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Una famiglia per Natale: Harmony Bianca
Una famiglia per Natale: Harmony Bianca
Una famiglia per Natale: Harmony Bianca
E-book160 pagine2 ore

Una famiglia per Natale: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Sydney: Da quando quattro anni fa la mia vita è cambiata per sempre, ho deciso che non avrei più festeggiato il Natale. Ma in questi giorni l'arrivo in città di Nathan, un affascinante medico, e della sua figlioletta mi costringe a fare i conti con il passato, oltre che con un futuro che non credevo più possibile. Forse, quest'anno le luci di Natale splenderanno anche per me.

Nathan: Mia figlia Anna è tutto quello che ho da quando una diagnosi senza appello ci ha lasciati soli al mondo. Più tempo passo con Sydney, però, più mi convinco che sia la donna giusta e desidero accoglierla nella nostra famiglia. Per sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2017
ISBN9788858974476
Una famiglia per Natale: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Una famiglia per Natale - Louisa Heaton

    successivo.

    1

    Sydney Harper confermò il suo appuntamento sullo schermo touch collocato all'ingresso del centro medico ed entrò nella sala d'aspetto.

    Era piena. Troppo piena. Undici delle dodici sedie disponibili erano occupate da facce che le erano note. Gente che vedeva tutti i giorni in paese. Un paio erano anche clienti del suo ambulatorio veterinario. Avevano tutti appuntamento prima di lei? Avrebbe dovuto starsene seduta per tutta la mattina in quella sala d'aspetto prima di poter vedere il dottor Preston? Anche lei aveva dei pazienti che l'aspettavano. Era un periodo dell'anno molto pesante; si avvicinava il Natale ed era ovvio che tutti cercassero di vedere il proprio medico prima delle feste.

    Sospirò all'idea dell'attesa inevitabile e pescò dalla sua borsetta il libro che portava sempre con sé in previsione di situazioni come quella.

    Si accomodò sull'unica sedia vuota e aprì il romanzo alla pagina dove era arrivata la volta precedente. Cercò di concentrarsi sul testo, ma aveva gli occhi stanchi e si ritrovò a leggere la stessa frase più e più volte perché sembrava che le parole si rifiutassero di avere un senso.

    Stava succedendo di nuovo. Ogni anno quando si avvicinava quella data il suo corpo si ribellava e lei non riusciva più a dormire. Era una scadenza che l'aspettava come una sentenza, e il fatto che il Natale fosse alle porte non faceva che peggiorare le cose. Le sembrava che tutto fosse appena successo. Il trauma. La paura. Il senso di colpa.

    La difficoltà ad addormentarsi. E quindi la difficoltà a restare sveglia quando doveva. Rimaneva ore nel buio a guardare le cifre rosse dell'orologio digitale schiacciata dal senso di solitudine. Sola nel buio, senza nessuno con cui parlare! Senza nessuno che le dicesse una parola di conforto o di rassicurazione.

    Il primo anniversario della disgrazia si era alzata ed era rimasta sulla porta della stanza di Olivia a fissare il letto vuoto di sua figlia per tutta la notte, cercando di ricordare come era quella stanza quando risuonava di risate e splendeva di gioia.

    Il secondo anniversario si era alzata di nuovo e, decisa a non passare la notte davanti alla stanza vuota a fissare il vuoto, aveva cercato di fare qualcosa di utile. Si era messa a pulire. Aveva lucidato il forno nel cuore della notte finché non lo aveva visto brillare come quando era nuovo. Era una buona terapia, perché poteva prendersela con i rimasugli di cibo, lamentarsi per il dolore alla schiena che sentiva per essere stata piegata troppo a lungo, concentrarsi su un dolore fisico invece che perdersi su uno mentale.

    L'anno dopo, all'avvicinarsi dell'anniversario aveva deciso di prendere un appuntamento con il suo medico curante. Il dottor Preston le aveva ordinato un sonnifero e le aveva detto di tornare da lui se non le avesse fatto effetto.

    Al nuovo avvicinarsi dell'anniversario, anche se non aveva dubbi che il suo forno avesse di nuovo bisogno di una bella lucidata, odiava l'idea di dover trascorrere tutta la notte in piedi da sola. E poi era già da un mese che aveva cominciato a dormire sempre peggio e a sentire sempre di più la mancanza di sonno.

    E quindi eccola lì.

