A quale punto della notte è già mattino?
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Anteprima del libro
A quale punto della notte è già mattino? - Michele Barbieri
Michele Barbieri
A quale punto della notte è già mattino?
Terza edizione 2021
Prima edizione 2001 per i tipi di Corbo editore.
Seconda edizione 2015 Streetlib Write.
depositato alla SIAE.
UUID: 5ed55bf7-0715-4f0e-a76c-d778d84a9fb0
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Prefazione
Inizio libro
Ringraziamenti
Una piccola nota
A mia nonna Bruna,
candida margherita sul prato della vita.
Prefazione
‘L’Universo vede se stesso attraverso
gli occhi di un bambino.’
Reeves
Scrive Lutero che ci sarà un momento, nella storia dell’uomo, in cui egli giocherà con il sole, con il cielo, con la terra e con tutte le creature. Allora esse proveranno un piacere immenso, una gioia lirica
e vorranno ridere con Dio ed Egli riderà insieme a loro.
Il racconto (ma è forse improprio chiamarlo racconto) di Michele Barbieri è come uno stravagante gioco della finzione dove meditazioni cosmiche si alternano a quesiti, talvolta in apparenza banali, sull’esistenza, sulla morte, condotti con lo spirito sottile, con la sapienza sorridente e mai distaccata di chi cerca, come dice Breton, nell’umorismo il fondamento dell’unico commercio intellettuale di gran lusso.
E’ qualcosa di esclusivo e di colto che la storia letteraria ha sperimentato nei dialoghi di Luciano di Samosata e, in tempi più recenti, nelle Operette Morali
di Leopardi, oppure, ancora, in qualche surreale passaggio della narrativa calviniana.
E’ chiaro che Michele Barbieri si nutre di buone e raffinate letture, quelle che sole, una volta adeguatamente interiorizzate, donano una sorta di leggiadria al dato narrativo e, soprattutto, dimensionano i personaggi in atmosfere decorose che l’Autore di A quale punto della notte è già mattino?
compone e tinge attraverso le immagini della memoria, siano esse quelle delle splendide fondamenta di Venezia o dei sontuosi luoghi dell’Africa Australe: luoghi di un ricordo complesso e selettivo entro i quali si addensano prima e vanno poi delineandosi, dipanandosi, le figure e le storie, nonché le operazioni letterarie del creare sfondi plausibili all’atto di riflettere e fabulare.
Ed è solo in una atmosfera da fabula veneziana che può prendere forma, connotarsi, con il sussidio di una sorridente etologia, il dialogo tra lo spazzino e il gatto filosofo epicureo-illuminista dove il felino progetta la metamorfosi on the road
dell’essere umano per il quale la vita di un individuo normale, troppo normale, come Fred il ferrarese, diventa la metafora, se non l’allegoria della (quasi) intera umanità.
Ed è da qui che pur tra citazioni di sapore freudiano e younghiano, si definisce la parabola dell’operatore ecologico e del micio pensatore nella prospettiva un poco magica del deserto d’Arabia dove ogni bambino impara che non si possono cogliere le stelle
e dove il contrasto tra la piccolezza umana e la kantiana (o Tuareg) bellezza grande dell’universo infinito, si veste di una necessaria luce religiosa: luce, sorgente di luce di un perenne misticismo. Torna il ricordo dei Discepoli di Sais
di Novalis, nell’attimo in cui il vecchio insegna al giovane Giacinto che la felicità è lontana, come lo è il giardino di Isis, soltanto per coloro che non sanno vederla intorno a sé o non sanno cercarla nella propria interiorità profonda.
L’acqua di Venezia, le sabbie, le dune del deserto, un contrasto in apparenza insanabile, due orizzonti lontani. Poi la musica intorno al barbone paleocomunista, infine, di nuovo, il gatto.
La tecnica narrativa di Barbieri, contagiosamente futurista (ma non marinettiana, piuttosto Majakovskij) prospetta via via, con crescente, incessante frequenza, percorsi e forme impressioniste e non stupisce che, Barbieri concluda il suo alogico itinerario intellettuale, scardinando ogni ipotesi di lettura, con meditazioni filosofiche dove il principio di Lavoisier, in una chiave di umanesimo integrale, assume la dignità di legge planetaria e cosmica.
Restano i sogni (anche il buon pane senza sogni è vano
- G. Gozzano) che, soli, a volte possono sottrarsi al flusso dell’esistenza, alle sue dolorose, ma obbligatorie dissolvenze.
E qui, dall’alto del più sontuoso dei Ponti Veneziani, il gatto illuminista-epicureo,
ma forse suscettibile di una crisi di panteismo, osserva l’acqua che per Garcia Lorca era la morte, ma