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Family office
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E-book413 pagine4 ore

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Conservare e accrescere il valore della ricchezza. Un esercizio che nel caso di patrimoni rilevanti e di elevata complessità richiede competenze che gran parte dei risparmiatori e degli investitori non possiede. Fra i soggetti dediti alla cura dei patrimoni hanno recentemente assunto crescente rilievo i cosiddetti Family Office, entità con natura e caratteristiche multiformi, promossi sia in proprio da una o più famiglie facoltose sia, sempre più spesso, da banche, intermediari finanziari e società fiduciarie. Con un lessico per quanto possibile alla portata di tutti, i professionisti autori di questo libro guidano il lettore nella comprensione delle caratteristiche dei Family Office e degli strumenti e tecniche che essi utilizzano sui patrimoni complessi: il check-up patrimoniale, il monitoraggio dei costi di gestione, il controllo del rispetto dei mandati di investimento, il wealth planning, l'ottimizzazione della fiscalità degli attivi mobiliari e non, l'amministrazione fiduciaria, la creazione di trust, le polizze assicurative, la realizzazione di club deal, il supporto alla pianificazione della governance familiare e del passaggio generazionale, l'orientamento di attività filantropiche e il supporto alla compravendita di opere d'arte e oggetti di valore.

LinguaItaliano
Data di uscita12 feb 2021
ISBN9788871876320
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    Anteprima del libro

    Family office - Filippo Cappio

    Introduzione

    1.1 I patrimoni rilevanti - 1.2 La gestione dei patrimoni - 1.3 I family office - 1.4 L’eterogeneità della gestione dei patrimoni rilevanti - 1.5 Prime conclusioni - 1.6 Family office e SF - 1.7 Le competenze nei FO - 1.8 La banca depositaria e il broker assicurativo - 1.9 Conclusioni

    1.1 I patrimoni rilevanti

    Questo volume, promosso da Il Sole 24 Ore e da Unione Fiduciaria, mira a fornire ai lettori riflessioni teoriche ed esperienze pratiche utili a tutti coloro i quali dispongono di un patrimonio di una certa consistenza, che mirano a gestirlo direttamente o a farlo gestire a terzi, che desiderano il mantenimento del valore del capitale investito e – compatibilmente all’andamento dei mercati e alla propria propensione al rischio – una rimunerazione adeguata ai propri bisogni personali, familiari o societari. Il tema impone fin d’ora alcune specificazioni.

    La prima specificazione riguarda il fatto che in questo volume ci si occuperà essenzialmente dei soggetti che professionalmente svolgono funzione di gestori di patrimoni altrui, i cui clienti attuali e potenziali possono essere individui, famiglie o società. Con riferimento agli obiettivi della gestione dei propri patrimoni, tale clientela può avere un orizzonte di breve periodo o un orizzonte di periodo medio o lungo. La prima categoria di potenziali clienti non interessa in questa sede: si tratta in effetti di speculatori, in tutti i sensi positivi e negativi. Questo libro considera solo la gestione inerente i risparmiatori investitori, ovvero coloro che appunto hanno una visione più articolata, più ampia e maggiormente proiettata verso il futuro.

    La seconda specificazione riguarda la dimensione del patrimonio, sulla base della quale gli investitori in parola possono essere classificati. Al proposito si possono fare diverse graduatorie, una delle quali è quella rappresentata dalla seguente piramide:

    DEFINIZIONE DEGLI ULTRA-RICCHI

    La dimensione del patrimonio è importante poiché – come indicato in precedenza – la relativa gestione, nel senso più ampio del termine, quando affidata a professionisti risulta alquanto costosa. In particolare, a parità di servizi resi e in termini unitari, la gestione comporta costi fissi elevati che sui patrimoni di dimensioni ridotte incidono maggiormente rispetto a quelli di dimensioni via via maggiori. Quando si tratta di patrimoni modesti la gestione è più semplice e può essere fatta direttamente in proprio dall’investitore, magari con il consiglio della propria banca o di altro intermediario specializzato. Quando invece i patrimoni coinvolti sono consistenti, il ricorso a professionisti esterni è, se non obbligato, quantomeno molto raccomandato. Il tema assume un’importanza rilevante e tanto più significativa quanto più si considera che in tutto il mondo – e quindi anche in Italia – le classi di investitori situate nelle fasce alte della piramide testé vista sono in continua crescita, anche per effetto del recente ingresso in tali categorie di individui, famiglie e società residenti nei paesi emergenti: si pensi ad esempio a taluni paesi asiatici, quelli del Golfo Persico e della penisola arabica nonché quelli che fino a una trentina di anni fa erano governati da un regime comunista.

