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L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico: Interviste agli assistenti sociali degli ospedali: Bambino Gesù, Gaslini e Meyer
L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico: Interviste agli assistenti sociali degli ospedali: Bambino Gesù, Gaslini e Meyer
L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico: Interviste agli assistenti sociali degli ospedali: Bambino Gesù, Gaslini e Meyer
E-book384 pagine5 ore

L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico: Interviste agli assistenti sociali degli ospedali: Bambino Gesù, Gaslini e Meyer

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"L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico" ha lo scopo di proporre un’analisi su un tema ancora poco dibattuto e studiato, che riguarda l’agire professionale degli assistenti sociali negli ospedali pediatrici. L’idea di voler affrontare questa tematica nasce grazie al tirocinio formativo svoltosi presso il servizio sociale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (IRCCS). Quest’esperienza, quale osservatorio privilegiato, ha portato alla conoscenza di una particolare realtà operativa, tanto da suscitare il bisogno di un’ulteriore riflessione su come oggi l’assistente sociale svolge il proprio lavoro nell’ospedale pediatrico e come alcune aziende ospedaliere siano riuscite nel tempo a promuovere questa figura, attribuendole in itinere maggiore importanza.
Allo scopo di affrontare ed analizzare tale tematica è stato utile l’impiego di interviste semi- strutturate rivolte a tre distinte realtà ospedaliere in cui opera il servizio sociale quali il Bambino Gesù (IRCCS) della Città del Vaticano, l’Istituto Gaslini (IRCCS) di Genova e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer di Firenze.La definizione del concetto di salute, stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948, sottolinea l’importanza che la componente sociale riveste nel benessere dell'individuo, introducendo in campo ospedaliero e sanitario nuove figure professionali psico- sociali. L’istituzione del servizio sociale in ospedale offre secondo Richard Cabot un valido contributo nella cura del paziente in quanto gli assistenti sociali, possedendo una visione globale, possono arricchire quella più specialistica del medico. In tal modo il servizio sociale diventa un valido supporto operativo “al fine di ristabilire il benessere complessivo della persona ricoverata” (Caprini 2016, 631).
L’introduzione negli ospedali pediatrici di politiche che promuovano standard di cura più confacenti ai bisogni dei minori ricoverati, hanno generato un graduale e positivo processo di attenzione nei confronti della qualità della degenza e una promozione del ruolo dell’assistente sociale in ospedale.
Pertanto questo professionista, al fine di sviluppare progetti rispondenti alle esigenze del paziente e della sua famiglia, cerca di attivare interventi più adeguati al loro benessere attraverso un lavoro di rete integrato, reso accessibile anche agli altri professionisti e operatori sanitari (Dotti 2015). Partendo da queste considerazioni si vuole indagare, attraverso le interviste effettuate agli assistenti sociali delle tre strutture considerate, come il servizio sociale svolga il proprio ruolo e le proprie prassi all’interno di tali contesti.

Giulietta Falorni
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita10 ott 2020
ISBN9791220206679
L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico: Interviste agli assistenti sociali degli ospedali: Bambino Gesù, Gaslini e Meyer

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    L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico - Giulietta Falorni

    Giulietta Falorni

    L’agire professionale del servizio sociale nell'ospedale pediatrico

    Interviste agli assistenti sociali degli ospedali: Bambino Gesù, Gaslini e Meyer

    The sky is the limit

    UUID: e6e75f95-d832-43c2-96f1-c20da07a36fe

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    CAPITOLO 1. IL SERVIZIO SOCIALE OSPEDALIERO

    CAPITOLO 2. IL DIRITTO ALLA SALUTE DEL MINORE

    CAPITOLO 3. PRESENTAZIONE DEGLI OSPEDALI PEDIATRICI BAMBINO GESÙ, GASLINI E MEYER

    CAPITOLO 4. INTERVISTE ASSISTENTI SOCIALI OSPEDALI PEDIATRICI

    Bibliografia

    Riferimenti normativi

    Sitografia

    Emerografia

    Conclusioni

    Allegato 1

    Allegato 2

    Ringraziamenti

    Introduzione

    Il presente lavoro di tesi ha lo scopo di proporre un’analisi su un tema ancora poco dibattuto e studiato, che riguarda l’agire professionale degli assistenti sociali negli ospedali pediatrici.

