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La scuola di Narciso: Analisi, note, progetti
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E-book345 pagine4 ore

La scuola di Narciso: Analisi, note, progetti

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Info su questo ebook

- Coloro che hanno una certa età hanno frequentato la vecchia scuola di Edipo: classista, basata sulla selezione di censo, all’interno della quale sia i docenti che gli studenti cercavano di nascondere la loro vera identità dietro un paravento fatto di vuoti rituali. Intorno al ’68 quella scuola andò in crisi e sulle sue ceneri nacque la scuola odierna: quella di Narciso all’interno della quale una nuova generazione di docenti osò immaginare e costruire nei fatti un rapporto più ravvicinato e informale con gli studenti, funzionale ad una nuova società meno piramidale di quella precedente. Tutto ciò fra molti errori e in un rapporto sempre più teso con i programmi del legislatore italiano ed europeo, soprattutto dopo il passaggio dalla prima alla seconda repubblica.Il testo racchiude una serie di riflessioni che provengono dalla pratica quotidiana di uno psicologo dell’età evolutiva che da sempre ha collaborato strettamente con la scuola.
LinguaItaliano
Data di uscita16 feb 2021
ISBN9791220289481
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    Anteprima del libro

    La scuola di Narciso - Leonardo Angelini

    11.2.20

    1. Scuola, famiglia e società ai tempi di Narciso

    1.1 - Dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica: la scuola di ieri e quella di oggi a confronto

    ³

    a) Scuola e riproduzione sociale ieri ed oggi

    La scuola e la famiglia svolgono una funzione di riproduzione sociale, ovvero garantiscono il passaggio dei caratteri distintivi della società - di qualsiasi società - da una generazione all’altra: entrambe svolgono questa importante funzione attraverso l’educazione. Certo, in ogni società è possibile intravedere altri luoghi, altre istituzioni che in modo più o meno autocosciente svolgono questa importante funzione, decisiva sul piano della definizione dei profili di personalità⁴ sia nelle società statiche, sia ancor più nelle società dinamiche: nella nostra società ad esempio i social media. Fatto sta però che scuola e famiglia rimangono sempre i due attori principali della riproduzione sociale.

    Dicevamo che la promozione della riproduzione sociale è più facilmente garantita nelle società statiche – ad esempio nelle vecchie società contadine – poiché in queste società il passaggio da una generazione all’altra non comporta soverchi cambiamenti, ed anzi richiede (spesso impone) una fedeltà ai vecchi principi, alle vecchie modalità di vita e di lavoro che facilita il compito dei membri adulti della società, e in special modo dei genitori e dei docenti. Mentre risulta mediamente più difficilmente perseguibile nelle società dinamiche che per innovare hanno bisogno di rivedere sempre le ragioni di fondo che erano alla base della vita delle generazioni che declinano e di adattarle alle nuove esigenze del presente. Perciò in queste società il rapporto intergenerazionale risulta sempre più esposto a una serie di rischi, che aumentano vertiginosamente allorché il cambiamento risulta troppo radicale e repentino.

    Ebbene il primo argomento che vorrei proporvi oggi è questo: è indubbio che una delle componenti di fondo che caratterizza la nuova società metropolitana, e quella reggiana in particolare, è la sua estrema dinamicità.

    La società reggiana ha affrontato il passaggio da una dimensione statica ad una estremamente dinamica nell’arco di due sole generazioni; mentre - come affermano Basini e Lugli – l’Inghilterra e Francia sono state sottoposte allo stesso processo rispettivamente nell’arco di otto e sette generazioni: ciò determina per la società reggiana un rischio di anomia estremamente alto.

    Cercheremo ora di vedere come si è attrezzata la scuola, e la scuola reggiana in particolare, di fronte a questi cambiamenti.

