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La profezia del libro perduto
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La profezia del libro perduto
E-book352 pagine4 ore

La profezia del libro perduto

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Info su questo ebook

Più avvincente di Dan Brown
Appassionante come La biblioteca dei morti

Un grande thriller

Prophetiae Saga

Avignone. Nel canale della storica rue des Teinturiers viene trovato il cadavere barbaramente trucidato di una giovane donna, Danielle Gassonet, agente letterario di molti scrittori di successo. A capo dell’indagine c’è il commissario François Ozouf che intuisce subito un possibile movente. La Gassonet, infatti, lavorava per Luc Ravel, un misterioso autore di thriller a tutti noto solo attraverso i primi due libri di una trilogia da milioni di copie. Romanzi che sembrano contenere delle autentiche profezie sul destino del mondo. Affiancato dall’ispettore Picard e dall’esperta di terrorismo Khadija Moreau, Ozouf avvia un’indagine lampo per trovare l’oscuro scrittore e costringerlo a collaborare con le forze dell’ordine. L’obiettivo è incastrare l’assassino di Danielle Gassonet, ma anche impedire che si avveri un funesto presagio, contenuto proprio tra le pagine dei libri di Ravel. Una tremenda catastrofe che minaccia di abbattersi su tutta l’Europa. È una vera e propria caccia all’uomo, che conduce i protagonisti tra le calli di una Venezia avvolta nell’inquietante atmosfera di un freddo Carnevale, una corsa contro il tempo e un crescendo di tensione: il mondo è in pericolo, ma tra le righe dei romanzi di Ravel è nascosta la chiave per la salvezza. 

Dall’autore del bestseller ai vertici delle classifiche italiane Le nove chiavi dell’antiquario

Un misterioso scrittore 
Una trilogia profetica
Nostradamus è ancora tra noi?

Hanno scritto dei suoi libri:

«L’enigma dei Templari nel romanzo di Rua. Un incastro letterario da cui ha origine una ragnatela di misteri.»
la Repubblica

«Uno dei casi letterari dell’anno.»
La Gazzetta del Mezzogiorno

«Tra antichi culti e cattedrali gotiche, Martin Rua strizza l’occhio all’alchimia e all’esoterismo.»
Panorama
Martin Rua
È nato a Napoli dove si è laureato in Scienze Politiche con una tesi in Storia delle Religioni. I suoi studi si sono concentrati particolarmente su massoneria e alchimia. Dopo un viaggio a Praga e poi a Chartres ha dato vita a Lorenzo Aragona, il protagonista dei romanzi della Parthenope Trilogy, sempre ai vertici delle classifiche (Le nove chiavi dell’antiquario, La cattedrale dei nove specchi, I nove custodi del sepolcro), e dell’ebook La fratellanza del Graal, in bilico tra avventura ed esoterismo. Con la Newton Compton ha pubblicato anche Napoli esoterica e misteriosa. La profezia del libro perduto è il primo capitolo di una nuova trilogia.
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2016
ISBN9788854192461
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    Anteprima del libro

    La profezia del libro perduto - Martin Rua

    en

    1203

    Questo è un romanzo di fantasia, ogni riferimento a persone o fatti realmenti esistenti è puramente casuale.

    Prima edizione ebook: giugno 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9246-1

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Martin Rua

    La profezia del libro perduto

    Prophetiae Saga

    omino

    Newton Compton editori

    A Costantino Nicas,

    per il quale la letteratura greca non aveva segreti.

    Come le stelle per Nostradamus.

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    Sur le milieu du grand monde, la rose

    Pour nouveaux faicts sang public espandu:

    A dire vray on aura bouche close,

    Lors au besoing viendra tard l’attendu.

    Nostradamus

    C05 – Q96

    PROLOGO

    Parigi, epoca imprecisata

    Urla e colpi di arma da fuoco echeggiavano in tutto l’edificio. Sinistri rumori di metallo contro metallo, di porte schiantate, di solai che precipitavano divorati dalle fiamme. Tenebre che si alternavano a lampi improvvisi, rendendo spesso difficoltoso muoversi attraverso le enormi sale; correnti d’aria che spargevano scintille in ogni direzione.

    L’inferno.

