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Nonostante te (te, nonostante tutto)
Nonostante te (te, nonostante tutto)
Nonostante te (te, nonostante tutto)
E-book268 pagine3 ore

Nonostante te (te, nonostante tutto)

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Info su questo ebook

A vent’anni, a Erica manca poco per laurearsi in filosofia e sogna di diventare una scrittrice, ma sente il mondo scivolarle di mano. Stanca di sentirsi come in un limbo, stressata per gli studi e imprigionata nell’immagine della ragazza perfetta, decide di dare una svolta alla sua vita e abbandona i freni con i quali ha vissuto finora per cominciare a vivere davvero, fino a scoprire una parte di sé che non era mai riuscita a emergere. Ad aiutarla sono una vacanza in Grecia con i suoi amici e un paio di occhi verdi, quelli di Thiago, il classico ragazzo che può avere chi vuole, ma il cui sguardo cade proprio su Erica. L’amore è bellissimo, travolgente ed Erica non può credere a quanto sia felice. Ma cosa succede quando le insicurezze, la gelosia, i tradimenti e la distanza, iniziano a mettere in dubbio tutto quello che Erica e Thiago hanno costruito? Come si fa a ricomporre qualcosa ridotto in pezzi? Scrivendo, Erica si chiede se l’amore resiste a tutto e se si può perdonare qualcuno che ti ha ferito. Perché perdonare è un’arte, ma se si scava nel profondo del dolore, si può trovare il coraggio di lasciarlo andare e di guardare avanti.
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2021
ISBN9791220293037
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    Anteprima del libro

    Nonostante te (te, nonostante tutto) - Claudia Rota

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    Claudia Rota

    Nonostante te (te, nonostante tutto)

    A chi,

    nonostante tutto,

    non ha mai smesso di crederci.

    1

    Ci risiamo.

    Il solito suono della sveglia delle 8:00 diventava ogni giorno più insopportabile. Ma Erica lo sapeva, non si sarebbe di certo alzata a quell’ora. La sveglia era solo un modo per convincersi che la mattina si sarebbe svegliata presto e sarebbe stata produttiva, ma in fondo poteva mentire a tutti, poteva prendere in giro chiunque, ma non se stessa.

    Allungò il braccio intorpidito e diede un piccolo colpo al pulsante, posto sopra quella vecchia sveglia rossa di peluche; non aveva mai visto niente di più kitsch, ma era un regalo della sua amata sorellina e lo avrebbe sempre custodito con affetto.

    Avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi e ritornare a dormire, ma per Erica il sonno era come uno di quei famosi treni che passano una sola volta nella vita e quel treno lei lo aveva appena perso.

    Non avendo voglia di alzarsi così presto, ma non riuscendo neanche a riaddormentarsi, fu costretta a rimanere sdraiata nella penombra della sua camera. Cominciò a fissare il soffitto e a respirare profondamente. L’ansia, come ogni mattina, stava iniziando a salire lentamente, impossessandosi del suo corpo e della sua mente nel giro di pochi minuti. L’ansia di non essere abbastanza, l’ansia di non riuscire a diventare quella che aveva sempre sognato, l’ansia di sprecare la sua vita, l’ansia di non sentirsi mai all’altezza della situazione. Erano molte le insicurezze e le debolezze di Erica, che alimentavano continuamente quel terribile mostro.

    Si girò su un fianco e chiuse gli occhi.

    Sentiva solo il rumore del suo respiro, di quello della sorella che dormiva nel letto a fianco e, in sottofondo, il borbottio della macchinetta del caffè accesa da sua madre.

    Aprì di nuovo gli occhi e cercò di analizzare uno alla volta i pensieri che correvano nella sua mente.

