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Le fanciulle assassine
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E-book160 pagine2 ore

Le fanciulle assassine

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Storico - romanzo (119 pagine) - Una fanciulla ha scontato sul rogo l’assassinio dell’inquisitore. Tutto secondo giustizia, eppure qualcosa non torna. Occorrerà arrivare fino al cuore della Bosnia, sconvolta dalle eresie, nel castello di una Contessa bella e terribile, per risolvere l’enigma.


Terra di Lombardia, Anno Domini 1236. Il Cavaliere Federico e l’amico Bertoldo assistono al rogo di una giovane eretica, colpevole di avere sgozzato a tradimento l’Inquisitore. Nel colloquio con i due, l’amico Adalberto, il nuovo inquisitore, rivela come avesse cercato di salvare almeno l’anima della giovane, sforzandosi di comprendere le ragioni del suo folle gesto. Ma invano. L’indagine, condotta assieme a Guido, feudatario decaduto esperto di famiglie nobili, porta alla scoperta di una spaventosa verità. A ogni modo, gli indizi raccolti conducono all’estremo confine del Regno d’Ungheria, là dove contrasti politici e torbide eresie nascono e si diffondono a macchia d’olio in tutta Europa, e dove sorge il castello di Valnedra, l’imprendibile fortezza di Viviana, Contessa rinomata per cultura, ricchezza e fascino. Qual è il suo ruolo nella faccenda? E quello del monaco pazzo Demetrio? E cosa c’entra Matelda, giovane sorella della condannata?


Nato a Vicenza nel 1953, Alberto Costantini da sempre vive a Montagnana (Padova). Laureato in lettere antiche con tesi in storia greca, è stato docente nei Licei fino al 2016. La sua produzione si suddivide fra la fantascienza, il romanzo storico e la ricerca storica. Tra le opere edite, ricordiamo i romanzi storici di ambientazione romana A ovest di Thule; La donna del tribuno, Donne ai confini dell’Impero, La schiava dei libri, L’ultima amazzone, Attila il principe delle locuste, Le quattro morti di Postumia Sabina, editi da Gilgamesh; la serie storica “veneta” con Lo stradiotto, Sotto l’aquila bicipite, I Figli del Leone pubblicati dai F.lli Corradin. Tra le opere di fantascienza e weird: Terre accanto e Stella cadente apparsi nella collana Urania, vincitori entrambi del Premio Urania, Gli eredi del tempo, edito dai F.lli Corradin, Le astronavi di Cesare, L’undicesima persecuzione e La guerra dei Multimondi, Gilgamesh edizioni, L’Eresia del Multiverso, L'Inquisizione di Padre Bertolt, gesuita, Ma Napoleone è morto ad Arcole? pubblicati da CS_libri. Per Delos Digital ha pubblicato numerosi racconti.

LinguaItaliano
Data di uscita23 gen 2024
ISBN9788825427585
Le fanciulle assassine

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    Anteprima del libro

    Le fanciulle assassine - Alberto Costantini

    Nota dell’autore

    Alcuni luoghi specifici di questa storia, benché inseriti in territori esistenti, sono di pura fantasia

    1.

    Anno Domini 1236

    – Hanno già cominciato?

    – No, deve ancora arrivare.

    – Meno male: ho l’Anselmuccio con la febbre, e fino all’ultimo momento ho rischiato di dovermene stare a casa. Per fortuna è ancora al mondo mia suocera; è sorda come una campana e pure rimbambita, ma un’occhiata al piccolo è ancora capace di dargliela.

    Mi chiedevo spesso se Lassù, quando sentivano discorsi del genere, non si tappavano gli orecchi. Per carità, la massima comprensione possibile per dei miserabili contadini che nell’arco della loro vita avrebbero visto sì e no tre, quattro avvenimenti degni di essere chiamati tali; però mi metteva a disagio tutta quell’agitazione solo per assistere alla penosa trasformazione di un essere umano vivo in un mucchietto di cenere tiepida. Ma in fondo, anche i nostri antenati Romani, che pure erano così civili e saggi, trovavano i loro momenti di sfogo nei giochi dei gladiatori e nell’esposizione dei condannati alle belve: chissà, forse l’esibizione franca e spudorata della brutalità aiuta a mantenere la pace e la coesione sociale all’interno delle città.

