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Il fantasma di Dracula
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E-book495 pagine6 ore

Il fantasma di Dracula

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Info su questo ebook

Il tenente Poljanskij entra nel Corpo dei Gendarmi, istituito da poco. Gli assegnano subito il primo caso: un’indagine sui “Fanti di Cuori”, una banda specializzata in truffe milionarie. Gli indizi portano alla scoperta dell’antico mistero della scomparsa del famoso diamante “Rosa di Versailles”, donato da Luigi XIV alla propria amante.

Presto avviene un crimine ancora più misterioso: a Jaroslavl’ accadono eventi inspiegabili. Un conte, avido collezionista di armi e armature antiche, riceve la visita del fantasma del conte Dracula. Il conte muore in circostanze misteriose. L’indagine porta Poljanskij alla scoperta di una certa madame Libuš, una donna dal passato molto oscuro...

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita1 mag 2021
ISBN9781071598924
Il fantasma di Dracula
Autore

Olga Kryuchkova

Olga Kryuchkova began her creative career in 2006. During this time, the author had more than 100 publications and reprints (historical novels, historical adventures, esotericism, art therapy, fantasy). A number of novels were co-written with Elena Kryuchkova.

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    Anteprima del libro

    Il fantasma di Dracula - Olga Kryuchkova

    Ol’ga Krjučkova

    IL FANTASMA DI DRACULA

    Russia, XIX secolo. Il tenente in congedo Aleksej Poljanskij riceve un invito per entrare a far parte del Corpo dei Gendarmi, istituito da poco. Gli assegnano subito il primo caso: un’indagine sull’attività dei Fanti di Cuori, una banda specializzata in truffe immobiliari e vendita di quadri falsi nella città di Mosca. Con gran sorpresa del tenente, gli indizi di crimini apparentemente banali portano alla scoperta dell’antico mistero della scomparsa del famoso diamante Rosa di Versailles, donato da Luigi XIV alla sua amante Louise de la Vallière.

    Ben presto viene commesso un crimine ancora più misterioso: a Jaroslavl’ nella tenuta del conte Šachovskoj, un avido collezionista di armi e armature antiche, accadono eventi inspiegabili. Il padrone di casa riceve la visita del fantasma del conte Dracula. Il conte muore in circostanze misteriose. L’indagine porta Poljanskij alla scoperta di una certa madame Libuš, una donna dal passato molto oscuro...

    PARTE 1. LA ROSA DI VERSAILLES

    Prologo

    La duchessa di Saint-Remy si svegliò di cattivo umore. Nonostante l’ora si stesse già avvicinando a mezzogiorno, dopo il ballo del giorno prima a Versailles a cui aveva partecipato su invito di sua maestà il Re di Francia Luigi XIV, la bellissima dama si sentiva completamente distrutta e giù di morale. Il fatto è che il re a volte involontariamente, senza farlo apposta (o magari consapevolmente, e chi lo sa?!) confidava alla duchessa i segreti del proprio cuore. Ed ecco che il giorno prima, al ballo, mentre eseguiva con grazia i passi del minuetto, il Re Sole aveva accennato casualmente alla duchessa di Saint-Remy che era affascinato da sua cugina, Enrichetta d’Inghilterra.

    La duchessa apprezzava il gusto di sua maestà: Enrichetta d’Inghilterra, cugina del re francese Luigi XIV, era figlia del re inglese Carlo I, che era stato giustiziato, e della principessa francese Enrichetta Maria, ed era una donna estremamente attiva, vivace e spiritosa. Appariva sempre e ovunque circondata dai cavalieri più eleganti e dalle ragazze più belle, e godeva volentieri della compagnia di poeti e drammaturghi di talento. La vita al suo seguito letteralmente ferveva, deliziandosi dalla mattina alla sera con vari divertimenti, che potevano essere il nuoto, la caccia, la cattura di farfalle o gli spettacoli teatrali.

    Inoltre, la cugina del re era per di più di una bellezza estremamente rara: era una brunetta alta, snella e aggraziata con la pelle di un rosa delicato e luminosi occhi azzurri. Non c’è da sorprendersi, quindi, se il Re Sole preferisse trascorrere del tempo proprio in sua compagnia, e mai con la propria devota e scialba moglie, la principessa spagnola Maria Teresa.

    Lungo la strada, Luigi confessò alla duchessa di Saint-Remy che in gioventù per poco non aveva sposato Enrichetta, ed espresse persino rammarico che motivi di matrimonio e di politica gli avessero impedito di realizzare questo sogno.

    L’intelligente, scaltra e intrigante duchessa di Saint-Remy capì subito dove voleva arrivare sua maestà: sapeva perfettamente che Enrichetta era ormai diventata una sorta di merce di scambio tra la corte francese e quella inglese. Anche il suo matrimonio con Filippo d’Orleans era essenzialmente solo finzione, perché il prezioso marito di Enrichetta, cosa che non era più un segreto per nessuno, preferiva alla bella e affascinante moglie... gli uomini.