    Erano i primi giorni di luglio ed era in piena sessione estiva; avrebbe dovuto dare due esami nei successivi due giorni. Al solo pensiero il respiro le si bloccò in mezzo al petto. Gli esami le procuravano un timore estremo. Fin da quando era piccola a scuola era sempre stata la più brava, i suoi genitori puntavano tutto sulla sua intelligenza e sulla sua bravura negli studi. Erica non si sarebbe mai permessa di deludere quelle aspettative, aveva la costante paura di essere una delusione per le persone che aveva accanto. Ma non era facile mantenere quell’immagine della ragazza eccezionale, studiosa e determinata, quando dentro di lei sentiva invece che il mondo le stava lentamente scivolando di mano. A vent’anni sentiva di non avere più il controllo di nulla. I giorni, le ore, i minuti e i secondi passavano così lentamente che anche un solo millisecondo assomigliava a un’agonia. La cosa che Erica detestava più di tutte era quella sensazione di quando, per quanto ci siano numerose persone accanto a te, acquisisci la consapevolezza di essere da sola con la tua mente, e quei pensieri assassini non le davano mai pace.

    Luglio, un caldo afoso, gli ultimi due esami della sessione estiva, il tempo pesante come un macigno e una depressione che la teneva a un passo dal precipizio, era tutto quello che doveva affrontare.

    Dei sottili raggi di luce entrarono dalla tapparella socchiusa. Il letto cominciava a scaldarsi, Erica quindi si alzò lentamente e accese il ventilatore davanti al suo letto.

    Respirò quell’apparente aria fresca, che le sarebbe sembrata calda già dopo qualche minuto, e diede uno sguardo sfuggente alla sveglia. Le 10:00.

    Era rimasta due ore a pensare, rigirandosi nel letto. Andava a finire sempre così in ogni situazione: i troppi pensieri le bloccavano qualsiasi azione. Erica rimaneva spesso bloccata nella sua comfort zone, nel caos della sua mente, quel caos da cui non vedeva l’ora di scappare, ma che avvertiva come l’unica cosa che possedesse davvero, quel qualcosa che nessuno le avrebbe mai tolto. La sua mente, per quanto lei la odiasse, era anche la sua più fidata compagna.

    Aveva pensato troppo, era arrivato il momento di alzarsi.

    Si sedette, indossò i suoi occhiali e scese dal letto. Il contatto dei piedi nudi con le mattonelle fresche del pavimento le diedero qualche secondo di sollievo. Fece qualche passo e raggiunse il letto della sorella, accanto al suo.

    Stava ancora dormendo. Un visino dolce come quello di un angioletto, era così che Erica vedeva la sua sorellina quindicenne. Per lei era la cosa più preziosa che aveva mai avuto in tutta la sua vita. La sua più intima confidente che la conosceva meglio di chiunque altro.

    Le diede un bacio sulla fronte, spostandole i corti capelli neri dal viso.

    «Madison, sono le 10:00».

    Madison si rigirò nel letto ed emise un suono simile al ringhio di un cane. Odiava essere svegliata, ma Erica conosceva un metodo efficace per iniziare la giornata con un po’ di sorrisi: il solletico. Le due sorelle si divertivano a farsi il solletico a vicenda fino a quando una delle due cedeva, dichiarando la sconfitta.

    Il nome Madison era stato deciso dalla loro mamma, che amava i nomi stranieri. Mentre Erica lo aveva deciso il papà.

    Erica non reggeva più il solletico e aveva dichiarato la sconfitta. Si alzò dal letto della sorella, trascinando Madison con lei e andando verso la cucina.

    Il padre usciva alle 7:00 per recarsi al lavoro e la madre di solito andava a fare la spesa o delle commissioni intorno alle 10:30, quindi era uscita da poco di casa. Il programma che Erica si era posta per quella giornata era quello di fare colazione, senza perdere ulteriore tempo, correre in camera e cominciare a ripassare per l’esame del giorno successivo.

    Quindi, senza indugiare, mangiò la sua merendina preferita alla nutella e corse in bagno a darsi una sistemata.

    Si lavò i denti, si sciacquò il viso con l’acqua gelida, si pettinò quei lunghi capelli rossi e li raccolse in una coda di cavallo. Infine, si tolse il pigiama e indossò una semplice canottiera e un pantaloncino comodo.

    Andò in camera e tirò fuori il raccoglitore ad anelli pieno di appunti, riassunti, schemi.

