Ombre di cenere: La saga del Cuor di Leone 2
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Fantasy - romanzo (130 pagine) - Sulla lunga via per la Terrasanta, i pericoli sono molti, le insidie ovunque. Mentre Riccardo Cuor di Leone affronta il viaggio per portare la sua sfida nelle terre d’Outremer, nell’oscurità dei palazzi di Damasco, dalla magia nera prendono forma… ombre di cenere.
Gerusalemme è caduta, le armate di Saladino stringono d’assedio ciò che resta dei regni franchi. Re Riccardo guida una nuova crociata per restituire la Città Santa alla cristianità ma sulla sua impresa aleggia la minaccia di una volontà ostile.
Una alla volta, le tessere vanno a comporre il mosaico del fato: terre del Sud, lame del Nord, minacce dall’Est. La battaglia che attende il Leone e i suoi amici sarà, ancora una volta, uno scontro mortale tra luce e tenebra.
Gianmaria Ghetta è nato a Trento il 10 aprile 1977. Laureato in Storia Contemporanea all’Università di Bologna, vive e lavora a Rimini. Cresciuto in Val di Fassa, tra i maestosi scenari delle Dolomiti, si appassiona prima ai classici dell’avventura, da Salgari a Verne, da Stevenson a Cooper, da London a Dumas… e poi a quelli del fantastico: Tolkien, Howard, Burroughs, Lovecraft, Eddings, Leiber, Gemmell, Moorcock… Tra i suoi interessi, l’escursionismo alpino, i boardgame, il cinema e la storia militare. Per la collana Heroic Fantasy Italia di Delos Digital ha pubblicato i romanzi brevi L’eredità (2020), La Voce Nera (2020), La Spina di Poitiers (2021). Per l’editore Letterelettriche il racconto L’aquila e la pietra, nell’antologia Sword & Sorcery Sui mari d’acciaio (2020). Per le edizioni Italian Sword&Sorcery Books il racconto Il burattinaio di Nagashino, nell’antologia Cats of Sword & Sorcery (2021). Per Les Flaneurs Edizioni il racconto Me lo diceva sempre, nell’antologia Santi e demoni italiani (2022). Per l’editore Watson il racconto Homo homini lupus, inserito nell’antologia Terre leggendarie. Viaggio tra le creature e il folklore dell'Italia medievale (2022). Il suo racconto L’ultimo sacrificio, finalista al trofeo Rill 2020, è stato pubblicato nell’antologia Aspettando Mondi Incantati 2020, edita dall’Associazione Rill e nella rivista Dimensione Cosmica, Edizioni Tabula Fati (2022)
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Anteprima del libro
Ombre di cenere - Gianmaria Ghetta
Introduzione
Siamo al secondo romanzo della Saga del Cuor di Leone di Gianmaria Ghetta, dopo La Spina di Poitiers edito in questa collana nel 2021. L’autore, appassionato di storia militare, narrativa d’avventura e cinematografia, coniuga la precisione dei dettagli nella ricostruzione dello scenario medioevale e l’abilità nel costruire una trama con la fantasia e l’ampio respiro dell’avventura classica.
