Sull'orlo della follia
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Anteprima del libro
Sull'orlo della follia - Desireè Parisi
Capitolo 1
Nessun rumore. Nessun pianto. Niente.
Se non fosse stato per lo scricchiolio delle foglie secche sotto i miei stivali; le mie orecchie avrebbero sofferto la fame.
Le strade vuote, le case vuote, televisioni, telefoni e gridi privi di voce restavano sospesi in aria.
Tutti contavano i minuti, tutti trattenevano il respiro intrecciando le dita. Io, invece, preferivo perdermi nel vento lasciando i capelli volteggiare liberi in corte ciocche color castagna.
Fino a poche ore fa quella che potevamo chiamare come supremazia umanitaria che accozzava la terra con gelosia ed egoismo; sparì. Puff, bam, niente più uomini sicuri e potenti.
I soldi erano diventati all’improvviso carta straccia. E quello che poteva passare come un Dio, era apparso; nella nostra testa si era palesata una figura.
Qualcuno ci aveva appena annunciato la fine del mondo.
La cosa strana è che lo sapevamo, e nessuno si chiese se fosse una truffa o uno scherzo dei poteri forti. La razza umana sarebbe svanita. Non sarebbe stata colpita da un meteorite grande quanto il Texas, le centrali per quanto sapevo erano ancora più o meno sane e l’era glaciale doveva aspettare ancora qualche secolo. Neanche gli zombie passeggiavano dondolando e brontolando la voglia di banchettare con cervelli freschi.
Semplicemente ci avevano comunicato che entro poco tempo tutti saremmo scomparsi. Ognuno aveva lasciato il proprio posto di lavoro, o quello che stava facendo per correre verso la propria famiglia, o si nascondeva per istinto sotto un ponte o da qualche parte come se giocasse a nascondino.
Ero da sola, o meglio: lo sono sempre stata. Solo me ne accorgevo ora.
Ogni tanto tiravo su col naso o abbassavo le maniche della giacca, ma per il resto camminavo, ossessivamente e senza una logica dietro.
Lo avevo sempre fatto.
Quando qualcosa mi turba o non mi sento in vena di fingere un’emozione affogata nella beata e irraggiungibile serenità che la gente tira fuori come se fosse la normalità dell’essere umano, mi allontanavo, passo dopo passo.
Ripudiando la tristezza degli uomini mi esercitavo nell’arte del: Non ho la forza di starvi dietro, e sinceramente non m’interessa.
Il vento mi sferzava il viso, freddo e rigido.
Passavo sulle strisce pedonali senza guardare a destra e poi a sinistra.
Con le mani in tasca guardavo il cielo soffocato da pesanti nuvole grigie, una giornata perfetta per essere l’ultima, pensai.
Sentivo che qualcuno dentro di me, accovacciato in un angolo dimenticato anche dalla luce, piangeva disperatamente, singhiozzando e stringendo gli occhi con forza.
E nessuno che gli reggeva la mano, gli accarezzava la schiena o preso alla sprovvista gli offrisse un bicchiere d’acqua.
Dietro di me si formarono suoni fiochi e distanti di passi, una folata di vento mi strappò un bottone della giacca lunga alle caviglie color dattero.
I passi si fecero più vicini, non mi voltai, non m’interessava. Una figura più alta di me mi affiancò; con la coda dell’occhio lo squadrai. Un uomo, con lineamenti aggraziati e il viso un poco tondo, camminava lasciando ondeggiare le mani guantate. Dove vai?
Tu dove vai?
La figura fece spallucce, lo superai scoprendo la faccia.
Labbra sottili e naso in perfetta armonia con la forma degli zigomi non troppo marcati, solo gli occhi…aveva gli occhi, ma non erano umani… erano scuri, così scuri da essere di un nero mai visto. Due pallini bianchi minuscoli in un mare di cenere.
Ti faccio paura?
, nella sua voce vi era qualcosa di talmente docile e così profondo da far piangere anche l’uomo con il cuore di pietra più duro di tutti.
Non c’è più un motivo per aver paura.
Non stavo mentendo, anche se la mia risposta tranquilla mi raggelò l’anima.
Se fosse stato un giorno qualsiasi avrei urlato, lo avrei incontrato in incubi e in sogni atroci e bui. Ma non c’era più tempo per la paura. Dimmi che viso ho? Sono bello o sono bella? Porto un bel vestito? Voglio saperlo.
Non ho mai incontrato un cieco dallo sguardo così nero
, replicai io aggirando una pozzanghera di fango, mentre Lui ci passò sopra senza sporcarsi le scarpe bianche, talmente lucide da far invidia al sole.
Con un sorriso compiaciuto mi disse che non era cieco, Davvero, dimmi come sono, come mi vedi? Com’è l’ultima persona che incontrerai nella tua vita seppur breve?
Lo descrissi minuziosamente mentre il vento si calmava e le foglie smettevano di rincorrersi sopra l’asfalto, Dimmi perché sei così famigliare. Non ti ho mai visto eppure…
Eppure senti come se fossi stato al tuo fianco per tutta la vita
, concluse accennando un sorriso.
Quelle parole mi lasciarono un’agitazione e una confusione da far sciogliere lo stomaco.
Mi fermai in mezzo alla strada.
Pure Lui si fermò girandosi con dolcezza sul marciapiede davanti al parco cittadino.
Non guardarmi così.
Come per istinto distolsi lo sguardo per poi guardarlo dritto negli occhi, la bocca mi tremava.
Tu sei quello che ha detto…
Sentivo soffocarmi con la mia stessa lingua.
Le mani mi tremavano arrossate sulle nocche dal freddo; ma la sua voce seppur lontana emanava un senso di caloroso vivere.
Sono quella persona che appare e scompare a piacimento dentro la vostra testa, o meglio, il vostro ego
.
Senza aggiungere altro ricominciò il suo cammino.
Aspetta! Aspetta!
, la mia voce ricreava quell’eco che si trova nelle montagne nascoste negli angoli più lontano del mondo.
La mia voce rapiva il vuoto della città, rimbombando sui palazzi fino alle case fantasma. Non si fermò.
Il mio corpo cercava di trascinarmi nella parte opposta, ma io volevo seguirlo, tesi una mano verso di lui come se quel gesto lo avrebbe riportato indietro.
Feci un passo in avanti, incerto e pesante, ecco il secondo e poi il terzo.
Andare avanti ignorandosi è faticoso ma a volte dobbiamo disobbedirci.
Improvvisai una corsa sbilenca sperando di non cascare e perderlo per sempre.
Tutto sembrava così surreale ma allo stesso tempo così vero, che non potevo far altro che rincorrere quella figura dalla giacca troppo pesante per Ottobre.
Lo raggiunsi di nuovo con il fuoco nei polmoni e un dolore alla testa mai percepito prima. Cercavo qualcosa da dire, qualcosa di sensato, ma niente aveva senso. Potevo parlare sia delle nuvole o del nuovo film che avrei voluto vedere per il mio diciottesimo compleanno… che non sarebbe mai arrivato.
Dove vai?
Gli angoli delle labbra si alzarono creando una lieve fossetta sulla guancia, mi diede un’occhiata come se stesse cercando le parole giuste.
Non vado in una direzione precisa. Cammino per dare all’umanità una morte rispettosa, puoi chiamarlo un pellegrinaggio, puoi darmi dello sciocco o puoi provare a colpirmi ma non cambierà la tua sorte ne quella di tutti gli altri.
Scossi la testa nascondendo le mani tremanti nelle tasche. Perché ora?
Non sembrò capire quella domanda. In che senso?