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Matrimonio a corte (eLit)
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E-book223 pagine3 ore

Matrimonio a corte (eLit)

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1660
Affascinante cortigiano al seguito del debole e corrotto Re Carlo II, Marcus Oxenden, Visconte Marlbrooke, non si aspetta certo di trovare l'amore nel matrimonio. Tuttavia ha bisogno di assicurare alla propria famiglia il possesso della grande e ricca tenuta di Winteringham Priory, e l'unione con Katherine Harley, discendente ed erede dei suoi primi proprietari, potrebbe rivelarsi la mossa giusta. Allevata in un ambiente rigido e puritano che ha alimentato in lei l'odio per gli Oxenden, fedeli alla monarchia, la fanciulla sembra accettare solo con estrema riluttanza il fidanzamento con Marcus. Sotto la sua apparenza fredda e austera, però, si cela una passione pronta a esplodere.

 

LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2023
ISBN9788830546868
Matrimonio a corte (eLit)
Autore

Anne O'Brien

Nata e cresciuta in Inghilterra, è un'appassionata ricercatrice storica che predilige in particolare il Medioevo e le leggi che riguardano la condizione femminile dell'epoca.

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    Anteprima del libro

    Matrimonio a corte (eLit) - Anne O'Brien

    1

    «Per quanto tempo resterai lontano?» chiese Lady Elizabeth Oxenden al figlio. Era seduta accanto alla finestra nella biblioteca di Winteringham Priory, mentre il Visconte di Marlbrooke sfogliava documenti della proprietà radunati in una pila sul suo scrittoio. Era in tenuta da viaggio, con il mantello, i guanti e il cappello dalla piuma vistosa gettati su una sedia.

    «Due settimane, forse tre. Sono sicuro che durante la mia assenza Verzons si occuperà di ogni vostra esigenza. E poi c'è Felicity.»

    Lady Elizabeth preferiva non indugiare troppo con il pensiero su quella prospettiva. La luce grigiastra che filtrava attraverso le tende di broccato e raggiungeva a stento gli angoli più distanti della stanza si adattava alla perfezione al suo umore.

    «Non lasciarmi troppo a lungo con lei, Marcus» lo pregò. «Ho bisogno di poter parlare con qualcuno senza temere di continuo di offendere la sua sensibilità.» Aveva parlato in tono leggero per non preoccuparlo, ma in realtà la costante compagnia di quella cugina acida e tetra la opprimeva.

    Il visconte studiò la donna snella e ancora graziosa, nonostante i fili grigi che striavano i suoi capelli biondo cenere. «Perché non le trovate qualcosa da fare?» le suggerì. «In questa casa ci sono abbastanza soffitte da ripulire e riordinare per tenerla occupata fino al mio ritorno.»

    «Ottima idea» approvò Elizabeth con un sorriso tirato. «Le parlerò della tua proposta.» In realtà, la prospettiva della solitudine era peggiore di quella della presenza di Felicity.

    «Non lo farei, se fossi in voi. Sapendo che l'idea viene da me, si opporrebbe subito» replicò Marcus. Madre e figlio si scambiarono un sorriso di complicità.

    «Immagino che coglierai l'occasione per visitare la corte a Whitehall» continuò Lady Elizabeth. Moriva dalla voglia di tornare agli svaghi e alle attrattive di Londra, ma non poteva nascondere una nota critica nei confronti di certi eccessi della corte.

    Marcus notò il tono di lieve disapprovazione, lasciò le carte che stava esaminando e si avvicinò con agile grazia. «Come sapete, madre, Re Carlo è cordiale, ma volubile. Ho bisogno del suo favore per assicurarmi il possesso di questa casa e per questo devo farmi vedere a Whitehall, porgergli i miei doverosi omaggi e se necessario anche adularlo. Devo dire che ormai sono diventato piuttosto esperto nelle sottili arti del cortigiano.»