    L’idea di voler affrontare questa tematica nasce grazie al tirocinio formativo svoltosi presso il servizio sociale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (IRCCS). Quest’esperienza, quale osservatorio privilegiato, ha portato alla conoscenza di una particolare realtà operativa, tanto da suscitare il bisogno di un’ulteriore riflessione su come oggi l’assistente sociale svolge il proprio lavoro nell’ospedale pediatrico e come alcune aziende ospedaliere siano riuscite nel tempo a promuovere questa figura, attribuendole in itinere maggiore importanza.

    Allo scopo di affrontare ed analizzare tale tematica è stato utile l’impiego di interviste semi- strutturate rivolte a tre distinte realtà ospedaliere in cui opera il servizio sociale quali il Bambino Gesù (IRCCS) della Città del Vaticano, l’Istituto Gaslini (IRCCS) di Genova e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer di Firenze.

    La definizione del concetto di salute, stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948, sottolinea l’importanza che la componente sociale riveste nel benessere dell'individuo, introducendo in campo ospedaliero e sanitario nuove figure professionali psico- sociali.

    L’istituzione del servizio sociale in ospedale offre secondo Richard Cabot un valido contributo nella cura del paziente in quanto gli assistenti sociali, possedendo una visione globale, possono arricchire quella più specialistica del medico. In tal modo il servizio sociale diventa un valido supporto operativo al fine di ristabilire il benessere complessivo della persona ricoverata (Caprini 2016, 631).

    L’introduzione negli ospedali pediatrici di politiche che promuovano standard di cura più confacenti ai bisogni dei minori ricoverati, hanno generato un graduale e positivo processo di attenzione nei confronti della qualità della degenza e una promozione del ruolo dell’assistente sociale in ospedale.

    Pertanto questo professionista, al fine di sviluppare progetti rispondenti alle esigenze del paziente e della sua famiglia, cerca di attivare interventi più adeguati al loro benessere attraverso un lavoro di rete integrato, reso accessibile anche agli altri professionisti e operatori sanitari (Dotti 2015).

    Partendo da queste considerazioni si vuole indagare, attraverso le interviste effettuate agli assistenti sociali delle tre strutture considerate, come il servizio sociale svolga il proprio ruolo e le proprie prassi all’interno di tali contesti.

    Si prevede anche un excursus riguardante il valore che la professione dell’assistente sociale riveste ancor oggi negli ospedali pediatrici. A tale fine, il primo capitolo propone la conoscenza del quadro di insieme in cui opera il servizio sociale ospedaliero e l’analisi degli studi e delle normative, seppur limitati, concernenti il suddetto servizio.

    Si sottolinea inoltre l’importanza che il lavoro di équipe multidisciplinare ricopre nella presa in carico del paziente; questa integrazione tra le diverse professioni è una risorsa necessaria per affrontare la cura nella sua complessità, attraverso l’adozione di una visione unitaria dei bisogni del minore e della sua famiglia.

    Il secondo capitolo focalizza l’attenzione sul diritto alla salute del minore e in particolare di quello ricoverato, per individuare le diverse problematiche presenti nell’utenza con le quali il servizio sociale ospedaliero si rapporta. Vengono analizzati inoltre i cambiamenti dei processi di cura e della tutela del bambino in ospedale; tali cambiamenti determinano un’impostazione più umanizzante della medicina pediatrica, che ha come fine lo sviluppo psico-fisico e sociale del paziente.

    La normativa e le Direzioni Sanitarie attribuiscono maggior rilievo alla tutela e alla promozione, intra ed extra ospedaliera, della salute del minore. Quest’attenzione favorisce negli assistenti sociali l’attuazione di strategie operative basate su un lavoro di rete con i servizi territoriali, allo scopo di adottare progetti più rispondenti alle esigenze del minore e della sua famiglia, per un buon rientro a casa e garantire una continuità relazionale con l’ambiente di riferimento.

    Nel terzo capito viene presentata un’ampia descrizione della storia e dell’organizzazione dei tre ospedali pediatrici che precede l’analisi delle interviste agli assistenti sociali.

    Il quarto capitolo rappresenta il nucleo della tesi in quanto sono analizzate le suddette interviste che portano alla conoscenza dei diversi ambiti afferenti l’agire professionale degli assistenti sociali; ambiti riguardanti il rapporto con i pazienti e le loro famiglie, con il territorio, con il personale sanitario e con la struttura ospedaliera.