    A differenza di Filippo che, a causa dei suoi stessi complessi, godeva a umiliare e offendere Enrichetta, Luigi XIV cercava in tutti i modi di consolare la cugina, quando lei era per l’ennesima volta tornata in patria. Questa volta, la storia d’amore tra il re e la bella principessa si svolgeva sotto gli occhi dell’intera corte.

    Maria Teresa si ritenne offesa, e scrisse personalmente una lettera a Filippo d’Orleans, con tutti i dettagli di quello che sua moglie faceva in Francia con il suo brillante cugino, il Re Sole. Per quanto strano, anche il cornuto, se così si può definire, si ritenne offeso e pretese l’immediato ritorno della moglie infedele in Inghilterra. Ma Enrichetta, nonostante a Versailles si stessero addensando nubi minacciose su di lei, non aveva fretta di tornare.

    Non soddisfatta della lettera a Filippo, Maria Teresa si lamentò anche con la suocera, Anna d’Austria. Maria Teresa sapeva perfettamente quale enorme influenza avesse Anna d’Austria sul figlio, quindi contava sul suo sostegno.

    E non si sbagliò. Ci fu una conversazione schietta tra madre e figlio, dopo di che Luigi restò di cattivo umore per parecchio tempo. Maria Teresa esultò: la rivale era stata eliminata! Ma ahimè, si sbagliava... In realtà, Luigi stava solo pensando a come continuare a incontrarsi con Enrichetta, senza provocare la gelosia della moglie e l’ira della madre.

    Dopo aver ascoltato il re, la duchessa di Saint-Remy, esperta di affari amorosi, nel successivo intricato passo di danza eseguito dalle sue gambe snelle, diede a sua maestà una brillante idea: Luigi doveva fingere di essersi invaghito di tutt’altra donna, però tra le damigelle di Enrichetta! Certo, avrebbe dovuto dimostrare pubblicamente alla nuova fiamma i consueti segnali di interesse, forse anche avvicinarla a sé... E così facendo, i veri amanti, Enrichetta e Luigi, avrebbero avuto modo di incontrarsi anche in futuro senza più provocare la gelosia di Maria Teresa, la rabbia di Filippo d’Orleans e l’irritazione dell’adorata mammina.

    Il re era entusiasta per la geniale semplicità con cui era stato risolto il problema, e chiese subito alla duchessa di aiutarlo nella ricerca di una candidata idonea al ruolo di nuova favorita. Madame de Saint-Remy gli rispose con un dolce sorriso, ma in cuor suo stava già rendendosi conto di aver dato al re un consiglio un po’ avventato: ahimè, tutte le damigelle del seguito di Enrichetta erano molto attraenti, e ognuna di loro non solo avrebbe accettato con gioia il corteggiamento da parte del re, ma avrebbe anche cercato di prendere proprio il posto della sua amante. Per il piano escogitato, serviva una donna di tipo completamente diverso. E la duchessa una donna così, a corte, non l’aveva ancora vista...

    Ecco perché la mattina dopo il ballo si era svegliata con il mal di testa e stanchissima. Durante la toilette mattutina, la duchessa passava febbrilmente in rassegna nella sua mente tutte le damigelle che conosceva dell’età adatta, ma ahimè, non riusciva a ricordarsene una modesta e timida per natura, incapace di mirare al cuore del re, e che si adattasse docile all’intrigo architettato.

    E all’improvviso alla duchessa venne in mente: ma certo, la sua lontana parente, Louise de la Vallière! Era proprio la candidata adatta a fare la damigella di Enrichetta, chiamata a interpretare il ruolo di schermo. Non solo la ragazza era nata in provincia e quindi modesta, senza pretese e timida, ma soprattutto era lontana dall’essere una bellezza e, la cosa più importante, era zoppa!

    ...Louise de la Vallière era nata nella Turenna ed era figlia di un cugino di secondo grado della duchessa di Saint-Remy. Fin da bambina la ragazza aveva sempre adorato i cavalli. Si teneva perfettamente in sella, tutti i giorni e con qualsiasi tempo trascorreva ore passeggiando a cavallo, e sapeva destreggiarsi anche con destrieri non domati. Sfortunatamente, era stata questa passione per i cavalli a portarla alla disgrazia: all’età di undici anni Louise era caduta da cavallo, rompendosi una gamba e danneggiandosi la spina dorsale. In verità questa triste circostanza non influì in alcun modo sul suo sincero amore per i cavalli, ma la rese estremamente timida e schiva, chiaramente a disagio a causa della propria disabilità. Ora Louise preferiva stare da sola, era diventata riservata e silenziosa più di quanto ci si aspetti da una della sua età. Anche nel vestire aveva iniziato a preferire i toni del grigio e del bianco, non desiderando attirare su di sé troppa attenzione...

    Madame de Saint-Remy cercò di ricordare l’ultima volta che aveva visto Louise. A quanto pare, quasi sei anni or sono. Sì, sì, subito dopo quella tragica caduta da cavallo... Dopo aver ascoltato le suppliche del cugino ridotto quasi in miseria e aver provato sincera compassione per la ragazza, si era recata nella Turenna con un medico esperto. Ahimè, il dottore non poté fare nulla: la figlia del cugino era condannata a rimanere zoppa per tutta la vita...