    Quello di cui aveva bisogno era una ricetta. Se la sarebbe sbrigata in pochi minuti e poi avrebbe potuto tornare dai suoi pazienti. Doveva controllare il cane danese Fletcher dopo che una spina gli si era conficcata sotto una zampa, visitare i due nuovi furetti e vaccinare il gattino di Sara. Sapeva che avrebbe avuto altri pazienti, ma quelli erano i primi e forse erano già arrivati nella sala d'attesa del suo studio veterinario.

    Lo schermo posto sul muro di fronte emise un suono e lei sollevò lo sguardo per vedere se era il suo turno. Non era così, e la persona che occupava la sedia accanto alla sua si alzò. Sydney fu contenta di avere un po' più di spazio, ma quella sensazione di piacere durò poco. Dopo qualche istante, accanto a lei andò a sedersi la signora Courtauld, una pensionata sua cliente, proprietaria di un levriero.

    «Ciao, Sydney. Che piacere vederti. Come va?»

    «Signora Courtauld! Io sto bene. E lei?»

    «Cosa vuoi, i soliti problemi alle ossa. Sono qui perché le ginocchia mi fanno un male cane. È così da quando Prince mi ha trascinato a terra nel parco e mi son fratturata il polso.»

    «Ha preso una bella botta, vero?»

    «È così! E comunque alla mia età le giunture continuano a soffrire. Non sono più una ragazzina, capisci, ma cerco di muovermi tutti i giorni.»

    Sydney annuì sorridendo. «Comunque sembra ancora in ottima forma, signora Courtauld.»

    «Sei troppo gentile, mia cara. A casa mia ci sono degli specchi e so bene quanto sono vecchia. La pelle del collo è così arrossata e grinzosa che mi stupisco che nessun contadino mi abbia ancora sparato da quanto sembro un tacchino scappato dal recinto.»

    Sydney rise. «Esagerata! Sarei ben contenta di avere un aspetto come il suo, se mai arriverò all'età della pensione.»

    «Ma sicuro che ci arriverai» sbuffò la signora Courtauld. «Quanti anni hai adesso? Trentatré? Trentaquattro?»

    «Trentacinque.»

    «Vedi? Hai ancora un mucchio di anni davanti.» La scrutò, improvvisamente preoccupata. «A meno che tu non sia qui perché c'è qualcosa che non va. Non sei ammalata, vero, Sydney?»

    La signora Courtauld le appoggiò con gesto materno una mano rugosa sul braccio.

    «Niente di grave. Solo che faccio fatica a dormire.»

    L'anziana donna annuì comprensiva. «Già. Si sta avvicinando di nuovo l'anniversario, vero? La piccola Olivia.»

    Sydney fece un gran sospiro colpita dal fatto che la signora Courtauld si fosse ricordata della data della tragedia. Quanti in paese l'avevano dimenticato? Si impose di non piangere.

    «Sì» rispose a bassa voce. Non voleva che gli altri presenti nella sala sentissero.

    «È normale. Mi succede lo stesso ogni anno quando si avvicina la data del compleanno del mio Alfred, anche se sono passati dieci anni da quando è mancato.» Fece una pausa con lo sguardo perso nel vuoto, ma riprese il controllo di sé. «L'altro giorno ho portato un po' di fiori sulla tomba di Alfred e ho pensato a te. La tomba della piccola Olivia è così vicina! Spero che non ti dispiaccia, ma ho messo un'amarillide accanto alla sua foto.»

    Sydney non sapeva bene cosa rispondere. L'anziana donna era stata molto gentile ed era bello che Olivia fosse ricordata in quel modo.

    Era un po' che Sydney non andava in cimitero. Era troppo devastante per lei starsene in piedi davanti a quella pietra sapendo che sua figlia era...

    Sospirò di nuovo. Non doveva pensarci.

    La tomba era la prova che Olivia era morta e questo faceva sentire Sydney indifesa e sola, una sensazione che lei non riusciva a sopportare. Aveva scoperto che se stava lontana da quel freddo blocco di marmo, grazie ai ricordi e ai sogni poteva illudersi che sua figlia fosse ancora viva.

    Ricacciò indietro le lacrime e stava per rivolgere all'anziana donna una frase di ringraziamento quando lo schermo della sala d'attesa mostrò il nome del prossimo paziente. Signora Sydney Harper. Studio del dott. Jones.

    Sydney si alzò in fretta, ma si bloccò fissando lo schermo. Dott. Jones?

    Lei si era messa in lista con il suo solito medico, il dottor Preston, non con quello sconosciuto Jones. E chi era costui? Un sostituto? Un nuovo socio?