    Non si vuole entrare maggiormente in dettaglio nell’analisi di questo fondamentale argomento, ma qualche considerazione in merito vale la pena di essere fatta. Ad esempio, è interessante osservare i dati riportati nel World Wealth Report 2019 pubblicato da Capgemini, dedicato ai cosiddetti High Net Worth Individuals (HNWI), definiti come coloro che hanno risparmi/investimenti di importo pari o superiore a 1 milione di dollari, escludendo dal calcolo la residenza primaria, i beni da collezione e quelli di consumo durevole.

    Secondo il rapporto suddetto, tra il 2011 e il 2018 il numero degli HNWI ha avuto l’andamento riprodotto grafico seguente:

    Numero degli HNWI (in milioni) tra il 2011 e il 2018

    Il patrimonio finanziario dei suddetti HNWI ha invece mostrato l’andamento riprodotto in quest’altro grafico:

    Patrimonio degli HNWI (in trilioni di dollari) tra il 2011 e il 2018

    Come si può facilmente vedere, gli HNWI hanno registrato una crescita stabile per i primi sette anni considerati, subendo un leggero arresto nel 2018, causato soprattutto dall’andamento dell’economia dei paesi dell’Asia Pacifica e dell’Europa, colpite sia dalle negative tendenze dei mercati azionari sia dal generale rallentamento dell’economia mondiale.

    La situazione registrata nel 2018 si è riconfermata anche nel 2019. Secondo il recente Global Wealth Report 2019 di Credit Suisse i patrimoni rilevanti sarebbero infatti cresciuti molto modestamente nell’ultimo anno. Sebbene la ricchezza individuale media degli Stati Uniti abbia raggiunto l’importo di 70.850 dollari, questa sarebbe superiore solo di circa l’1,2% rispetto a quella registrata a metà dell’anno precedente. Mentre più del 50% di tutte le persone adulte del mondo ha un patrimonio inferiore a 10.000 dollari americani, circa l’1% sarebbe rappresentato da milionari, con un patrimonio globale pari al 44% della ricchezza mondiale. Con il passare degli anni la disuguaglianza sarebbe però diminuita: il patrimonio dell’1% più ricco del mondo sarebbe stato nel 2019 inferiore a quello che era nel 2016.

    Tale leggera inversione di tendenza sarebbe dovuta, oltre che alle migliori performance dei paesi del Golfo Persico e della penisola arabica, anche da quelle di alcune altre economie, comprese quelle europee, che hanno ripreso quota, sebbene non in maniera stupefacente. Non è al momento dato sapere che cosa accadrà in questo 2020, sconvolto dalle vicende del Coronavirus, le cui conseguenze sull’economia e sulla finanza – e quindi anche sul risparmio e sui relativi investimenti – non sono ancora state sufficientemente analizzate e commentate. È comunque pressoché certo che l’influsso di dette conseguenze prima o poi si esaurirà e il che il trend del numero e degli averi degli HNWI riprenderà la sua strada secondo le tendenze dello scorso decennio.

    Molti ritengono che la pandemia non abbia provocato particolari effetti negativi sui patrimoni di grande entità. Al di là di quelli sensibili all’andamento del prezzo del petrolio o del consumo dei beni di lusso, i patrimoni rilevanti avrebbero infatti tenuto molto bene nonostante le perdite subìte dagli investimenti nei mercati finanziari, continuando a beneficiare dei bassi tassi di interesse e, più in generale, delle permissive politiche monetarie in America e in Europa. Il massiccio coinvolgimento dei patrimoni in parola nei settori della digitalizzazione e della globalizzazione avrebbe anch’esso contribuito positivamente, contrariamente a quanto è invece accaduto per i patrimoni di dimensioni medie e piccole, la cui gestione non sempre ha sortito esiti positivi. Emerge quindi una superiore educazione e professionalità di taluni gestori, che, a livelli accessibili solo a clientela di elevato standing, riescono a ottenere risultati relativamente soddisfacenti anche quando, come è accaduto nel 2020, l’economia e la finanza non vanno bene.

