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Il bianco gelsomino
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E-book186 pagine2 ore

Il bianco gelsomino

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Fantasy - romanzo (128 pagine) - Il sogno, la realtà. Una dimensione a mezz’aria che crea appagamento. Una giovane donna, Luce, ne resta imbrigliata senza via di scampo. Sceglierà di vivere o di vagare eterea nell’aria? Sarà qualcun altro a decidere per lei. Indissolubilmente.


Maria Luce è una giovane donna, bella e determinata. Acquista una vecchia casa per andarvi a vivere da sola, conquistando l’indipendenza dai genitori. L’edificio, ancora da ristrutturare, la attrae e insieme la inquieta, perché la prima volta che l’ha visto ha avuto una visione, che le ha riportato alla mente un episodio accaduto quand’era bambina.

All’interno della casa Luce riscopre una nuova dimensione di appagamento, ma presto accadono eventi inspiegabili, legati a una presenza estranea che la notte, durante il sonno, le sta vicino.

Il contatto con questa entità eterea scatena l’amore, la passione. Eppure qualcosa di estremamente insidioso si aggira tra le mura antiche della casa.

Una storia fantastica, in bilico tra realtà e sogno, che trasporta la protagonista in una vicenda surreale, capace di coinvolgela profondamente nei sentimenti e nel suo stesso modo di essere. Sullo sfondo, la la bellissima isola di Ortigia, a Siracusa, gioiello pulsante del territorio siciliano.


Giovanna Strano, dirigente scolastico e scrittrice, svolge funzioni ispettive, è impegnata da molti anni nella formazione di figure dirigenziali della scuola e collabora con riviste specializzate del mondo educativo.

Per Edizioni Simone ha pubblicato manuali di preparazione dei dirigenti scolastici. Scrive su riviste di attualità e testate giornalistiche, con contributi inerenti all’ambito educativo, formativo e artistico.

Appassionata di arti figurative, è curatrice scientifica di mostre artistiche che utilizzano canali comunicativi multimediali.

Recentemente ha pubblicato il romanzo Vincent in Love – il lavoro dell’anima edito da Cairo, che approfondisce in modo del tutto originale la personalità e la biografia di Vincent van Gogh.

Ultima pubblicazione La Diva Simonetta – la sans par, Aiep Editore, romanzo storico incentrato sulla figura di Simonetta Cattaneo, realmente vissuta alla corte di Lorenzo de’ Medici e musa ispiratrice di Botticelli.

LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2020
ISBN9788825412079
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    Anteprima del libro

    Il bianco gelsomino - Giovanna Strano

    Botticelli.

    I

    Luce

    Quell’immagine soave, leggera, candida ed evanescente, si era impressa nella mia mente in modo indelebile e mai l’avrei potuta dimenticare o cancellare, ma solo occultare e nascondere.

    Anche a me stessa.

    Gli anni erano trascorsi sereni ed ero cresciuta sotto l’ala protettrice dei miei genitori che mi sorvegliavano a distanza, cercando di vigilare sulle mie scelte e sulle esperienze che affrontavo, lasciandomi credere, in modo malcelato, che fossi io a decidere. La bimba dolce, dal carattere accondiscendente, sempre pronta a stupire gli altri con una poesia, una canzone o un semplice gesto di affetto, era diventata una donna che guardava al futuro con ottimismo e tutti i propositi di dare sempre il meglio di se stessa.

    Uomini… tanti, gironzolavano corteggiandomi in maniera più o meno evidente.

    Alcuni erano arrivati a sfiorare il mio cuore. Ma qualcosa a un certo punto smetteva di ticchettare, determinando in me l’esigenza di un breve distacco, che puntualmente si tramutava in una separazione più o meno definitiva.

    Uomini a me vicini.

    Qualcuno mi aveva amata veramente, tanto da rispettare in tutto le mie decisioni, anche più sofferte. Forse era proprio questo che determinava la voglia di allontanamento, di cercare altrove. Spesso non accettavo l’atteggiamento remissivo, di adorazione nei miei confronti, quasi fossi vista come una statua di cera che nella sua freddezza non poteva neanche essere sfiorata, per timore che si rovinasse.