    La duchessa si riprese e il mal di testa diminuì. I servi le portarono gli strumenti di scrittura e iniziò subito a scrivere una lettera per il cugino in quell’angolo di Turenna dimenticato da Dio. Nella missiva la duchessa insisteva che Louise, in quanto giovane in età da marito, si recasse immediatamente da lei a Parigi, promettendo, dal canto proprio, di predisporre il suo destino.

    La lettera della cugina riportò, si potrebbe dire, Louise in vita poiché ella, accantonata ogni speranza di gioie mondane, aveva già deciso di ritirarsi in un futuro molto prossimo nel monastero delle Carmelitane Scalze. Rincuorata dalle promesse della parente aristocratica, la ragazza scrisse subito la risposta in cui espresse la propria immensa gratitudine, ricordando anche il triste caso di sei anni prima quando ...Voi, zia, siete stata così gentile che non solo mi avete fatto visita di persona, ma avete anche messo a mia disposizione il vostro medico.

    Dopo aver inviato la lettera e messo nei bagagli tutto il suo semplice guardaroba, Louise salutò il padre e se ne andò a Parigi, dove la aspettava con impazienza madame de Saint-Remy.

    Anche questa volta l’intuito non aveva ingannato l’abile intrigante; aveva riscontrato nella parente di provincia appena arrivata esattamente quello che si aspettava: modestia, timidezza, ingenuità accattivante e... un’andatura zoppicante che non poteva essere nascosta da nessun vestito, nemmeno dal più elegante. Pochi giorni dopo, madame de Saint-Remy ordinò a una delle famose modiste parigine alcuni abiti molto eleganti per la nipote (ora chiamava Louise l’allieva) e iniziò a insegnare alla ragazza le maniere del mondo dell’aristocrazia. Purtroppo, Louise si rivelò una studentessa mediocre, fin troppo ingenua per le sofisticate astuzie richieste a corte.

    E questo portava sempre più spesso la duchessa alla disperazione. Le dispiaceva per il tempo sprecato con questo topo grigio, come chiamava l'allieva alle sue spalle, e per la notevole quantità di denaro spesa per mantenerla ma, soprattutto, la duchessa temeva che con la sua scelta avrebbe deluso il suo re. Luigi a sua volta chiedeva sempre più insistentemente di essere presentato alla nuova prescelta, che, secondo il piano abilmente architettato, egli avrebbe dovuto corteggiare davanti all’intera corte e che non avrebbe dovuto suscitare gelosia o rabbia tra coloro che lo circondavano, ma solo condiscendenza e compassione.

    Quando la disperazione di madame de Saint-Remy raggiunse il culmine, a suo rischio e pericolo, presentò Louise de la Vallière prima a Enrichetta d’Inghilterra. Questa, vista la ragazza, vera incarnazione della modestia e dell’ingenuità, fu presa da indescrivibile entusiasmo e, prendendo da parte la duchessa, espresse alla benefattrice immensa gratitudine, aggiungendo che questa ragazza era il miglior schermo per evitare la gelosia di Maria Teresa e la rabbia di Filippo d’Orleans.

    Il cornuto inglese ricevette ben presto l’ennesima lettera da Maria Teresa in cui lei, senza nascondere il proprio sarcasmo, gli parlava del nuovo capriccio del marito: questa volta di una certa Louise de la Vallière, zoppa, lo zimbello di tutta Versailles. Neppure io, moglie di uno degli uomini più belli d’Europa, aggiunse Maria Teresa, non sono minimamente preoccupata da un simile adulterio. Filippo D’Orleans era contento: la sua bella moglie era stata nuovamente umiliata! E dove?! Proprio nella sua patria! E da chi?! Dal proprio cugino ed ex amante! Dopo questa lettera, non insistette più per far tornare Enrichetta in Inghilterra.

    Enrichetta si godeva la pace. Le sembrava che ammettere Louise de la Vallière al suo seguito l'avesse messa completamente al riparo dai rimproveri del marito, dalla gelosia di Maria Teresa e, naturalmente, dal tradimento dell’amorevole cugina portatrice di corona. Ma su quest’ultimo punto, purtroppo, la bella principessa si sbagliava di grosso.

    Il Re Sole recitava alla perfezione il proprio ruolo, mostrando a Louise le debite attenzioni. La ragazza, dal canto suo, ogni volta arrossiva e si turbava, cosa che gli altri trovavano molto divertente. Questa circostanza divertiva soprattutto la bella Enrichetta: a volte riusciva a trattenersi a stento per non scoppiare a ridere.

