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Inseguendo un bacio
Inseguendo un bacio
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E-book95 pagine1 ora

Inseguendo un bacio

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Info su questo ebook

I ricordi di Jennifer, donna dalla delicata e coraggiosa sensibilità, dipingono una vicenda romanzata i cui contorni sfumano in una pudica intimità: quando la sua emotività investe di poesia il mondo, i mille fatti del racconto di una vita assumono, anche nelle piccole sfaccettature quotidiane, un valore speciale.
"Inseguendo un bacio" si distende su una vivace policromia di toni, dal favolistico al riflessivo, dal sognante al drammatico, e intriga il lettore conducendolo sulla soglia affascinante e misteriosa che separa realtà e immaginazione letteraria, sulla quale danzano personaggi e situazioni in eco toccanti e suggestive.
Contrappunto sostanziale di questo libro è l’amore nei confronti della scrittura. Nell’atto di scrivere, infatti, è riconosciuto non solo il più adeguato dei mezzi per esprimere le sfumature di sentimento che le esperienze di vita possono suggerire, ma anche il più potente degli strumenti per identificare se stessi e il proprio spazio in un mondo troppo spesso frenetico e privo di attenzione.
Inoltre, dalla storia di Jennifer emerge sottile e preciso il vibrante messaggio di condivisione ad affrontare positivamente il dolore, superarsi, ritrovarsi, vincere, e trasmettere agli altri la medesima tensione, verso una catarsi da cui può erompere lo stupore smagato, sereno, di un principio nuovo.
Una storia intensa e commovente, tessuta come un ricamo sulla trama di un’anima appassionata.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788832923070
Inseguendo un bacio

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    Inseguendo un bacio - Giusy Vanni

    traguardo.

    1

    Ileana era una ragazzina vestita di pensieri. Quando la incontrai la prima volta avrà avuto sei anni: era autunno, e lei aspettava che suonasse la campanella nel cortile davanti alla scuola. Aveva un cappottino giallo scampanato, la cartella rossa sulle spalle e una sciarpa a righe lunghissima girata tre volte intorno al collo. Tentava di stare in equilibrio sul cordolo dell’aiuola: braccia aperte come le ali di una libellula, un piede alla volta, un passo poi un altro, e ancora avanti sulle curve del cordolo…

    Non c’era nessuno, non ancora, troppo presto. I bambini stavano preparandosi nelle loro case... caffellatte e biscotti, poi su la sciarpa, il cappotto e la cartella sulle spalle, quindi, per mano con la mamma o col babbo, si sarebbero avviati verso la scuola.

    Ileana fingeva di non vederli arrivare: braccia aperte, un passo poi un altro... gli occhi seguivano i piedi, non poteva sbagliare. Se solo avesse alzato gli occhi sarebbe caduta e si sarebbe ferita. Ferita da un bacio.

    Non le mancava niente: la sua mamma si alzava presto e le preparava il latte, il babbo invece le infilava nella cartella il panino strusciato col pomodoro per la merenda. La sua porta si chiudeva, e le restava il silenzio. Si chiedeva perché il silenzio facesse così tanto rumore.

    Iniziava un rito ormai consueto. Prendeva la lunga sciarpa, la stendeva sul divano del salotto, la piegava in due per la lunghezza, poi prendeva un lembo e se lo appoggiava sulla spalla, dopodiché girandosi a trottola sul divano riusciva a compiere l’opera. Quei tre giri di lana intorno al collo l’avrebbero protetta. Si infilava anche il cappotto, prendeva la cartella, poi si sedeva in cucina sulla poltroncina verde, dove arrivava la cagnolina Titti per appoggiarle il muso sulle ginocchia e ricevere qualche complimento; fissavano insieme l’orologio aspettando che le lancette arrivassero sulle sette e quarantacinque, allora usciva e si avviava verso la sua giornata. Ogni mattina però si faceva la stessa domanda: Ma a quale punto del mio rito dovrebbe arrivare il bacio della mamma? Mi sa che sbaglio qualcosa. Forse non me lo merito. Sì, mi sa che non me lo merito.

    Ileana ci pensava spesso: se le avevano fatto lasciare quella casa, che era praticamente una soffitta ma che lei amava tanto, se le avevano fatto lasciare il paese dove conosceva tutti e tutto, e soprattutto se la mamma non aveva più voluto stare con lei, qualcosa di sbagliato doveva averlo fatto. Non sapeva cosa, ma di sicuro avrebbe fatto in modo di farsi perdonare.