    Michel gettò via il soprabito, per correre con più agio. Il fumo gli bruciava la gola ma, pur temendo che il respiro potesse venirgli meno da un momento all’altro, non aveva né tempo né modo per porvi rimedio. Doveva procedere, doveva arrivare a quella maledetta, ultima stanza.

    Passò accanto a gruppetti di persone impegnate in lotte furibonde. Vide crani scoppiare colpiti dalle pallottole degli archibugi, arti smembrati, sangue dappertutto. Chi non aveva più un’arma si avventava sul nemico a mani nude, con furia cieca, incurante di gettarsi tra le braccia della morte. Corpi precipitavano dalle trombe delle scale e, accompagnati da grida disperate, terminavano la loro corsa con tonfi sordi e inquietanti sul pavimento di marmo: uomini, donne, bambini, tutti erano accomunati da uno stesso, atroce destino.

    Vide anche qualcos’altro. Qualcosa all’apparenza assolutamente incomprensibile per lui.

    Di tanto in tanto, infatti, assaliti e assalitori mutavano aspetto davanti ai suoi occhi e in pochi secondi, circondati di aloni lattiginosi come larve o spettri, scomparivano per poi palesarsi di nuovo con indosso abiti dalla foggia inconsueta.

    Cos’è che scorgeva in quegli attimi? Scherzi dei suoi sensi alterati o visioni di altre epoche?

    Un mistero senza soluzione al momento, per cui lo scacciò dalla sua mente: attraversando corridoi e stanze dove i massacri e i crolli si ripetevano senza sosta, giunse nell’ala più remota del palazzo. Lì c’era la sala dove stava dirigendosi, sbarrata da una porta. Passò davanti a uno specchio e d’istinto si girò a guardare, ma quel che vide non era il suo volto: sapeva che si trattava di Gabriel, uno degli spiriti-guida che l’accompagnavano nei suoi viaggi e che in genere gli appariva come un incorporeo vapore argenteo. In quel momento aveva le sembianze di un uomo emaciato, che lo osservava attonito, avvolto da una cornice di fiamme. Un uomo che tuttavia aveva qualcosa di familiare. Michel esitò ancora un istante, finché forse il senso di quell’incubo a occhi aperti sembrò palesarsi.

    Dal suo sguardo attraverso lo specchio, capì che anche Gabriel aveva compreso.

    Senza altri indugi, Michel spalancò la porta della sala e si trovò in un altro luogo infernale: c’erano cadaveri sparsi ovunque, le fiamme già divoravano l’arredo in legno, le preziose decorazioni e i soffitti altissimi. Tenute sotto tiro da due uomini armati di archibugi, alcune persone erano ammassate contro il muro all’estremità opposta, mentre un terzo, al centro di quell’enorme ambiente di forma ellittica, teneva per un braccio un bimbo, puntandogli un coltello alla gola. Sapeva che quel piccolo era suo figlio, ma non seppe spiegarsi perché avesse quella certezza.

    «Non un passo, o il suo sangue sigillerà questo giorno di gloria!».

    Michel si fermò di colpo. D’un tratto anche quell’uomo, quell’emissario del demonio, mutò forma: per pochi secondi il suo volto assunse le sembianze di Michel stesso. Insieme a lui tutta la sala apparve diversa: svanirono le decorazioni che l’abbellivano e altre emersero tra le fiamme; scomparvero soffitto, pavimento e ostaggi. Sparì anche il bambino che Michel era convinto fosse suo figlio e al suo posto vide un giovane che non conosceva.

    Gli sembrò di vagare per altri luoghi, senza che il suo corpo si muovesse di un solo passo: non era padrone delle proprie membra e dei propri sensi. Una sensazione ben nota, ma che mai, prima di allora, era stata così vivida e violenta.

    La sala tornò in un attimo al suo aspetto originale e in quel momento vide di nuovo, in uno degli specchi allineati lungo il muro alla sua sinistra, il riflesso di Gabriel, ancora con quel suo nuovo aspetto, sconosciuto eppure così familiare. Impugnava una di quelle armi da fuoco portatili di recente invenzione, una pistola, che puntava nella direzione dell’aggressore col coltello e di quel giovane che un istante prima era stato suo figlio. Allo stesso tempo si accorse che anche il suo braccio destro era teso in avanti con una pistola stretta nella mano. Identico il bersaglio: l’uomo che aveva mostrato per un attimo il suo stesso volto.

