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Wild Life
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E-book216 pagine3 ore

Wild Life

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Info su questo ebook


A Jodie Stuart tutto sembra andare storto. Il suo ragazzo la tradisce, la madre sembra interessarsi a lei solo per il suo aspetto fisico e per finire a scuola non va meglio... infatti se non vuole perdere l'anno scolastico viene costretta a una “vacanza forzata” sugli Appalchi con altri sei ragazzi problematici come lei. Lungo l'Appalachian Trail, Jodie e i suoi compagni per somma disgrazia dovranno sorbirsi le lezioni del professor Robbins, fanatico di leggende sui nativi americani. Quando inizieranno però a verificarsi strami eventi, i ragazzi inizieranno a chiedersi se gli orrendi mostri di cui racconta Robbins siano solo dei miti o se ci sia del vero in quelle storie?
Jodie si troverà ad affrontare ben più di una semplice escursione in montagna... perché qualcuno sta dando loro la caccia e non si fermerà fintanto che la sua sete di sangue non sarà appagata.

J. Reed ha prestato servizio in tre unità dell'esercito di cui alcune d'elite. È laureato in scienze umane e pedagogiche e in scienze della formazione continua. Si occupa di pedagogia soprattutto in ambito militare.
È anche L'autore di “La torre di Stelle”, “Shi - Quattro” e di “La ragazza dai cuori di pezza ”.
 
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2021
ISBN9788869632693
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    Anteprima del libro

    Wild Life - J. Reed

    J. Reed

    WILD LIFE

    Elison Publishing

    © 2021 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869632693

    Indice

    PROLOGO

    CAPITOLO 1

    APPALACHI

    CAPITOLO 2

    UNKTEHILA

    CAPITOLO 3

    CHENOO

    CAPITOLO 4

    SKADEGAMUTC

    CAPITOLO 5

    TAH TAH KLÉ

    CAPITOLO 6

    KANONTSISTÓNTIES

    CAPITOLO 7

    TOTEM

    CAPITOLO 8

    TEIHIIHAN

    CAPITOLO 9

    WENDIGO

    CAPITOLO 10

    CLINGMANS DOME'S LIGHTNING

    EPILOGO

    PROLOGO

    Quest’anno abbiamo evitato boschi e montagne per le nostre vacanze estive. Qui in Florida mi sto divertendo un mondo e ci voleva proprio dopo tutto quello che mi è accaduto più di due anni fa. E giust’appunto era da due anni che non lasciavo la mia città e Miami è stata una bella scoperta per me.

    Ieri sera i miei genitori sono usciti e hanno fatto le ore piccole. Devono essersi comportati peggio dei ragazzini perché mio padre era completamente distrutto. Infatti stamane quando mi sono alzata per la colazione mi ha fatto compagnia solo mamma, e pure ora in spiaggia io e mia madre siamo sole. Mio padre ha preferito farsi un altro paio di ore di sonno e rimanere in albergo, ma forse avrebbe fatto meglio a essere qui perché già una decina di ragazzi sono venuti a fare conoscenza con noi.

    Mia madre in bikini è davvero carina, non si direbbe che ha da poco superato i quaranta. Ha il fisico di una ventenne e a parte qualche piccola ruga d’espressione vicino agli occhi la sua pelle è perfetta. Visto che ci assomigliamo, sono praticamente identica a lei quando aveva la mia età, spero di essere come lei alla sua di età.

    Oggi ho notato una cosa a cui non avevo mai dato peso prima, e ho voluto togliermi un dubbio che mi ronza nella testa fin da quando sono tornata dai monti Appalachi due anni fa.

    Ma non ci avrete capito nulla per cui sarà meglio che vi spieghi com’è andata fin dall’inizio.

    CAPITOLO 1

    APPALACHI

    1

    I monti Appalachi sono magnifici ti divertirai Jodie… si vorrei averci visto mia madre a camminare con quello zaino in spalla. Lei che forse non ci è neppure mai stata sugli Appalachi, e che gli avrà visti solo in cartolina o su qualche dépliant. Beh forse all’epoca avevo esagerato nel dire che mia madre non gli aveva mai visitati gli Appalachi, mi sarebbe bastato pensare che ne ha fatte tante di cose nella vita ed è stata in un sacco di posti per smentire la mia affermazione in due secondi.

