La spina di Poitiers: La saga del Cuor di Leone 1
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Fantasy - romanzo (118 pagine) - Un frammento di leggenda perduto. Vecchi amici e improbabili alleati. Riccardo, giovane principe d’Inghilterra, dovrà fare appello a tutto il suo coraggio per uscire vivo dalla trappola di acciaio e magia nera preparata dai suoi implacabili avversari.
Riccardo Plantageneto, figlio del Re d’Inghilterra, è un giovane impetuoso, dal coraggio sfrenato. Ancora lontano dal diventare il sovrano che passerà alla storia, per adempiere il suo destino dovrà conquistare l’imprendibile fortezza di Taillebourg, le cui mura celano nemici formidabili e poteri infernali. Saranno la furia della battaglia e una necessità disperata a spingerlo in cerca della leggendaria Spina di Poitiers.
Gianmaria Ghetta è nato a Trento il 10 aprile 1977. Sposato e padre di due figli, vive a Rimini, dove si occupa di marketing. Ha conseguito la Laurea in Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna.
Cresciuto in Val di Fassa, tra i maestosi scenari alpini delle Dolomiti, è sempre stato affascinato dalla natura selvaggia e dalla letteratura avventurosa. Salgari, Verne, Stevenson, Cooper, London, Dumas… lo hanno fatto innamorare poi di autori del fantastico come Tolkien, Howard, Burroughs, Lovecraft, Eddings, Leiber, Gemmell, Moorcock… Tra i suoi altri interessi, l’escursionismo alpino, i boardgame, il cinema (soprattutto western) e la storia militare.
Per la collana Heroic Fantasy Italia di Delos Digital ha pubblicato i romanzi brevi L’eredità (2020) e La Voce Nera (2020). Per l’editore Letterelettriche il racconto L’aquila e la pietra, inserito nell’antologia Sword & Sorcery Sui mari d’acciaio (2020).
Il suo racconto L’ultimo sacrificio, finalista al trofeo Rill 2020, è stato pubblicato nell’antologia Aspettando Mondi Incantati 2020, edita dall’Associazione Rill.
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Anteprima del libro
La spina di Poitiers - Gianmaria Ghetta
Introduzione
Giorgio Smojver
L’incontro tra Gianmaria Ghetta, appassionato di storia militare, letteratura avventurosa e cinematografo, e il monarca più famoso, con Carlo Magno, del medioevo – certo il più famoso nel mondo anglosassone – è parso subito sia ad Alessandro Iascy che a me del tutto naturale. Gianmaria coniuga la sua precisione dei dettagli nella ricostruzione storica, mai pedante, e l’abilità nel descrivere scene d’azione con la fantasia e l’ampio respiro dell’avventura classica. Di saper descrivere il medioevo aveva dato ampia prova ne La voce nera
, uno dei romanzi più apprezzati della nostra collana, ambientato nell’Irlanda del XIII secolo.
Riccardo I d’Inghilterra, detto Cuor di Leone
per l’abitudine di combattere sempre in prima fila tra i suoi soldati, è insieme figura straordinariamente popolare – prima per i romanzi di Sir Walter Scott, Ivanhoe
e Il Talismano
, poi per i molti film soprattutto dedicati a Robin Hood – e, in tempi più recenti, diffamata. Hanno contribuito a falsarne l’immagine prima il nazionalismo inglese, poi il politically correct
che ha resa obbligatoria la condanna in blocco di quel complesso fenomeno storico che furono le crociate.
Riccardo fu forse il miglior guerriero del suo tempo, per il valore personale e l’abilità tattica, cui non corrispose eguale ampiezza di vedute strategica. In generale lo spirito cavalleresco, il voler combattere alla testa dei propri cavalieri, mal si accordavano con una strategia efficace: ricordiamo che anche il suo contemporaneo Federico I Barbarossa perse la battaglia di Legnano per aver voluto combattere in inferiorità numerica, e soprattutto per aver attaccato in prima fila, così che la falsa notizia della sua morte gettò i suoi nel panico.
Riccardo non era inglese, malgrado l’Inghilterra ne abbia fatto un simbolo dell’orgoglio nazionale. Suo padre apparteneva alla stirpe francese dei Plantageneti, conti dell’Angiò e del Maine; sua madre Eleonora, che l’educò, a quella dei duchi di Aquitania. I Plantageneti furono patroni della poesia provenzale e francese: Riccardo sapeva comporre versi in entrambe quelle lingue, ma non nella nascente lingua inglese. È ridicolo che nel film Robin Hood
di Ridley Scott addirittura Eleonora, che era stata regina di Francia e sempre si sentì duchessa di Aquitania, sia mostrata come regina inglese
e parli con disprezzo dei francesi.