    Il rapporto di Capgemini descrive anche la ripartizione per singoli paesi, compresa l’Italia, del numero degli HNWI, come illustrato dal grafico seguente:

    Numero degli HNWI nel biennio 2017/2018 (in migliaia)

    Nel biennio considerato gli HNWI in Italia oscillerebbero tra 274 e 275 mila con un incremento annuo dello 0,4%. Il nostro Paese sarebbe quindi al nono posto nella classifica mondiale, addirittura guadagnando nel 2018 una posizione a spese dell’Australia.

    Occorre tuttavia considerare che i dati appena citati differiscono profondamente da quelli contenuti nel rapporto di Credit Suisse, che sono, se così si può dire, molto più ottimistici. Secondo tale rapporto, infatti, gli italiani che posseggono patrimoni superiori a 1 milione di dollari a fine 2019 sarebbero infatti ben 1.496.000 contro i 424.000 di fine 2000. Tale differenza nei numeri è probabilmente da attribuirsi al fatto che, al contrario di Credit Suisse, Capgemini considera nel calcolo dei patrimoni individuali solo gli attivi finanziari, escludendo l’abitazione di residenza primaria, i beni da collezione e i beni di consumo durevole.

    Con tale avvertenza, Credit Suisse ritiene che il numero degli italiani possessori di patrimoni rilevanti a fine 2019 ponga il nostro Paese al settimo posto nella graduatoria dei venticinque Paesi considerati nell’analisi. Nel 2000 l’Italia era al sesto posto, superata successivamente dalla Cina (che vent’anni fa era al ventesimo posto). È interessante notare che il balzo dell’Italia sarebbe dovuto per l’80,2% all’aumento generale del benessere della popolazione, per il 4,5% all’aumento del numero degli abitanti e per il 14,9% ai mutamenti nel frattempo intervenuti nella curva di distribuzione della ricchezza nazionale.

    1.2 La gestione dei patrimoni

    Il patrimonio degli HNWI è gestito in parte direttamente dai singoli risparmiatori/investitori e in parte da professionisti terzi. Fra tali professionisti si annoverano i family office (d’ora in poi FO) che sono oggetto del presente volume.

    Quello dei FO è un universo difficile da definire e da misurare soprattutto perché, come si vedrà successivamente, in esso figurano contemporaneamente sia FO veri e propri, svolgenti cioè attività tipiche ed esclusive a favore delle famiglie o delle società cui appartengono, sia altri intermediari e studi professionali che svolgono attività simili a quelle dei FO, ma con natura, storia e clientela profondamente diverse. In proposito non si dispone di statistiche precise. Si conoscono invece assai bene molti aspetti dell’organizzazione dei FO, del loro patrimonio e dei loro conti economici, ben descritti nelle analisi del World Wealth Global Family Office Report 2019, pubblicato da UBS e facilmente ritrovabile in rete. I dati e i commenti di tale documento sono tuttavia parziali, in quanto concernenti solo un campione di FO, seppure molto importante e significativo: 360 FO di cui l’80% single FO e il 20 % multi FO operanti in più di 50 paesi.

    Non sono invece ritrovabili dati, anche non ufficiali, sull’universo dei FO operanti in Italia. Fonti credibili ma non ufficiali (che vanno quindi considerate cum grano salis) conterebbero i FO del nostro Paese nel numero di circa 130, di cui circa 30 appartenenti a singole famiglie. La gran parte di questi operatori, circa 110, sarebbe costituita in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, mentre i rimanenti 20 sarebbero studi professionali associati. Molti FO indipendenti hanno aperto e utilizzano in vario modo SIM, SGR, società fiduciarie (d’ora in poi SF) o Holding di partecipazioni.