    Il capitolo inoltre pone l’attenzione sul punto di vista degli assistenti sociali riguardante l’importanza che la formazione sanitaria assume nell’adozione di interventi relativi a determinate patologie con le quali si rapportano.

    Per completezza in appendice vengono inseriti i testi integrali delle interviste effettuate insieme alla traccia-guida somministrata agli assistenti sociali.

    CAPITOLO 1. IL SERVIZIO SOCIALE OSPEDALIERO

    Nel presente capitolo sarà affrontato il tema riguardante il Servizio Sociale nell’ambiente ospedaliero, evidenziandone il valore aggiunto che ha in questo contesto; verranno accennate, in estrema sintesi, le linee normative che hanno dato pieno compimento alla presenza effettiva di tale professione.

    Il Servizio Sociale Ospedaliero, interfacciandosi con i pazienti ricoverati e le rispettive famiglie, svolge un ruolo di raccordo con le professioni sanitarie e il territorio esterno. Ciò propone di soffermarsi sull’importanza che tali relazioni multidisciplinari hanno sull’attività stessa dell’assistente sociale e come l’integrazione sociosanitaria abbia dato l’avvio a determinati rapporti professionali.

    Rispetto alle diverse aree d’intervento del servizio sociale, ci soffermeremo più specificatamente sulle modalità di presa in carico e sulle specifiche categorie di utenti, al fine di avere una panoramica dell’importante e fondamentale lavoro che tale professione svolge in Ospedale.

    1.1. Il valore aggiunto del Servizio Sociale in Ospedale

    Il Servizio Sociale Ospedaliero è stato definito come: un servizio di supporto a quello prettamente clinico, come un’unità operativa coadiuvante l’intervento medico al fine di ristabilire il benessere della persona ricoverata. Si può quindi affermare che il servizio sociale costituisca un’unità operativa dentro l’azienda ospedaliera e si caratterizza per una propria autonomia d’intervento che, secondo tecniche e metodologie proprie, agisce in un’ottica di rete e in un’area multilivello concorrendo al mantenimento o al recupero della salute dei cittadini (Caprini 2016, 631).

    La motivazione di fondo dell’inserimento dell’assistente sociale in ambito ospedaliero si può ritrovare nella specifica professionalità di tale figura che ha tra i suoi basilari obiettivi il farsi carico degli aspetti umani e sociali della persona, dei suoi bisogni e della sua salute fisica, psichica e sociale (Pieroni e Dal Pra Ponticelli 2011).

    Gli interventi del servizio sociale, in collaborazione con il sistema organizzato dei servizi sociosanitari, hanno come fine il reinserimento del cittadino nel proprio contesto di vita attraverso un costruttivo processo individualizzato di cura e di riabilitazione.

    Edda Samory in un convegno con tematica il Servizio Sociale Ospedaliero: la professionalità tra competenza e dipendenza tenutosi a Bologna nel 1997, afferma che il "Servizio Sociale

    Ospedaliero è un servizio di frontiera, cioè un avamposto che può dare input a tutto il Servizio Sociale (Samory, 1997). La studiosa inoltre sottolinea come l’Ospedale sia stato uno dei primi ambiti di lavoro per il Servizio Sociale Professionale1. Inoltre dichiara che l’attività dell’assistente sociale è fondamentale in tale ambiente, in quanto si identifica non come una professione di delega o di ponte fra domanda dei cittadini e risposte precostituite dagli enti"; ma come una professione di aiuto, valutativa del bisogno dell’utente, in un processo partecipato in cui è riconosciuta la sua diretta responsabilità nelle decisioni da prendere.

    L’assistente sociale è dunque un professionista in un sistema di welfare societario. La sua visione della realtà sociale è globale e unitaria perché caratterizzata da un tipo di conoscenza, finalizzato a promuovere particolari modalità di intervento nell’approccio con le persone e i loro problemi (Ibidem).

    La sua presenza in Ospedale è motivata dal concetto multidimensionale di salute, presentato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) nel 1948, come uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale e non soltanto come assenza di malattia o di infermità; viene così a delinearsi la funzione specifica del servizio sociale come presa in carico degli aspetti umani e sociali, derivanti dalla malattia della persona.