    Il volto di Michel de Nostredame.

    Michel guardò Gabriel nello specchio, la disperazione nei suoi occhi. «No, non farlo…», mormorò abbassando la sua arma con gran fatica. Si aspettava che anche il suo spirito-guida facesse lo stesso, invece lo vide caricare la pistola, pronto a innescare il colpo. «No, ti prego…», implorò ancora Michel, benché si fosse ormai rassegnato a vedere di lì a poco il sangue degli alter ego suo e di suo figlio bagnare il marmo di un bel rosso vermiglio.

    L’uomo con il coltello s’irrigidì. Stava per tagliare la gola del giovane e Michel, disperato, tentò il tutto per tutto, avanzando verso lo specchio per cercare di fermare Gabriel, ormai fuori controllo. Incurante degli assalitori che gli intimavano di non muoversi, raggiunse il riflesso del suo spirito-guida e gli rivolse uno sguardo sereno.

    «Soli Deo», gli disse in un sussurro, «…lascia solo a Lui questa decisione, Gabriel».

    Fu un tentativo inutile: negli occhi dell’uomo nello specchio scorse allo stesso tempo dolore e furia. I due inneschi perfetti per la vendetta. Si guardarono attraverso il piombo riflettente e lo spirito-guida scosse la testa più volte.

    «Mi dispiace».

    parte prima. L’ombra della Milizia

    1

    Avignone, rue des Teinturiers, 16 febbraio, ore 08:15

    I tre agenti della polizia municipale fecero scivolare lentamente la scala nel canale. Uno di essi scese di sotto e, assicuratosi che fosse stabile, fece un segno agli altri che osservavano con attenzione dal parapetto. Due uomini in abiti civili lo raggiunsero, immergendo gli stivali di gomma nell’acqua appena fino alle caviglie. Il livello era bassissimo in tutto il vecchio canale di rue des Teinturiers, la strada che doveva il nome ai tintori che un tempo avevano lì i loro mulini.

    I due si guardarono intorno: sul fondale si distinguevano centinaia di tappi di birra, bottiglie, lattine, persino alcuni telefoni cellulari gettati in acqua forse per scherzo da qualche studente ubriaco, o caduti a degli amanti dei selfie.

    Tanti piccoli rifiuti colorati che circondavano un cadavere, creando uno stranissimo, quasi allegro, contrasto.

    Il più anziano – un tipo corpulento, con occhi dal taglio orientale incorniciati da piccoli occhiali metallici e un cappellino di lana che copriva una testa completamente glabra – rimase fermo ai piedi della scala per qualche istante, fissando il corpo senza vita che si trovava a pochi centimetri. Sbuffò una nuvoletta di condensa e sollevò lo sguardo: i suoi occhi si posarono prima sui palazzi lungo rue des Teinturiers, poi sulla Chapelle des Pénitents Gris e infine sull’orologio del convento dei Cordeliers – i frati minori conventuali – che era tutto ciò che rimaneva della chiesa dove era stata sepolta Laure de Sade.

    La nobildonna francese incontrata dal Petrarca.

    La sua Laura.

    Il tizio corpulento sospirò e tornò a fissare il cadavere. Non c’era nulla di poetico in un assassinio, pensò, per quanto evocativo potesse essere il luogo dove questo veniva commesso. Nessun Petrarca, Olivier Messiaen o Nicolas Saboly – artisti legati in un modo o nell’altro alla città di Avignone – avrebbero potuto rendere eroico, o meno patetico e miserando, quel povero cadavere riverso a faccia in giù nell’acqua, con le mani mozzate e gli abiti strappati, attraverso i quali si vedeva un corpo ancora giovane e sodo.

    Danielle Gassonet era stata proprio una bella donna.

    Il pensiero della Laura di Petrarca svanì e la solita tristezza s’impadronì di lui. Quella tristezza che rendeva più agile la sua mente di investigatore e che gli era stata di grande aiuto durante gli anni, eccitanti, trascorsi a lavorare in una realtà ben più complessa di quella della piccola cittadina universitaria: la direzione di un commissariato nella sua Marsiglia. A quei tempi la tristezza lo aveva spinto più volte a non mollare fino a che il caso cui era impegnato non fosse risolto; fino al momento in cui fosse riuscito a fissare negli occhi l’assassino per cercare quella che lui aveva battezzato la particella del male.