    Quella persona a me tanto cara, pur di non perdermi avrebbe dovuto tentare anche l'impossibile…

    Invece indietreggiava di fronte alla mia rigidità, perché sopra ogni cosa c’era la volontà che io venissi rispettata in tutto e per tutto, anche a costo di calpestare se stesso, la propria persona.

    In questi frangenti volevo scomparire, perché sentivo la sofferenza di quell’uomo che mi amava intensamente. Ma non ne accettavo l’accondiscendenza, avvertita come debolezza.

    E credo di aver amato anch’io.

    Dico questo perché la separazione, la lontananza, era stata penosa anche per me e avevo sinceramente provato dei sentimenti profondi.

    Ma attendevo ancora… cosa? Forse il grande amore, il principe azzurro che un giorno mi avesse portata via con il suo cavallo bianco, coinvolgendomi talmente da non volere più vivere senza di lui. Da non desiderare altro che lui.

    Non era ancora successo. Tuttavia stavo in attesa fiduciosa, alternando momenti di spensieratezza ad altri di ansia per il mio futuro, che a volte mi appariva grigio e offuscato da lunghi periodi di solitudine.

    Probabilmente colpa delle troppe favole narrate alle bimbe in tenera età? Tra i ricordi di bambina ne emergevano ancora alcuni che, per la loro importanza, per il coinvolgimento emotivo che li aveva generati, restavano scolpiti nel profondo dell’anima come su roccia… altri invece cancellati del tutto.

    Ricordo una sera di primavera, sul balcone della casa dei miei nonni, la grande sfera bianca lunare era accostata a una stella lucente e molto nitida.

    L’oscurità avvolgente era argentata e tutto intorno, i tetti delle case, i balconi, erano di un unico colore… un grigio azzurro che adoravo, tanto da desiderare di poter un giorno dipingere le pareti della mia stanza di quel colore infinito.

    Una stanza fatta per pensare, per sognare, per creare.

    La luce bianca, diffusa intorno, uniformava con una patina di magia e di mistero ciò che invece, al chiarore del mattino, appariva in tutta la sua materialità, fatta di muri sgretolati e sconnessi, di biancheria stesa al sole, di una miriade di grigie antenne che sovrastavano i solai delle case, nel quartiere popolare della Borgata.

    Mia nonna, una donna molto riflessiva, legata alle tradizioni tramandate di padre in figlio, sempre tendente a dare una spiegazione mistica a tutto ciò che accadeva o che solamente incorniciava le nostre esistenze, mi disse:

    – Luce… guarda lassù! Stai per diventare una signorinella. Questa è la sera in cui ti viene data l’opportunità di esprimere un desiderio, legato alla tua vita, che potrà avverarsi… ma solo se ci crederai e riuscirai a pensare profondamente a ciò che realmente vuoi. – E aggiunse accarezzandomi il viso: – Esprimi un desiderio forte e intenso guardando la luna… e quella stella vicina lo ascolterà e lo farà avverare. Un giorno, quando sarai grande e io non ci sarò più.

    Io alzai lo sguardo e restai lì, in silenzio, per qualche minuto. La nonna aveva il dono di rendere magico qualunque episodio anche tra i più insignificanti, ogni azione era dettata da un motivo ben preciso; se un oggetto o una persona erano lì in quel momento c’era sempre una ragione.

    E poi lei, la sua forte personalità.

    Non potevo immaginare un futuro senza di lei. Eppure costantemente ricordava agli altri che era vecchia e che presto si sarebbe stancata di restare in questa vita e ci avrebbe lasciati.

    Riflettei molto, presa dal momento magico che mi attorniava con quella luce soffusa, credendo nell’importanza dell’attimo propiziatorio.

    Ma avevo poco da pensare, sapevo già cosa chiedere.

    Tra me e me dichiarai i miei voleri:

    Dio! Tu sei grande e so che stasera mi stai ascoltando… fa che un giorno, al momento giusto, possa incontrare un grande amore, un uomo che mi amerà più di ogni altro essere, di ogni altra cosa e che io amerò più di me stessa.