    Intorno alla fine degli anni ‘70 del XX secolo è andata affermandosi l’idea di salute come prodotto d’interazione tra le varie componenti biologiche, psicofisiche e sociali, presenti nel contesto di vita di ciascun individuo. Nella conferenza di Alma Ata del 1978 vengono elaborati e teorizzati ulteriori principi finalizzati a promuovere una più ampia rappresentazione e percezione del concetto di salute. Si stabilisce che il benessere psicofisico non deve essere di esclusiva responsabilità dei professionisti sanitari, ma anche di altre figure professionali, al fine di rendere le persone e i gruppi sociali soggetti attivi e responsabili nella prevenzione e nel mantenimento del proprio stato di salute. In base a queste considerazioni la salute viene concepita come esito dell’azione degli individui nella loro capacità di relazionarsi con l’ambiente sociale e con l’adattamento che essi sono in grado di sviluppare rispetto alle influenze ambientali (Bissolo e Fazzi 2015).

    1 Il 1 ottobre 1885 viene introdotto, presso il Royal free hospital di Londra e per iniziativa di Charles Loch della Charity Organization Society, il primo operatore sociale retribuito con il compito di aiutare i medici ed infermieri nella comprensione della malattia e della sua cura (Dotti 2015, 51). In seguito a Boston nel 1905 il Dr Richard Cabot richiese la presenza in ospedale di un lavoratore sociale per approfondire la conoscenza del paziente e migliorare la diagnosi e per far fronte ai numerosi bisogni economici e morali derivanti da un ricovero solitamente protratto nel tempo. In Italia le prime esperienze di Servizio Sociale ospedaliero risalgono al 1945 e si possono rintracciare presso l’Ospedale Gaslini di Genova, nel momento in cui si inizia a puntare l’attenzione sul benessere generale del degente, pensando a una collaborazione con un operatore sociale utile specialmente nelle lunghe degenze (Guadagni e Messieri 1997, 5).

    Prende avvio così un nuovo modo di rappresentare la salute, che si confronta con la persona a partire da un approccio bio-psicosociale dipendente dalla sua storia esperienziale e dalle relazioni intessute con una data comunità presente nell’ambiente nel quale trascorre gran parte della propria esistenza.

    Questo modello, che predilige una percezione soggettiva di salute, afferma l’idea che la persona è co-costruttrice insieme alla comunità delle proprie azioni, comportamenti e risultati (Bissolo e Fazzi 2015).

    La Carta di Ottawa del 21 novembre 1986, responsabilizza i singoli individui nella tutela della propria salute e pone le basi per nuove politiche di intervento a carattere più organico e multidisciplinare, al fine di creare una rete di sensibilizzazione tra i servizi territoriali.

    In quest’ottica si creano nuove norme riguardanti l’integrazione sociosanitaria che stabiliscono la valorizzazione della persona durante la cura e riconoscono l’incidenza dei fattori sociali sull’origine di uno stato di malattia (Pieroni e Dal Pra Ponticelli 2011). Tale tendenza ha permesso l’inclusione di nuove figure professionali nell’azione sanitaria, fra cui psicologi e assistenti sociali, favorendo inoltre lo sviluppo di studi relativi alla specificità della loro competenza professionale nel lavoro di équipe (Monolo 1972).

    Dall’inizio degli anni ’70 sono stati svolti convegni e ricerche in tali direzioni, determinati anche dalla prima riforma sanitaria2 che ha istituito gli Enti Ospedalieri e predisposto una strutturazione organizzativa del Servizio Sociale.

    Si pensi ad esempio al Documento, redatto nel 1971 da un gruppo di studio della Fondazione Zancan, dove vengono proposte alcune delle linee guida riguardanti sia l’inserimento del Servizio Sociale in ospedale, sia le funzioni, i compiti, la metodologia, l’organizzazione e la supervisione richieste per tale lavoro (Guadagni e Messieri 1997).