    La cellula cancerosa che innescava l’istinto omicida.

    «Commissario, guardi qui».

    Il giovane medico legale richiamò la sua attenzione, strappandolo alla malinconia dei suoi ricordi, per mostrargli il volto tumefatto della donna, ora fuori dall’acqua. Appariva completamente ricoperto di ecchimosi e tagli, come se fosse stato pestato brutalmente. La bocca era spalancata e al suo interno era stata infilata quella che sembrava una grossa palla di carta, ormai ridotta a una poltiglia informe.

    «Cosa dovrebbe essere quella, dottor Garreau?», domandò il commissario vincendo un’altra fitta di tristezza.

    «A me sembrano dei fogli arrotolati».

    «L’hanno picchiata, soffocata con della carta e poi le hanno mozzato le mani?».

    Il medico legale assunse un’aria grave. «Non direi che l’hanno solo picchiata, anche se in modo brutale. Ha ferite, lividi, tagli, escoriazioni soprattutto sulla parte superiore del corpo. È come se fosse stata trascinata con violenza su una strada sterrata ricoperta di pietre taglienti e poi aggredita da belve feroci».

    Belve feroci, pensò il commissario, non lo è forse sempre un omicida?.

    «D’accordo, dottore. Tiri fuori dalla bocca quei fogli di carta e li dia a Vernier».

    Fece per tornare sulla strada, due metri più in alto, ma si voltò ancora a guardare il cadavere, che godeva ora anche delle attenzioni di Léo Vernier del laboratorio di polizia scientifica di Marsiglia.

    Il dottore intercettò il suo sguardo e capì al volo. «No, commissario Ozouf, non l’hanno ammazzata qui, se è questo il suo interrogativo. Hanno gettato il corpo dalla strada nel canale e nella caduta le si è spezzato il collo, ma per me era già morta».

    Dopo un’oretta il commissario, il suo vice Auguste Boulet e Léo Vernier si ritrovarono in una caffetteria a place des Corps Saints davanti a tre fumanti tazze di caffè. La temperatura era calata bruscamente nelle ultime quarantott’ore in tutta la Provenza. Appena un paio di giorni prima, il commissario stava ancora approfittando di quel miracoloso e, fino a quel momento, mite inverno trascorrendo una breve vacanza a Marsiglia: aveva fatto lunghe passeggiate fino al Vallon des Auffes, l’antico porticciolo di pescatori e fabbricanti di cordami, dove gli piaceva fermarsi a bere una birra in una piccola brasserie sul molo; o si era crogiolato al sole contemplando la città dal parco del Palais du Pharo. , aveva continuato a ripetersi fino a quella mattina, è un inverno davvero eccezionale.

    Eccezionale – ma in un senso completamente diverso – come l’assassinio di Danielle Gassonet.

    «Per me non ci sono dubbi, sono sempre loro», mugugnò Boulet, masticando un pezzo di croissant. Era magro e istintivo, l’opposto del suo capo. Insieme formavano tutto sommato un’ottima squadra. Entrambi sprecati ad Avignone.

    Ozouf piegò la testa di lato, osservandolo dubbioso.

    «Insomma, François, la ragazza era ebrea. Con tutto quello che sta succedendo, mi sembra ovvio pensare a quelle merde», proseguì Boulet senza mezzi termini.

    Il commissario bevve un sorso di caffè e rimase a fissare la tazza. «Ecco, Gus, è proprio quel ovvio che non mi convince».

