Droga. Storie che ci riguardano
Di Luigi Ciotti
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Alla base di queste pagine ci sono dunque l’impegno per normative e metodi di “recupero” rispettosi della dignità e autonomia delle persone, ma anche la consapevolezza che «libera dalle droghe sarà la società capace di autocritica e dunque di vera trasformazione. Una società che non abbia paura di chiedersi perché negli stupefacenti o in altre forme di dipendenza e consumo tante persone cercano un illusorio rimedio al vuoto di senso, di relazioni, di opportunità».
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Anteprima del libro
Droga. Storie che ci riguardano - Luigi Ciotti
Ciotti
Droga
Storie che ci riguardano
Edizioni Gruppo Abele
© 2020 Associazione Gruppo Abele Onlus
corso Trapani 95 - 10141 Torino
tel. 011 3859500
www.edizionigruppoabele.it
edizioni@gruppoabele.org
isbn 9788865792285
Il libro
Don Luigi Ciotti, con il Gruppo Abele, aprì nel 1973 il primo servizio di accoglienza in Italia, in pieno centro a Torino. Non esistevano ancora le comunità terapeutiche, e ai consumatori di droga, se finivano nelle mani delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, non restavano che due strade: il carcere o l’ospedale psichiatrico.
Alla base di queste pagine ci sono dunque l’impegno per normative e metodi di recupero
rispettosi della dignità e autonomia delle persone, ma anche la consapevolezza che «libera dalle droghe sarà la società capace di autocritica e dunque di vera trasformazione. Una società che non abbia paura di chiedersi perché negli stupefacenti o in altre forme di dipendenza e consumo tante persone cercano un illusorio rimedio al vuoto di senso, di relazioni, di opportunità».
L’autore
Luigi Ciotti, fondatore e presidente dell’Associazione Gruppo Abele Onlus e di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, è impegnato dal 1965 sulla strada nella tutela e promozione dei diritti dei più deboli e nella difesa della legalità contro tutte le mafie.
Indice
Prologo
Droghe: storie e numeri
L’età dell’iniziazione
La solitudine nell’epoca di Internet
Le droghe più diffuse
Quando le droghe uccidono
Aiuto, cura o punizione?
Educare, non punire
L’Aids, ieri e oggi
Anche la legge può uccidere
Chi gestisce il narcotraffico (e quanto guadagna)
Proibita o legale?
A che punto siamo
La cultura del limite non è rinuncia ma scoperta di felicità
Prologo
La droga è uno dei problemi più drammatici del nostro tempo. Mi ci confronto, con il Gruppo Abele, da cinquant’anni. Un lungo periodo durante il quale ho incontrato – sulla strada, nelle prime accoglienze, in comunità, in carcere – migliaia di persone che con la droga hanno avuto a che fare. Giovani e meno giovani che ne facevano e ne fanno uso. In contesti diversi e con esiti diversi: a volte convivenze
prolungate, altre volte percorsi positivi di superamento della dipendenza, altre ancora malattia e morte. E ho incontrato le loro famiglie, anch’esse molto diverse, ma tutte segnate dalla sofferenza e dalle stesse domande irrisolte: perché tutto questo? Cosa fare per uscirne? E poi educatori, operatori di comunità, medici, volontari e tanti altri quotidianamente a contatto con storie di dipendenza.
L’incontro con la disperazione e la speranza mi ha insegnato molte cose, due in particolare. La prima: le storie di droga ci riguardano tutti, anche chi non ne è toccato personalmente o per ragioni familiari, e chi ne fa uso non è altro
da noi. La seconda: per affrontare il problema non ci sono vie facili e risolutive, soluzioni già pronte, bacchette magiche
esibite da spacciatori d’illusioni. Ma, nello stesso tempo, ho toccato con mano che l’uso e abuso di droghe non sono funesti circoli viziosi ma situazioni suscettibili di cambiamento e risoluzione. Per questo ho deciso di raccogliere riflessioni, conversazioni, dati, insomma qualche frammento dell’esperienza di questi decenni… Perché i problemi legati alle dipendenze si risolvono solo insieme e partendo dalla conoscenza. Non serve esorcizzare e condannare. Occorre, al contrario, capire e accompagnare.