    Desideravo l’amore… ma l’amore già mi desiderava.

    Gli anni erano trascorsi senza che ciò si avverasse, o quantomeno senza accorgermi delle opportunità di felicità dalle quali ero stata sfiorata più volte, fuggendo puntualmente.

    Avevo un buon lavoro che mi dava soddisfazioni, trent’anni e aspiravo a raggiungere l’indipendenza, ritagliandomi uno spazio di vita tutto mio, tentando di allontanarmi un po’ dai miei, nonostante li ammassi immensamente.

    Maturai la decisione di acquistare una casa per andare a vivere da sola. Ne avevo discusso con i miei genitori che in un primo momento erano stati contrari, soprattutto mia madre.

    – Avanti Susi! – era intervenuto mio padre, uomo saggio e in perenne adorazione dell’unica figlia. – La ragazza vuole la sua indipendenza… è giusto! E poi ha detto che cercherà una casa vicina a noi, sarà sempre qui! Nel frattempo investiamo quei quattro soldi che abbiamo messo da parte per lei. E che dobbiamo fare? Arricchire le banche con i nostri risparmi?

    – Faremo come volete voi – rispose lei con tristezza. – Cerchiamo questa casa!

    La ricerca fu lunga. Non volevo imbattermi in un investimento affrettato e desideravo realmente una casa che mi colpisse e che mi facesse sentire subito sua.

    Ne girammo parecchie in vendita, quasi sempre con l’aiuto di agenzie immobiliari. Aspiravo a un appartamento indipendente, con il suo ingresso, un bel terrazzo sul mare, un cortile interno dove mettere piante e fiori.

    Certamente non era semplice! Poi una mattina… l’appuntamento davanti a quello che in passato fu il cinema Verga, al momento inagibile in quanto oggetto di eterni lavori di ristrutturazione.

    Ricordo il vecchio cinema. Avevo forse quindici o sedici anni quando vi andai con gli amici dell’epoca. Solo una volta, poiché era già mal ridotto e sarebbe stato chiuso da lì a poco. Enorme, grandissimo e quasi vuoto, con i suoi gelidi sedili rigidi che facevano avvertire ancora più freddo di quanto non ce ne fosse.

    Via dei Mergulensi era cambiata molto da allora. L’amministrazione stava investendo su Ortigia.

    L’obiettivo era di farne una bomboniera di attrazione turistica e in effetti i presupposti c’erano tutti. Allora la strada era stata pavimentata e, nei laterali, vi erano degli eleganti piloni in ferro, muniti di catene, a delimitare la zona pedonale.

    Avevo preso un permesso in ufficio per essere lì alle undici del mattino; i miei genitori mi attendevano insieme al mediatore dell’agenzia.

    Ci salutammo e scendemmo verso la piazzetta antistante alla vecchia scuola elementare che mi aveva vista crescere insieme ai miei coetanei.

    Il vecchio edificio squadrato, annerito dal tempo, enorme nella sua struttura, lasciava immaginare che all’interno vi fossero numerose scolaresche con i loro grembiuli bianchi e neri, gli ampi fiocchi blu annodati ai colletti, sedute in grandi banchi di legno, dove il sedile era un tutt’uno con la scrivania inclinata, intenti in silenzio ad ascoltare le parole della maestra che, vestita di autorità, con un solo sguardo pietrificava ogni discente, anche il più discolo. Ma non erano più quei tempi.

    La casa si trovava nei paraggi.

    – Sapete già che è un edificio da ristrutturare, quindi dovete guardarla con il senno di poi, immaginarla come verrà dopo gli opportuni interventi – disse il giovane facendo strada.

    Pensai: Questo si sta parando il colpo. Chissà che schifezza! E io che mi sono presa pure il permesso al lavoro. Che perdita di tempo!

    Ormai eravamo lì. Cercai di frenare la collera e seguii il mediatore in silenzio.