    Non lo convinceva neanche tutto quello che stava accadendo in Francia, come aveva detto Boulet. Attentati su attentati, a partire da quello alla redazione di Charlie Hebdo, passando per la carneficina di Parigi del 13 novembre 2015, fino alle decine di stragi che si erano susseguite settimana dopo settimana, mese dopo mese. Omicidi e massacri che avevano falciato già centinaia di vite e strappato via consensi al governo, facendo al contempo avanzare, con vittorie ormai dilaganti su base locale e regionale, la Ligue Nationale de France, fino a pochi anni prima un oscuro partito di estrema destra. Un partito di ultraconservatori e neofascisti – i cui dirigenti appartenevano soprattutto ad antiche famiglie, a quella nobiltà da ancien régime mai completamente scomparsa – che come un branco di sciacalli si stavano avventando sulla Francia tramortita e incapace di reagire. Una confraternita di populisti, così li definiva Ozouf. Una specie di setta, le cui ramificazioni partivano dai vigneti della Provenza e che, in una maniera che sembrava inarrestabile, stava avvelenando col suo odio gran parte della Francia.

    «Non giungiamo a conclusioni affrettate, Gus», riprese il commissario pagando il conto e alzandosi con uno scatto insolito per lui. «Aspettiamo i risultati delle analisi del dottor Garreau e di Vernier. Intanto noi scaviamo nella vita della Gassonet. Se ci concentrassimo solo sull’aspetto religioso, commetteremmo lo stesso errore di quelli che ci stanno gettando tra le braccia dei fascisti».

    Vernier e Boulet si guardarono e, nonostante tutto, sorrisero.

    Quel caso aveva già iniziato a richiamare da un lontano limbo il vecchio François Ozouf.

    2

    Marsiglia, sede della Phénix, rue Paradis, 16 febbraio, ore 12:00

    «…la polizia ha già identificato il cadavere: si tratterebbe di Danielle Gassonet, trentacinquenne agente letterario di alcuni importanti scrittori nazionali e internazionali, tra i quali Luc Ravel, pseudonimo del più famoso e misterioso autore best-seller di Francia. Secondo le prime indiscrezioni, la donna, residente a Aix-en-Provence, avrebbe subìto un violento pestaggio e il suo corpo sarebbe stato mutilato e gettato nel canale di rue des Teinturiers solo dopo la morte. Si sospetta ancora una volta degli estremisti islamici, anche in considerazione del fatto che la famiglia Gassonet è di origine ebraica. Il commissario Ozouf che sta seguendo l’indagine ritiene tuttavia…».

    Jean-Marie du Teil tolse l’audio e alzò lo sguardo, terreo, sui suoi collaboratori: alcuni avevano le mani sulla bocca, altri si erano lasciati andare su una sedia, altri ancora, scuotendo la testa, tenevano gli occhi fissi sul direttore. Nessuno però riusciva a mettere insieme due parole, lo straniamento era totale.

    Fu Alexandre Pochet, uno degli editor, a rompere il silenzio.

    «Lo capite che cosa significa questo? È un messaggio per noi».

    «Cerchiamo di mantenere la calma, Alex», disse du Teil, aggiungendo con tono poco convinto: «Noi pubblichiamo soprattutto romanzi».

    «Noi pubblichiamo Ravel», lo corresse Pochet. «E Danielle era la sua agente!».

    «Danielle era l’agente di tanti scrittori», riprese du Teil.

    «Andiamo capo, Alex ha ragione!», intervenne Isabelle Vial, responsabile marketing della casa editrice. «Danielle era una delle agenti letterarie più importanti del Paese, è vero, ma nessuno dei suoi scrittori era paragonabile a Ravel. E Ravel ha scritto quello che ha scritto. Non sono semplici thriller di fantasia. Sono romanzi politici».

    Jean-Marie du Teil lo sapeva bene, ma non poteva ammettere che i dipendenti e collaboratori della Phénix avessero ragione. Che qualcuno potesse uccidere un agente letterario perché rappresentava uno scrittore scomodo e di successo come Luc Ravel, poteva starci e lui lo sapeva. Era già accaduto in passato. Ma i nuovi proprietari della casa editrice avevano intenzione di modificare molte cose, decisi, come sembrava, a sacrificare le vendite nel nome di un profilo più basso.

    I primi due romanzi della Trilogia del Solitario avevano infatti polverizzato le classifiche in Francia e in Europa. I milioni di copie vendute avevano fatto la fortuna del loro autore e del precedente proprietario della piccola casa editrice marsigliese, monsieur Tirany, che però a un certo punto aveva sorpreso tutti vendendo la Phénix.

    Un mistero nel mistero. Come l’identità dell’autore dei romanzi.