Cecità e demagogia della politica
C’è in questi mesi chi, alla ricerca spregiudicata di consenso, esibisce sulla questione droga atteggiamenti muscolari e toni minacciosi. Beninteso, credo che il no
alle droghe debba essere netto e intransigente, ma a partire da una comprensione del fenomeno e delle ragioni per cui tante persone, la maggior parte giovani ma non più soltanto, trova nelle droghe, se non un senso, un sollievo alle difficoltà della vita. Se manca questo studio e questa comprensione, i no
alla droga sono soltanto propaganda elettorale, cinica demagogia che vede persino nei drammi umani un’occasione di potere.
Quando sento certi discorsi mi chiedo se mai guarirà, certa politica, da una dipendenza che lei sì sembra ineluttabile – quella dal potere – e la memoria torna indietro di quarant’anni e più. Era il 28 giugno 1975. In una tenda in piazza Solferino, a Torino, partiva un’iniziativa che ha rappresentato per tante persone un’occasione di speranza e di riscatto. Era in vigore allora una legge sulla droga che portava al carcere o al manicomio. Erano gli anni in cui l’eroina cominciava a diffondersi nelle città, stroncando molte vite, soprattutto giovani. Il Gruppo Abele già da tempo se ne occupava. Nel 1973 avevamo messo in piedi il «Molo 53» in via Verdi, primo spazio in Italia aperto giorno e notte e gestito insieme ad alcuni generosi medici e farmacisti, contrari a una legge che prevedeva, tra l’altro, la denuncia delle persone tossicodipendenti. La tenda di piazza Solferino nasceva sul solco di quell’impegno e dal bisogno di scuotere le coscienze. Furono oltre 200 persone a digiunare nei primi giorni, sette di loro continuarono a oltranza. Vennero distribuiti materiali, apprestati cartelli con denunce documentate, organizzati momenti di approfondimento. Uno di quei cartelli riportava il nome, l’età, la città dei primi dieci morti per overdose in Italia: ragazzi con un’età oscillante fra i 15 e 26 anni… Arrivarono messaggi di sostegno da tutta Italia, molti giornali ne parlarono, la visita del cardinale Michele Pellegrino e il suo telegramma al Presidente della Repubblica Leone scossero l’opinione pubblica, sollecitarono le istituzioni e il mondo della politica. Una delegazione del Gruppo partecipò a una serie d’incontri ai ministeri degli Interni, della Sanità, della Giustizia. E sei mesi dopo, il 22 dicembre del 1975, venne approvata la legge 685, la prima a considerare il consumatore di droga una persona da aiutare e non un delinquente da incarcerare, e a istituire una rete di servizi.
Da allora molto è cambiato nella società, nelle sostanze, nei comportamenti delle persone, nel sistema legislativo. Ma restano alcuni punti fermi.
Eroina: un falso ritorno
L’uso di droghe ha avuto nei decenni successivi alti e bassi, manifestazioni e caratteri diversi. C’è stato un periodo – dall’inizio degli anni Settanta alla metà dei Novanta – in cui tra overdose, Aids, epatiti e altre malattie correlate, la droga causò la morte di circa 50.000 persone. Una strage. Dovuta soprattutto all’eroina. Ricordo periodi in cui officiai funerali in continuazione, ogni settimana, croci che mi porterò sempre nel cuore, tanto più che molte di quelle vite si spensero nell’indifferenza dei più, considerate morti di «serie B» o comunque inevitabile esito di «chi se l’era andata a cercare». Indifferenza che divenne ostilità e pregiudizio quando la tragedia dell’eroina s’intrecciò con quella dell’Aids.
Con la seconda metà degli anni Novanta le nuove generazioni sembravano aver sostituito gli oppiacei con meno letali sostanze di prestazione
: ecstasy, anfetamine, cocaina, il cui uso era in qualche modo legato alla dimensione del divertimento, in particolare notturno. A lungo, anche tra operatori del settore, si è creduto che l’eroina fosse superata dalla diffusione di queste altre sostanze. Si è trattato di un abbaglio, o almeno di una sottovalutazione. Perché l’eroina non è mai scomparsa. E poi perché era nell’ordine delle