    Se prendiamo come spartiacque il boom economico del ‘61\’62 noteremo che c’è una società reggiana pre-boom più statica, alla quale segue dopo il boom una società molto più dinamica. E noteremo anche che all’interno di questa società che cambia rapidamente dapprima - e fino alla fine degli anni 70 - persiste una scuola incentrata sul rituale pedagogico (Fürstenau), cioè intrisa – come vedremo meglio più avanti – di formalità e distanza fra docenti e discenti. Mentre successivamente, a partire dalla metà degli anni ’70 e fino ad oggi, questo tipo di scuola diventa pian piano obsoleto e viene sostituito da una scuola centrata sulla teatralizzazione della scena scolastica, in cui cioè la mozione degli affetti fra docenti e discenti, lungi dall’essere disarticolata e ingessata nel rituale pedagogico, emerge e passa in primo piano.

    Nel rapporto fra scuola e società dal dopoguerra ad oggi distingueremo tre fasi: A. la prima che va, appunto, dal primo dopoguerra al boom economico, cioè fino alla fine degli anni ’60; B. la seconda dal boom alla piena espansione del processo d’industrializzazione, e cioè dagli anni ’70 alla fine degli anni ‘80; C. e infine la terza, che comprende gli ultimi 17 / 18 anni, e che corrisponde all’emergere e all’affermarsi del processo di terziarizzazione.

    A. - La prima fase in tutta Italia era caratterizzata: - dalla presenza, al di là del triangolo industriale, di un forte settore agricolo, cui al Nord si affiancavano spesso enclaves proto-industriali, che a Reggio erano Le Reggiane; - dalla presenza di una classe dirigente esigua all’interno di una situazione contrassegnata da una scarsissima mobilità verticale. Si trattava cioè di una società statica che presentava scarsi livelli di mobilità verticale.

    In questo clima la scuola partecipava, insieme alla famiglia, ad un processo che sembrava facile e scontato⁵ in cui essenzialmente bisognava ricondurre le nuove generazioni ai principi e ai postulati delle vecchie generazioni. Per la maggior parte dei discenti l’importante era imparare a leggere e a far di conto. Mentre una divaricazione precoce tra scuola media e avviamento professionale sanciva la prevalenza della selezione di censo rispetto alla selezione di merito.

    Il fine di questa scuola era da una parte quella di favorire la formazione della classe dirigente già selezionata in base al censo; dall’altra di ricondurre precocemente la stragrande maggioranza dei discenti all’interno di un clima incentrato sulla disciplina e sull’obbedienza.

    La presenza, infine, di una folta schiera di docenti uomini in ogni ordine di scuola, nonché la suddivisione in classi che comprendevano distintamente alunni maschi e alunne femmine indirizzava ad attese e costruzioni di ruolo legate al genere molto rigide, sia per i discenti maschi che per le femmine.

    B. - A partire dal boom economico si assiste ad una spettacolare contrazione del settore agricolo, collegato ad un inurbamento massiccio e a Reggio Emilia ad un passaggio degli ex contadini inurbati dalla famiglia allargata alla famiglia nucleare, dal lavoro nei campi a quello industriale⁶.

    A fianco a questa rivoluzione si assiste in molte parti del Nord allo sviluppo e, in certe situazioni, all’esplosione del processo migratorio - da cui Reggio allora fu sostanzialmente preservata - che si dirige ormai oltre che in direzione del triangolo industriale, anche verso le nuove enclaves industriali e, più in generale, verso le grandi città⁷.

    Un altro elemento che caratterizza quest’epoca è la nascita di un terziario legato all’industria, ma soprattutto al neonato welfare italiano. Neonato perché è solo in questo periodo che nascono in Italia in ambito educativo la scuola media unica, le scuole materne comunali e statali, e poco più tardi gli asili nido; ed in ambito sociosanitario e psichiatrico le nuove istituzioni territoriali che dapprima si affiancano, e poi mano a mano sostituiscono il manicomio e le vecchie istituzioni assistenziali. A tutto ciò si accompagna la liberalizzazione degli accessi all’università, che indica in maniera eloquente l’apertura ad una società sempre più aperta alla mobilità verticale.