    «Sentite, aspettiamo gli sviluppi delle indagini», propose du Teil con la voce rotta dall’emozione, mentre sullo schermo del suo computer scorrevano le immagini da Avignone con un giornalista che gesticolava in direzione del canale di rue des Teinturiers. «Intanto prepariamo un comunicato stampa in cui esprimiamo il nostro dolore per la scomparsa di Danielle e la nostra vicinanza ai suoi familiari».

    «E riguardo Il Risveglio?», incalzò Alex, rivolto più a se stesso che a du Teil. «Solo Danielle aveva il manoscritto. Se non salta fuori, siamo nei casini».

    «Pubblicare quel libro è l’ultimo dei nostri pensieri, Alex. A meno che Luc Ravel non si materializzi e me lo porti di persona. Anzi, ti dirò di più: adesso sarebbe il caso che si decidesse a mostrarsi in pubblico per lanciare un messaggio all’assassino della sua agente».

    Le cinque persone nella stanza – oltre ad Alex e Isabelle, c’erano anche Mathias Bardin, il legale della Phénix, e Lucille Touchard, responsabile dell’ufficio stampa – si scambiarono uno sguardo dubbioso. Avevano, in un certo senso, imparato a conoscere Ravel in quei quattro anni di collaborazione e sapevano bene che la clausola di riservatezza nel suo contratto non era da mettersi in discussione. Anche se qualcuno di loro fosse riuscito a scoprirne l’identità e a renderla pubblica, gli avvocati dello scrittore avrebbero massacrato la Phénix. Eppure monsieur du Teil non aveva torto: Ravel non poteva più nascondersi.

    Uscirono alla chetichella dall’ufficio del direttore. Alex fu l’ultimo. Prima di chiudere la porta, vide il capo stringere con le mani la fronte, mentre i suoi occhiali riflettevano le immagini sullo schermo. Era davvero un brutto colpo, ma non pubblicare il terzo libro sarebbe stato un errore enorme. Alex temeva che dietro quell’assurda eventualità ci fosse la precisa linea editoriale dei nuovi proprietari della Phénix, interessati più a tenere buoni rapporti con tutte le forze politiche che a pubblicare libri dirompenti come quelli di Ravel.

    Ravel, già.

    Alex era il suo editor, sapeva entrare più di chiunque altro nella mente dello scrittore e del protagonista dei suoi romanzi, Philippe Dieudonné Noël Oliver, detto il Solitario. Non poteva accettare che autore e personaggio fossero messi a tacere. In quel momento drammatico, la Francia aveva bisogno di loro.

    Doveva trovare il manoscritto di Il Risveglio.

    E per farlo doveva trovare il suo autore.

    3

    Avignone, commissariato di polizia, 17 febbraio, ore 09:30

    Ozouf e Boulet esaminarono per la terza volta i rapporti preliminari della Scientifica e del medico legale. Naturalmente bisognava attendere l’esito di ulteriori analisi, ma già i primi riscontri parlavano chiaro.

    Un paio di elementi, però, erano agli occhi del commissario per lo meno inquietanti.

    «François, è come ti dicevo ieri: l’hanno lapidata. I frammenti di pietra e terriccio nelle ferite non lasciano dubbi. L’hanno massacrata a sassate nelle campagne attorno ad Avignone, le hanno tagliato le mani, come a sottolineare la loro impurità, e poi l’hanno scaricata nel canale in pieno centro per fare un po’ di teatro. Sono stati loro, i fanatici».

    «Gus, la tua islamofobia sta iniziando a stancarmi, sai? Finché non arriva una rivendicazione, io non mi sbilancio».

    Boulet allargò le braccia. «Ma le hanno pure trovato quei fogli scritti in arabo nella bocca! Cosa vuoi di più? Stiamo perdendo tempo in attesa di conferme, quando avremmo potuto essere sulle loro tracce già da ventiquattr’ore».

    Ozouf si appoggiò allo schienale della poltrona e incrociò le mani. Attese che Boulet accennasse a riprendere il discorso e sollevò un dito in maniera teatrale per fermarlo. «Tu leggi l’arabo, Gus?»