    E poi praticamente abitiamo a ridosso della catena montuosa più antica d’America ad HammerFalls. Una cittadina medio grande che pochi o nessuno però conosce, a parte chi ci vive naturalmente. È circondata da colline verdeggianti che man mano si risale verso ovest diventano appunto gli Appalachi. Abbiamo anche una zona piuttosto antica che risale ai primi coloni europei non distante da qui, ma è semi sconosciuta ai più, anche tra gli abitanti di HammerFalls. Nonostante ciò la città in realtà è nuova e si è sviluppata pure rapidamente. Una cittadina sorta dal nulla nel giro di breve tempo.

    Non siamo molto distanti dal parco nazionale e dalla foresta che prendono il nome dal fiume Nantahala dove mi trovavo all’epoca di quelle riflessioni, e stiamo a ridosso della Pisgah national forest e quindi… sempre all’epoca, mi chiedevo che bisogno c’era di andare fin Nantahala quando avevamo Pisgah per una scampagnata?

    O meglio, la vera domanda era… io come accidenti c’ero finita lì con quegli otto pazzi? E negli otto ci includevo pure la dottoressa Jefferson e il consigliere scolastico il professore di storia Robbins. Proprio io che per sedici anni avevo evitato accuratamente gite ed escursioni scolastiche. Arrghh non era giusto aver distrutto quel record!

    A me di camminare, sudare e fare fatica, proprio non andava!

    La mattina era iniziata di per se in modo pessimo. Eravamo partiti appunto da HammerFalls, North Carolina, ci avevano caricato su un vecchio pulmino scolastico, praticamente quattro ruote senza ammortizzatori. L’autista era un grasso tipo di colore con degli occhiali spessi come un fondo di bottiglia, ad ogni curva mi chiedevo incrociando le dita se vedesse la strada. Guidava come probabilmente mangiava, troppo velocemente, tanto che una volta arrivati scendemmo con la schiena e il fondo schiena tutti indolenziti. Quindi belli che rotti ci hanno sistemato in uno dei motel peggiori che l’uomo potesse concepire. Tutte le più folli menti deviate dell’edilizia avevano sicuramente contribuito alla sua realizzazione. Ho fatto i complimenti in modo ironico al proprietario, «Davvero un bel posticino, non c’è che dire.»

    «Oh grazie, l’ha arredato un famoso architetto.» ha risposto quello.

    «Non avevo dubbi.» gli sorrisi, tanto che c’era da discutere? Era evidente che non coglieva nulla del mio sarcasmo.

    Dopo una notte insonne nel pessimo motel con una compagna di stanza altrettanto pessima, la mattina presto lo stesso orrendo mezzo di trasporto giallo, almeno avrebbe dovuto essere quello il colore sotto il quintale di sporcizia che lo incrostava, ci ha scaricato ai piedi di un sentiero vicino al Nantahala Outdoor Center.

    Lì ci attendeva la nostra guida Antony Wallcott. Il nome prometteva bene ed io speravo che Antony fosse un bel ragazzo. Invece era un tipo di mezza età con pure un po’ di pancetta e un alito tremendo. Fumava decisamente troppo.

    In realtà in tutto quel casino speravo almeno di incontrare finalmente un ragazzo decente o perlomeno interessante. Quello era l’unico mio filo di speranza perché quell’avventura potesse prendere una piega positiva. All’epoca non è che io avessi avuto fortuna con i ragazzi… anzi.

    Invece come prima cosa, la sera precedente mi avevano messo in stanza con una ragazza dai strani occhioni blu, stile marziana, una foresta di capelli ricci rossi tagliati da lasciare scoperto il collo e la ricrescita che sembrava di color castano. Così conciata sembrava un enorme fungo. Ho provato a comunicarci malgrado io non parli il funghese. Gli ho chiesto il nome, così tanto per conoscerci visto che dovevamo stare in camera assieme. «Ciao sono Jodie Stuart, tu come ti chiami?»

    «Non rompere logorroica!»

    Ecco che mi sono sentita rispondere… e dire che faccio fatica a dare confidenza alle persone, una volta che ci provavo e… mi davano della logorroica. Mi avevano mandata lì per vincere la mia timidezza e soprattutto i miei scatti d’ira. Ma quali scatti d’ira? A parte il mio sarcasmo non avevo altre armi. E per la timidezza… bé non c’era da sperare in soluzioni se quelle erano le premesse. Era tutto un dannato malinteso.

    «Dai sei timida Jodie, è una cosa che devi vincere. Pensa che sia per questo motivo che ci vai. Jodie, camminare con gli altri nei boschi ti aiuterà, vedrai!» come mi disse mia madre, quello era appunto uno dei motivi per i quali ero finita lì. Mi sono scordata di chiederle se a lei fosse toccato lo stesso. Sono certa che mi avrebbe risposto di no. O forse sì… Valla a capire a volte.