Riccardo I d’Inghilterra, detto Cuor di Leone
per l’abitudine di combattere sempre in prima fila tra i suoi soldati, è il più famoso monarca del Medio Evo nel mondo anglosassone: reso popolare nell’Ottocento dai romanzi di Sir Walter Scott, Ivanhoe
e Il Talismano
, in tempi moderni per i molti film soprattutto dedicati al ciclo leggendario di Robin Hood. Recentemente è stato oggetto di damnatio memoriae dai rigoristi del politically correct, che insistono a giudicare la storia passata con la misura etico-politica di oggi
Ghetta ne tratteggia la figura in chiaroscuro, unendo il discernimento dello storico e al gusto dell’epos fantastico. Non l’idealizza e non tace i suoi difetti, ma gli restituisce l’indubbia grandezza di guerriero
È passato qualche anno dalle vicende del primo libro, e Riccardo è divenuto re; ma le responsabilità di un monarca mal si accordano con lo slancio avventuroso e lo spirito franco che vuole mantenere nei rapporti con i suoi amici, e si troverà anche in contrasto con loro. Ma, nella lotta contro un male molto più antico e crudele del conflitto tra Islam e cristianità, avrà più che mai bisogno di loro: i leggendari Robin Hood e Little John, l’audace avventuriera Ginevra e un nuovo personaggio, Völsung di Xanten, un omaggio alle leggende germaniche
Nel prologo compare l’imperatore Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa. È un personaggio storico spesso diffamato per ignoranza: si ricorda la sconfitta di Legnano, ma si dimentica che nell’ultima spedizione italiana, nel 1184, i lombardi e in particolare i milanesi tributarono un’accoglienza trionfale all’antico avversario; che malgrado il goffo tentativo del nazismo di appropriarsi della sua leggenda, fu il monarca europeo più giusto e sollecito nel proteggere gli ebrei da ogni violenza, e che la crociata del 1189-1190 fu uno splendido successo fino alla morte improvvisa e casuale dell’Imperatore. Ghetta gli rende l’effettiva grandezza
Per noi è stato un vero piacere curare questo libro come speriamo sia per voi leggerlo
Giorgio Smojver & Ambra Stancampiano
Prologo
Sponde del fiume Salef, Cilicia, 10 giugno, Anno Domini 1190
– Santa Madre dei Teutoni, altro che Turchi e Saraceni! Finiremo davvero per creparci qui; ma per questo caldo di merda, non certo per gli infedeli.
Il cavaliere alzò una mano, a schermare gli occhi verdi e la pelle chiara dalle frustate del sole di mezzogiorno. I guanti di ferro non aiutavano a combattere la calura ma era meglio ritrovarsi con le mani sudate che con una freccia selgiuchide o turcomanna piantata nel palmo.
– Senti Völsung, smetti di guardare per aria e ascolta me; perché non andiamo a farci un bel tuffo? Ho talmente tanta polvere addosso che mi sembra di aver attraversato un deserto invece che queste dannate montagne. O da voi in Lotaringia non si usa fare il bagno?
Il cavaliere rise e si girò verso il compagno d’armi. Il suo viso stanco si illuminò di un sorriso divertito.
– Caro il mio Franz, sempre meglio di voi tirolesi, perennemente a mollo sì, ma nel fieno… o nel letame.
Questa volta fu il commilitone ad abbandonarsi a una risata liberatoria. Con uno sbuffo sonoro si appoggiò all’asta della lancia e si rimise in piedi, sollevando le natiche dal sasso su cui era seduto.
– Non lo so, spero solo che il vecchio sappia bene quello che fa. In questa gola fa più caldo che all’inferno e non c’è l’ombra di un albero. Sterpi e cespugli, cespugli e sassi, sassi e sterpi; non avrei mai pensato di rimpiangere i territori bizantini.
– L’imperatore ha messo nel sacco il pagliaccio di Costantinopoli e adesso ha preso a calci nelle palle anche gli stramaledetti Turchi. Non dubitare di lui. Chi avrebbe potuto condurre un esercito del genere, intatto, fino a qui? Io dico che a Damasco non dormono sonni tranquilli.
Franz infilò le dita sotto il bordo dell’elmo e prese a grattarsi energicamente la nuca.
– Tu hai ragione, amico, lo so. Sono solo stanco… Dio, se sono stanco.
– Come tutti noi. – Völsung gli posò una mano sulla spalla. – Ma la Terrasanta ci aspetta, pellaccia di un montanaro, e per arrivare a Gerusalemme c’è ancora un bel pezzo di strada.
Lasciò fuggire lo sguardo lungo la vallata. Il fiume Salef tagliava il terreno brullo come una lama liquida. Le sue acque, basse e fangose, correvano nel letto di sassi, quasi intimorite dalla presenza severa delle pareti di roccia che si ergevano a ridosso delle rive. D’istinto, lanciò un’occhiata alla sommità delle muraglie giallastre. Il sultano Selgiuchida, dopo la disastrosa sconfitta rimediata a Iconio, pareva aver appreso la lezione; aveva persino fornito ai tedeschi viveri, cavalli e muli purché lasciassero la capitale. Ma altra cosa erano le tribù nomadi turcomanne, che odiavano i crociati, e Völsung non poteva evitare di pensare a cosa sarebbe accaduto se l’armata crociata fosse stata sorpresa ammucchiata in quella trappola naturale.