    Con il caldo ripetere per delle ore era davvero faticoso, ma anche se con molta fatica e sforzo, per l’ora di pranzo aveva finito il ripasso generale. Si sarebbe dovuta fermare di più su alcune parti specifiche, ma decise che lo avrebbe fatto prima di andare a letto.

    Nel frattempo, la madre era tornata e aveva cucinato la pasta preferita di Erica: pasta al pesto di rucola e gamberi, quello che ci voleva per resettare la mente e per ripagare gli sforzi fatti.

    Amava sua madre, Sofia era la tipica madre tradizionale che aveva smesso di lavorare per badare alla casa e alla famiglia, e lo faceva in modo eccezionale. Non faceva mancare mai nulla a nessuno, si dava molto da fare e riusciva a mantenere tutta la famiglia in piedi, compresa se stessa. Aveva quasi sempre una soluzione per ogni problema.

    Mentre masticava l’ultimo boccone, Erica prese in mano il telefono e tolse la modalità non disturbar che aveva inserito prima di iniziare a studiare.

    Sveva: 2 chiamate perse.

    Di solito quando non era dell’umore giusto, Erica tendeva a ignorare i messaggi e le chiamate. Non per cattiveria, ma perché sentiva il bisogno di starsene un po’ da sola. Ultimamente però, quel bisogno di rimanere da sola era durato un po’ troppo, quindi in quel momento, spinta dall’impulso, decise di richiamare immediatamente Sveva.

    «Ma dove eri finita? Come al solito non hai risposto» dall’altro capo del telefono il tono di voce di Sveva era ironico.

    «Sve scusami, hai ragione. Stavo finendo di ripetere per l’esame di domani e avevo bisogno di non essere distratta. Lo sai che in questo periodo non sono molto di buon umore, ci mancano pure le distrazioni» rispose Erica passandosi una mano sulla fronte per asciugare il sudore di quell’afosa giornata.

    «Lo so, infatti ti avevo chiamata proprio per questo. Volevo parlarti di una cosa. Che dici se nel pomeriggio vengo da te e ci facciamo un giro?»

    «Sì, spero mi sia di aiuto per svagare la mente. Facciamo per le 17:30?»

    «Ottimo, a dopo».

    Erica riattaccò e si sentì sollevata. Aveva proprio bisogno di farsi un giro con una delle sue migliori amiche.

    Il citofono suonò alle 18:15, come al solito Sveva era in ritardo, ma era la cosa divertente del suo carattere, era fatta così, ed Erica le voleva bene per questo.

    «Sei tu?»

    «Sì, scendi!»

    Le due amiche si salutarono con due baci sulla guancia e decisero di prendere un gelato in una pasticceria situata nel piccolo quartiere dove vivevano, a Roma.

    Un gelato con quel caldo era proprio quello che serviva.

    «Allora, cosa volevi dirmi?» Erica aprì il discorso, mentre gustava il suo gelato al cioccolato.

    «Prima di parlarti di questa cosa vorrei che mi facessi una promessa».

    «Cioè?» Erica aggrottò le sopracciglia, con aria sospettosa, ma allo stesso tempo curiosa.

    «Io ti conosco, so come reagirai alla mia proposta. Per questo ti chiedo di promettermi che ci penserai sopra e non dirai subito di no».

    «Mmh, va bene. Te lo prometto».

    «Allora, so che tu sei molto stressata ultimamente, conosco il periodo che stai passando, ne hai avuti molti altri simili e non ti fa bene rimanere nella tua comfort zone. Hai bisogno di cambiare aria, di fare qualcosa che non hai mai fatto. Hai bisogno di rischiare e di scoprire qualche parte di te stessa ancora sconosciuta, per poter rinascere. Devi essere tu il tuo stesso cambiamento».

    «Non ti seguo» Erica si stava agitando, il pensiero di dover rischiare le stava mettendo tensione, chissà cosa avrebbe voluto farle fare la sua amica.

    «Erica, te lo dico senza giri di parole. Partiamo. I miei genitori hanno quattro biglietti per Santorini, dovevano partire con degli amici ma hanno disdetto per degli imprevisti. Mi hanno proposto di usare i biglietti e di partire con i miei amici. È già tutto pagato e i miei genitori non vogliono nessun rimborso. È un regalo. Hai bisogno di divertirti. Da quanto tempo è che almeno per un’ora non hai la testa senza pensieri? Da quanto non ti senti davvero felice?»