    Cambiano cioè gli involucri, i contenitori, e questo determina uno sconvolgimento totale all’interno della scuola: la maggiore mobilità verticale rende ora possibile, specialmente alle famiglie della classe media⁸, aspirare a una condizione nuova per i propri figli, e tutto ciò si riverbera sulla scuola ingenerando attese nuove e fortissime, che non possono più assolutamente coincidere con l’alfabetizzazione e l’abitudine all’ordine e all’obbedienza.

    L’Italia e Reggio in particolare – in cui, come abbiamo appena visto, il boom arriva a sconvolgere profondamente e rapidissimamente l’assetto territoriale, lavorativo e familiare - vengono a trovarsi quasi all’improvviso all’interno di una società dinamica dove alla mobilità orizzontale si sommano la mobilità verticale, e soprattutto l’attesa di un cambiamento che pone in profonda crisi la vecchia scuola. Ricorderete Il maestro di Vigevano: libro e film rappresentano bene com’era la scuola in quegli anni nei nuovi luoghi della ricchezza italiana.

    La presenza di questo nuovo e più complesso tessuto sociale comporta l’esigenza di avere una classe dirigente più ampia e articolata rispetto a quella del periodo precedente in cui la realtà sociale appariva come una specie di piramide mancante del pezzo intermedio, con alla cima una classe dirigente esigua e molto più in basso un’enorme massa di lavoratori.

    Adesso invece assistiamo ad un ampliamento della classe dirigente e, più in giù, una stratificazione molto più accentuata e segmentata. In questo secondo periodo aumentano le esigenze formative a tutti i livelli.

    Il passaggio alla famiglia nucleare poi implica una enorme trasformazione della prescuola, con la materna che, da assistenziale che era, si trasforma in istanza di tipo educativo (la scuola dell’infanzia!) ed è diretta non solo ai poveri, ma anche ai figli dei borghesi; e con gli asili nido, nati in un secondo momento, destinati a sconvolgere ancor di più i sistemi di educazione precoce⁹.

    Mentre abbastanza velocemente si passa dalla selezione di censo alla selezione di merito e per questa strada, che all’improvviso sembra praticabile per la maggior parte dei lavoratori, si determinano nuovi grossi investimenti da parte delle famiglie sulla scuola e sulla prescuola, legati da una parte alle maggiori attese presenti sul piano della mobilità verticale, ma anche - come ebbe a dire fra gli altri Chiara Saraceno - alla emergente ‘professionalizzazione’ del mestiere di genitore.

    Nasce in questo momento la scuola media unica; aumentano, soprattutto al nord, gli indirizzi tecnico-scientifici nelle superiori; e si accentua, in parallelo all’esplosione del welfare, il processo di femminilizzazione della docenza ad ogni livello¹⁰, per cui abbiamo sempre più donne che contemporaneamente diventano attrici e fruitici del welfare. Passa la liberalizzazione dell’accesso all’Università e nasce l’Università di massa.

    Nasce in questo clima tumultuoso il problema della pianificazione degli obiettivi generali dell’insegnamento in base alle previsioni, spesso sbagliate, dei percorsi di espansione futura della società: e praticamente comincia non solo in Italia, ma – come ci ricorda Klaus Offe - in tutta Europa un’era di fallimenti nella pianificazione della formazione¹¹.

    C. - L’ultimo periodo è quello dell’odierna società terziarizzata e globalizzata, con un’immigrazione esterna che vede quasi all’improvviso Reggio e la scuola reggiana in una situazione di particolare fragilità e vulnerabilità, poiché i livelli d’immigrazione – al contrario di quanto avveniva all’inizio degli anni ’70 – ora a Reggio sono tra i più alti in Italia.

    Vi è una forte espansione del terziario avanzato: i giovani autoctoni lavorano nel campo della finanza, della comunicazione, della pianificazione, della dislocazione e gestione delle risorse. Questo non cancella il settore secondario, ma determina una serie di emergenze nuove, e concorre a determinare un profilo caratteriale nuovo che Charmet ha descritto in modo molto acuto nei suoi libri.