    Nel Documento Zancan, oltre a ribadire il concetto del malato come persona nelle sue componenti fiso-psico-sociali, viene stabilito che l’assistenza ospedaliera è imprescindibile dalla cura globale dell’individuo che deve essere assistito non solo da un punto di vista medico, ma da un complesso di prestazioni integrate e altamente specialistiche per il recupero totale della sua salute. Tale presa di coscienza riconosce il fattore sociale all’origine di uno stato di malattia (Ibidem) e quindi in quest’ottica, si giustifica l’inserimento del servizio sociale in

    2 La legge 12 febbraio 1968, n. 132, Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera, nell’art. 3 stabilisce che le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza e gli altri enti pubblici che al momento di entrata in vigore della presente legge provvedono esclusivamente al ricovero e alla cura degli infermi, sono riconosciuti di diritto enti ospedalieri. Sono pure costituiti in enti ospedalieri tutti gli ospedali appartenenti a enti pubblici che abbiano come scopo oltre l’assistenza ospedaliera anche finalità diverse. Ai fini del trattamento tributario gli enti ospedalieri sono equiparati all’amministrazione dello Stato.

    quanto il suo intervento con i pazienti propone un trattamento che prevede l’esame anche dei problemi psico-sociali connessi al ricovero ospedaliero (Documento Zancan 1971).

    Il Documento individua nella pratica del servizio sociale ospedaliero funzioni, compiti e metodologie atti a trattare specifiche categorie di pazienti non autosufficienti dal punto di vista psico-sociale (bambini, anziani, ragazze madre…) che possono trovare maggiore difficoltà nell’utilizzo delle risorse offerte dalla società e nel loro reinserimento in questa dopo la dimissione.

    Al fine di rispondere efficacemente all’utenza, il servizio sociale svolge studi e ricerche in un’ottica di prevenzione programmata sulle componenti psico-sociali della malattia per rilevare, in collaborazione con altri servizi intra ed extra ospedalieri, i fattori di promozione della salute, le necessarie trasformazioni dell’attività assistenziale dell’ente, il collegamento con la diversa situazione di vita, per ottenere una sempre più seria programmazione dei servizi da parte dell’ente ospedaliero e di enti esterni (ivi, 106-107). Il Documento del 1971 sottolinea inoltre il fondamentale apporto che può avere il servizio sociale nella partecipazione e formazione della politica sociale dell’ente ospedaliero, contribuendo così a determinare una maggiore sensibilità tra gli operatori sanitari nella cura globale dell’individuo (Documento Zancan 1971).

    Un convegno di studio organizzato a Firenze nel 1974 sul tema Servizio sociale ospedaliero: situazione attuale e prospettive, dall’associazione assistenti sociali ospedalieri, rileva la resistenza dell’ambiente ospedaliero ad attuare le indicazioni riportate dal Documento Zancan e quindi a non fare esplicitamente riferimento al sociale inteso, sia come insieme di fattori che causano malattia, che come servizio territoriale (Guadagni e Messieri 1997).

    Nonostante tali premesse, tuttavia, nel tempo notiamo come in Italia i contributi sulla riflessione del servizio sociale ospedaliero siano stati esigui; i pochi pervenuti hanno lamentato l’indisponibilità del sistema ospedaliero ad accettare una collaborazione con il servizio sociale e alla messa in atto di una politica interna con finalità sociali.

    Carmela Giordano nell’articolo Il servizio sociale in ospedale del 1983, riprendendo i concetti definiti dal Documento Zancan, propone un progetto molto articolato di organizzazione del servizio sociale in ospedale che presuppone un percorso di ricerca, valutazione e promozione dell’importanza valoriale in questo contesto di tale professione. La ricercatrice, sostenendo che la malattia possa creare o aggravare problemi di ordine sociale legati all’ambiente familiare, alle condizioni economiche e al lavoro (Giordano 1983, 71), giustifica la presenza degli assistenti sociali ospedalieri per elaborare con il personale sanitario obiettivi e strategie per il superamento delle problematiche psicosociali del paziente ricoverato.

    Il professionista sociale pertanto deve studiare i bisogni del paziente preso in carico valutando anche il ruolo esercitato dalla famiglia e garantire, inoltre, la continuità delle cure mediche unitamente all’assistenza sociale da protrarsi dopo la sua dimissione.

    Carmela Giordano sottolinea anche l’importanza della stretta collaborazione interdisciplinare nel lavoro di équipe, quale strumento di comunicazione tra le diverse professionalità. Viene quindi stabilita la rilevanza dell’autonomia3 del lavoro del servizio sociale all’interno dell’organizzazione ospedaliera al fine di accertare, senza condizionamenti, i bisogni e le risorse degli utenti e per contribuire in tal modo alla cura completa dell’individuo.