    A quel ballo memorabile Luigi promise a madame de Saint-Remy una generosa ricompensa per il servizio reso, così, subito dopo aver incontrato Louise, ordinò al ministro delle finanze Fouquet di dare alla duchessa diecimila lire. Questa moto di generosità lasciò non poco perplesso Fouquet: le casse dello stato erano praticamente vuote! Purtroppo, cercando di fare presente al sovrano che ci sono problemi più importanti nel regno, che non pagare abili intrallazzatrici, attirò su di sé la rabbia e l’indignazione: Luigi sospettò che fosse stato lo stesso ministro ad appropriarsi dei fondi statali. Fouquet non era più felice di essersi permesso quell’insolenza... A Versailles si sparse la voce che i giorni del ministro delle finanze fossero contati.

    Il re aveva più volte espresso indignazione per come Nicolas Fouquet attingesse smodatamente dall’erario affidatogli, sperperando per l’acquisto di terre, palazzi, opere d’arte e amanti. Inoltre, Luigi era da tanto che pensava di sbarazzarsi di Fouquet, così apprezzato da Anna d’Austria e dal defunto cardinale Mazzarino. Inoltre, non gli piaceva quando i suoi sudditi non assecondavano i suoi desideri.

    Fouquet, parecchio preoccupato, temendo una rabbia ancora maggiore del re, decise di organizzare un sontuoso festeggiamento nel proprio palazzo a Vaux-le-Vicomte in onore di sua maestà e del suo seguito. Purtroppo, da parte sua, questa fu un’altra mossa sconsiderata, che servì come ulteriore conferma di appropriazione indebita dei fondi dell’erario. Il re, visto con i propri occhi lo sperpero, inammissibile per un semplice mortale, fu ancora più fermo nella sua decisione: il posto del ministro delle finanze era alla Bastiglia.

    Mentre gli attori intrattenevano gli ospiti, (ninfe dei boschi che svolazzavano sul palco, inseguite da fauni seminudi), Luigi, palesemente annoiato, espresse il desiderio di passeggiare per i viali del parco e, accompagnato da diversi cortigiani, lasciò il padiglione. Dopo essersi allontanato un po’ dal teatro all’aperto, udì da lontano delle voci femminili, una delle quali la riconobbe senza dubbio: la voce era di Louise de la Vallière. Allontanato il seguito con un gesto della mano, Luigi, camminando con cautela sull’erba e cercando di non farsi notare, si diresse verso il piccolo padiglione.

    Louise in piacevole compagnia della damigella Aura de Montalais, condivideva con la sua nuova amica i propri segreti di ragazza, e quando il Re Sole si avvicinò al padiglione nascosto dai boschetti[1] e fu vicinissimo, in quel momento Louise confessò che non era l’essere re che amava in Luigi, ma lui stesso... Il re, commosso da ciò che aveva udito, improvvisamente provò per questo topo grigio un moto di tenerezza e... di desiderio. In punta di piedi, per non spaventare le dame, lasciò il suo nascondiglio e tornò al padiglione del teatro.

    Enrichetta d’Inghilterra si avvicinò subito a sua maestà e Luigi le rivolse un sorriso cortese, ma distaccato. L’astuta donna, notata la palese freddezza del proprio amante, ne chiese rispettosamente il motivo e il re disse senza mezzi termini di essersi innamorato della damigella scelta, da un capriccio del destino, come copertura per la loro storia d’amore. Enrichetta si sentì male e si affrettò a lasciare l’accogliente palazzo di Fouquet.

    All’attento ministro non sfuggì lo screzio tra il re e Enrichetta. Fouquet si rese conto che era giunto il momento di ingraziarsi di nuovo il re, e si recò rapidamente nelle proprie stanze. Presa l’antica chiave che aveva appesa al collo, aprì la porticina segreta dietro il dipinto raffigurante una corpulenta Danae[2], e tirò fuori da uno scomparto segreto una scatolina di velluto. Fouquet l’aprì e diede un’ultima occhiata al diamante rosa che aveva ricevuto pochi mesi prima come tangente da un famoso gioielliere parigino, nella speranza che il ministro lo avrebbe aiutato nell’acquisto del castello di Monteil e delle terre circostanti. Il gioielliere aveva raccontato a Nicolas Fouquet la storia del diamante: un tempo era appartenuto a una famiglia di nobili mori fuggita in Francia dalla persecuzione di Isabella regina di Spagna. Il ministro non aveva dubbi: questa pietruzza avrebbe fatto felice il re ed egli gli avrebbe permesso di restare al timone del potere!

    Quando Fouquet tornò con la preziosa scatoletta nel padiglione del teatro, lo spettacolo stava volgendo al termine. Gli ospiti, stanchi delle ninfe e dei fauni seminudi, nonché delle loro azioni fin troppo manifeste, si annoiavano. Il ministro guardò Luigi: anche lui non nascondeva la propria indifferenza per ciò che accadeva in scena, chiaramente intento a cercare qualcuno nella folla multicolore degli ospiti. Alla vista di Louise de la Vallière che apparì sul viale, il re si rianimò, e Fouquet intuì che era questa zoppa damigella del seguito della brillante Enrichetta d’Inghilterra che ora si era impossessata del suo cuore. Cogliendo il momento giusto, quando il re era evidentemente già immerso in fantasie amorose, il ministro si rivolse a lui:

    — Vostra Maestà!