    Dalla famiglia nucleare si passa alla famiglia prolungata: la famiglia lunga, come dicono i ricercatori del gruppo milanese della Scabini che hanno studiato questo fenomeno. Una famiglia cioè in cui due generazioni adulte convivono: la generazione che declina che non si persuade a considerare i livelli di autonomia raggiunti dalla generazione che sta emergendo, e quella che emerge che è sostanzialmente autonoma da un punto di vista emozionale, ma che però non può letteralmente uscire di casa per via del precariato: che crea una situazione di confusività nel rapporto fra generazioni in cui non si capisce bene se un giovane è ancora in formazione o se è già entrato in produzione; se un giovane può considerarsi autonomo anche da un punto di vista finanziario o meno, se un giovane può pensare realisticamente al proprio futuro o no¹² (Angelini, 2003).

    Ci troviamo altresì, come aveva già intravisto Mitscherlich, di fronte una eclisse sempre più accentuata dell’autorità genitoriale legata ai nuovi mestieri, ed in particolare al fatto che, mentre nella vecchia società preindustriale il contadino, pur nel suo limitato universo, si muoveva con una sicurezza che lo rendeva autorevole agli occhi dei propri figli, il lavoratore all’interno dei nuovi mestieri appare invece fragile agli occhi dei figli poiché inserito in un apparato mastodontico che lo schiaccia (Marcuse). È per questo che i genitori d’oggi devono imparare a negoziare la propria autorità con i propri figli (Angelini, Bertani, 2003).

    Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica comporta ina crisi del welfare che, in base alle scelte neoliberiste di tutti i governi, passa dal capitolo della spesa a quello delle entrate; innescano processi di privatizzazione, tikettazione e aziendalizzazione che si riverberano soprattutto sul mercato femminile con ricadute doppiamente negative per le donne, che sono colpite sia come lavoratrici, sia come fruitrici del welfare. Tutto ciò in una società estremamente dinamica in cui assistiamo ad un aumento delle difficoltà e dei problemi circa il futuro della scuola segnalati da Offe negli anni ’80.

    La scuola infine – come dicevamo prima - nell’ultimo ventennio deve occuparsi dell’integrazione dei giovani figli dei migranti: e in ultima istanza del modellamento di una scuola multietnica.

    Tutto ciò in una situazione in cui assistiamo ad una moltiplicazione dei percorsi formativi, ad una loro estrema flessibilità (non sempre giustificata dalla complessità della situazione sociale e lavorativa¹³), ad una licealizzazione dell’Università che innesca percorsi formativi post lauream che diventano realmente o illusoriamente selettivi e, in ogni caso, rendono la formazione infinita, nonché indeterminata nei suoi confini (Laffi).

    b) Dalla vecchia alla nuova scuola

    Partiamo da un assunto della psicologia gruppale: in famiglia vige un clima basato sull’affettività ma questo non significa – dicono gli psicologi che studiano i gruppi - che nel gruppo affettivo per eccellenza non vi sia operatività: ma solo che in questo tipo di gruppo l’operatività rimane in sottofondo.

    Al contrario i gruppi di lavoro, e fra questi il gruppo-classe, sono dei gruppi in cui prevale un clima centrato sull’operatività. Però – ribadiscono gli psicologi - questo non significa che a scuola o sul lavoro non vi sia spazio per affettività: anche in situazioni altamente incentrate sulla formalità, infatti, e cioè sia a scuola che sul lavoro in sottofondo, per quanto denegata essa sia, persiste sempre un quid d’affettività.

    Detto questo veniamo al tema dell’affettività a scuola: c’è un testo di Janine Filloux che affronta il tema della distribuzione dell’amore del docente all’interno della classe, fra i singoli discenti. L’affettività – intesa in valore assoluto, cioè come flusso di sentimenti positivi e negativi - a scuola è presente – afferma la Filloux - ma non è mai equamente distribuita.

    E nell’analizzare la vecchia e la nuova scuola partiamo da questi due assunti: - la compresenza in qualsiasi gruppo di un mix di affettività e operatività; - il fatto che nel gruppo – classe sia i sentimenti positivi che quelli negativi non sono mai equamente distribuiti.