Riccardo non era un sadico come a volte è stato mostrato di recente. Uomo di guerra in un’epoca violenta, istintivo e passionale, compì gesti sia di grande crudeltà che di generosità.
Feroce quando prendeva a forza un castello o una città che gli aveva resistito e causato la morte dei suoi soldati, passata la furia sapeva anche essere magnanimo con gli ex nemici e ribelli. Gianmaria Ghetta non l’idealizza, ma nel costruirne il carattere mescola verità storica e tradizione leggendaria – così nelle figure ovviamente non storiche di Little John e Robin Hood – e alla fine Riccardo ci appare, secondo il giudizio del grande Steven Runciman, principe ribelle, re poco avveduto, ma splendido e ardito guerriero.
Giorgio Smojver
Prologo
– Madre, ancora una volta! Una sola! Per favore… Poi prometto di dormire subito!
– Mi pare di aver già sentito queste parole, Riccardo… Non più tardi di ieri sera, se non sbaglio, prima che la nutrice ti sorprendesse a cavalcare il guanciale, intento a sgominare Saraceni con la tua spada di legno.
– No, no! Questa volta lo prometto davvero, mano sul cuore. Poi farò tutto un sonno fino all’alba! Un’ultima volta, ti prego…
Eleonora, Duchessa d'Aquitania e Guascogna, Contessa di Poitiers e ora, per il volere di Dio, Regina consorte d’Inghilterra al fianco di Re Enrico, secondo del suo nome, alzò gli occhi al cielo, rassegnata di fronte all’insistenza del suo caparbio quartogenito.
– Va bene. – sospirò. – Quale parte della storia vuoi che ti racconti? Forse, questa volta potrei…
– Voglio la battaglia!
– La battaglia… certo. – commentò lei, reprimendo uno sbadiglio. – Il momento decisivo, immagino.
– Sì, sì! Il muro di ghiaccio! – esplose il piccolo con un sobbalzo, facendo vibrare il letto di entusiasmo. Gli occhi vispi, sprizzanti eccitazione, scintillarono nella penombra, riflettendo come perle grigie i bagliori del camino acceso in fondo alla stanza.
Eleonora non poté nascondere un sorriso. Conosceva quello sguardo trasognato, di chi si allontana dalle sponde noiose della realtà per salpare verso le remote ma ben più affascinanti lande della fantasia, in cerca di avventure incredibili. Sogni e immaginazione, non certo le migliori virtù per un figlio di re; eppure, erano proprio quei momenti infantili a colmarle il cuore di gioia. Donna di ferro, capace di agire alla bisogna con spietata determinazione e ben pochi scrupoli, era tuttavia legata a quel bimbetto fulvo da un affetto viscerale; perché Eleonora amava i suoi figli dal primo all’ultimo, ma il vincolo che la stringeva al piccolo Riccardo superava ogni altro sentimento.
Strofinò la manica del vestito sugli occhi, rimuovendo quel momento di tenerezza insieme a una lacrima di commozione. Elargendo al suo uditore impaziente un largo sorriso, e senza dover sforzare la memoria, riportò alla mente le parole del celebre ma ignoto cronachista, autore delle Cronache Mozarabiche:
Gli uomini del nord erano immobili come un muro; sembravano fusi insieme in un baluardo di ghiaccio impossibile da sciogliere, mentre trucidavano gli Arabi con le spade.
– Madre, ma come è possibile?
Eleonora si interruppe. Era sempre così: tante insistenze, ma poi, non appena iniziato il racconto della battaglia di Poitiers, ecco sopraggiungere la consueta pioggia di domande.
– Come è possibile cosa, Riccardo?
– Ma i Saraceni non erano tutti a cavallo? Come hanno fatto i Franchi ad abbatterli, combattendo a piedi?
Domanda da adulto, figlio mio, che richiede una risposta all’altezza.
– Non confondere mai la ricchezza con il coraggio, Riccardo. Ricordati che anche nell’uomo più umile, padrone solo del proprio coraggio, può esserci lo stesso valore che alberga nel cuore del miglior cavaliere, coperto dalle sue armi e in groppa al suo destriero. Il cielo non ha voluto che nascessimo tutti ricchi o di nobili origini, ma il valore di un uomo prescinde dal suo lignaggio o dai beni che possiede.
– Ho capito madre. Dunque, i Franchi erano coraggiosi, anche senza cavalli…
– Molto coraggiosi. E, come sai bene, freddi come il ghiaccio.