    Luigi guardò il suddito con indifferenza:

    — Cosa volete, Fouquet?

    — Perdonatemi per la sfacciataggine, Vostra Maestà... Volevo solo regalarvi un piccolo gingillo, in modo che serva da degno ornamento per colei che attualmente più di tutto occupa i vostri pensieri.

    Il re inarcò le sopracciglia sorpreso e guardò di nuovo il viale: Louise e Aura camminavano lentamente, troppo lentamente...

    — Voi, Fouquet, conoscete i miei pensieri? — ridacchiò Luigi.

    Il ministro si inchinò.

    — Ma cosa dite, Maestà, come è possibile?! Sarebbe un’insolenza inaudita da parte mia! Chiedo scusa... — e, senza sprecare altre parole, il ministro aprì la custodia di velluto. Un diamante rosa di meravigliosa bellezza, tagliato a rosetta, apparve dinanzi a Luigi[3].

    — Che cosa meravigliosa! — esclamò il re e, incapace di resistere alla tentazione, si protese verso il diamante.

    — Ah, Maestà, sono immensamente felice di avervi accontentato! Naturalmente, le dimensioni di questa pietra non possono competere con i diamanti dei gran Moghul e dei rajah indiani, ma osservate bene il suo meraviglioso colore rosa! E la sua limpidezza! Questo diamante è destinato semplicemente a decorare il collo più bello e delicato, — Fouquet guardò in modo significativo il re.

    Luigi ammirava il prezioso dono con evidente soddisfazione. Voltandosi verso l’arco, ricoperto di rose rampicanti, guardò i fiori attraverso la pietra.

    — Con il suo colore e il suo taglio, il diamante ricorda una rosa, — disse il re. E all’improvviso esclamò: — Quindi d’ora in poi, sia chiamato la Rosa! La Rosa di Versailles!

    Fouquet fece un inchino, cercando di celare il sorriso che illuminava il suo viso soddisfatto, mentre Luigi si affrettava verso Louise de la Vallière, che era destinata a diventare la proprietaria di un diamante così insolito.

    * * *

    Purtroppo, la Rosa di Versailles non risparmiò al ministro delle finanze l’incarcerazione nel castello di Pinerolo, ma semplicemente la rimandò. Quindi lo scoiattolo che si arrampica, sullo stemma del bretone Nicolas Fouquet, il cui motto recita "Quo non ascendam?"[4] alla fine è caduto...

    La proprietaria della Rosa di Versailles è stata un po’ più fortunata: per quasi dieci anni restò la principale favorita del re ed ebbe addirittura tre figli da lui. Però prima o poi tutto finisce; e finì anche l’amore di Luigi per Louise de la Vallière.

    Una volta, dopo aver aspettato il re quasi fino all’alba, e intuito che non l’amava più e non sarebbe mai più tornato, Louise in preda alla disperazione indossò il suo più modesto mantello, si coprì il viso con il cappuccio, lasciò il Palazzo delle Tuileries e andò al monastero di Chaillot, dopo aver preso con sé l’unico e il più caro regalo del suo amante: il diamante Rosa di Versailles.

    La badessa del monastero si stupì, trovandosi davanti una dama di corte in lacrime, con un vestito elegante sotto un vecchio mantello. Non sapendo cosa fare, permise a Louise di pregare in una delle cappelle del monastero. La disperazione della giovane donna era così grande che semplicemente si prostrò sulle fredde pietre davanti alla statua della Madonna, e lì rimase per tante ore pregando e piangendo.

    Il re, una volta saputo dove si trovasse Louise, abbandonò gli affari di stato e si precipitò a Chaillot, implorandola di tornare. Ma Louise rimase irremovibile: sapeva già che Luigi era ormai invaghito della giovane bellezza Athénaïs de Montespan, e sapeva perfettamente che non poteva competere con la risoluta contessa, la quale, secondo le indiscrezioni, non disdegnava di ricorrere addirittura alle messe nere.

    Tuttavia, Luigi convinse Louise a non lasciare, almeno, la vita secolare. Donò alla sua ex amante una villa vicino al Palais Royal e all’inizio le faceva persino visita. Quando Athénaïs de Montespan finalmente occupò tutti i pensieri del re, Luigi, in preda al rimorso, concesse all’ex favorita il titolo di duchessa e le vaste proprietà di Vermandois, dove ella si stabilì con la figlia minore Marie-Anne.

    Avendo goduto appieno della magnificenza e della tranquillità del castello di Vermandois, Louise de la Vallière decise di tagliarsi i capelli come una suora e trascorrere il resto della propria vita nel monastero delle Carmelitane Scalze. Poco prima della completa rinuncia alla vita mondana, temendo per la sorte della Rosa di Versailles (perché non poteva portarsi la pietra al monastero), ripose il prezioso dono in una scatola di porcellana sassone con uno scomparto segreto e, insieme ad altri beni, mobili e immobili, lo consegnò alla figlia Marie-Anne de Le Blanc de la Vallière.

    ––––––––

    Chi può essere paragonato alla mia Matilda?...