    Nel 1988 emergono ulteriori criticità, presentate nell’articolo di Celentano, Fusella e Spasiano sull’argomento Servizio sociale ospedaliero e organizzazioni di tutela dei diritti del malato e riguardanti il trattamento del cittadino malato in ospedale; le suddette criticità evidenziano che se in un ospedale non è presente una politica sociale centrata sull’individuo, vengono a cessare i presupposti che giustificano l’inserimento e la presenza del servizio sociale in tale struttura. Di fronte alla mancanza di una nuova organizzazione ospedaliera, il servizio sociale rischia allora di essere considerato ed utilizzato come una specie di servizio burocratico a favore dell’amministrazione dell’ospedale, utile solo a risolvere i problemi di quest’ultimo a scapito di quelli del malato (Celentano, Fusella e Spasiano 1988, 10).

    Questa argomentazione, riguardante la peculiarità del servizio sociale in ambito ospedaliero, si ritrova nel Codice Deontologico degli Assistenti Sociali dove emerge chiaramente che la professione si pone al servizio del bene comune, collocando al centro dell’intervento la persona (Pieroni e Dal Pra Ponticelli 2011, 201). Nel dettaglio l’assistente sociale svolge il compito di sollecitare e promuovere l’utente nella creazione del suo progetto di aiuto, sostenendolo e valorizzandolo nelle sue potenziali risorse; propone inoltre un progetto individualizzato per ogni persona presa in carico, basato sulle sue specifiche caratteristiche, interessi e situazioni personali.

    Nel servizio sociale ospedaliero, tali principi si traducano nel tentativo dell’assistente sociale di rafforzare la resilienza come processo attraverso il quale gli individui e le famiglie resistono in situazioni di difficoltà verso un evento negativo, mantenendo un senso di padronanza (Dotti 2015, 60). Promuovere la resilienza nelle persone è fondamentale perché significa sostenere e valorizzare le risorse proprie di un individuo e della sua famiglia, per la risoluzione positiva di possibili eventi traumatici.

    3 Il Codice Deontologico dell’Assistente sociale nell’art.44 afferma che l’assistente sociale deve chiedere il rispetto del suo profilo e della sua autonomia professionale, la tutela anche giuridica nell’esercizio delle sue funzioni e la garanzia del rispetto del segreto professionale e di ufficio.

    Altro importante obiettivo del Servizio Sociale ospedaliero è la valutazione dell’efficacia del processo di aiuto per analizzare la situazione di bisogno della persona, tenendo conto sia della durata della degenza ospedaliera, sia dei reciproci rapporti esistenti con la realtà familiare e territoriale (Dotti 2015).

    Ulteriori attività svolte da questi operatori fanno riferimento a funzioni consulenziali, assistenziali e previdenziali nei confronti di coloro che manifestano bisogni complessi a livello fisico-psichico- sociali e per i quali è richiesta l’attivazione di specifici percorsi di aiuto (ivi, 59).

    Nel caso in cui la politica della Direzione Sanitaria lo preveda, l’assistente sociale potrà esercitare il compito di indicare agli enti competenti, le direzioni verso cui la programmazione deve muoversi, per attuare una reale prevenzione (Guadagni e Messieri 1997, 13) e per creare le condizioni di una concreta integrazione sociosanitaria.

    Nonostante tali presupposti atti a stabilire l’importanza del ruolo dell’assistente sociale in ambito ospedaliero, ancor oggi si riscontrano molte resistenze da parte del suddetto sistema nell’includere, in un progetto di cura prettamente sanitario, gli aspetti sociali relativi alla persona (Guadagni e Messieri 1997).

    Tali difficoltà sono anche dovute a lacune normative riguardanti la disciplina e la strutturazione della presenza organizzativa del Servizio Sociale Ospedaliero. Queste problematiche saranno ulteriormente approfondite in itinere, attraverso l’analisi di interventi e norme che hanno fornito materia di regolamentazione per l’assistente sociale in Ospedale.

    Altrettanto debole appare la riflessione interna al servizio sul ruolo specifico che il suddetto professionista dovrebbe occupare nel contesto ospedaliero italiano (Samory 1997); questa incertezza ha rallentato il consolidamento del ruolo istituzionale e delle funzioni del Servizio Sociale Ospedaliero (Caprini 2016).

    Di seguito verrà presa in considerazione, come già detto, la normativa che ha strutturato nel tempo il Servizio Sociale Ospedaliero e i possibili strumenti degli Assistenti Sociali, utilizzati per la valutazione delle diverse situazioni e per fornire risposte efficaci alle varie problematiche.

