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Lacrime di legno
Lacrime di legno
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E-book196 pagine2 ore

Lacrime di legno

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Info su questo ebook

Jules Knight, custode del cimitero di Burfton, vive una vita di cui si sente la vittima a causa della dipendenza dal sesso e dall’incredibile sofferenza che gli ha procurato la perdita di Angeline, l’unica donna che avesse mai davvero amato.
La routine quotidiana nella piccola cittadina procede in maniera monotona, fino al giorno in cui Angeline, scomparsa per oltre vent’anni, chiede di rivederlo e gli chiede di fare un viaggio per raggiungere sua figlia Irene, che vive nella città di Fnord. La donna, impossibilitata a partire perché gravemente malata, ha scritto le sue ultime volontà in una serie di diari che lui dovrà consegnare alla ragazza.
Nonostante le prime incertezze, Jules accetta di aiutarla, spinto dal profondo amore che prova per lei.
Quel viaggio rappresenterà per lui un percorso che lo porterà a conoscere se stesso nel profondo.
Ritornato a casa, l’uomo scopre di avere contratto l’Aids. Decide così di raccontare i suoi ultimi giorni in un letto di ospedale, ripercorrendo le vicissitudini e le ferite che quel percorso di vita è stato in grado di infliggergli.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2018
ISBN9788827574676
Lacrime di legno

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    Anteprima del libro

    Lacrime di legno - Letizia Turrà

    DANA

    Intro

    LETIZIA TURRA’

    LACRIME DI LEGNO

    È domenica e sto scrivendo, il mattino ormai alto, in una giornata piena di luce soave, in cui, sui tetti della città interrotta, l’azzurro del cielo sempre inedito racchiude nell’oblio la misteriosa esistenza degli astri… È domenica anche dentro di me… Anche il mio cuore va in una chiesa che non sa dov’è, e ci va con un completo di velluto da bambino, con il viso che arrossisce alle prime impressioni mentre sorride senza occhi tristi da sopra il colletto troppo grande.

    Fernando Pessoa, Il libro dell’ inquietudine

    Dettagli sull'opera

    Per questo libro tenete buona la solita dicitura " L’opera qui narrata e i nomi dei luoghi sono frutto della fantasia dell’autore", ogni duplicazione è vietata per via del diritto sulla privacy, ogni riferimento a persone, cose o fatti è puramente casuale...e tutto il resto.

    Vi risparmierò tutta la pappardella.

    Considerate tutte queste premesse sulla storia che incontrerete tra queste righe.

    Tranne che per Jules, il protagonista, che si cela dentro ogni uomo che nella vita potrebbe capitarvi di incontrare: spietato, freddo, romantico, codardo, egoista, perdente, solitario, assalito da milioni di dubbi, dipendente dalle sue ossessioni, dal sesso, dalla ricerca di amore, dotato di una profondità che alcune volte neppure l’emisfero femminile è in grado di toccare.

    Ogni persona cela molte debolezze dentro di sé, nella totale e delirante incoerenza del quale è composto l’animo umano, prezioso anche per via del suo modo di sognare, che ci spinge avanti nei giorni.

    Mentre leggete pensateci, forse questo vi aiuterà a togliervi un po’ di pregiudizi su cosa rappresentino davvero il bene e il male.

    L’autrice

    Foto Copertina: Letizia Turrà (2017)

    A te

    A te,

    che mi hai fornito un cuore per amare, due polmoni per respirare,

    gambe per correre e parole che potessi dire al posto tuo, da quando te ne sei andata.

    PROLOGO

    Niente può asciugare le tue

    lacrime, tranne la tua stessa mano. Proverbio Zulu

    Ho i capelli lunghi fino alle spalle e la barba incolta. Indosso il vestito migliore che possiedo, ormai non mi sono rimaste che cose materiali da possedere.

    E’ il 1996, al cinema danno Indipendence day e settembre non ha ancora raggiunto i suoi picchi di freddo.