    Dall’opera Iolanta

    Capitolo 1

    1827, Mosca

    Aleksej Fёdorovič Poljanskij uscì di casa e, appoggiandosi al bastone, percorse lentamente il vicolo Skaternyj. La giornata era mite; era fine aprile, ma il sole era già caldo come d’estate.

    Svoltò nel vicolo Chlebnyj, dove amava starsene un po’ sulla panchina soprattutto durante la bella stagione. Seduto sotto gli alberi dove avevano già iniziato a comparire le prime foglioline, appoggiò le mani sul bastone come fanno gli anziani, e ripensò alla sua vita.

    Poljanskij si ricordò improvvisamente di Andrej Genrichovič Gračëv. Per la verità, non si vedevano da quasi due anni... E la conversazione in occasione del loro ultimo incontro non era stata per niente piacevole.

    ...Proprio allora, due anni fa, Andrei Genrichovič era entrato al servizio del secondo reparto della gendarmeria[5]. Prima era un discreto dottore, ma, ahimè, la pratica non era andata molto bene, mentre alla gendarmeria gli era stato offerto uno stipendio decente e, se avesse voluto, gli avrebbero fornito la redingote di stato. Tuttavia, Andrej Genrichovič preferiva abiti civili e rifiutò l’uniforme.

    Quando si incontrava con il suo vecchio amico Poljanskij, Gračëv più di una volta gli aveva suggerito di seguire il suo esempio e di entrare in servizio nel secondo reparto di gendarmeria. Aleksej Fёdorovič ci rise su tante volte, ma un giorno non riuscì a trattenersi e perse la pazienza, offendendo Andrej Genrichovič. Disse che l’orgoglio non gli permetteva di prestare servizio nella gendarmeria. Gračëv se la prese a male: lui ci lavorava! Quindi lui aveva rinunciato al proprio orgoglio? E ditemi, allora: come mantenere quindi una famiglia? Le figlie avevano bisogno di scarpe e vestiti, e bisognava anche dare loro un minimo di istruzione! Cosa c’entrava l’orgoglio?!

    Ma Poljanskij era irremovibile. Però capiva anche in cuor suo che sopravvivere con la sola pensione militare avrebbe ulteriormente ferito il suo orgoglio. Ma quale orgoglio? Dignità umana e onore personale!

    E ora, quasi due anni dopo, Aleksej Fёdorovič era giunto alla conclusione che l’orgoglio poteva anche andare al diavolo! Voleva mangiare tutti i giorni! E non aveva più niente da mettersi, tutti i soprabiti erano lisi...

    Una profonda tristezza pervase il tenente: Non è vita questa, ma misera sopravvivenza... Basta, adesso! Andrò da Gračëv, mi scuserò e gli chiederò di aiutarmi. E se ce la farò, inizierò a catturare assassini, settari e truffatori. Forse sarà molto più interessante di quanto m’immagino. E, inoltre, non avrò più il pensiero fisso del denaro...

    * * *

    Il giorno successivo, la domenica mattina di buon’ora, Poljanskij si era svegliato con il fermo proposito di recarsi immediatamente da Andrej Genrichovič. Bevve un po’ di tè allungato e, indossato il suo ultimo cappotto decente, quello marrone, e preso il cappello ormai lucido per l’usura, partì a cercare un vetturino.

    Rimasto in strada per un po’ di tempo, Aleksej Fёdorovič decise che, forse, non era poi così lontano dal vicolo Trubnikovskij, quindi era del tutto possibile andarci a piedi. Quindi, cambiando di mano il bastone da passeggio per essere più comodo, assunse un’espressione cordiale e, un po’ più sicuro di sé, si recò dalla sua vecchia conoscenza...

    Andrej Genrichovič aveva appena fatto un’ottima e abbondante colazione, e quindi era di ottimo umore. Pertanto, quando il servitore gli comunicò l’arrivo del signor Poljanskij, si limitò a grugnire sorpreso e disse secco:

    — Fallo entrare!

    Poljanskij entrò nel salotto. Dalla sua ultima visita a casa di Gračëv, c’erano molti più mobili e quadri alle pareti, già decorate da una nuova tappezzeria italiana, alla moda! Il tenente era confuso e visibilmente nervoso.

    Andrej Genrichovič non era una persona rancorosa, aveva da tempo dimenticato l’ultima spiacevole conversazione con l’amico quindi, come se nulla fosse, esclamò:

    — Carisssssimo, Aleksej Fёdorovič! Sono contento, molto contento che abbiate trovato il tempo di farmi visita! Prego, sedetevi... Ordinerò di farci portare del tè e pasticcini francesi.

    A sentire dei pasticcini francesi, l’affamato Poljanskij deglutì nervosamente, poi si sedette di sbieco sulla sedia offertagli, di fronte al padrone di casa.

    Gračëv, con lo sguardo esperto di un vero gendarme (non per nulla aveva prestato servizio per due anni nel secondo reparto!) squadrò l’ospite, e si rese subito conto che era in bilico tra la povertà e la miseria. Pertanto non ebbe fretta di chiedere lo scopo della visita, finché l’amico non ebbe assaggiato il tè con una discreta quantità di pasticcini. Finalmente sazio, Poljanskij stesso giunse al punto della questione per la quale era venuto.