    Erica rimase un secondo a pensare. Era tutto vero, Sveva aveva ragione su tutto. Ogni singola parola che aveva detto conteneva l’assoluta verità. Ma non sempre facciamo ciò che riteniamo giusto. Spesso dentro di noi conosciamo la verità, ma la ignoriamo perché abbiamo la maledetta tendenza a persistere nel nostro stato d’animo. Tendiamo a rimanere nella nostra zona sicura, a fare solo quello che di solito sappiamo di saper fare, quello che ci mette sicurezza. Per Erica era così. Avrebbe voluto rischiare perché aveva bisogno di una svolta nella sua vita, era imprigionata in un limbo, ma non aveva il coraggio per uscirne.

    «Ho promesso che ci avrei pensato. Ci rifletto con calma e ti faccio sapere in questi giorni. Ho un esame domani e uno dopodomani. Quando ho finito ti chiamo io e ti do una risposta. Va bene?» questo è quello che Erica disse.

    Non ci andrò mai, non fa per me, questo era quello che in realtà pensò.

    Sveva accettò la sua scelta e le diede il tempo per riflettere. Conosceva bene Erica e sapeva che molto probabilmente le avrebbe detto di no, ma lei era sua amica e aveva il dovere di scuoterla, di cercare di tirarla su. Erica andava spronata, perché senza una spinta rischiava di rimanere chiusa sempre nei suoi pensieri che non la portavano quasi mai a nulla di concreto.

    Le due amiche fecero un’ultima passeggiata e poi entrambe tornarono ognuna a casa propria.

    Quella sera fu particolarmente agitata per Erica, era preoccupata per l’esame del giorno successivo e si tormentava la mente con la questione del viaggio.

    Sentiva da dentro l’istinto di volerci andare, ma poi vinceva sempre quella bestia della sua ansia.

    Quella sua attitudine a rimanere dov’era, senza mai avanzare.

    Prima o poi sarebbe cambiata, lo aveva promesso a se stessa.

    Più poi che prima.

    2

    Il giorno dell’esame era arrivato.

    Quella mattina Erica si alzò senza l’aiuto della sveglia, l’agitazione l’aveva costretta a svegliarsi alle 6:00, nonostante l’esame fosse alle 11:00.

    Fece colazione con l’ultima brioche alla nutella che Sofia le aveva fatto trovare sul tavolo con un bigliettino:

    Sono uscita come al solito per fare la spesa. Ho accompagnato Madison da un’amica. In bocca al lupo per l’esame, andrai benissimo, contiamo tutti su di te. A dopo. Un bacio, mamma.

    Era proprio questa la sensazione che Erica odiava: non poteva deludere sua madre, i suoi genitori e la sua famiglia.

    Tutti puntavano sulla sua carriera scolastica, e anche lei stessa lo faceva, ma era diverso. Avrebbe sopportato di deludere se stessa, ma non le persone che amava. Era troppo altruista e spesso si eclissava per fare un piacere agli altri, senza considerare mai le sue emozioni e i suoi desideri.

    Aveva il sogno di diventare una scrittrice, ma era uno di quei sogni che era convinta non si sarebbe mai realizzato. Ogni tanto si sedeva alla scrivania e provava a buttare giù qualcosa, cercava di esternare le sue vere sensazioni per creare un libro, un qualcosa che la rappresentasse. Ma niente, la sua attenzione finiva sempre sugli studi e sugli esami del suo secondo anno di università.

    Prese il post-it di sua mamma e lo mise in tasca.

    Andò in bagno a prepararsi.

    Erano le 7:00, ma lei era nota per la sua puntualità eccessiva, si preparava sempre troppo in anticipo per paura che qualche imprevisto le impedisse di non arrivare in orario.

    Il cattivo umore era lì come al solito, insieme all’ansia per l’esame, non aveva particolarmente voglia di truccarsi, di farsi bella.