    Era sempre indaffarata la mamma, andava sempre di fretta. Il babbo era un bonaccione che la accontentava sempre: nessuno doveva toccargli i capelli, ma da lei si faceva pettinare; la sera lei fingeva di dormire sulla poltrona e lui se la caricava in spalla e la portava su, piano piano per non svegliarla, e quando la sdraiava sul letto e vedeva i suoi occhi sorridenti diceva: Patatona! Mi hai fregato anche stasera! Ma non aveva mai tempo neppure il babbo, lavorava e lavorava e faceva sempre i conti.

    Suo fratello, lui sì che era bravo! Fin da piccolo aveva sempre sofferto di stomaco: dicevano che nel parto aveva bevuto le acque verdi, chissà cosa erano, si chiedeva Ileana. La cosa certa era che aveva tanto bisogno dell’affetto della mamma, ma lui se lo meritava, gli spettava per diritto fin dalla nascita.

    Ileana era una bambina che pensava molto; che altro poteva fare, del resto, in tutto il tempo che passava da sola. I pensieri allora erano i suoi più cari amici. Non sapeva che si sarebbero rivelati infidi nemici.

    Amava sedersi sullo scalino di casa, col viso tra le mani, a guardare le macchine che percorrevano la via provinciale. La sua casa era su una curva molto pericolosa, e Ileana aveva visto tanti incidenti. Una volta un ragazzo in motorino fu preso in pieno da una macchina e lei quasi se lo trovò scaraventato ai suoi piedi. Si spaventò molto ma decise, da brava bambina, di serbare questa paura nel profondo del suo piccolo cuore.

    A sette anni un problema a un dente la fece stare molto male. La mamma la portò dal dentista che consigliò varie sedute per curare il dente malato. Alle visite successive però andò da sola, la mamma non poteva perché era al lavoro. Sono una bimba forte, e non posso deludere la mamma, si diceva. Si impose di non piangere, di sopportare il timore e il dolore. Essere brava, una bimba forte: quella divenne la sua meta, il suo unico pensiero, tutto ciò che contava per lei. Per passare il tempo nella sala d’attesa del dentista si portò il cuscino che faceva all’uncinetto: lavorare all’uncinetto era una cosa da grandi, e i grandi non avevano mai tanta paura. Lei ne aveva eccome, ma non doveva dirlo, non si doveva vedere.

    Quella fu la sua prima maschera, la prima di una lunga serie.

    Avrà avuto otto anni quando un giorno accadde in paese una cosa che sconvolse tutti: una ragazza si impiccò perché il fidanzato l’aveva lasciata. Il giorno del funerale sia la mamma sia il babbo lavoravano, perciò toccò a suo fratello e a lei fare le veci della famiglia. Ileana si mise il vestito migliore e le scarpe nuove e si avviò in paese. Arrivati alla casa della ragazza, trovarono tantissima gente nel giardino e tanti, tantissimi fiori. Gli uomini tenevano il cappello in mano e le mamme abbracciavano i loro bambini. Lei si avvicinò a un gruppetto di persone e le ascoltò piangere e dire frasi benevole per la poverina che aveva scelto di togliersi la vita pur di non soffrire: le sentì dirsi che non sarebbe stata sola, perché in cielo ad attenderla avrebbe trovato gli angeli.

    Ileana si intrufolò in casa. Voleva vedere il viso di quella giovane ragazza che non voleva più stare con la sua mamma ma con gli angeli. Non le fu possibile, perché la ragazza già era chiusa nella bara, ma si imbatté nella sua mamma che tra i singhiozzi diceva: Patrizia, perché te ne sei andata senza darmi un bacio! A chi darò i miei baci della buonanotte e del buongiorno! Perché, Patrizia, perché?

    No, pensò Ileana, così non va bene. Non andrò fino al cimitero ad accompagnare una ragazza che ha preferito stare con gli angeli invece che con la sua mamma che la baciava sempre. In chiesa ci devo andare ma al cimitero no, non ci andrò. E così fece.

    Fu il suo primo funerale, il primo di una lunga serie perché la mamma diceva che da qualcuno la famiglia doveva sempre essere rappresentata. E lei non avrebbe deluso sua madre per niente al mondo.

    La mia vita di bambina scorse spensierata, e trascorsero anni senza che sapessi più niente di Ileana. Era un freddo gennaio quando la rincontrai. La vidi sullo scalino di casa sua proprio quando stava per salire sul camion del trasloco. Aveva negli occhi una tristezza velata, qualcosa che la rendeva pensierosa donandole un’aria da donna. Le domandai che cosa la rendesse tanto amareggiata. Lei mi guardò con una punta di sorpresa e in silenzio salì su quel grande camion che la portava lontano dal cordolo della scuola, da quella

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