    «Non posso dire di approvare l'atmosfera dissoluta che ormai regna a corte. Fra amanti e giochi d'azzardo, il nostro stimato sovrano non è un buon esempio per il suo seguito e tanto meno per i sudditi» osservò Lady Elizabeth, aggrottando la fronte. «Vivo lontana da Londra, ma ricevo spesso notizie per lettera e alcune sono davvero disdicevoli. Ho saputo, per esempio, che il re ha perso cento sterline in un'unica partita a carte.»

    «Come sapete bene, io non gioco» la rassicurò il figlio. «A meno che le carte non siano decisamente a mio favore.»

    «E quella Villiers...»

    «Vedo che avete sentito parlare dell'ultima amante del re» la stuzzicò Marcus. «È una donna davvero attraente, con i capelli ramati e gli occhi azzurri e gli ha già dato due figli.»

    «Illegittimi» precisò sua madre. «Non so come possa tollerarlo la nostra povera Regina Caterina. Spero solo che tu non scelga di sposare una donna ambiziosa ed egoista come l'amante del re.»

    «Madamigella Lovell non è una donna ambiziosa ed egoista» replicò lui.

    Elizabeth lo guardò perplessa, cercando di ricordare l'ultimo nome legato a quello di suo figlio dai pettegolezzi di corte. «Non si trattava di Dorothea Templeton?»

    «No, madre. Le vostre fonti sono rimaste indietro di qualche mese.»

    «Marcus!» lo rimproverò lei, senza riuscire però a nascondere un mezzo sorriso.

    «Lo so, lo so. Lasciatemi un po' di libertà; prometto che a Whitehall non dilapiderò al gioco la fortuna di famiglia e non mi legherò a una donnaccia. Siete soddisfatta?»

    «Immagino che dovrò accontentarmi.»

    «Presto mi sposerò e produrrò un erede. Così avrete anche un nipotino da viziare.»

    Elizabeth esitò, poi si decise ad affrontare l'argomento che la tormentava da giorni. «Andrai a trovare Sir Henry Jessop a Downham Hall?»

    Il sorriso sparì subito dal volto di Marcus. «Sì. È tempo di sistemare questa faccenda. Il matrimonio con sua nipote costituisce la soluzione ideale per entrambe le famiglie.»

    «Lei potrebbe rifiutare» gli fece notare la madre.

    «Ne dubito» replicò Marcus scrollando le spalle. «La situazione della fanciulla non è invidiabile, visto il convinto sostegno dato dalla sua famiglia alla causa del Parlamento. Sono sicuro che avranno dovuto sopportare una gran quantità di pettegolezzi e insinuazioni sgradevoli. Rimarrei molto stupito, se Katherine Harley non cogliesse al volo un'occasione così vantaggiosa.»

    Elizabeth dovette ammettere che aveva ragione: guardò quel figlio bello e affascinante, così simile al padre, e ricordò l'amore impetuoso e assoluto provato per il marito e durato fino a quando la morte non li aveva separati.

    Quale ragazza sana di mente avrebbe rifiutato di sposare un uomo come Marcus Oxenden? Katherine Harley avrebbe dovuto essere pazza o cieca.

    «Non pensi proprio di sposarti per amore?» indagò cauta.

    Marcus le strinse i polsi con affetto. «So che adoravate mio padre e che lui vi ricambiava, ma io non mi aspetto tanto dal matrimonio. Mi bastano rispetto e amicizia, se saremo fortunati, o almeno una certa tolleranza reciproca. Su, non preoccupatevi, sono convinto che Katherine Harley sarà una buona moglie.»

    «Sii gentile con lei» si raccomandò la madre. «Non ha avuto una vita facile. E dille che l'accoglierò a braccia aperte, come una figlia.»

    «Lo farò» promise Marcus. «Checché ne dica la gente sul mio carattere, non ho intenzione di trattarla in modo crudele.»

    «Lungi da me un simile pensiero.»

    «Voi non siete proprio imparziale nei miei confronti» replicò Marcus con un sorrisetto. La madre lo ricambiò divertita e lui le baciò le mani in un gesto d'affetto.