    «Mi aiuterà per cosa?» le avevo chiesto io.

    «Il tuo giro vita, e a fare amicizie. Jodie non succedono solo cose cattive o pessime, vedrai che tutto andrà meglio. Salire sugli Appalachi potrebbe cambiarti la vita.» rise lei.

    Ecco, questo era il giusto ordine di cose in cui metteva le priorità mia madre. Prima il giro vita e poi le relazioni sociali.

    Credo che non sopporterebbe il fatto di avere una figlia con quattro chili di soprappeso. Ero un po’ tondetta a questi tempi, direi un paio di chili sopra il peso forma. Ma per mia madre che da ragazza concorreva a gare per reginette di bellezza e miss bikini, avere una figlia fuori peso forma poteva diventare una tragedia… almeno lo credo dai discorsi che mi faceva, o forse al solito esagero. Comunque la questione era decisamente più complessa. Almeno lo era per me, e in tutti i sensi.

    In realtà riflettendoci con calma fu un concatenarsi di eventi quelli che mi fecero finire lì, ed il tutto era iniziato più o meno sei mesi prima…

    Avevo un ragazzo, Robert Green. Io passavo ogni momento libero con lui, la mia vita era in funzione della sua. Non m’importava di avere amiche, fare sport, uscire la sera, o trovarmi un hobby. Insomma c’era Robert, di che altro avevo bisogno?

    Mi bastava pensare ai suoi ampi ricci castani, ai suoi occhi neri ed ero strafatta di felicità. Fino a quando… un sabato mi telefonò e mi disse che quel giorno aveva bisogno di studiare e non ci saremmo visti. Io volevo lasciarlo in pace ma assieme alla nonna avevo preparato dei biscotti al cioccolato e così ancora caldi da teglia, decisi di portarglieli. Credevo gli avrebbe fatto piacere.

    Tirava un vento gelido, era dicembre, se ci penso ancora sento il gelo nelle ossa. Avevo il mio lettore musicale a palla per sovrastare il rumore delle folate di vento. Nelle cuffie ascoltavo The world beyond dei Burn the Rez e Something From Nothing dei Foo Fighters.

    Robert mi ha sempre criticata per i miei gusti musicali, mi diceva sempre che ascoltavo lagne. Ecco, sulla musica proprio non ci incontravamo, lui amava il rap e io l’odiavo… anzi lo odio ancora…

    Ero felice e non vedevo l’ora di fargli una sorpresa. Lungo la strada le decorazioni natalizie mi rendevano ancora più lieta. Era il periodo dell’anno che preferisco e questo rendeva ogni istante con Robert ancora più speciale e magico per me.

    Ricordo il vento e il freddo, intenso come ai margini del bosco di Nantahala il primo giorno di escursione sugli Appalachi. Il cielo era scuro e il sole non si era visto per tutto il giorno e nel pomeriggio era scomparso all’orizzonte senza che nessuno se ne fosse praticamente accorto che quella mattina era sorto. Quando arrivai da Robert a tre isolati da casa mia, i lampioni s’erano già accesi da un pezzo assieme alle luminarie. Appoggiai la bicicletta sul muro al lato est della bella villetta a tre piani con l’ampio giardino dove viveva Robert. Il vento passava sui miei lunghi capelli neri facendomeli finire sul viso. Mentre scostavo una ciocca dalla bocca sorridevo tra me e me pensando che sarebbe stato felice di vedermi, andava pazzo per i biscotti al cioccolato. Erano ancora tiepidi e dal pacchetto che gli avevo preparato con amore usciva un buon profumo di pasta frolla e cioccolata. Gli avrei dato un bacio e l’avrei lasciato studiare dopo avergli dato il mio dono.

    Non vedevo l’ora di vedere la faccia che avrebbe fatto. Il suo sorriso mi aveva sempre fatto pulsare il cuore a casaccio fin da quando l’avevo incrociato per la prima volta nei corridoi della scuola e non ci conoscevamo ancora. Frequentavamo entrambi la stessa High school, la HammerFalls High.

    Ho afferrato il pacchetto di biscotti e veloce ho girato l’angolo. Stavo salendo i gradini che portavano al suo portico quando proprio in quel momento Robert uscì di casa. Mi vide strabuzzò gli occhi e sbatté le palpebre ripetutamente come se avesse un’allucinazione. Perché quella faccia? mi chiesi. Sul suo viso non c’era alcun sorriso, non sembrava felice nel vedermi… Ho temuto il peggio.