    — Ricordate, Andrej Genrichovič, la nostra conversazione di quasi due anni fa?

    Gračëv si incupì: non voleva rimestare il passato.

    — Cioè quando mi parlaste di onore nobile e di orgoglio?

    Poljanskij era costernato:

    — Sì... era andata proprio così...

    — Ebbene, Aleksej Fёdorovič, cosa fate, vi vergognate? Siete un ex ufficiale dell’esercito! E adesso vi confondete, come una ragazzina davanti al futuro marito... A proposito, molti pensionati la pensano come voi: è meglio, dicono, morire di fame che servire da gendarme...

    Aleksej Fёdorovič, ripresosi, rispose deciso:

    — Che ci crediate o no, ho cambiato idea! E... e sono pronto ad arruolarmi, se è ancora possibile...

    Gračëv inarcò le sopracciglia, sorpreso.

    — Ah, è così? Bene, mio caro amico, sarò lieto di assistervi. Penso che andrà tutto bene: siete un nobile, un ufficiale, avete partecipato alla recente guerra... E la vostra età è giusta per il nostro tipo di lavoro... Il conte Nikolaj Egorovič Cukato, capo della gendarmeria di Mosca, si fida delle persone come voi. Da parte mia, scriverò una lettera di intercessione in piena regola: dove dico che vi conosco da molti anni e non posso che dire bene di voi...

    * * *

    Andrej Genrichovič non mentì al suo amico: l’indomani, non appena prese servizio, scrisse la richiesta da indirizzare al conte Cukato. Dopo avervi allegato la lettera di richiesta scritta da Poljanskij durante il tè del giorno prima, spedì il tutto con un corriere alla direzione centrale della gendarmeria.

    ...Erano già passati dieci giorni, e Aleksej Fёdorovič non aveva ancora saputo niente. Glaša, la serva di Poljanskij, se ne andò a casa del mercante, poiché egli ora si trovava in una situazione particolarmente difficile e cercava, per quanto glielo permettessero le sue forze di uomo, di prendere parte alla gestione della casa.

    Improvvisamente bussarono alla porta. Il tenente, zoppicando, andò alla porta. Sulla soglia c’era un baldo giovanotto in uniforme statale.

    — Ho l’onore di parlare con il signor Poljanskij Aleksej Fёdorovič? Chiese il visitatore.

    — Sono io,— rispose un Poljanskij confuso. — Cosa posso fare per voi?

    — Ecco una lettera dal comando della gendarmeria. Vi chiedo la cortesia di firmare per ricevuta, — il corriere porse il biglietto al destinatario, allibito per la sorpresa.

    Aleksej Fёdorovič timidamente prese il foglietto, andò verso lo scrittoio e firmò, meccanicamente.

    —Vi ringrazio! Ecco la vostra lettera. Prego! — Scandì il corriere impettito e consegnò la busta a Poljanskij. La prese con le dita tremanti per l’agitazione.

    Appena la porta si chiuse dietro le spalle del corriere, Aleksej Fёdorovič si precipitò a cercare le forbici da cancelleria. Nell’aprire la lettera era così agitato che per poco non si tagliò la mano. Infine, dopo aver spiegato il foglio di carta bianco candido, frutto del lavoro di un segretario evidentemente molto diligente, l’occhio di Poljanskij vide in una bella scrittura arzigogolata:

    "Al Signor Poljanskij, Aleksej Fёdorovič, tenente in congedo.

    Dopo un attento esame della Vostra domanda e della intercessione per Voi da parte del signor Gračëv A. G., con questa lettera Vi informo che siete stato ammesso nel Secondo Reparto della Gendarmeria (con la conservazione del grado militare) come funzionario addetto alle investigazioni.

    In conformità alla carica designata, avete diritto a uno stipendio di 40 rubli al mese, nonché: un’uniforme gratuita con i gradi e un appartamento statale (se desiderate richiederli).

    ...Nell’aprile di quest’anno dovrete presentarvi a rapporto al Secondo Reparto del corpo di Gendarmeria, che si trova in via Vozdviženka, sotto il comando del colonnello signor Euler P. Ch.

    Conte Nikolaj Egorovič Cukato".

    La firma ampia del conte chiudeva la missiva.

    * * *

    Il giorno successivo Poljanskij si rimise per lo meno in ordine e, senza indugio, andò al corpo di gendarmeria, che si trovava in via Vozdviženka proprio di fronte alla chiesa dell’Esaltazione[6].

    Dopo aver presentato la lettera ufficiale firmata dallo stesso signor Cukato, egli, senza inutili lungaggini burocratiche, si presentò all’appuntamento con il suo capo, Pavel Christoforovič Euler.

    L’ufficio del colonnello era abbastanza spazioso. Egli sedeva a un enorme tavolo pieno di varie carte; di fronte, a due tavolini minuscoli sedevano due scrivani. Poljanskij si sorprese: come riuscivano gli scrivani a lavorare quando sui loro tavolini, sempre che tali si possano definire, c’era posto solo per un foglio di carta e il calamaio?