    «Cerca di non mettere troppo in soggezione quella povera ragazza» proseguì Lady Elizabeth.

    «Farò del mio meglio. Non ho intenzione di punirla per i peccati commessi dalla sua famiglia.»

    La madre capì che non era il caso di insistere, si alzò e si avviò lentamente verso la porta, seguita da Marcus.

    «Che cosa posso portarvi da Londra, madre?»

    Una sposa di cui ti sei innamorato alla follia e che ti ricambi. «Libri, magari di poesia. Qualsiasi opera appena uscita.»

    «E che Felicity disapprovi?»

    «Sei troppo astuto» ridacchiò Elizabeth, posando la mano sulla spalla del figlio. Lui si chinò a baciarla su una guancia e dopo un ultimo saluto se ne andò, lasciandola a preoccuparsi per quel matrimonio poco promettente.

    Una settimana dopo la partenza di Marlbrooke, Lady Elizabeth avanzava a fatica nel grande salone nella parte più antica di Winteringham Priory. Era costretta ad appoggiarsi a un bastone e aveva le labbra contratte per lo sforzo e il dolore ai muscoli e alle articolazioni. Le fitte al fianco sinistro la costringevano a zoppicare e trasformavano ogni suo spostamento in una lenta agonia. Eppure sembrava passato poco tempo, da quando cavalcava con il marito, ballava fino all'alba e giocava con il figlioletto. Si fermò a riposare, appoggiandosi al pesante tavolo di quercia. La sua pelle era ancora liscia e i luminosi occhi grigi mostravano le tracce dell'antica bellezza, ma anche il dolore aveva lasciato il segno. Sfinita e dolorante, Elizabeth si sentì salire le lacrime agli occhi.

    Si riscosse, raddrizzò le spalle e riprese a muoversi. I pavimenti erano lucidi e puliti perfino per il suo occhio critico, ma lei avrebbe voluto trovarsi a Londra, dove poteva alloggiare in una casa più piccola e confortevole di quell'enorme dimora dai lunghi corridoi e i soffitti a volta. Nella capitale tutto le era familiare e poteva contare sulle visite di tanti cari amici, sui negozi alla moda e su ogni genere di svago. Il ritorno del re aveva assicurato infatti la ripresa di un'intensa vita mondana dopo i cupi anni del dominio puritano.

    Glasbury Hall, la sua casa di campagna, era stata distrutta nel 1643 dopo un duro assedio. Avevano perso tutto, tranne pochi effetti personali che erano riusciti a portare via nella fuga.

    La casa che occupavano ora, Winterigham Priory, era stata conquistata da suo marito nello stesso anno, strappandola agli Harley, che la occupavano da generazioni. Sir Thomas Harley era lontano con l'esercito parlamentarista e la giovane moglie, con una figlia appena nata, non era stata in grado di opporsi all'assedio. Sir Thomas era morto nella battaglia di Naseby ed Elizabeth era venuta a vivere là. Poi le sorti della guerra erano di nuovo cambiate e dopo l'esecuzione di Re Carlo I la casa era stata confiscata dall'esercito parlamentarista. Il suo amato John ormai era morto; nonostante il valore della tenuta e la grandiosità della residenza che vi sorgeva, Elizabeth non sarebbe tornata a vivere là, ma il nuovo re aveva voluto assegnare Winteringham Priory a suo figlio, invece di restituirla agli Harley, e così adesso lei si trovava confinata in quella grande proprietà tanto lontana da Londra.

    Imboccò un passaggio che portava alle cucine e si lasciò cadere su un sedile sotto la finestra. Avrebbe dovuto essere contenta che il figlio godesse del favore del re, ma in realtà sentiva la sua mancanza e non era troppo felice che si trovasse immerso nell'atmosfera dissoluta della corte.

    Grandi bevute, donne di facili costumi, partite a carte... John si sarebbe rivoltato nella tomba, se avesse saputo che vita conduceva suo figlio. Quando gli esprimeva le sue rimostranze, Marcus si limitava a rivolgerle il suo sorriso più affascinante e ad assicurarle che non c'era niente di cui doveva preoccuparsi.