    – Si sa allora di chi si tratta? – chiesi a Federico, che tentava di non perdere contatto con me nel mare di folla.

    – È quello che ha scannato l’Inquisitore – rispose un tizio credendosi interpellato – dicono che sia una donna.

    Per quel poco che ricordavo dei miei lontani studi di diritto canonico, doveva essere stato un processo alquanto sommario; forse sin troppo rapido, si sarebbe detto, altrimenti la voce di quello spettacolo si sarebbe diffusa nel raggio di cento leghe, attirando tutti i curiosi, gli sfaccendati – e anche i ladruncoli – di Lombardia.

    L’inquisitore Pietro Orsino…

    Poveraccio: da come me ne scriveva Adalberto, era un uomo mite ed estremamente scrupoloso. E non era da invidiare neanche il nostro antico compagno di università, che si trovava a rimpiazzarlo in una circostanza così penosa. Purtroppo, non era il primo caso: Se si sapesse in giro quanti santi inquisitori vengono uccisi o subiscono gravi attentati ogni anno a opera degli eretici e dei loro complici soleva raccontarci forse la gente parlerebbe di noi con maggior rispetto.

    Un mormorio si levò dalla folla, e l’ondeggiare delle teste segnalò il passaggio del corteo. Niente da fare: ero troppo basso di statura per distinguere i vari elementi della processione, ma almeno la carretta della condannata, quella la potevo seguire distintamente, e quando la calca si aprì, sotto le energiche spinte dei soldati, ebbi la fortuna imprevista di trovarmi proprio in prima fila.

    La donna avviata al rogo aveva un’età indefinibile, ma più vicina ai sedici anni che ai venti. Certo, era pallida come un cencio lavato e aveva occhiaie nere e fonde da far spavento a un cadavere; eppure, nonostante le fossero stati tagliati i capelli, conservava ancora qualcosa del suo fascino femminile. La vidi, di spalle, mentre la facevano scendere dal carro, poi scomparve inghiottita dalla calca, per ricomparire di lì a poco sulla scaletta che portava al palco. Nonostante il brutale trattamento che doveva aver subito durante il processo, si muoveva ancora con eleganza; un’eleganza quasi connaturata, da aristocratica, si sarebbe detto.

    I sergenti, uomini di guerra più che di giustizia, mostravano qualche impaccio nell’assicurarla al palo con la lunga catena, ma lei pareva quasi volerli assecondare nell’operazione, o almeno, non mi riuscì di cogliere nella condannata neppure un gesto istintivo di ribellione. Rassegnata o impazzita; in entrambi i casi, si poteva dire che il peggio, per lei, era passato: l’ansia del processo, forse le torture, l’orrore notturno dell’ultima veglia in cella, l’umiliante tragitto fra la folla ingorda di sofferenza e di morte… se avevano preparato tutto a regola d’arte, sistemando dei buoni barili di olio o pece sotto le fascine, si sarebbe sprigionata una vampata accecante, poi più nulla. Ahi, brutto segno: anziché ricoprirla fino a metà gamba con la legna, le avevano lasciato liberi i piedi, e ciò avrebbe prolungato inutilmente l’agonia.

    Come al solito, gli individui incompetenti riescono a fare più danno di quelli feroci.

    – Io provo ad avvicinarmi – dissi a Federico, rimasto indietro di tre o quattro file, e con qualche gomitata e molti permesso, grazie, scusate, mi riuscì di arrivare proprio ai piedi del palco, dove un gruppo di confratelli della Buona Morte recitavano monocordi i salmi penitenziali.