    Si lavò velocemente, prese i vestiti che si era preparata la sera prima e ritornò in camera per darsi una sistemata al volo.

    Se fosse uscita alle 9:30, prendendo l’autobus sarebbe arrivata in università alle 10:30. Orario perfetto.

    Erano ancora le 8:00, così decise di ripassare qualche argomento che sapeva di meno.

    Finalmente alle 9:30 prese il suo zaino e andò alla fermata dell’autobus.

    Il caldo cominciava a darle alla testa, si sentiva debole e con poche energie per affrontare l’esame, non ne aveva particolarmente voglia, ma non aveva scelta.

    Dopo soli dieci minuti il bus arrivò ed Erica si sedette accanto al finestrino. Adorava immaginare e sognare a occhi aperti guardando fuori mentre ascoltava la musica.

    Sognare a occhi aperti. I suoi sogni rinchiusi nella mente, solo quelli le rimanevano.

    Si fece trasportare dalla musica, tanto che quasi non si accorse che era arrivata la sua fermata.

    Scese dal bus e si incamminò verso l’università, che aveva sede in una grande villa ottocentesca circondata da un immenso parco. Aveva la giusta atmosfera per studiare filosofia.

    Entrò e salì le scale fino al terzo piano, stanza 216.

    Scoprì di essere la prima a dover sostenere l’esame.

    Alle 11:00 precise vide il professore camminare lungo il corridoio ed entrare nella stanza, chiamando il suo nome.

    Ogni volta che sentiva «Erica» pronunciato dalle voci solenni dei suoi professori, avvertiva un tuffo al cuore.

    Come se per un secondo il mondo si fermasse.

    Ci siamo.

    Lei era seduta su una sedia e il professore stava seduto di fronte a lei, dall’altro lato della cattedra.

    Fece la prima domanda.

    Non la so. Come è possibile?

    «Mi scusi, non me la ricordo» Erica era imbarazzata, aveva studiato ogni singola pagina di ogni libro e durante le lezioni del professore aveva preso sempre appunti. Com’era possibile che le fosse sfuggita una domanda del genere?

    «Cominciamo male signorina Erica, questa è una domanda fondamentale per l’esame di filosofia politica».

    «Mi scusi davvero» Erica cominciava a diventare rossa in viso.

    «Prossima domanda» continuò il professore

    La so, questa la so. Mi ricordo di averla studiata.

    Quella domanda la sapeva, ma ormai il panico aveva preso il sopravvento, si era bloccata e non riusciva ad aprire bocca. Era uno dei momenti più umilianti e imbarazzanti della sua vita. Vedeva il professore davanti a lei che cominciava ad aggrottare le sopracciglia e iniziava a spazientirsi.

    «Signorina mi dispiace, ma non ho tempo da perdere. Ci sono troppi studenti in lista che oggi dovrebbero sostenere l’esame. Le domande erano due e lei non mi ha saputo rispondere. Direi che ci vediamo al prossimo appello, a settembre».

    Era stata bocciata all’esame. Non era mai successo. Mai.

    «Mi scusi, d’accordo. Ci vediamo» Erica non sapeva che dire, prese il suo zaino e uscì a testa bassa dalla stanza.

    Scese le scale di corsa e si rifugiò nel bagno del primo piano.

    Non è possibile.

    Era tutto quello che riusciva a pensare in quel momento. Si guardò allo specchio e fu come se il mondo fosse fermo e lei stesse guardando la sua vita dall’esterno, dal corpo di un’altra persona.

    Quella che aveva sostenuto l’esame non era lei.

    Non era mai successa una cosa del genere.

    Adesso cosa dico ai miei genitori? Sono una delusione, un fallimento.

    Iniziò a piangere in silenzio, chiusa nel bagno dell’università.

    In quel momento le venne in mente la proposta fatta il giorno prima da Sveva. Le metteva ancora più agitazione il pensiero di avere una scadenza e di doverle dare una risposta.

    Si sciacquò la faccia e uscì dal bagno.

    Corse di fretta alla fermata dell’autobus, voleva tornare a casa.

    Mentre era seduta al solito posto vicino al finestrino accese il telefono, che aveva spento durante

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