    Si chiese se fosse il caso di passare dalla segretaria per informarsi su cosa fosse successo, ma il medico la stava sicuramente aspettando. Se si fosse messa ad andare in giro avrebbe rischiato di perdere il turno e invece lei aveva assolutamente bisogno di quelle pillole.

    Si schiarì la voce e si diresse lungo il corridoio. A sinistra c'era lo studio del dottor Preston, a destra quello del dottor Jones.

    Davanti alla porta ebbe un attimo di esitazione. Come doveva comportarsi se il nuovo medico le avesse fatto delle domande? Non era certa di essere pronta a raccontare di nuovo quello che le era successo. Non a un estraneo. Il dottor Preston conosceva tutto. Sapeva quello che aveva passato e che ancora la tormentava. Non c'era bisogno di spiegargli niente; non doveva sedersi davanti a lui e mettersi a raccontare con il rischio di scoppiare in lacrime da un momento all'altro.

    Un sostituto avrebbe potuto non capire, avrebbe potuto essere riluttante a scrivere una ricetta senza chiedere nulla.

    Prese un bel respiro e aprì la porta senza sapere cosa doveva aspettarsi. Il dottor Jones era un uomo o una donna? Vecchio? Giovane?

    Entrò con passo deciso, determinata a ottenere la sua ricetta e ad andarsene nel più breve tempo possibile, ma si bloccò di nuovo quando vide che alla scrivania era seduto un uomo incredibilmente bello.

    Per un attimo le mancò il respiro. Era una situazione del tutto inaspettata. Era entrata nella stanza pensando di trovarsi davanti una persona normale – forse qualcuno vestito con una banale camicia e una cravatta, oppure con una evidente calvizie e antiquati occhiali da vista – e invece ad attenderla c'era un tipo che sembrava una stella del cinema in tutto il suo splendore.

    L'uomo indossava un abito scuro di ottimo taglio, aveva gli occhi del blu più luminoso e profondo che lei avesse mai visto e l'accolse con un sorriso così smagliante che per un istante il suo cuore si mise a battere più in fretta.

    Da quando Alastair se n'era andato, Sydney non aveva più fatto caso agli uomini. Non le interessavano più e non cercava una nuova relazione. Perché avrebbe dovuto? Per essere criticata qualunque cosa facesse?

    Ma questo tizio? Questo dottor Jones?

    Si rese conto che continuava a guardarlo con la bocca spalancata come un pesce rosso in un acquario. Si disse che doveva darsi una mossa. Scuotersi, dire qualcosa.

    Si girò per chiudere la porta e ne approfittò per cercare di ricomporsi. Sperava di non essere arrossita e che il medico non si fosse reso conto dell'effetto che aveva avuto su di lei.

    Dopotutto era solo un uomo. Solo un uomo come tanti.

    Aspettò di ritrovare un respiro regolare prima di girarsi. «Non vorrei sembrare scortese» disse, sperando che la sua voce risuonasse fredda e scostante. «Io... ecco io avevo un appuntamento con il dottor Preston.»

    Nel suo ambulatorio era entrato un angelo. Un angelo con lunghi capelli castano scuro e grandi occhi grigi colmi di tristezza.

    Lui sussultò, lasciò cadere la penna e cercò di sorridere. Cosa accidenti gli stava succedendo? Perché reagiva in quel modo? Lei era solo una paziente.

    Non si era aspettato di sentirsi nervoso così all'improvviso. Come se non avesse mai visto una paziente prima di quel momento. Aveva la gola secca e per riuscire a dire la solita frase di benvenuto fu costretto a consultare brevemente lo schermo del computer acceso sulla scrivania.

    Sydney Harper.

    Bella. Incantevole. La sua prossima paziente!

    Si schiarì la voce. «Sì, è vero... Il problema è che abbiamo troppe richieste di visite.» Fece una breve pausa. Lei lo fissava con aria incerta. La sua figura era nascosta da un lungo cardigan e da una gonna di tartan che le ricadeva diritta sugli stivali.

    Si chiese perché sembrasse così spaventata. Perché cercasse in tutti i modi di passare inosservata.

    «Spero che non sia un problema» concluse.

    Lei si guardava attorno come un animale braccato. «Avrei preferito vedere il dottor Preston. Lui mi conosce. Sono una sua paziente.»

    Nathan si rimise a fissare il computer pensando che guardandola l'avrebbe messa ancora più a disagio. Davvero il dottor Preston la conosceva così bene? Dalla sua cartella sullo schermo risultava che era passato un anno dall'ultima visita.

    Cosa l'aveva spinta ad andare all'ambulatorio

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