    Il mio riflesso è sporco, quasi quanto la finestra della mia casa rimasta vuota per troppo tempo, da cui mi accingo a guardare un futuro che non vedrò.

    Mi sento agitato come nel giorno della mia prima comunione, ho ripreso a bere da quando lei se n’è andata, e non ho alcuna intenzione di smettere.

    E’ finito il tempo degli amanti, il tempo delle parole, dei nostri dialoghi carichi di sguardi sufficienti a comprenderci.

    Sospeso il mio corpo asciutto si agita, come una foglia secca nel vento.

    La settimana scorsa è apparsa una lesione terribile simile a un’ulcera, sulla gamba destra.

    La fasciatura che ho applicato è ora abbastanza forte da tenere ferma la caviglia, e preservarmi così da un’infezione.

    Le porte di ingresso dell’ospedale mi danno il loro benvenuto, la stanza è la numero 28, la stessa della scorsa volta.

    Mi siedo, poi mi porto le mani tra i capelli e socchiudo le labbra mentre deglutisco piano.

    Mi soffermo sulle vene in rilievo dei miei polsi, non sono ancora pronto a sentirmi dire che la mia vita è finita.

    Non sono pronto a guardare i miei ultimi giorni impallidire.

    Mi sento come neve al sole, mi sciolgo con le poche parole altrui, piango per un nonnulla, mi mordo le labbra che poi sanguinano, rifiuto i farmaci anti retro virali che mi stanno distruggendo l’esistenza, attendo una pacca sulla spalla anche dal mio amico immaginario.

    Lei non aveva mai sentito parlare prima della PrEP Sig. Knight?

    La dottoressa Crawford siede di fronte a me con il suo camice bianco; mordicchia la Bic azzurra, e tamburella le cartelle cliniche con le dita affusolate e gentili.

    Ha la foto della figlia di diciotto anni sulla scrivania, è bella almeno quanto lei; porta ancora la fede nonostante suo marito sia morto molto tempo fa. Mi scruta con la stessa gentilezza del giorno in cui la conobbi, due anni fa.

    Che diavolo sarebbe? chiedo disorientato.

    E’ una sorta di prevenzione utile per salvarsi la vita, e prevenire la trasmissione della sua malattia. Viene effettuata con successo in caso di pazienti dalla vita turbolenta. abbassa gli occhi.

    E’ chiaro che non mi troverei qui se avessi saputo cos’era.

    La vita è una bugia che illude gli audaci, o quelli folli come me. E’ tutto un percorso illusorio, con una sola verità; sono rimasto da solo e nessuno può curare le mie ferite, fisiche e interne.

    Non pensavo sarei giunto a sentirmi vecchio prima di invecchiare, a vedere le mie unghie spesse e ruvide come carta vetrata, e gli occhi spenti come le luci opache degli anni ottanta sugli alberi di Natale.

    Importa a qualcuno se moriamo?

    Non ne sono mai stato tanto certo, e probabilmente nessuno mi piangerà mai, perché nessuno mi conosce davvero.

    Credo che tenere un diario in cui raccontare la sua storia potrebbe essere un buon punto di partenza.

    Lo dice sapendo che ciò di cui ho bisogno è proprio di salvare me stesso.

    Lei crede che basterà a salvarmi? Non si smette mai di cercare qualcuno che hai amato profondamente. Una volta, in mezzo alla folla, fui quasi certo di avere intravisto i suoi occhi scuri e fermi, che mi osservavano. Compresi che per tutto quel tempo mi erano rimasti accanto, solo li avevo riposti nella tasca dei ricordi e non sapevo più com’è che si faceva per tirarli fuori.

    Angeline mi mancava terribilmente. Era incredibile pensare a quante ferite vistose avevamo procurato l’uno all’altra.

    L’avevo amata, poi scacciata, l’avevo persa e poi l’avevo ritrovata, proprio quando mi fu concesso di perderla.

