morte, fosse stato riportato in vita al mio ingresso.

    Era difficile scacciare la sensazione di essere osservata, perciò ascoltai con attenzione ogni rumore. Ero pietrificata, il pensiero che il killer fosse tornato, e osservasse ogni mia mossa, mi rendeva nervosa. Me ne sarei dovuta andare? Sarei stata più al sicuro fuori? Sentii uno scricchiolio dietro di me e mandò nel panico totale i miei nervi logorati. Corsi verso le scale e mi sedetti, la schiena piatta contro il muro all’altezza del sesto gradino. Il suono del mio cuore che batteva all’impazzata mi diede un po’ di conforto, ma non fu abbastanza. Non mi sentivo ancora al sicuro.

    «Avanti» dissi ad alta voce. «Che cosa ti direbbe la mamma, o papà?» Mi avrebbero detto che mi stavo facendo trascinare dalla fantasia e mi avrebbero presa in giro per aver visto troppi film horror, ma il solo orrore di cui mi importava era loro morte. Il bisogno di piangere mi travolse e presi un respiro profondo per mantenere il controllo. Dovevo smettere di essere un coniglio e dovevo accendere il fuoco come avevo detto. Il sole era già sparito ormai e faceva più freddo dentro casa.

    Sentir bussare alla porta d’ingresso mi fece trasalire. Nessuno sapeva che ero tornata, nemmeno il mio vicino, e lui viveva a mezzo miglio da qui.

    «Chi è?» gridai. Non ci fu risposta. Urlai di nuovo la domanda, più forte, ma nessuno rispose.

    Con l’attizzatoio in mano, avanzai piano verso la porta d’ingresso, controllando prima che il chiavistello fosse al proprio posto, e la aprii. Vi trovai un estraneo, aveva la mia età, forse un po’ più grande, e i capelli neri. Aveva un aspetto forte, mascolino, vestiva tutto di nero, la maglietta scolorita per l’uso, e sembrava indifferente al freddo. Da quanti riuscii a vedere, non mi sovrastava. Era più alto solo di poco. Gli fissai il petto, ma la mia attenzione fu attirata su, verso il suo volto; aveva gli occhi dell’azzurro più limpido che avessi mai visto. Incantata, non riuscii a distogliere lo sguardo, ma il vento mi accarezzò il viso, riportandomi alla realtà. Sembrava familiare, ma non riuscii a ricordare quando ci fossimo incontrati, essendo rimasta a lungo lontana da Utica.

    «Cosa vuoi?» Ben fatto, Candra, riusciresti a essere più snob? Ne attribuii la colpa alla stanchezza. In più, restando ferma sulla soglia, il freddo non aiutava.

    «Mi dispiace disturbarti ma ho sentito che un membro della famiglia sarebbe tornato a Rosewood Manor e ho pensato di porgere le mie condoglianze. Mr e Mrs Rosewood erano persone adorabili. È stato un tale shock sentire che erano morti.»

    «Oh… grazie, è gentile da parte tua.» Mi chiesi perché fosse venuto la sera e non durante il giorno. Poi mi colpì il pensiero che forse lavorasse fino a tardi. «Scusa, sono stata via per un po’… ci conosciamo?» dissi, sentendomi sfinita e stanca più di quanto potessi sopportare.

    «Mi dispiace, è stato scortese da parte mia. Mi chiamo Kane. Kane Smith.» Il suo sorriso sembrò genuino, ma allo stesso tempo inquietante. Aveva qualcosa che mi faceva correre i brividi lungo la spina dorsale, simili a una cascata, ma non riuscivo a capire cosa fosse. Mi sentivo attratta da lui. Avevo la stranissima idea che potesse avvertire la mia tristezza e sapesse esattamente cosa stessi pensando. Come se si cibasse delle mie emozioni. Non volendo spaventarmi ancora, lasciai che il mio sguardo lo oltrepassasse.

    «Vedo che sei stanca. Ti lascio riposare, ma tornerò presto.»

    «Sì, sono un po’ stanca. Uh, grazie per essere venuto a porgermi le condoglianze… aspetta. Tornerai? Non voglio suonare scortese, ma perché? Voglio dire, non ti conosco e io…»

    «Passo di qui spesso, è di strada verso… il lavoro. Perciò, adesso che sei tornata, mi fermerò di nuovo. La prossima volta però aspetterò, sai, un po’ di più, che ti sia sistemata.»

    «Oh, non sarà necessario. Che ti fermi, intendo. Sul serio. Starò bene.»

    Uno strano uomo, di notte, e i miei genitori morti… non va bene, pensai. «Ho un amico che resterà con me finché dovrò impacchettare tutto ciò che c’è qui, prima di ripartire.»

    «Te ne vai già? Sei appena arrivata» il suo sguardo trattenne il mio.

    Avvertii la sensazione di non avere il controllo dei miei pensieri, né delle mie emozioni, se è per questo. Volevo che mi lasciasse sola, e non volevo essere scortese. La mia mente e il mio corpo erano esausti e diventai incapace di dire cosa volessi… Restai in silenzio. Ma che mi stava succedendo?

    «Ti lascio alle tue preoccupazioni. Riposati e dormi bene. Oh, non ho afferrato il tuo nome.»

    Come se avessero premuto un interruttore, tornai di nuovo me stessa. «Io… È Candra. Sono Candra Rosewood. È tardi, quindi se vuoi scusarmi, devo vedere cosa sta trattenendo il mio… amico.»

    «Ah, quindi sei la figlia. Che tristezza» scosse

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