    «Io no, ma i nostri sono già all’opera da ieri sera. Fra poco avremo i risultati. Tanto io lo so già cosa troveremo».

    «E cosa?»

    «Ovviamente un bel brano tratto dal Corano in cui si impone alla donna di tacere. Ci scommetto una cena».

    Ozouf si alzò con studiata lentezza e raggiunse la finestra. Le mura medievali di Avignone erano a poche decine di metri dal commissariato. In quel momento un gruppetto di studenti stava attraversando la strada dirigendosi verso l’università. Nel giro di un paio di anni ci sarebbe stata anche sua figlia Ariane in una comitiva come quella. Ma non ad Avignone e neanche a Marsiglia, dove viveva con la madre. Il più grande desiderio della ragazza era di studiare a Parigi e lui non aveva alcun potere per dissuaderla.

    «Parigi è pericolosa, Ariane», le aveva detto più volte, dubitando per primo di quelle parole.

    «Sono la figlia di François Ozouf, non ho paura di niente», era la sua solita risposta.

    «Adularmi non ti servirà».

    E invece sì. Dimostrargli la sua stima, nonostante tutto, serviva eccome: in quel modo lo metteva sempre nel sacco.

    Il telefono squillò.

    «Ozouf».

    «Commissario, sono Saad».

    Pausa.

    «Il Corano?»

    «No, per niente, commissario. Ci ho messo pochi minuti a capire di cosa si trattava, ma ho avuto la conferma inserendo semplicemente il brano su Google».

    «E?»

    «È tratto da I fuochi della Milizia, il secondo libro della Trilogia del Solitario di Luc Ravel».

    Ozouf socchiuse gli occhi e annuì. «Mandamelo via e-mail, Saad».

    «Già fatto, commissario».

    «Grazie».

    Riagganciò e contemporaneamente tornò a sedere, fissando lo sciocco sorriso sul volto di Boulet. Il suo vice si mise in piedi e infilò il cappotto. «Allora, contatto l’antiterrorismo e andiamo a caccia?».

    Ozouf non rispose, ma avviò la stampante. Quando il foglio uscì sul vassoio gli gettò una rapida occhiata, quindi lo porse a Boulet. «Siedi, Gus, e leggi».

    «Ma…».

    «Leggi e poi convoca il tizio che ha scoperto il cadavere».

    Boulet afferrò il foglio con riluttanza e lesse l’intestazione. «Tratto da I fuochi della Milizia di Luc Ravel, pagina 250». Sollevò lo sguardo e incrociò quello di Ozouf.

    «Direi che puoi anche prenotare un tavolo per due per stasera da Galinette et Marielle. Paghi tu, naturalmente».

    4

    Nulla. Non gli resta più nulla. È stanco, braccato, il cuore in una morsa a ricordargli, battito dopo battito, tutto il suo dolore. Tutto quel dolore.

    Non c’è più nessuno che possano togliere di mezzo. Hanno fatto terra bruciata intorno a lui, lasciandolo in vita perché il dolore lo consumi.

    Una casa, una stanza, una semplice stamberga: non c’è un luogo dove possa rifugiarsi. E anche se il suo volto non è più il suo volto, sa che loro lo troveranno in mezzo a un milione di persone. Loro sono dappertutto. Anche e soprattutto nei suoi pensieri. A quelli non può sfuggire e prima o poi loro lo scoveranno. Loro. La polizia politica.

    La Milizia.

    Lunghe deviazioni, interminabili giri su per colline e vigneti, attraverso campi e foreste. Ha attraversato con la sua Citroën tutto il Paese, di notte. Nessuna sosta, neanche un minuto di sonno, con i sensi allertati per non incappare in un posto di blocco. Il suo obiettivo: la Provenza. Casa sua. Lo cattureranno lì, tra i suoi vigneti, i campi di lavanda, gli stagni delle bocche del Rodano.

    Lì dove è nato.

    La Provenza, la sua Provenza. Lo sorprende sempre. Anche questa notte mentre percorre un sentiero sperduto tra le colline e il mare. Nascosto dietro tornanti ininterrotti, un villaggio a lui sconosciuto. Un grappolo di case abbarbicato su uno sperone roccioso. Nessun cartello lo segnala, se non quello malandato, di legno, all’inizio del paese.

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