    Rimase in silenzio tenendo le braccia conserte.

    Diedi lo stesso consiglio anche ad Angeline. Forse non la salverà farlo, ma rileggersi potrebbe rendere questo tempo più ‘leggero’. aggiunse vedendomi così titubante.

    Lasciai lo studio medico rassegnato e con un forte spasmo allo stomaco, che ormai mi attanagliava da mesi.

    Facevo ormai parte degli invisibili.

    Quella cosa, o quel qualcuno che non si può percepire; talmente piccolo ed etereo, da non essere notato da nessuno.

    Il mondo degli invisibili è assolutamente identico a quello dei morti, e viaggia parallelo contro il binario della vita, ostentando un’insana invidia per il fatto che tutti si accorgano sempre e soltanto di lei.

    Siamo l’impercettibile alla stregua del microscopico, minuscolo, esiguo granello che contorna l’esistenza di ciascuno di noi.

    Siamo il silenzio che dimora in contenitori pieni di parole assenti.

    L’invisibile vi serve da bere al bar o al ristorante, vi siede accanto in metropolitana, vi cura se avete il diabete, lava la vostra auto e la rifornisce di carburante, amministra il vostro danaro, si prende a cuore i vostri conti o segue le vostre vite patrimoniali, si occupa di soddisfare le vostre mogli quando le trascurate.

    Siamo i padri di famiglia, i dottori dalle facce per bene, i vicini di casa, o coloro che usate al momento opportuno.

    Siamo i sieropositivi, o i malati di aids.

    Siamo come tutti voi, la sostanziale differenza sta nel fatto che la nostra vita ha già una fine prestabilita, ed ogni giorno ne diventiamo sempre più coscienti; ad ogni lesione sulla pelle, ci appare sempre più chiaro che la morte sta giungendo inoperosamente, senza rincorrerci.

    Lei sa che non possiamo portare troppo in là le nostre gambe, e col tempo la vista non ci permetterà più neppure di vedere i volti dei nostri cari.

    Siamo quelli che evitereste se solo sapeste che siamo infetti.

    I mostri dalla vita occulta tutt’altro che irreprensibile, condannati a un inferno che non sappiamo come sarà.

    Mentre voi vi preoccupate della vostra cazzo di auto e della vostra amata mogliettina, o peggio, pensate a salvare le apparenze di una famiglia che è già finita prima di cominciare, noi vaghiamo nell’oblio di una sconosciuta sorte blasfema, ingiusta.

    Moriremo nonostante vorremmo vivere ancora, è questa l’unica verità.

    E voi nel frattempo acquisterete dieci nuove auto, cambierete dieci volte casa, vi farete nuovi amici durante le vacanze estive, respirerete un’aria di rinnovamento.

    E’ diversa la vita per chi non sa come sarà il dopo, e non possiede ampie possibilità di veduta.

    Voi esistete.

    L’invisibile pian piano sfuma e finisce per essere scartato, dimenticato.

    *

    Anche oggi ci ho provato, e anche stavolta mi è andata male, la corda si è di nuovo tranciata a metà.

    Quella maledetta corda con cui non vado d'accordo; quella corda che potrei paragonare al mio legame con la vita: sottile, esiguo, facile da spezzare.

    La guardo mentre rabbioso ne tengo in mano i brandelli. Il nodo non era abbastanza forte, avrei dovuto seguirlo quel corso di pesca come mi aveva consigliato mia madre.

    Invece no, io ero un testa di cazzo già a otto anni, quando cercavano di affibbiarmi manie di grandezza e ineffabili saggezze, che certamente non possedevo.

    Mia nonna era arrivata a sostenere che io fossi un futuro genio, solo per il fatto di essere bravo in matematica. Ero in gamba nelle equazioni, e riuscivo ad eseguire rapidamente dei calcoli, se mi veniva richiesto di risolverli.