    Il signor Euler lesse attentamente la lettera presentatagli dal visitatore.

    — Be’... Molto bene. Quindi, una nuova risorsa per il nostro reparto. Nobile, tenente... Sì, sì, mi ricordo, — Pavel Christoforovič alla fine sollevò gli occhi dal documento. — Or dunque! Potrete avere la divisa fra due o tre giorni... poi... Riguardo all’alloggio... — guardò Poljanskij con uno sguardo interrogativo.

    Aleksej Fёdorovič annuì con calore:

    — Se possibile, signor Colonnello.

    — Preferisco essere chiamato con nome e patronimico, — ribatté.

    Poljanskij si corresse immediatamente:

    — Se possibile, Pavel Christoforovič.

    — Così va bene... Certo che è possibile. Allora dovrà presentarsi da Jakovlev, nel nostro corpo è lui che se ne occupa. A proposito! — Il colonnello squadrò nuovamente Poljanskij, notando immediatamente l’indigenza del tenente. — Forse è meglio darvi un’indennità di trasferimento? Diciamo, una cosa come quindici rubli?...

    Al sentir nominare questa somma, Poljanskij ebbe un capogiro, era confuso e frastornato.

    — Ovviamente, — concluse il signor Euler. Žabin! — Si rivolse a uno degli scrivani. — Prepari un documento affinché Poljanskij Aleksej Fёdorovič riceva la somma di quindici rubli come indennizzo per la trasferta. E io lo firmerò...

    Il pallido Žabin cominciò velocemente a scrivere su un foglio con il pennino, che si sentiva graffiare la carta, e dopo qualche minuto il documento completo era già sulla scrivania di Euler. Il colonnello ci aggiunge uno scarabocchio frettoloso.

    — Žabin, ora accompagna il signor Poljanskij da Jakovlev, aiuta ad espletare tutte le formalità per l’appartamento. Poi, rivolgendosi al nuovo addetto alle investigazioni, — La prego di recarsi al suo posto di lavoro! Devo dedicarmi a un caso, mio caro Aleksej Fёdorovič... Di casi, lo sapete già, ne abbiamo fino al collo! La situazione a Mosca è pessima, i delinquenti e i criminali si sono moltiplicati a dismisura... Avete sentito, che c’è stato un furto in casa della famosa cantante Maria Finder? Hanno rubato tutti i gioielli, l’abbigliamento... Ma soprattutto nessuno ha visto e sentito niente! E la cantante in quel momento era al ristorante Jar. E che cosa possiamo concludere? — Il colonnello guardò Poljanskij, che lo ascoltava attentamente, con aria interrogativa.

    — È possibile... Mi sembra che... — cominciò timidamente Aleksej Fёdorovič.

    — Cosa, cosa? Più forte, tenente! In guerra, forse, i francesi erano così colpiti dalle armi che scappavano a gambe levate? Euler lo incoraggiò.

    Poljanskij si schiarì la voce.

    — Mi sembra che chi ha rapinato la signora Finder fosse perfettamente al corrente del suo stile di vita.

    Pavel Christoforovič spalancò gli occhi.

    — Bravo! Fate progressi fin dai primi passi. Non c’è da stupirsi che il signor Gračëv abbia garantito per voi...

    Capitolo 2

    Era ottobre. Gli alberi oramai perdevano tutto il loro fogliame giallo-rosso. I custodi dei palazzi di Mosca avevano a malapena il tempo di ammucchiarlo e bruciarlo. Aleksej Fёdorovič, con indosso gli abiti nuovi, visto che ora lo stipendio glielo permetteva, uscì dal suo nuovo appartamento in via Malaja Nikitskaja e, godendosi l’aria autunnale, in cui aleggiava un profumo indescrivibile e caratteristico solo di questa stagione dell’anno, prese una carrozza.

    — Dove volete andare, signore? — chiese cortesemente il vetturino.

    — In via Mochovaja. Conosci la casa del signor Euler? — chiese Poljanskij, sedendosi nel calesse.

    Il vetturino ridacchiò e guardò di sottecchi il passeggero.

    — E chi non la conosce, vostra signoria?! — rispose, appena si accorse che questo signore era della gendarmeria. — Saremo là in un batter d’occhio!

    — In un batter d'occhio non va bene, mio caro. Per prima cosa, svoltiamo nel vicolo Trubnikovskij. Lì, proprio all’inizio del vicolo, c’è una casa a due piani verde chiaro e ti fermerai lì vicino. E solo dopo ce ne andremo in via Mochovaja.

    — Come comandate, vostra signoria.

    Il vetturino frustò il cavallo e il calesse partì al volo.

    Aleksej Fёdorovič, comodamente seduto, si godeva la vista delle case che gli passavano accanto. Era una cosa bellissima. Erano già sei mesi che era in servizio presso il corpo di gendarmeria, e in questo lasso di tempo era riuscito

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