    Accedemmo a un cortiletto sul quale si affacciavano balconi carichi di gerani fioriti. L’agente tirò fuori dalla tasca una lunga chiave antica e aprì un pesante portone in legno, sul quale vi erano due battenti in ottone.

    In alto notai subito uno stemma araldico in rilievo, scolpito nella pietra bianca, con al centro uno strano animale, simile a un leone, ma con due teste.

    Entrammo in una grande stanza dalla quale si accedeva al piano superiore e a un ampio salone.

    Permaneva diffuso un forte odore di tessuti attaccati da muffe, di aria stantia, di muri sgretolati dall’umidità.

    Polvere e rottami dappertutto.

    – La casa è disabitata da cinque anni – disse il mediatore aprendo le imposte, non essendoci l’allaccio alla luce elettrica. – Ancora ci sono i mobili antichi del proprietario… ha ereditato l’immobile dallo zio, ma vive in Australia e ha deciso solo ora di vendere. Credo che venderà con tutto l’arredamento. Ha dato recentemente la procura per la cessione a un notaio e ritengo che non abbia intenzione di venire a Siracusa, per ora.

    Oscillai sentendo scricchiolare il pavimento sotto di me.

    Presentava ancora le vecchie piastrelle in terracotta che si usavano una volta. Erano di un rosso mattone con dei fiori verdi squadrati, ma alquanto sbrindellate e traballanti.

    Al centro della sala le mattonelle formavano un disegno: un medaglione che incorniciava un grande fiore stilizzato.

    Quello che il mediatore chiamava mobili era della roba vecchia ammassata in un angolo, inframmezzata a stracci… qualche sedia dal fondo quasi del tutto mancante e una sbilenca cassapanca tarlata.

    Alzai la testa. Il soffitto era tutto dipinto con immagini di angeli, nuvole. In mezzo un bellissimo lampadario.

    Dal perno centrale si dipartivano filari di cristalli inanellati che scendevano dolcemente per poi ritornare al soffitto, unendosi a un grande cerchio, forse in ottone, tutto lavorato a rilievo.

    Dal salone si accedeva a un’altra stanza abbastanza grande, un po’ annerita, che doveva essere la cucina. Il nostro cicerone aprì il finestrone guidandoci in un cortiletto interno dove primeggiava un’aiuola incolta.

    Osservavo tutto con attenzione…

    Avevo dimenticato lo stato d’animo urtato con il quale mi ero accostata a quell’ambiente. Avevo dimenticato il lavoro, l’ora di permesso, gli impegni.

    Salimmo per la larga scala, mancante di parapetto. Vi erano tre stanze, tutte comunicanti tra loro, e un piccolo bagno angusto.

    – Se siete interessati dovrete pensare a rifare i bagni, magari allargando un po’ questo del primo piano – aggiunse il giovane, guardando il viso scuro di mio padre.

    Certo… non è che ci fossero da rifare solo i bagni!

    Già, solo guardando le ragnatele e la polvere, i miei genitori erano confusi e demoralizzati.

    L’ultima era una stanza da letto totalmente arredata.

    Il giovane aprì le imposte e la luce invase l’ambiente polveroso, facendo brillare le mille pagliuzze che piroettavano nell’aria, stimolate dall’inatteso ingresso dei visitatori.

    Sul grande letto di legno intarsiato vi era ancora una vecchia coperta bianca di cotone, frutto di paziente lavoro a uncinetto eseguito da mani esperte, le cui frange erano tutte sgualcite e bisunte.

    Nella stanza vi era anche un cassettone e un grande armadio, anch’essi in legno intarsiato con tante foglioline in rilievo che scendevano a cascata, bordando i mobili di artistiche decorazioni.

    Al capezzale l’immagine dell’Arcangelo Gabriele nell’atto di annunciare alla Madonna l’avvento di Gesù nel suo grembo.

    Il dipinto leggero, con la predominanza di tinte azzurre e verdi, era racchiuso da una pesante cornice intarsiata.

    Il viso di Maria era dolcissimo. Con gli occhi bassi e un lieve sorriso accoglieva soavemente lo Spirito Santo che scendeva su di lei da una colomba,

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