    1.1.1. Accenni di normativa

    La prima norma che stabilisce l’inserimento in Ospedale del Servizio Sociale è la legge 12 febbraio 1968 n. 132 che trasforma gli Ospedali degli Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficienza (IPAB) in Enti pubblici ospedalieri. Questa, oltre a fornire definizioni dettagliate riguardanti la struttura e l’organizzazione amministrativa dei suddetti enti, prevede all’interno

    di ciascuna struttura la presenza del servizio di assistenza sanitaria e sociale (Pieroni e Dal Pra Ponticelli 2011). L’art. 22 afferma inoltre che all’interno degli ospedali si possono trovare vari servizi di recupero, di assistenza sanitaria e sociale, di medicina legale e di assicurazioni sociali (Guadagni e Messieri 1997); in specifico l’art.39, riguardante la configurazione del personale presente nelle strutture ospedaliere, stabilisce la presenza dell’assistente sociale, come personale sanitario ausiliario afferente alla Direzione Sanitaria.

    Da tali premesse si evince il ruolo svolto dal servizio sociale in ospedale, come ausilio del personale sanitario per il recupero dello stato di salute dei cittadini (Caprini 2001).

    Il Decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1969 n.128 promulgante l’Ordinamento interno degli Ospedali, nell’art. 28 co.1 distingue i servizi di assistenza sanitaria da quelli sociali, dei quali ne definisce il suo mandato istituzionale e professionale nell’art. 43; affida inoltre al servizio sociale, in collaborazione con il personale sanitario, il trattamento dei problemi psicosociali del paziente (Giordano 1983).

    Da questi presupposti prende avvio l’inserimento del servizio sociale nella rete nazionale ospedaliera, oltre alla riflessione, al dibattito dei suoi obiettivi e alla sua strutturazione (Guadagni e Messieri 1997). Vengono definite in modo più specifico le peculiari funzioni riguardanti il trattamento individuale o di gruppo, il lavoro di consulenza, il lavoro di partecipazione e promozione di programmi di salute pubblica, da svolgere in collaborazione con il personale intra ed extra ospedaliero (Documento 1971).

    Dopo queste prime indicazioni normative il legislatore non ha più fatto chiara menzione sulla presenza del sociale in ospedale, se non nei termini di integrazione tra sanitario e sociale (Caprini 2001, 15). Infatti il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 e la legge 23 dicembre 1978 n. 833 di riforma socio-sanitaria segnano sulla carta il raggiungimento di molti obiettivi da tempo segnalati dal servizio sociale professionale, quali la globalità, la territorialità, la prevenzione, la partecipazione; nel contempo è ignorata del tutto la funzione specifica degli assistenti sociali e la configurazione di un modello organizzativo uniforme (Guadagni e Messieri 1997).

    Successivamente, il Decreto del Ministero della Salute 13 settembre 1988 attribuisce all’assistente sociale, identificato come personale tecnico-sanitario4, un ruolo e una presenza importanti nei reparti ad alta specializzazione, quali le unità spinali e lungodegenze, per il particolare rilievo che la qualità della vita assume in questi tipi di divisioni (Caprini 2001, 16); lascia però, alla discrezionalità della Direzione Sanitaria, la decisione di far collaborare

    4 Nel Decreto ministeriale il ruolo dell’assistente sociale è ritenuto necessario per le esigenze generali del presidio, da utilizzare nell’unità operative con il compito specifico di contribuire ad adottare soluzioni atte a favorire le connessioni funzionali con i servizi extra ospedalieri e con i servizi sociali operanti nel territorio (Caprini 2001, 16).

    tale figura professionale con i reparti di media assistenza quali psichiatria, geriatria, oncologia e pediatria, settori privilegiati per la richiesta di intervento sociale (Caprini 2001). Attribuisce inoltre al Servizio Sociale, il compito di adottare soluzioni atte a promuovere relazioni funzionali con i servizi extra-ospedalieri e con i Servizi Sociali territoriali, per la presa in carico del paziente dopo la dimissione (Dotti 2015).

    Nel tempo è stato regolamentato anche il ruolo dirigenziale del Servizio Sociale nelle Aziende Ospedaliere e in tutte le altre strutture sanitarie; l’art. 7 della legge 10 agosto 2000 n. 251, dispone l’istituzione del suddetto ruolo nello staff delle Direzioni Aziendali con l’emanazione di un Atto di Autonomia Aziendale che disciplini le strutture dirigenziali operative di Servizio Sociale, qualificate come unità organizzative complesse o semplici (Documento 2010, 2).