    La pioggia rigava i vetri della finestra, offuscando la vista, ma Elizabeth conosceva bene il paesaggio circostante: le tenute degli Harley e degli Oxenden erano confinanti e i rapporti tra di loro erano stati a lungo amichevoli, fino a quando la guerra non aveva diviso due famiglie che andavano a caccia insieme e si scambiavano doni al battesimo dei rispettivi figli.

    Ricordava bene Lady Philippa Harley, una fanciulla debole e graziosa, sempre timorosa del giudizio altrui e per nulla interessata agli eventi che sconvolgevano Londra e tutto il paese. Entrambe giovani spose, si erano scambiate confidenze e regali, poi la guerra aveva cancellato tutto.

    La voce querula e aspra di Felicity risuonò in un corridoio distante ed Elizabeth si alzò in piedi per fuggire prima di venire scoperta. Felicity non era una compagnia ideale, ma aveva bisogno di lei fino alla dipendenza: certi giorni non riusciva neanche a scendere dal letto da sola o a sollevare il braccio per pettinarsi. Oh, Marcus, lasciami tornare a Londra! Là non sono quasi mai sola ed è più facile dimenticare le mie infermità. Non gliel'avrebbe mai detto, lo sapeva: suo figlio era sempre pronto a colmarla di premure, ma anche deciso a rendere sua per sempre quella casa conquistata, perduta e poi tornata in suo possesso grazie alla benevolenza del re e lei lo amava troppo per intralciare i suoi piani.

    Elizabeth si rialzò, decisa a evitare Felicity, e ripensò al matrimonio del figlio. Katherine Harley era la vera erede di quella proprietà, sebbene i suoi diritti non valessero molto, nella mutata situazione politica del paese. Era nata poco prima della morte del padre in battaglia ed era ancora in fasce quando sua madre Philippa aveva lasciato Winteringham Priory per rifugiarsi a casa del fratello, Sir Henry Jessop. Elizabeth era certa che Katherine non avesse conosciuto molti momenti allegri tra lo zio, un rigido puritano, e la madre debole e influenzabile.

    Sperava solo che non fosse troppo austera, il tipo di ragazza che cantava inni religiosi e disdegnava divertimenti e bei vestiti, del tutto diversa dal suo affascinante figlio. Poi un sorriso le distese i lineamenti tirati: forse Katherine sarebbe diventata una vera figlia per lei, prendendo il posto della bambina nata morta che piangeva ancora dopo tanti anni.

    Davanti alla porta della cucina Elizabeth esitò incerta; sarebbe tornata indietro, se un'acuta fitta di dolore al fianco non l'avesse bloccata. Voleva davvero invadere i domini della governante, Madama Neale, un tipo robusto ed efficiente? Come l'intendente, Mastro Verzons, anche lei prima lavorava per gli Harley ed era rimasta con i nuovi padroni. Gentili, rispettosi ed efficienti, i due mandavano avanti la casa senza bisogno dei suoi ordini, tanto che a volte Elizabeth si sentiva inutile, quasi un'usurpatrice. Alla fine, decisa a evitare gli spifferi del corridoio, spinse la porta e venne accolta dalla governante con l'abituale, amabile sorriso. «Buongiorno, milady. Posso aiutarvi?»

    La donna si pulì le mani nell'ampio grembiule, abbozzò una rapida reverenza e le venne incontro con calma. La cucina era calda e ordinata, un vero conforto per le sue membra irrigidite, e qualcosa di fragrante bolliva sul fuoco. Le sarebbe piaciuto sedersi e scambiare notizie e pettegolezzi con Madama Neale, ma come al solito si sentì inadeguata. Meglio rifugiarsi nella stanzetta dove si preparavano le marmellate e conservavano le erbe. Là, almeno, Felicity non l'avrebbe trovata. «Voglio vedere se là dentro c'è ancora qualcosa di utile; dubito che sia stata usata spesso, negli ultimi anni» spiegò indicandola.