    Ma la ragazza non pareva interessata a quelle preghiere, né aprì bocca quando il Cancelliere ebbe letto la sentenza. Il buon Adalberto non era presente, o almeno non riuscivo a distinguerlo fra i notabili: conoscendolo come lo conoscevo, avrebbe preferito segarsi di persona la mano destra con la sinistra, piuttosto che firmare la condanna a morte di un essere umano.

    Eppure, gli era toccato anche questo.

    Il momento era arrivato. Il sergente avvicinò la fiamma alla legna, ma questa, ancora bagnata dall’umidità della notte, faticava a prendere fuoco. In compenso, emetteva un fumo nero e pestilente che faceva tossire e lacrimare i presenti.

    Vedi mai che non riusciranno a gustarsi il loro spettacolo pensai perfidamente.

    Un frate, forse nel tentativo di strapparle un estremo atto di pentimento in punto di morte, si fece coraggio arrampicandosi sul tavolato e, scalando un mucchio di fascine ancora intatte dal fuoco, cercò di attirare l’attenzione della ragazza che gettava nervosamente gli occhi a destra e a manca, come se cercasse qualcuno tra la folla. Tra il crepitare delle fiamme e l’incipiente levarsi del fumo, notò finalmente il crocefisso e guardò in faccia il frate che lo reggeva.

    Quello che vidi mi fece rizzare i capelli; eppure, mi considero uno a cui si rizzano di rado e solo per ottimi motivi. La condannata sbarrò gli occhi enormi, di un azzurro profondo, e prese a scuotere la testa, urlando e dimenandosi così forte da far temere che potesse svellere il palo. Le mani, che erano rimaste immobili, strette a pugno mentre le prime faville lambivano la paglia, ora si agitavano, quasi volessero sciogliersi dalle catene che le imprigionavano. La gente della prima fila si ritrasse spaventata dallo spettacolo, anche se uno dei soldati vicino a me brontolò cinicamente che era ben da vedere che si sarebbe agitata, ora che il fuoco le carezzava il didietro. Il frate arrischiò ancora un tentativo di farle baciare il crocifisso, ma lei si dibatté ancora di più, e le grida si convertirono in una sequela di frasi sconnesse, di cui però fui sicuro di aver colto almeno la coda:

    – Ha urlato Giustizia di Dio!, vero? – chiesi al vicino.

    – Mi pare di sì – confermò l’uomo, un mercante, a giudicare dall’abito. – Poveretto quel frate, ha dovuto ritirarsi anche lui come gli altri, con la coda fra le gambe. Che Dio abbia pietà della sua anima.

    La donna pareva in preda a uno sconforto totale, che non avevo visto nemmeno nei più disperati fra i condannati. Poi pronunciò un nome.

    – Matelda, sorella mia!

    Avvicinandomi al rogo, tentai di carpire qualche altro brandello di parola, ma una provvidenziale fiammata scaturita da sotto i piedi, ormai anneriti e rigonfi di mostruose vesciche, incenerì in pochi istanti la sventurata.

    – Be’, almeno non ha penato troppo a morire – commentò una donnina facendosi il segno della croce.

    La gente sembrava non voler abbandonare il luogo dell’esecuzione, quasi che lo spettacolo non fosse stato del tutto soddisfacente. O forse, aleggiava tra gli astanti un sottile senso di colpa perché, quali che fossero stati i suoi torti e i suoi delitti, quel giorno una giovane ragazza era stata uccisa.

    Ma dove s’era cacciato Federico?

    Nella ressa della gente che gironzolava o che si avviava verso casa, sarebbe stato un problema ritrovarlo, quindi meglio tornare all’osteria.

    Non era la prima volta, ovviamente, che assistevo a un rogo di eretici; in Francia era uno spettacolo quasi quotidiano, e anche in terra di Lombardia, i vari albigesi, catari, patarini, pauperes, disseminavano errori e disordini come gramigna in un campo.

