Petali nel vento
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Soltanto rimettendo in gioco tutte le sue certezze, a partire proprio da se stessa, Alice troverà la strada per uscire dall’adolescenza e diventare adulta, e dovrà imparare a decidere in modo autonomo, prendendo consapevolmente in mano il suo futuro.
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Anteprima del libro
Petali nel vento - Alberto Sirio
E.
Prologo
Quel giorno Alice provava la sensazione di aver smarrito qualcosa di prezioso. E in effetti era proprio così. Ed ecco perché si trovava china dentro l’armadio di camera sua nel tentativo di ritrovare quel numero di telefono. Era una mattinata di inizio estate, e l’afa dentro la stanza la opprimeva. Era già più di un’ora che svuotava scatoloni su scatoloni senza però riuscire a fare alcun progresso. Tutto ciò la sconfortava, e più di una volta aveva pensato di ricacciare tutto dentro per andare in salotto a bere qualcosa di fresco. Poteva sentire la camicetta madida di sudore appiccicarsi sulla pelle. Eppure non era ancora riuscita a desistere da quell’impegno che si era presa: era come se ci fosse in gioco una qualche forza al di là della sua stessa volontà. Non riusciva a comprendere la reale natura di quella forza, ma ne avvertiva la presenza con chiarezza. Era lì, nascosta in qualche recesso del suo animo.
«Ali» disse una voce femminile proveniente dal salotto «sei riuscita a trovarlo?»
La voce apparteneva a Serena, una sua cara amica. Sebbene non ci fosse alcun motivo di essere seccata – d’altronde era stata lei stessa a invitarla – in quel momento provò un sentimento di rabbia verso di lei. Con una mano si asciugò la fronte ed emise un profondo sospiro: per quale ragione Serena si stava mostrando così tanto interessata a quel numero? Certo non apparteneva a una persona qualunque, ma in fondo erano passati ormai quattro anni dal loro ultimo incontro, quand’erano poco più che diciassettenni. E nell’economia di una rimpatriata tra vecchi compagni di classe una persona in più o in meno non avrebbe fatto chissà quale differenza. Eppure, c’era il presentimento che fosse importante. Possibile che anche Serena l’avesse avvertito?
«Allora non ho capito se...» disse Serena entrando nella stanza. Quando i suoi occhi si soffermarono sugli scatoloni gettati alla rinfusa fuori dall’armadio la sua voce si bloccò. Sentendo l’amica, Alice riemerse dall’armadio. Di fronte a quella confusione, Serena sembrava molto perplessa.
«Ai tempi del liceo non eri così disordinata» riprese Serena dopo qualche istante. «La vita da fuori sede ti ha proprio cambiata.»
«Forse» disse Alice alzandosi in piedi. Con un solo gesto si sistemò il nodo ai capelli, dopo aver lanciato una rapida occhiata agli oggetti sparpagliati a terra. La luce del sole entrava di sbieco dalle finestre, donando così a quel disordine una sua bellezza. «In realtà è solo che all’epoca avevo meno ricordi. E i ricordi sono ingombranti.»
«Sì, comunque sono sicura di ricordare una cosa» disse Serena senza timore di mostrare la sua risolutezza. «Quando ti ho aiutata nel trasloco, ti ho vista sistemare certi reperti del liceo nel cassetto accanto al letto. Ci hai già guardato?»
In quel momento ebbe un tonfo al cuore. Senza neppure rendersene conto, si era già voltata a fissare il mobile di cui aveva appena fatto menzione Serena. Come aveva potuto dimenticare? Ma con la stessa rapidità si voltò di nuovo verso di lei, ben attenta a non tradire il suo imbarazzo. Eppure, non c’era alcuna ragione di provare un simile sentimento in sua compagnia. Già, quel giorno si trovò a dover fare i conti con molti eppure.
«Magari dopo ci darò un’occhiata» disse Alice. «Sperando che non sia troppo tardi. A proposito, non dovevi raggiungere prima Lorenzo per aiutarlo a sistemare la casa? »
«Detto così suona troppo impegnativo» disse Serena scoppiando a ridere. «Alla fine hanno confermato i soliti noti, l’unico ancora in dubbio è Francesco.»
A sentire pronunciare quel nome, Alice trasalì. Fino ad allora aveva evitato con accuratezza di esplicitarlo, ma ora non poteva più fare finta di nulla: Serena aveva proposto di fare una cena di classe e le aveva chiesto di recuperare il cellulare di Francesco. Questa era la verità.
«Okay, appena ho qualche novità ti chiamo per aggiornarti» disse Alice. «Ma Lorenzo è sicuro di poterci ospitare da lui?»
Serena annuì. Tutto ciò non la sorprese, benché il nome di Lorenzo rievocasse in lei altri ricordi. Così ripensò alla battuta che aveva fatto a Serena pochi minuti prima, quella sull’ingombro dei ricordi. Serena doveva aver pensato che il suo fosse un riferimento ai ricordi materiali contenuti negli scatoloni, ma non era stato così: si riferiva ai ricordi presenti nella sua memoria. Per lei erano quelli a essere davvero ingombranti.