    Comunque si vogliano vedere le cose, è il caso di ribadire che i patrimoni rilevanti necessitano di una gestione diversa da quella dei patrimoni meno consistenti. Mentre questi ultimi possono anche essere – seppur con tutte le cautele del caso – gestiti in proprio dai singoli risparmiatori/investitori (purché questi siano in possesso di una buona cultura finanziaria e siano comunque assistiti più o meno amichevolmente dalla loro banca o da altri soggetti qualificati) i patrimoni rilevanti, per raggiungere gli obiettivi che i loro detentori si propongono, devono necessariamente essere affidati a gestori professionali.

    Ben inteso, anche qualora la gestione sia affidata a professionisti di alto livello il successo non è mai automatico. Anche tali professionisti, seppure con meno probabilità rispetto agli investitori fai-da-te, possono commettere errori. Sul tema è il caso di citare quanto dimostrato nel libro di recente pubblicazione The 5 Mistakes Every Investor Makes and How to Avoid Them (I cinque errori che tutti gli investitori fanno e come si possono evitare). L’autore del libro, Peter Mallouk – responsabile di uno dei maggiori FO del mondo, specializzato nei mercati e nelle attività finanziarie e con ottima reputazione guadagnata soprattutto negli USA – dimostra, sulla base della propria esperienza, che quasi tutti gli investitori (frequentemente anche quelli professionali), allorquando si cimentano nella gestione di determinati patrimoni, rischiano di commettere errori, solitamente dovuti alla mancanza di informazioni o, peggio, a informazioni sullo scenario sbagliate e lontane dalla realtà. Eventuali errori potrebbero essere connessi, tra le altre cose, alla scelta dei momenti migliori in cui operare sui mercati finanziari, ai limiti oggettivi del cosiddetto active trading (cioè delle negoziazioni di acquisto e vendita di titoli di varia natura operate al fine di trarre profitto da fluttuazioni di mercato di breve termine) alle difficoltà nell’interpretare le performance delle singole attività (anche quando fornite da fonti ufficiali) e ai limiti personali del gestore inerenti la conoscenza e la capacità di prendere decisioni. Eliminare questi errori non è semplice, ma è certo che i consulenti professionali, assunto che questi non abbiano conflitti di interesse con il cliente e tengano comportamenti deontologicamente corretti, possono evitare o almeno ridurre quegli errori più di quanto non possano fare gli investitori fai-da-te.

    1.3 I family office

    Come detto, gli investitori possono essere individui, famiglie e società: per motivi evidenti le ultime due categorie di investitori sono quelle maggiormente presenti nelle fasce alte della piramide dei grandi patrimoni vista in precedenza. Nel caso delle famiglie, i temi di investimento differiscono da caso a caso, non solo per la dimensione e la composizione dei relativi patrimoni, ma anche e forse soprattutto per la variabilità delle caratteristiche personali dei loro membri, per le prospettive che ognuno di essi ha, per gli obiettivi che ognuno di essi si prefigge, nonché per le personali propensioni e preferenze per le singole categorie di attivo, acquisite o dismesse in seguito a motivi non solo razionali ma anche emotivi.

    Allorché un individuo, una famiglia o una società possiedano patrimoni di grande rilevanza, anziché ricorrere a professionisti esterni per la relativa gestione, possono accogliere e far operare all’interno della propria struttura organizzativa équipes più o meno numerose di esperti qualificati, specializzati nei settori di investimento e negli attivi per i quali i detentori hanno maggiore propensione. Detti esperti hanno solitamente un costo elevato e il loro utilizzo è giustificato primariamente dal vantaggio di avvalersi in maniera diretta del loro servizio rispetto all’ingaggio di analoghi professionisti esterni di uguale valore. È corretto immaginare che il costo del ricorso ai suddetti professionisti vari a seconda della dimensione delle sostanze supervisionate e che presenti forti economie di scala via via più marcate al crescere dei patrimoni.