    I condannati, poi, li dividevo spicciativamente in due categorie: i fanatici che, con l’inferno lì ad attenderli, avevano ancora il coraggio di cantare e biascicare blasfeme preghiere in faccia ai frati, e i cacasotto, i quali letteralmente insozzavano il palco per la paura folle di morire. Certo però che un comportamento contraddittorio come quello della misteriosa ragazza non l’avevo mai visto. Chissà poi come si chiamava: avevo provato a chiederlo in giro, ma nessuno aveva saputo dirmelo; neppure nella sentenza si facevano nomi, e anche questo mi pareva strano, conoscendo gli scrupoli legalitari del nostro amico inquisitore.

    Federico si trovava già al tavolo, e stava mangiucchiando con palese disgusto ciccioli di maiale.

    – Ricordami di depennare anche questo postaccio dal nostro elenco – annunciò solennemente, appena mi fui seduto su di uno sgabello a fianco.

    – Come fai a essere già qui?

    – Ero finito nelle ultime file – disse vagamente.

    – Vuoi dire che ti sei perso lo spettacolo?

    Federico tracannò una tazza di vino e schioccò la lingua.

    – Non mi piace l’odore della carne umana arrostita – ammise con franchezza. – L’ho respirato troppe volte laggiù, in Terrasanta.

    Non insistetti. Chi ero io per giudicare la sensibilità di un uomo che si era fatto sette anni di guerre in Oriente? A suo tempo, le avevo provate tutte per dissuaderlo dal partire, ma sembrava che un fuoco lo avvampasse, un fuoco ardente di fede e sacrificio. Ne era tornato sconvolto, al punto che per mesi non era riuscito a pronunciare parola, cambiato di dentro e persino nel suo aspetto esteriore, con quell’ombra di tristezza nello sguardo che non l’aveva più abbandonato.

    – Comunque – riprese – ho ugualmente assistito a una scena interessante: uno dei fratelli della Buona Morte che si liberava del suo saio. Doveva essere un laico, perché aveva una bella zazzera bionda.

    – Davvero? – chiesi guardandolo di sottecchi.

    – Io, caro Bertoldo, non scherzo mai. Sai cosa ho pensato?

    – Che sia rimasto anche lui nauseato dallo spettacolo?

    – Be’, perché no?

    – Perché, se si scandalizza per così poco, ha sbagliato secolo: doveva nascere nella favolosa Età dell’Oro, quando ognuno faceva quello che gli andava, nessuno serviva nessuno, e tutti erano felici. Purtroppo, finché ci saranno delitti, ci saranno esecuzioni. Meglio che vada a riprenderselo, quel saio.

    – Sarà difficile, visto che l’ha bruciato.

    Questa volta fui io a rimanere a bocca mezzo aperta. Gettare alle ortiche la tonaca era un atto forte, ma aveva un senso; darle fuoco era un gesto molto più grave.

    L’atto mi fece tornare alla mente la sconvolgente morte della ragazza:

    – Non è che per caso quel tipo aveva con sé anche un crocifisso, col manico lungo? – chiesi inseguendo nella mia mente una misteriosa connessione.

    Federico scosse il capo.

    – No, ma a terra ho trovato dei pezzi di legno; li aveva disposti sopra l’abito, perché il fuoco si appiccasse meglio.

    – Accidenti – mormorai – proprio una crisi di quelle dure…

    2.

    Il mattino dopo, la morte della sventurata ragazza costituiva ancora il tema principale delle chiacchiere di tutte le donnette che si recavano al mercato e degli sfaccendati che oziavano nella via. E non c’era nessuno, neppure il più incallito vizioso, che non si sentisse accapponare la pelle al racconto di quell’esplicito rifiuto della misericordia di Dio, e proprio in punto di morte.

    – Chissà chi era il misterioso frate…

    – Non lo so, ma la faccenda mi puzza – dissi subito dandogli corda.

    – Ehi, un momento – mi fermò Federico. – Ti ricordo che siamo qui di passaggio,

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