Ma il vecchio sa quel che fa.
Un grido squarciò il manto cupo delle sue inquietudini.
– Völsung! Völsung di Xanten!
Un cavaliere, che sfoggiava la cotta d’arme con i colori della casata Hohenstaufen, si stava aprendo un varco nella folla di fanti e cavalieri accalcati, in attesa del proprio turno, per elemosinare al fiume un po’ di refrigerio.
Völsung strizzò gli occhi nel tentativo di carpirne l’identità. Proprio mentre lo stava osservando, l’uomo incespicò sui ciottoli e cascò a terra in un tintinnare di metallo e scrosci di risa.
Si rialzò, dando sfoggio di imperturbabilità, e ricominciò a dar fiato ai polmoni, indifferente alle ironie della truppa.
Giunto che fu a un tiro di sasso, Völsung lo riconobbe come Welfhard von Thoma, membro della guardia personale dell’imperatore.
– Welfhard, smettete di urlare. – ridacchiò. – Con questo caldo vi verrà un accidente. – Con ampi cenni delle mani, invitò il nuovo arrivato a rifiatare. Trascorsi alcuni secondi, scanditi dal saliscendi dei propri respiri affannati, l’uomo raddrizzò la schiena e si schiarì la voce.
– L’imperatore ha chiesto di voi.
Völsung arricciò con le dita i folti baffi color del grano e sorrise. La formalità del cavaliere era intrisa di un distacco tanto freddo quanto evidente. Welfhard, come gran parte degli uomini preposti alla guardia dell’imperatore, mal sopportava la preferenza che il sovrano accordava a quel cavaliere misterioso, lontano da ogni fazione ed estraneo ai giochi politici della corte.
– A quale proposito?
L’uomo si impettì, irritato.
– Sua Maestà Imperiale non è tenuta a mettermi al corrente delle sue ragioni.
Völsung scoppiò a ridere.
– Ci mancherebbe. Vorrà dire che glielo chiederò di persona. – Girò le spalle e si allontanò. Fatti pochi passi, lanciò un’ultima occhiata al cavaliere.
– E rilassatevi un po’, Welfhard, o finirete per spezzarvela quella povera schiena.
La grande tenda dell’imperatore sorgeva a un tiro di balestra dal fiume, sulla sommità di una collinetta bassa e spoglia. Le tende delle guardie e quelle dei nobili appartenenti alla cerchia più ristretta della corte la circondavano come le gemme di una corona.
Völsung risalì il pendio accompagnato dagli sguardi delle sentinelle, oscillanti tra fastidio e invidia. Quando scostò i pesanti lembi di tessuto che chiudevano l’ingresso del padiglione, una voce profonda lo accolse.
– Entra, Völsung, e chiudi bene i drappi dietro di te. Ciò che sto per dirti non è affare per orecchie indiscrete.
Il cavaliere si affrettò a obbedire.
A un passo dai settant’anni, l’imperatore del Sacro Romano Impero era ancora capace di atterrire al solo sguardo.
Völsung guardò la figura massiccia, seminascosta dalla penombra che si addensava nell’angolo più lontano della tenda. Negli occhi del gigante, sprofondato in uno scranno di legno, ardeva un fuoco feroce; tizzoni incastonati in una ragnatela di rughe spietate. L’età e le fatiche di un regno durato più di tre decadi non avevano fiaccato il suo spirito, né indebolito il suo corpo, come avevano appreso dolorosamente sul campo i turchi solo poche settimane prima. Che impugnasse lo scettro o la spada, Federico Barbarossa era un titano; tra gli amici e i nemici, erano ben pochi quelli che non lo considerassero già una leggenda.
L’imperatore si alzò e si avvicinò al tavolo posizionato al centro dell’alloggio.