– E non si gettavano ciecamente all’assalto…
Ha colto subito il punto…
– Sapevano bene che mantenere la posizione era vitale. Così hanno serrato gli scudi, abbattendo i nemici. Ma se mi venisse concessa tregua dalle domande, potrei raccontartelo…
Gli Austrasiani, dai grandi arti e le mani di ferro, colpivano coraggiosamente nel cuore della battaglia…
A quel punto, l’entusiasmo del principino divenne incontenibile. Il bambino si era messo a sedere, la coperta di pelliccia stretta tra le manine, sollevata fino a coprire la punta del naso per alleviare la tensione. I suoi occhi spalancati fissavano la madre, accompagnandosi nello stupore alla boccuccia silenziosa, che ripeteva le parole del racconto sillaba dopo sillaba, pur senza emettere un suono.
– Bravi soldati coraggiosi! – strillò, interrompendo ancora una volta la narrazione. – Hanno mantenuto la disciplina, come i legionari dell’antica Roma!
Eleonora inarcò un sopracciglio.
– Legionari? E chi te ne avrebbe parlato, di grazia? Ti avevo espressamente vietato di importunare ancora i confratelli del monastero.
– Ma la loro biblioteca è straordinaria…
– Sì, ma non mi risulta che leggere sia il tuo passatempo preferito, o mi sbaglio?
Riccardo arrossì, abbassando lo sguardo.
– Però… Fratello Godwin è un cantastorie eccezionale…
– E tu gli hai chiesto delle legioni romane…
– Ho sbagliato a farlo?
– Dipende, figlio mio; da cosa hai imparato.
– Che i guerrieri di Roma vincevano le battaglie con l’addestramento e la disciplina, prima ancora che con la forza.
– Sei perdonato. – annuì Eleonora. – Solo per questa volta, comunque.
– Quindi i Franchi erano come i soldati di Roma? – la incalzò ancora lui.
– Non lo so, ma la cronaca ci dice che rimasero saldi, fino alla vittoria. Fu la loro tenacia che infranse gli assalti degli Arabi, fino a quando Carlo Martello ordinò la carica. Allora i cavalieri di Oddone I, Duca di Aquitania, spazzarono il campo, disperdendo gli infedeli.
– Fanti e cavalieri insieme!
– Esatto, piccola peste… ma la tua curiosità ha reso l’ora tarda, e tu d’altronde sai benissimo come va a finire questa storia…
– Certo, madre… – sbuffò lui – furono loro che trovarono e abbatterono il re dei Saraceni… ma io non ci credo!
– La cronaca dice proprio così. – rispose lei, allargando le braccia.
– Ma il re dei Saraceni non può essere caduto in questo modo, ucciso da una picca o da un’ascia qualsiasi! Deve essere stato di certo Re Carlo ad abbatterlo.
– Riccardo, sai che Carlo non era re. Come Maggiordomo di Palazzo era un uomo potente, ma al servizio del suo Re, Teodorico IV.
Sul viso pallido del bambino si dipinse una smorfia di evidente disapprovazione.
– Non me ne sono scordato, madre. Ma penso che un vero re dovrebbe guidare i suoi uomini in battaglia, non nascondersi dietro al trono lasciando altri a battersi per lui.
Incrociò le braccia, rivolgendo alla donna uno sguardo deciso.
– Io non farei mai così. E sono certo che sia stato proprio Carlo a uccidere Abd al-Raḥmān!
La regina fissò il figlio con dolcezza.
– In realtà, piccolo mio, c’è una storia, narrata solo raramente, e da pochi menestrelli, che racconta una versione diversa…
Le parole trasformarono il volto imbronciato del bimbo in una maschera di gioia.
– Si dice che, di fronte alla fuga disordinata del suo esercito, il sovrano degli Arabi si sia gettato nella mischia, falciando i nemici con la spada e invocando a gran voce il nome di Carlo. Terribile a vedersi, nella sua collera, nessuno osava affrontarlo. Fino a quando, facendosi largo tra i suoi, giunse il Martello in persona a raccogliere la sfida.
– Continua! Cosa accadde poi?
– Nessuno lo sa con certezza, poiché il tempo ha cancellato la memoria di quei momenti gloriosi; tuttavia, si narra di come i due contendenti si scambiassero colpi possenti, facendo il vuoto intorno a sé. I loro corpi furono presto coperti di ferite, al punto che i guerrieri di ambo le parti credettero che entrambi sarebbero morti, trafiggendosi a vicenda. Eppure, alla fine, Carlo riuscì a entrare nella guardia dell’avversario, abbattendolo con un fendente. Nell’istante in cui il gran Saraceno morì, la lama della spada di Carlo si infranse, finendo in mille pezzi. Ma la battaglia era vinta e la cristianità salva.
– Lo sapevo, lo sapevo! Ma perché non mi hai mai raccontato prima questa storia?
– Perché ogni storia ha un suo momento per svelarsi, e questo era quello giusto.
Lui la abbracciò, cingendole il collo