«Pensa che si è perfino dato alla cucina» disse Serena intuendo la necessità di alleggerire i toni. «Non mi ha voluto svelare nulla riguardo il menù, ma sostiene di aver cucinato per ore e ore. Speriamo bene.»
Dopodiché Serena incominciò a ridere e Alice non poté fare a meno di seguirla. La sua risata era davvero contagiosa e, sebbene in quel momento non ne avesse la forza, il tutto le risultò assolutamente spontaneo. Per il breve spazio di quella spensieratezza fu grata alla sua amica di essere lì con lei.
«Ora sarà meglio che vada» disse Serena controllando l’orologio da polso. «Prima però potremmo berci ancora un bicchiere di tè ghiacciato. Fa davvero troppo caldo.»
Alice decise di lasciare da parte tutti i pensieri che le erano rimbalzati in testa fino a quel momento condividendo l’idea di prendersi una pausa da quella ricerca tanto laboriosa. Si diede quindi una sciacquata in bagno per poi seguire l’amica in salotto.
Fece ritorno nella sua stanza solo dopo essersi accertata della partenza di Serena. Dal momento in cui aveva interrotto la ricerca era trascorsa una mezz’ora abbondante. Non si soffermò neppure un istante sul disordine che ancora imperversava sul pavimento: la sua attenzione era tutta per la cassettiera accanto al letto. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva aperto l’ultimo cassetto? Tanto, troppo forse. La consapevolezza di questa realtà definì i contorni del conflitto di cui era preda. Qualcosa dentro di lei l’aveva tenuta lontana da quel cassetto per anni, ma qualcos’altro ne aveva celato il contenuto in un posto dove avrebbe potuto trovarlo senza alcuna fatica. E alla fine il caso le aveva fornito il pretesto per riaprire il cassetto. Si sedette sul letto, chiuse gli occhi, e con la mano andò a cercare la sottile maniglia di legno. Al tatto quella vecchia cassettiera era fredda, e Alice temette che quel freddo avrebbe presto raggiunto anche il suo cuore. Rapita da questo pensiero irrazionale, aprì di scatto il cassetto facendolo fuoriuscire dalle guide: il suo volto divenne una maschera di delusione. Al suo interno vi erano soltanto vecchi fogli, nulla di più. In quel momento si sentì una vera stupida. Quel cassetto conteneva esattamente ciò che doveva contenere: la lettera che Francesco le aveva scritto, dove c’era anche il suo numero di telefono. Nulla per cui avrebbe potuto restare sorpresa. La sua ricerca era giunta al termine. Ora sarebbe bastato chiamare Serena, informarla del ritrovamento e prendere il primo treno per tornare a casa. L’ansia e il turbamento che avevano scosso il suo animo erano all’improvviso svaniti, lasciando il posto a un’inaspettata tranquillità. Fu allora che sorrise. Proprio lì, mentre i suoi occhi scrutavano quei fogli invecchiati come la storia che raccontavano. E fu sempre allora che le sembrò di aver ritrovato quel qualcosa. Difatti, nascosto tra le pagine della lettera, si trovava un laccetto bianco alla cui estremità era raffigurato il volto sorridente di un panda. E quando aveva tirato fuori i fogli, questo era caduto a terra. Nell’esatto momento in cui i suoi occhi si soffermarono su di esso, tutto le fu chiaro: quel piccolo oggetto era ciò che si era aspettata di trovare. La sua delusione precedente era nata dalla sua assenza. E anche il suo sorriso era figlio di quella mancanza. Già, perché nello scenario dove il laccetto non esisteva, i suoi ricordi legati a quegli anni potevano considerarsi come un fuoco d’artificio: una dolcezza lontana e ormai svanita. Ma il ritrovamento del laccetto la costrinse a riconsiderare quei ricordi passati in tutta la loro concretezza. Alice lo raccolse con cura, come avrebbe potuto fare con un gatto ferito, e lo portò davanti a sé. Con l’altra mano avvicinò il suo telefono e li fece sovrapporre. Anche se il telefono non era più quello di tempo, e anche se non possedeva alcun aggancio in cui poter inserire il laccetto, la sensazione che provò nel vedere quei due oggetti così vicini fu simile a quella di quando si torna a casa dopo un lungo di viaggio. Quel tepore che solo la familiarità di una visione a noi cara può donare. Si sdraiò a letto: all’improvviso si sentì stanca, così stanca da non riuscire neppure a restare seduta. A Serena decise di mandare solo un messaggio: anche una telefonata in quel momento le sarebbe costata troppa fatica. Tutte le sue energie erano impiegate nella contemplazione del laccetto che faceva oscillare davanti a sé. Che si stesse autoipnotizzando senza saperlo? Forse. O forse la mente umana agisce secondo schemi che spesso risultano semplicemente incomprensibili. La sola verità fu che nel giro di pochi secondi la vista le si fece offuscata e, pur restando sdraiata a letto, intraprese un viaggio senza bagagli né compagni: il viaggio nella memoria.