    Lo psicoanalista tedesco Peter Fürstenau in un suo lavoro che risale al 1968, parlando della vecchia scuola fino ad allora in auge in Germania come in Italia, affermava che quella era una scuola in cui ogni mozione degli affetti era (de)negata poiché l’atmosfera in essa imperante era essenzialmente ‘ossessiva’, cioè incentrata su di un ‘rituale pedagogico’ (la lezione cattedratica, l’interrogazione, il voto ..) che la ingessava all’interno di un clima in cui la ritualità e la formalità comprimevano più o meno pesantemente l’affettività, e la camuffavano incanalandola esclusivamente all’interno del rituale.

    Il passaggio dalla vecchia alla nuova scuola avviene proprio intorno al ’68: possiamo dire anzi ch’essa sia uno dei tanti processi innescati dai movimenti del ’68, in Italia come in altre parti del mondo.

    Essenzialmente questo passaggio rappresenta un rovesciamento dei principi su cui era fondato il rituale pedagogico, per cui là dove regnava la formalità ora, ad opera di una nuova leva di docenti comincia a prendere piede l’informalità; e in questo nuovo clima ecco che la mozione degli affetti, prima denegata, - o magari occhieggiante all’interno di rituali particolarmente sintomatici -, ora emerge.

    E semmai allorché questo rovesciamento risulti dialettico e non vi sia alcuna coniugazione con le esigenze di operatività, è destinato ad occupare pesantemente la nuova scena a detrimento del fine operativo.

    Detto questo ci tengo a sottolineare che sia quando parlo di rituale pedagogico, sia quando parlo di teatralizzazione (o, più tecnicamente, di isterizzazione) della scena scolastica, non sto parlando degli stili personali secondo i quali ciascun docente si rivolgeva o si rivolge alla propria classe, ma sto parlando del clima che imperava ieri nella vecchia scuola e del clima imperante oggi nella nuova.

    Per cui è chiaro, ad esempio, che un docente ossessivo, portato alla ritualizzazione, si sarebbe trovato meglio nella vecchia scuola, mentre oggi fa più fatica a relazionarsi con i propri discenti. Così come un docente con un carattere più isterico, portato all’effervescenza affettiva, oggi si trova più a suo agio nella nuova scuola, mentre nella vecchia scuola avrebbe dovuto frenare le proprie tendenze all’affettività, e nasconderle e confinarle all’interno del rituale pedagogico.

    Deve essere chiaro quindi che quando parliamo del passaggio dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica, non stiamo parlando di un’uniformità di comportamenti o - peggio - di caratteri individuali, ma del clima che impregnava e imperava nella vecchia scuola e di clima oggi vigente nella nuova scuola. Indipendentemente dalle soggettività dei docenti. Non dobbiamo confondere, cioè, i comportamenti e gli stili difensivi personali di ciascun docente con il clima imperante nel sistema scolastico vecchio e in quello nuovo.

    Ad esempio è chiaro che ciascun docente gioca con la propria propensione ad ‘amare’ e ad ‘odiare’ in maniera del tutto personale, ma una cosa è che questo gioco avvenga più occultamente in un clima centrato sul rituale pedagogico, un’altra se ciò avviene più apertamente sulla scena teatrale della nuova scuola.

    Un altro dato che risulta utile se vogliamo capire cosa c’è sotto questo profondo cambiamento climatico che caratterizza la scuola d’oggi è la conoscenza e soprattutto la coscienza, direi, del fatto che lo squilibrio di saperi e di poteri genera situazioni di forte tentazione per il docente (Fürstenau).

    Mutatis mutandis, avviene a scuola ciò che avviene anche sulla scena della psicoterapia. Sul piano psicoterapeutico nel momento in cui il paziente mette in piedi un transfert, mette in piedi anche una dipendenza, dalla quale deriva una situazione di squilibrio di potere che pone il terapeuta in una situazione di tentazione nei confronti del paziente. Lo stesso avviene nella scena scolastica, anche se non siamo portati a pensarlo perché con l’asimmetria scolastica abbiamo fatto i conti tutti (sulla nostra pelle, direi), e ci pare ovvio ch’essa ci sia.