    «In effetti è stato tutto molto trascurato. Madama Adams la considerava troppo piccola e scomoda per le sue erbe e non aveva alcun interesse per le marmellate e le conserve.»

    «Lo immagino» sospirò Elizabeth. Quindi si rifugiò nella stanzetta adiacente.

    Le pareti erano coperte fino al soffitto da scaffali; nella scarsa luce che entrava dall'unica finestra, si distinguevano un tavolo da lavoro addossato a una parete e un armadietto. Polvere e ragnatele coprivano ogni superficie, rafforzando l'impressione di desolazione e abbandono. Difficile dire da quanto tempo la stanza non veniva usata.

    Gli scaffali erano quasi tutti vuoti, ma c'erano alcune boccette, la maggior parte senza un'etichetta. Elizabeth aveva dei bei ricordi legati a quella stanzetta: là venivano riposti per l'inverno i prodotti dell'orto e del frutteto e si preparavano conserve e marmellate. Fasci di erbe pendevano dal soffitto, ormai troppo secchi e polverosi per venire utilizzati, ma quando ne prese un mazzetto tra le dita, un gradevole odore di salvia si diffuse nell'aria. La parte di giardino riservata alle erbe medicinali era incolta e invasa dalle erbacce, ma nei caldi pomeriggi primaverili sarebbe stato un piacere risistemarla, ammesso di averne le forze. Con gli occhi chiusi, circondata da quei profumi dolci e lievi, Elizabeth desiderò con tutta se stessa di poter riacquistare la salute.

    Aprì l'armadietto e vi trovò un mortaio con il suo pestello, una collezione di vecchie ricette ingiallite e qualche ciotola e stoviglia scompagnate.

    Stava per voltarsi delusa, quando notò in un angolo una bella brocca di terracotta, vecchia e coperta di polvere, ma con un manico di fattura elegante. La prese incuriosita e notò che era chiusa con un sigillo di cera dall'aria ufficiale. La portò allora vicino alla finestra nel tentativo di decifrarlo, ma in quel momento la voce acuta di Felicity che la chiamava la fece trasalire; la brocca le sfuggì di mano, schiantandosi al suolo in mille frammenti.

    Elizabeth gemette costernata: aveva distrutto senza volerlo un bel recipiente di terracotta e ora le toccava raccoglierne i cocci. Si rese conto sorpresa che non conteneva nulla: tutto ciò che vedeva sul pavimento erano i frammenti sparsi in ogni direzione.

    Avrebbe voluto nasconderli, ma i fianchi e le ginocchia doloranti non le consentivano di chinarsi. Ebbene, sarebbe toccato a Felicity: dopotutto era colpa sua se aveva lasciato cadere il recipiente. Per fortuna non si trattava di un cimelio di famiglia. Per quanto graziosa e antica, la brocca non doveva avere un grande valore.

    All'improvviso Elizabeth avvertì un senso di gelo che la fece rabbrividire, unito al desiderio di lasciare in fretta la stanzetta e rifugiarsi nel calore familiare della cucina. Non era niente di tangibile, solo un senso di disagio e forse di colpa.

    Richiuse la porta e si avviò lenta verso la cucina, ma non riuscì a scrollarsi di dosso quel gelido malessere.

    2

    I giardini di Downham Hall erano illuminati da un pallido sole e sulle siepi brillavano innumerevoli goccioline di pioggia. Era una prospettiva attraente, in quei mesi invernali freddi e cupi, ma il vento gelato e la minaccia di altri acquazzoni erano sufficienti a trattenere in casa chiunque non fosse un esperto giardiniere o un amante delle bellezze naturali.

    La donna protetta da un mantello con il cappuccio pareva indifferente al tempo e alla perfetta simmetria delle aiuole, tutta presa dall'uomo inginocchiato davanti a lei.

    «Kate, vuoi sposarmi? Dopo tutti questi anni, dovresti aver capito che ti amo» dichiarò il cugino con un tono pressante e appassionato ben diverso dalla calma abituale.

    «Io... Su, Richard, alzati! Se

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