1
Il primo ricordo che sovvenne ad Alice nel ripensare agli anni del liceo fu il profumo del pane appena tostato. Una regola non scritta della sua famiglia, infatti, consisteva proprio nel consumarne almeno una fetta a testa prima di incominciare la giornata. A fare da garante era sua madre, Rosalba, che si alzava prima di tutti per imbandire la tavola. I giorni in cui suo padre, Antonio, non doveva andare in tribunale già di mattina, era lei a dare per prima il buongiorno a sua madre. Aveva anche una sorella minore, Margherita, che invece era l’ultima ad alzarsi. Tra lei e Margherita c’erano sette anni di differenza. Benché Margherita obbligasse sua madre a chiamarla più e più volte prima di convincerla ad alzarsi, alla fine anche lei cedeva pur di non dover rinunciare alla sua fetta di pane tostato. Insomma, quella che in un primo momento per entrambe veniva recepita come una routine fine a se stessa, col tempo si era trasformata in una piacevole abitudine cui ciascuna aveva poi aggiunto un tocco personale. Difatti, Alice farciva le sue fette con la marmellata di fragole preparata da sua nonna, mentre Margherita prediligeva il burro. A causa delle divergenze negli orari, la condivisione del rito della colazione era quindi riservata alla domenica. Solo in virtù di due circostanze che dovevano necessariamente verificarsi in contemporanea poteva accadere anche durante la settimana: niente lavoro in tribunale per Antonio, e un risveglio anticipato per Margherita: una congiuntura assai poco frequente. Eppure il flusso di ricordi ebbe inizio proprio in una di quelle mattine rare e preziose durante le quali a godere del profumo del pane appena tostato era l’intera famiglia. Ormai la primavera era nel pieno del suo fiorire e, per colpa della sua allergia al polline, Margherita si era alzata in anticipo.
«Buongiorno tesoro» disse Rosalba non appena aveva visto la figlia minore venire a tavola prima del solito. «Ti ho già preparato l’antistaminico da prendere vicino al bicchiere.»
Alice era seduta a tavola solo da qualche minuto e, deducendo dalle borse sotto gli occhi della sorella la pessima giornata che le si prospettava, aveva deciso di manifestarle la sua solidarietà alzandosi per porgerle il burro.
«Dai, che oggi pomeriggio vengono i nonni a farti compagnia» disse Alice con tono rassicurante. «Magari la nonna porta anche la sua torta di mele.» Abituata com’era al silenzio mattutino di Margherita, non si aspettò certo di ricevere una risposta. E in effetti fu così. Ma a sentire nominare i nonni le labbra di Margherita si curvarono in un sorriso appena percettibile, e tutto il suo volto assunse un’espressione più distesa. Se non fosse stato per gli occhi arrossati, la si sarebbe potuta definire perfino felice. D’altronde tutti in famiglia sapevano che i genitori di Rosalba provavano per i loro nipoti un affetto profondo, talmente forte da riuscire a strappare un sorriso a Margherita, anche se costretta ad alzarsi in anticipo.
«Buongiorno a tutti» disse Antonio con ancora indosso il pigiama. «Già sveglia, che evento! Per caso oggi, Marghe, hai qualche gita?»
Per tutta risposta Margherita lanciò un’occhiata feroce al padre ma, probabilmente per via della luce soffusa che Rosalba accendeva per rendere il risveglio di tutti più dolce, Antonio sembrò non accorgersi di nulla.
«L’allergia l’ha tenuta sveglia tutta la notte» disse Rosalba sedendosi anch’essa a tavola nonostante avesse già fatto colazione. «La primavera non vuole proprio darle tregua.»
«Ma se si sente male sarà meglio tenerla a casa» disse Antonio ora concentrandosi sul colorito della figlia. «Appena arrivo in ufficio chiamo subito il Dottor V.»
«Non sono malata!» gridò Margherita con aria accigliata. Un attimo dopo aveva trangugiato la pastiglia di antistaminico ed era corsa in camera sua a prepararsi.
«Se vuoi sentirlo non c’è problema» disse Rosalba accarezzandogli il dorso della mano. «Ma le ho già dato l’antistaminico che prende di solito. Con un po’ di riposo tornerà in forma.»
«Guarda che ora si è fatta» continuò Rosalba. «Sarà meglio che vada a prepararti anche tu, Alice. Stamattina col bagno bisogna essere più veloci.»
«Certo mamma» disse Alice alzandosi per andare a sciacquare la sua tazza. «Vado subito, così puoi aiutare Margherita con calma.»
«Grazie Ali» disse Rosalba.
«Prenditi una pausa prima di andare in ufficio» disse Antonio rivolto a Rosalba. In mano aveva