    Ed ora non sono capace di legare stretta una cazzo di corda che mi servirà per ammazzarmi.

    Ci provo a pensare al momento in cui stringerà così forte sul mio pomo d’Adamo, da arrivare a far sì che la pressione sanguigna si arresti.

    Attendo di sentire quella pulsazione schizzare dritta nel mio cervello e fuoriuscire dai miei occhi grigi, interrompendo questa tortura che è la vita.

    Più il tempo avanza, più comprendi che prima eri una cosa, e col passare delle esperienze, quella cosa non puoi più esserlo. Semplicemente non ti appartiene più, è finito il tempo che avevi a disposizione per essere figlio, ed è arrivato quello in cui devi parlare e rapportarti come un uomo, altrimenti rischierai di sembrare ridicolo.

    In fondo sono grato a mia madre per non avermi amato come meritavo. Mi ha insegnato come andare a cercare l’amore tra le pieghe della bellezza femminile, quella autentica che pochi riescono ad assaporare.

    Per mia madre ero un bambino grottesco, qualunque fosse la funzione che avrei dovuto rivestire per lei in quel momento.

    Era lei a stabilire le regole, io non ero che la figurina insostituibile nella sua vita macchinosa come un puzzle.

    Mi ritrovai ad essere compagno, confessore, amico, con estrema facilità, in uno spazio temporale brevissimo.

    Tuttavia non fui mai figlio, e mai riuscii a stabilire quel rapporto di intimità che richiede l’essere figlio della propria madre.

    Per me era una figura eterea, impossibile da toccare, in ogni senso. Nonostante tutti i tentativi compiuti, non riuscii mai a conquistare il suo cuore come avrei voluto, o dovuto fare.

    Mi diceva spesso che le ricordavo mio padre, doveva essere per questo che mi odiava.

    Solo Noah riusciva a carpire la sua totale attenzione, seppure fosse perfettamente cosciente di farmi un torto quando riusciva a strapparle un sorriso compiaciuto.

    Vissi un’adolescenza in cui l’unico mio pensiero fu quello di fare l’amore con più donne possibili, quasi fosse una sfida da vincere con me stesso.

    Mi convinsi che prima o poi qualcuna sarebbe giunta nella mia vita per amarmi, e per completare quella parte di me che sentivo di avere perduto.

    Più si moltiplicavano gli incontri, più avvertivo il vuoto sotto ai miei piedi, come un immenso vortice di dolore che si amplificava nel mio animo, anziché diminuire.

    Avrei dovuto fare il pescatore come voleva mia madre. Mi definiva il piccolo pesciolino. Eravamo legati da una lenza forte, indistruttibile.

    Ma io non ero un pescatore.

    Ero un genio, e arrivai talmente tanto a convincermene, da chiudermi al mondo esterno.

    C'erano delle ragazze a scuola che desideravano conoscermi spinte più da un senso di rivalsa, che da un effettivo interesse.

    Dovevo possedere un'aria da tenebroso se non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso.

    Un paio riuscii anche a portarmele a letto, nonostante non le trovassi tanto attraenti. Frequentavo in contemporanea due amiche che avevano litigato, il giochino durò per quasi un anno; mi incontravo con Slavina il mercoledì e il sabato, e riempivo la bocca di Annelise il giovedì e la domenica nei bar dove ci incontravamo dopo le lezioni.

    Che pompini, ancora me li ricordo.

    Le donne sono strane, quando non sono false. Finirono con il fare pace, e poi lo stronzo accusato di averle usate fu il sottoscritto.

    Non le ho mai volute capire le donne. Parlano in continuazione, non dicono mai le parolacce a meno che non abbiano una buona dose di autostima, non puzzano, non ruttano, non fanno la pipì in piedi.

    Così ho sempre preferito portarle a letto, piuttosto che far loro da psicologo.

    Non ho mai tollerato il loro disprezzo, e neppure il loro rifiuto.

    Quando la

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