    Secondo le stime di Michael M. Pompian, nel volume intitolato Advising Ultra-Affluent Clients and Family Offices, pubblicato nel 2009 – un po’ datato ma uno dei più noti testi sui FO –, il costo di un FO sarebbe il seguente: per un relativamente semplice ufficio amministrativo, tra 100.000 e 500.000 dollari; per un ufficio multifamiliare o multisocietario di dimensioni discrete, fra 500.000 e 2 milioni di dollari; per un vero e completo ufficio indipendente, pari o superiore a 10 milioni di dollari. I costi unitari rapportati alle masse gestite variano a seconda della qualità e della quantità dei servizi resi dai singoli FO e in dipendenza del fatto che tali servizi siano resi con strutture interne o siano affidati a terzi in regime di outsourcing.

    I FO, ai quali questo volume è specificatamente dedicato, sono comparsi e si sono sviluppati nel corso dei secoli in pressoché tutto il mondo. Che cosa essi siano è in linea di primissima approssimazione abbastanza semplice da descrivere. Si tratta di strutture inserite in un’entità familiare o societaria con lo scopo preciso di amministrare e gestire il relativo patrimonio o, più in generale, gli aspetti patrimoniali della famiglia o della società promotrice. Nella pratica si tratta di un universo estremamente diversificato primariamente per due ragioni. Da un lato, perché le strutture dei FO variano a seconda delle caratteristiche, dei bisogni e degli obiettivi della famiglia o della società a cui si riferiscono. Dall’altro lato, la gamma dei servizi che possono prestare varia considerevolmente nel numero e nella qualità. Un denominatore comune dei FO è in ogni caso l’obiettivo di soddisfare i desideri della famiglia o della società assistiti, assoggettandosi a controlli sulla propria attività, sulla sicurezza del proprio operato e sul rispetto della privacy, aspetto quest’ultimo che tutti gli investitori, soprattutto quelli più ricchi, tengono in massima considerazione. I FO possono effettuare comunque in tutto o in parte anche servizi amministrativi, fiscali, legali e di risk management oltre che di consulenza in materia di portafogli finanziari, solitamente lasciando l’esecuzione della gestione del portafoglio a intermediari esterni.

    Se in un primo momento i FO sono nati al servizio di singole famiglie o società (o singoli gruppi di famiglie o società) con il passare del tempo le attività descritte sono state svolte da équipes specializzate caratterizzate da un’alta professionalità al servizio di una molteplicità di clienti. In misura sempre maggiore si è infatti osservata la fornitura da parte di operatori indipendenti di servizi di FO contemporaneamente a favore di più famiglie o società a patto che esse avessero requisiti patrimoniali e sussistenza di requisiti morali e di onorabilità utili ad escludere soggetti dagli indesiderabili comportamenti come l’evasione fiscale, l’evasione valutaria e il riciclaggio del denaro.

    Secondo il Family Office Exchange citato da Kirby Rosplock nel volume intitolato The Complete Family Office Handbook pubblicato nel 2014, i FO negli USA sarebbero pari a circa 6.000 unità, di cui 3.000 appartenenti a singole famiglie e 3.000 con strutture diverse. In Italia il fenomeno è meno rilevante sia perché i FO di proprietà individuale o inseriti nell’ambito di una sola famiglia o di una sola società sono relativamente pochi (così come sono relativamente pochi quelli multifamiliari o multisocietari), sia perché i gestori indipendenti di patrimoni spesso si definiscono FO anche se non dovrebbero o potrebbero farlo, non avendone assunto le tipiche forme aziendali. La situazione potrebbe mutare nel prossimo futuro qualora, come pare realistico, l’attività dei FO fosse riservata unicamente alle strutture aventi le caratteristiche prescritte da una specifica normativa. Dette norme, che sarebbero attualmente in preparazione, dovrebbero portare alla istituzione di un apposito albo, del medesimo tipo di quelli che regolano l’attività di altri intermediari o società operanti nel mondo bancario o finanziario.