    È bene che siamo coscienti però che anche nella scena scolastica la tentazione del docente di approfittare della situazione di asimmetria c’è, anche se solitamente non è centrata su Eros ma sull’aggressività: soprattutto nei confronti di quell’altro da me, che è il bambino o ragazzo che dà fastidio o che in ogni caso non mi riconduce all’immagine di scolaro che io docente amo.

    A questo punto si tratta di capire cosa succede e come sia possibile che questi aspetti legati all’affettività e all’aggressività passino; e, più distintamente, come passavano ieri, e come passano oggi.

    La vecchia scuola era un luogo liminale, precluso ai più. Invece la nuova scuola, lungi dal disporsi come luogo nascosto e liminale, è il palcoscenico di un continuo teatro all’interno della classe e fuori che viene esibito in ogni suo dettaglio, anche il più osceno e impresentabile.

    Nella scuola del rituale pedagogico c’era una distanziazione tra docente e discente, che come dicevamo prima si giocava intorno a delle cerimonie: il voto, l’interrogazione, … e a tutta quella serie di cerimoniali che tenevano a freno l’affettività e l’aggressività, per cui nella vecchia scuola le stesse regole intorno alle quali s’incardinava la quotidianità scolastica erano dettate in base a questa esigenza di cerimonialità, che aveva alle spalle un preciso apparato difensivo incentrato, come ogni elemento ossessivo, sul dato dell’allontanamento e della negazione.

    Fürstenau sosteneva nel ‘66\’67: nella vecchia scuola prevale un’atmosfera formale, il fine della formalità è quello di allontanare da sé il dato dell’informalità, cioè le emozioni; si mira ad una spersonalizzazione dei rapporti; c’è nella vecchia scuola un’aggressione contro la tendenza alla familiarità sia negli allievi che nel maestro; il maestro deve aderire ad un’idea molto cerimonializzata del docente; e anche i discenti devono tendere ad uniformarsi in tutti i modi (insomma è il trionfo del grembiule¹⁴!). Ciò implica una presa di distanza dai problemi inerenti la relazione e l’affetto, centrata su questa cerimonializzazione della scena.

    Fürstenau aggiunge che anche il burn out dei docenti di allora, cioè nella vecchia scuola, in fondo era legato al fallimento di queste difese. Ad esempio in questo clima i docenti più creativi si sentivano incapsulati in una camicia di Nesso che impediva loro di essere se stessi e quindi correvano il rischio di spegnersi a poco a poco nelle loro parti più propositive e creative.

    A un certo punto, intorno al ’68, per le ragioni che abbiamo già visto nel paragrafo precedente, tutto ciò che era nascosto all’interno e, direi, sotto la coltre del rituale pedagogico emerge, e il clima nuovo che s’instaura è un clima basato sulla teatralità e sull’orizzontalità dei rapporti, per cui all’improvviso ci si vuole bene, quasi quasi ci si abbraccia¹⁵.

    Le cose da allora a scuola prendono ad esprimersi in modo teatrale: l’amore e l’odio si esprimono molto più apertamente; la situazione è molto più orizzontale, meno verticale, per cui ci sono anche dei rischi sul piano delle regole.

    In questo nuovo clima la classe - che nel vecchio ordinamento era un luogo liminale e nascosto - si trasforma in un vero e proprio scenario teatrale, dove vengono esaltati i drammi legati ai problemi scolastici ed extrascolastici di ognuno. Per cui non solo la scuola non è più luogo liminale, ma risulta come invasa da una folla di istanze fra i quali i giornali, i video, i vigili urbani, i tecnici dell’Ausl, le istanze proprie, quelle dei propri simili, di tutti gli altri, del mondo intero. E in essa ovviamente vengono esaltati tutti i drammi originati nei docenti e nei discenti dalle problematiche relazionali legate alla crescita.

    Ciò porta al rischio di un rovesciamento adialettico della precedente esclusiva concentrazione sul curricolo e sulle materie. Perché, se nella vecchia scuola l’importante era solo il rendimento, oggi, con l’approdo in essa di ogni contenuto, di ogni istanza, si rischia di perdere l’ordine del giorno rispetto al rendimento e al curricolo.