Sul rozzo piano di legno era distesa una grande pergamena raffigurante i territori del Sacro Romano Impero, del Regno di Ungheria, dell’Impero Bizantino e dell’Asia Minore. Al margine più lontano della mappa, quasi un miraggio confuso, si intravedevano i confini della Siria e della tanto agognata Terrasanta. Dopo aver posato le dita su Ratisbona, da dove l’enorme esercito germanico aveva iniziato il suo pellegrinaggio in armi, Federico le trascinò sulla mappa soffermandosi, meditabondo, sui punti chiave di un’epopea senza precedenti: Vienna, Bratislava, Esztergom, Brenica, Niš… E poi Filippopoli, Adrianopoli, l’Ellesponto e Filadelfia, fino a Filomelion e Iconio, dove l’armata crucesignata aveva incontrato per due volte in battaglia i temibili selgiuchidi e inflitto loro altrettante, cocenti sconfitte.
Völsung ripercorse con la memoria le tappe di quel viaggio, finché l’emozione ebbe la meglio.
– Voi siete un grande condottiero, maestà! Il più grande. Nessuno avrebbe potuto percorrere una via del genere mantenendo unito l’esercito. Gerusalemme sarà il giusto premio per la vostra grandezza.
Le dita dell’imperatore si ritrassero, chiuse in un pugno.
– Io non vedrò la Città Santa, e i miei piedi non calpesteranno la terra su cui camminò Nostro Signore.
– Non dite così. È solo la stanchezza a parlare, qualche giorno di riposo e…
– Non cercare di imbonirmi, ragazzo! – tuonò Barbarossa.
Il cavaliere indietreggiò, sorpreso da quella rabbia repentina.
La voce del vecchio condottiero tornò ad addolcirsi.
– So quel che dico, Völsung. I sogni sono più sinceri degli uomini. E i miei sussurrano che il mio tempo è giunto alla fine.
Völsung impallidì a quel presagio di morte. Aprì la bocca per replicare ma Federico lo zittì con un gesto.
L’imperatore si allontanò dalla mappa e iniziò a camminare, le mani intrecciate dietro la schiena e il capo chino, gravato dal peso della sua stessa profezia.
– Negli ultimi giorni ho sognato la mia morte, ma non te ne parlerò, perché è bene che certe cose rimangano celate, riservate soltanto allo sguardo misericordioso del Salvatore. – Si interruppe, gli occhi vibranti come l’ala di un falco nel ghermire a mezz’aria lo sguardo incerto di Völsung. – La notte scorsa, però, mi ha portato in dono un sogno diverso; anch’esso di morte, ma non la mia. Ed eccomi tormentato da un incubo che mi insegue anche alla luce del giorno: la Cristianità potrebbe perdere non uno, ma due dei suoi campioni.
Il volto di Völsung divenne una maschera di sconcerto.
– Cosa avete visto? – balbettò.
– Tre leoni dorati in un mare in tempesta. Stavano raccolti, come pronti a balzare, e le loro zampe protese fendevano le onde della burrasca quasi fossero prue di uno sfrontato legno pirata! – L’imperatore unì i palmi delle mani e spinse le braccia in avanti, mimando il movimento, gli occhi sbarrati e persi nella visione riportata in vita dalla sua voce. – E poi è giunta l’oscurità. Cupa e impenetrabile, nera come il cuore di Caino, ha avvolto le fiere, le ha avviluppate in una morsa di tenebra, finché esse non sono scomparse alla mia vista. Tutto poi è divenuto buio e ha nascosto la superficie del mare.
Federico si fermò, il respiro che gonfiava e sgonfiava il suo ampio torace con un ritmo affannoso.
– Infine, quando credevo ormai che la visione fosse conclusa, la tenebra si è allontanata, sospinta verso oriente da una brezza invisibile. Solo allora ho visto il mare, rosso come il Nilo percosso dal bastone di Mosè, l’oro dei tre leoni dissolto in un mare di sangue.
Völsung tacque, gli occhi puntati sul volto del suo signore.
– Parla ragazzo! Fa caldo qui, ma non abbastanza per seccare una lingua svelta come la tua.
– Voi avete difeso la croce per tutta la vita,