    A scanso di equivoci, come accennato in precedenza, i FO non sono i soli gestori di patrimoni di dimensioni cospicue. Insieme a numerosi altri soggetti come banche, SIM, SGR, studi professionali ed altri, i FO svolgono attività cosiddette di private banking (d’ora in poi PB), sulle quali non esistono né statistiche ufficiali né definizioni precise e inequivocabili. Una prima fonte attendibile, sebbene non ufficiale, è quella di Prometeia in collaborazione con l’Associazione Italiana Private Banking (AIPB), secondo la quale il patrimonio delle famiglie italiane con più di 500.000 euro avrebbe a fine 2018 le seguenti consistenze:

    Le Famiglie benestanti italiane: un target in crescita

    Dalla tabella appena esposta emerge che il numero delle famiglie italiane con patrimonio superiore a 500.000 Euro è considerevole, essendo pari a quasi 650.000 unità. Quest’ultimo numero risulta peraltro in crescita essendo, fra il 2013 e il 2018 aumentato del 5,72%. Anche il patrimonio complessivo è molto consistente, avendo raggiunto a fine 2018 la rilevante somma di quasi 1.100 miliardi di euro, anch’essa in crescita di ben il 13.1% rispetto al 2013.

    Parte di questi dati è integrabile con quanto risulta da una ricerca fatta nel 2020 dal Politecnico di Milano in collaborazione con la già citata AIPB e Intermonte che indica che i patrimoni superiori ai 2 milioni di Euro affidati in gestione ai PB, suddivisi per tipo di gestori avrebbero la seguente composizione:

    Assumendo i dati delle due ricerche in questione come compatibili, si avrebbe che dei circa 550 miliardi di Euro di patrimoni superiori ai 2 milioni di Euro di proprietà di circa 120.000 famiglie (dati stimati elaborando liberamente le ipotesi di Prometeia) solo 331 sarebbero affidati in gestione agli operatori del PB come indicato nella ricerca del Politecnico. È il caso di ricordare che i FO sono solo una parte, seppure non trascurabile, degli operatori di PB e che, stando pertanto ai suddetti dati, gli spazi per lo sviluppo della loro attività appaiono ampi e in crescita.

    L’elemento più importante che condiziona lo sviluppo dei FO è rappresentato dalla scarsa conoscenza degli stessi da parte dei risparmiatori/investitori. Questi ultimi non si rivolgono ai FO perché non ne conoscono gli aspetti distintivi e differenzianti, prediligendo e affidandosi ad altri tipi di gestori.

    1.4 L’eterogeneità della gestione dei patrimoni rilevanti

    Il principale elemento di distinzione dei FO consiste nel fatto più volte ricordato che essi non gestiscono direttamente i patrimoni loro affidati, bensì svolgono un’attività di consulenza supportando gli investitori nella scelta degli intermediari che meglio sono in grado di interpretare ed eseguire le direttive da essi impartite.

    Un tema importante è quello del costo delle gestioni, argomento sul quale nel mercato italiano c’è molta confusione. I costi di gestione sono talvolta difficilmente comprensibili e fra di essi non comparabili. Ciò genera scarsa trasparenza sui rendimenti delle gestioni al netto dei costi, ovvero le grandezze che interessano in via prioritaria gli investitori.

    È difficile capire se tale situazione sia voluta oppure no dagli operatori del mercato italiano, ma è certamente favorita dai vari e diversi interessi delle singole entità che offrono servizi di gestione. Ognuno dei gestori presenta una diversa organizzazione dell’acquisizione di nuova clientela, del governo di quella già acquisita e di gestione concreta dei relativi patrimoni. Sono inoltre rilevanti sull’argomento anche i rapporti fra i gestori e alcuni degli emittenti dei titoli inclusi nei portafogli ad essi affidati in gestione.

    Facciamo alcuni esempi. La gestione dei patrimoni, in particolar modo quelli di natura mobiliare, è in Italia in larghissima parte effettuata da intermediari appartenenti a gruppi bancari. Molti di questi intermediari si avvalgono di reti di vendita per l’offerta di servizi e prodotti finanziari. La distribuzione dei prodotti utilizzati spesso costa al cliente commissioni effettive ben superiori a quelle formalmente indicate per la sola gestione del suo patrimonio. Gli strumenti immessi nel portafoglio spesso non risultano essere i migliori dal punto di vista dell’equilibrio fra costi, rischi e rendimenti, anche perché gran parte di essi è proposta in architettura chiusa, ovvero in un contesto non indipendente nel quale l’attività di gestione è unita a quella di

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