    In questo clima infine assistiamo - a volte compiaciuti, più spesso angosciati - alla sottovalutazione della presenza della distanza generazionale fra docenti e discenti¹⁶.

    Sottovalutazione dello squilibrio dei poteri e dei saperi che accentua il dato della tentazione, sia rispetto a ciò che viene da Eros che da Thanatos. Sottovalutazione che è ancora più evidente nel rapporto con le famiglie che pretendono d’imporre il proprio punto di vista senza alcuna deferenza nei confronti del docente che, in base a questo assunto di vicinanza, è come se almeno su questo piano abbia abdicato alla propria autorevolezza, ponendosi però in una situazione emozionalmente pericolosa, specie se i propri modelli di docenza – che come sappiamo in Italia provengono essenzialmente dalla propria passata esperienza personale¹⁷ - sono modelli forti e autorevoli.

    Ostentazione di una vicinanza di interessi, di un iperdemocraticismo e di una idealizzazione della classe, particolarmente usuranti perché alla idealizzazione segue sempre una deidealizzazione tanto più forte quanto più alta era stata l’idealizzazione precedente, perché la vecchia classe è sempre migliore di quella attuale, per cui le cose vanno sempre peggio.

    Vertecchi afferma che l’elemento nucleare del rapporto docente - discente non è solo la lezione ma che, a fianco alla lezione, e spesso ad essa intrecciati, ci sono anche l’esempio ed il precettorato. Dove per esempio s’intende quel processo di rallentamento e di banalizzazione dei contenuti e soprattutto dei metodi in base alla quale ti faccio vedere come si fa. Mentre il precettorato è quel processo in base al quale io, docente, che ne so più di te, discente, ti spiego quali sono i nodi del problema, i trucchi per risolverlo, le scorciatoie per venirne a capo.

    Ora basta considerare quelle nuove situazioni formative in cui non c’è lezione, come avviene ad esempio avviene negli stage e nei tirocini, per capire l’importanza crescente che questi due elementi assumono nel nuovo contesto.

    Nella vecchia scuola si tendeva a mettere tra parentesi questi due elementi – che pure erano presenti e attivi anche allora sul piano didattico - anche se mai esplicitamente citati. La nuova scuola invece pone più in primo piano esempio e precettorato: molti docenti sono autocoscienti della loro importanza; essi sono sempre compresi all’interno del piano didattico. Spesso però non facciamo caso all’importanza crescente che essi assumono nel rendere ancora più ravvicinato il rapporto docente – discente: si pensi al fatto che i tutor di stage e di tirocinio spesso si trovano in un rapporto uno ad uno con il discente che è stato loro affidato.

    In conclusione su questo secondo punto va detto che, da una parte, ieri nella vecchia scuola l’apparato difensivo di tipo ossessivo su cui era costruito il rituale pedagogico tendeva ad allontanare da sé eros e aggressività e a pietrificarli nell’onnipresente cerimoniale: e ciò di fronte al fallimento delle difese portava il docente a convivere molto pericolosamente con un’eruzione delle emozioni e dei sentimenti alla quale non era assolutamente preparato.

    Dall’altra oggi nella nuova scuola il fallimento delle difese incentrate sulla teatralità e sull’isterizzazione del rapporto docente – discente conduce, altrettanto pericolosamente, ad un più o meno improvviso calo della spinta idealizzante che normalmente alimenta la spinta alla teatralità. Calo che a sua volta spesso conduce a varie forme di de-idealizzazione.

    c) Le funzioni – cornice ieri ed oggi

    Le funzioni – cornice (Käes) sono quelle istanze che stanno a monte e a valle della lezione. Sono cioè quelle precondizioni che mettono la lezione con i piedi per terra. Precondizioni, però, alle quali solitamente, e finché le cose in classe vanno sufficientemente bene, docenti e didatti non danno soverchia importanza.

    Sostiene Käes che la lezione sta nel mezzo: preceduta da manovre istituenti e in\ludenti, e seguita da gesti ed atti individualizzanti e da

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