    Inoltre, nel 2010 viene elaborato, dal tavolo tecnico del Ministero della Salute, un Documento con lo scopo di individuare percorsi ed azioni condivise, per la promozione e la valorizzazione del servizio sociale professionale all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzate ad una concreta riorganizzazione dei servizi nella logica di una corretta integrazione sociosanitaria nel territorio (Documento 2010, 3). Tale Documento, dopo una prima precisazione sull’importante presenza del servizio sociale nel contesto dell’integrazione sociosanitaria, avanza una sostanziale e concreta richiesta di inserimento del Servizio Sociale Professionale nel nuovo Piano Sociosanitario, previsto dalla normativa di accesso alla dirigenza professionale, al fine di stimolare la realizzazione di un nuovo modello organizzativo multiprofessionale (Documento 2010).

    Il Documento precisa inoltre gli ambiti di lavoro del servizio sociale in sanità per una riorganizzazione funzionale e operativa, tale da garantire una risposta unitaria e globale attraverso la razionalizzazione delle risorse e l’individualizzazione di percorsi assistenziali idonei e personalizzati5. In quest’ottica il Servizio Sociale Professionale nella rete dei servizi sociali, sanitari e socio assistenziali assume funzioni di accoglienza, di orientamento e di presa in carico della persona, della famiglia e del gruppo sociale (Documento 2010, 4); si va a delineare così come figura professionale titolata a garanzia dell’esigibilità dei diritti sociali.

    5 Il Servizio Sociale Professionale in sanità lavora nei diversi livelli di integrazione: dalla predisposizione di protocolli di intesa tra enti istituzionali, ai protocolli operatori di diversi percorsi di presa in carico per determinati bisogni di salute, alla predisposizione dei progetti individualizzati di presa in carico (ad esempio il PAI), il lavoro diretto con i cittadini, sino alla stretta promozione/collaborazione con l’associazionismo per favorire la presentazione delle istanze ai livelli precedenti (Documento 2010, 4).

    1.1.2. I possibili strumenti ed obiettivi del Servizio Sociale Ospedaliero

    Come affermato precedentemente, il fine proprio del servizio sociale è la promozione dell’individuo che può essere esplicitata, in ambito ospedaliero, attraverso la valorizzazione ed il recupero del paziente-persona.

    Al fine di rispondere adeguatamente a tale compito, è necessario che l’assistente sociale abbia un’adeguata preparazione di cultura generale e un’appropriata conoscenza della terminologia medica (Giordano 1983; Dotti 2015) tale da potersi interfacciare con gli operatori sanitari nell’interpretazione delle loro direttive; deve avere conoscenze di ordine psicologico atte a comprendere gli stati d’animo del paziente, per poter sviluppare un rapporto empatico, finalizzato ad un costruttivo progetto d’intervento e di aiuto.

    Inoltre il servizio sociale svolge un’attività di consulenza volta a dare informazioni sui servizi del sistema sanitario ed a sostenere nella presa in carico le situazioni multiproblematiche proposte sia dal personale sanitario, che da enti territoriali/istituzionali (Caprini 2001).

    Uno strumento importante per l’attività di consulenza e presa in carico dell’individuo è rappresentato dal colloquio, di estrema importanza perché è una forma di comunicazione interpersonale guidata dall’assistente sociale verso uno scopo finalizzato ad instaurare con la persona una relazione atta a favorire la comprensione reciproca della situazione in esame e a permettere di intraprendere soluzioni possibili (Dal Pra Ponticelli 1987, 144).

    L’assistente sociale, al fine di redigere relazioni e documentazioni inerenti la presa in carico dell’utente, dispone di cartelle sociali in cui sono presenti i dati essenziali del colloquio, i documenti relativi alla storia clinica del paziente, del suo rapporto con la struttura ospedaliera e il servizio sociale esterno.

    La documentazione del colloquio e la stesura di relazioni annuali sulle attività svolte sono utili per redigere una programmazione annuale e per restituire all’amministrazione dell’Ospedale un’analisi del lavoro concretamente realizzato.

    Il contesto in cui avviene il colloquio è estremamente importante per il rispetto della privacy dell’utente; infatti quando esso è svolto in una stanza di degenza, l’operatore dovrà

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