    Avrei voluto chiedergli: «Va tutto bene? Stai bene? Dove stai andando? Stavi venendo da me?»

    Ma non ce ne fu bisogno. Susan Doghert uscì di corsa dalla porta, immediatamente dopo di lui. Quella smorfiosa bionda di una cheerleader, lo strinse e lo baciò sulla guancia. «Dove mi porti stasera?» gli chiese senza accorgersi della mia presenza.

    Il pacchetto mi sfuggì dalle mani e cadde a terra. I biscotti si frantumarono e si sparsero tra le scale e l’erba del giardino, come i miei pensieri… come il mio cuore.

    Ero paralizzata, non credevo ai miei occhi. Ero distrutta. Mi sono girata e di corsa ho afferrato la mia bicicletta.

    Mi ripetevo che avevo fatto la figura della scema. Che avrei dovuto chiedergli spiegazioni. Ma che c’era da chiedere? Era tutto fin troppo chiaro.

    Forse avrei dovuto spaccare il grugno a Susan, con il suo mento rettangolare e il naso da porcellina. Ma che avrei risolto? Non amo la violenza.

    Ero distrutta… non riuscivo a fare altro che pedalare come una furia, via lontano da là. Non riuscivo nemmeno a piangere, né riuscivo a capire se mi stesse succedendo per davvero. Avevo un vuoto allo stomaco e un nodo in gola che mi toglieva il respiro. Il vento si era alzato, tirai su il cappuccio della giacca a vento, un po’ per il freddo un po’ per la vergogna. Avrei voluto essere invisibile.

    Il vento era molto forte e mi spingeva verso il centro della strada. Sentii da dietro un rumore di gomme sull’asfalto e il rombo di un motore. Gettai un sguardo sopra le spalle e vidi l’auto della madre di Robert, un bel suv bianco. L’auto iniziò ad affiancarmi. Pensai per un attimo che rallentasse e che Robert alla guida volesse parlarmi perché si spostava sempre più verso di me. Invece mi superò e poi sterzò verso destra stringendomi verso il marciapiede. Potei notare lui e poi Susan che dal finestrino mi guardava con i suoi dannati occhi blu, sembrava spaventata. Non c’era più spazio tra l’auto, me e il cordolo di cemento che delimitava il marciapiede e così finii per urtarlo e per perdere l’equilibrio. Il manubrio della mia bicicletta se ne andò a colpire la portiera posteriore del suv. Gli provocò una botta e una bella rigatura sulla vernice. Non l’avevo fatto apposta e poi a dirla tutta era colpa di Robert che mi aveva tagliato la strada. Mi fermai quasi in surplus prima di cadere a terra rotolando tra il prato ben tagliato di una villetta e i ciottoli di una aiuola che immediatamente si tinsero del rosso del mio sangue.

    Robert inchiodò l’auto e scese nero in volto. Si diresse verso di me stringendo i denti e i pugni. Non ricordo esattamente cosa cercai di dirgli per calmarlo, ma sono abbastanza sicura che mi alzai e gli chiesi pure scusa. In tutta risposta oltre a una serie di insulti, stavo per ricevere anche una serie di schiaffi se Susan non l’avesse fermato. Ci mancava quello, visto che mi sanguinavano già la bocca e il naso a causa della caduta. Il mio polso sinistro si era spezzato e da lì mi partivano delle fitte dolorosissime. Cadendo dalla bici avevo sbattuto violentemente pure il capo e mi girava la testa. Mi accasciai di nuovo e nuovamente mi rialzai barcollando, cercando di stare in equilibrio. Ricordo Susan che lo tratteneva e lo spingeva via da me. Mica gli avevo strisciato quella stupida auto apposta, ma era furioso urlava senza rendersi conto che praticamente mi aveva provato a investire. Per lui era stato uno scherzo. Già uno scherzo, anche mettersi con me evidentemente lo era stato. Poi come se mi fosse arrivato un gancio sul mento degno di Rocky Balboa, sono andata stesa a terra e a quel punto è diventato tutto buio. Una bella commozione cerebrale, ecco con cosa è finta la mia storia con Robert.

    Mi sono risvegliata in ambulanza con un male tremendo alla mascella, al polso e alla testa.

    Quando due settimane dopo tornai a scuola, ingessata e con una fasciatura in testa, nello zaino avevo un bel rotolo di carta vetrata. Tenni la carta vetrata ogni giorno a portata di mano e alla prima occasione che Robert si presentò

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