La principessa bizantina
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Fantascienza - racconti (45 pagine) - Gli Arabi hanno sconfitto i Franchi a Poitiers e ora dilagano nella Gallia. Ma l'Impero Romano d'Oriente ha ancora una carta.
È passato da poco il 732 d.C. e gli Arabi sono dilagati nella Gallia dopo avere sconfitto i Franchi vicino Poitiers. L’Impero Romano d’Oriente ha in mano una carta per stabilizzare il mondo cristiano: dare in sposa la giovane principessa Irene ad Alboino, erede del Regno Longobardo. A scortare l’imperiale rampolla viene chiamato Anfrido, uomo d’armi e di fiducia del duca Ariperto, ma il compito si rivelerà più arduo del previsto. A Pavia, intanto, sede della corte longobarda, una donna misteriosa sostiene di essere arrivata dal futuro…
La Principessa Bizantina è un racconto breve in cui Alberto Costantini ci presenta, con poche ed efficaci pennellate, l’affresco di un mondo medievale alternativo: i Franchi hanno perso la guerra con gli arabi e questi ultimi hanno messo piede stabile oltre i Pirenei. Una storia d’amore e intrighi prende corpo in questa linea temporale, mentre a Pavia i Longobardi fronteggiano l’inverosimile.
Nato a Vicenza nel 1953, Alberto Costantini da sempre vive a Montagnana (Padova). Dopo la maturità classica, ha conseguito la laurea in lettere antiche presso l'Università di Padova, con tesi in storia greca. È stato per anni docente di ruolo nei Licei.
La sua produzione si suddivide equamente fra la fantascienza, il romanzo storico e la ricerca. Tra le opere edite, i saggi storici Il Risorgimento a Montagnana (1848-49); Soldati dell’Imperatore I militari lombardo–veneti dell’Esercito Austriaco; I reggimenti austro-veneti 1814-1866; Lo Stato Veneto: agonia e morte di una Repubblica.
Con Arte Stampa ha pubblicato i romanzi storici e d’avventura A ovest di Thule, Gli eredi del tempo, Lo stradiotto, Sotto l’aquila bicipite, Il Principe delle Locuste, I Figli del Leone e l’antologia Aliunde. Nella collana Urania della Mondadori sono usciti i romanzi Terre accanto e Stella cadente, entrambi vincitori del Premio Urania. Per le edizioni Gilgamesh ha pubblicato i romanzi di fantascienza Le astronavi di Cesare, L’undicesima persecuzione e La guerra dei multimondi. L’Infiltrato, nonché i romanzi storici A ovest di Thule e La donna del tribuno. Con la CS_libri, sono usciti i romanzi L’eresia del Multiverso, e L'inquisizione di Padre Bertolt, gesuita, e il racconto La palude del tempo. Il racconto Carta Kodak è apparso su Robot, n. 63, e Giornataccia in ufficio nell’antologia, DiverGender, Delos Digital.
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Anteprima del libro
La principessa bizantina - Alberto Costantini
9788825415407
La principessa bizantina
1.
– Aveva proprio ragione il nostro Marescalco, quando parlava di Verona; ricordi?
– In merito a cosa? – chiese Anfrido sfilandosi l’elmo e scrollando i lunghi capelli sudati.
Il sole di giugno picchiava duro, anche se avevano potuto usufruire dell’ombra degli oppi che costeggiavano in lunghissima fila la via Postumia. Solo che ora ce l’avevano giusto a picco sopra la testa…
– Puoi anche farti cacciare da Pavia, diceva, puoi perdere mezzo regno, ma se tieni Verona, hai ancora la tua carta da giocare.
Già, Verona, la maggiore tra le fortezze longobarde, spesso assediata, quasi mai presa. Solo che ora, a detta di tutti tranne del Tesoriere, si imponeva di allargare il circuito delle mura: quando per la rassegna annuale si radunava l’intero esercito del thema veronese, più le genti della Venetia e del Friuli, e poi le reclute e magari anche i contingenti di alleati e mercenari, bisognava edificare sulle colline tutto attorno una seconda città, fatta di tende e baracche. Ma sarebbe stato lavoro per un’altra generazione, i ragazzi nati dopo l’anno Mille; ora c’erano compiti più urgenti, in vista di vecchi pericoli e nuove opportunità.
Bajan gli passò la fiasca dell’acqua, ma Anfrido preferì usarla per versarsela sulla testa. – Grazie – disse restituendogliela.
– Tornando a noi: perché ci avrà convocati, secondo te? – tornò a chiedere Bajan.
– Non ne ho idea. Spero non sia un altro ordine di trasferimento, perché stavolta giuro che mi do malato.
Bajan il Tenebroso… tre generazioni di donne longobarde non erano riuscite a cancellare del tutto i caratteri asiatici impressi nel suo sangue dagli antenati giunti dalla Pannonia, àvari o bulgari che fossero. E assieme ai lucidi capelli neri e al taglio degli occhi, gli avevano trasmesso l’istinto dell’animale predatore, fatto di audacia e diffidenza: una delle ragioni per cui in battaglia Anfrido non si discostava mai dal suo fianco.
Gli attendamenti erano stati terminati in anticipo, perché dovevano essere pronti in vista della grande rassegna del Solstizio. Non che stessero male al campo, in mezzo ai vigneti delle colline e ai frutteti di ciliegi e albicocchi, ma ogni anno i damerini dei ducati e dei gastaldati ne facevano l’occasione per lagnarsi col Re. Pochi di quei signori, che si credevano guerrieri solo perché trascorrevano qualche settimana lontano dalla loro fattoria, avevano un’idea di cosa fosse veramente la guerra, in posti come le Ardenne, coi branchi di lupi che di notte ti assediavano peggio dei saraceni, o in Masovia, nella terra di nessuno fra i polacchi e i vendi. I sedicenti arimanni, che brontolavano perché la loro voce si faceva sempre più flebile nel Gairethinx, l’assemblea degli uomini liberi, avevano dimenticato da un pezzo la differenza fra una bella parata militare e una vera campagna. Però, l’altra faccia di un lungo periodo senza vere guerre in patria era quella magnifica distesa di messi che ricoprivano la pianura, ondeggiando sotto il vento caldo dell’estate, senza preoccuparsi di fuoco, zoccoli assassini o falci maligne portate da nemici di guerra o predoni.
Tanti anni prima, un monaco ubriaco, in una bettola della Neustria, aveva fatto ridere gli avventori pronosticando la fine del mondo per l’anno Mille. Anfrido si considerava religioso, ma proprio per questo sapeva bene che nessuno o quasi dei segnali dell’imminente Apocalisse s’era ancora manifestato: da secoli il clima non faceva che migliorare, le brume da cui erano scesi gli antenati, e i gelidi inverni della fame erano un ricordo, come le terribili epidemie che avevano favorito l’arrivo del popolo longobardo in terra italiana.
Le due guardie del Duca presentavano una montura da cerimonia, mezzo tradizionale e mezzo bizantina, com’era la moda di quegli anni. Ne era passato del tempo, da quando vestivano come selvaggi della foresta: ora le fucine di Milano e Brescia fornivano armature d’acciaio e usberghi a maglie di ferro, quasi impenetrabili dalle frecce. I due bellimbusti prendevano molto sul serio il loro incarico, forse convinti che essere coscienziosi equivalesse a mostrarsi insolenti; prima che Bajan passasse a sbrigative vie di fatto, una voce dall’interno disse: – fateli passare, li aspettavo.
Il Duca Ariperto era un uomo basso e rosso in viso, e lo si riteneva