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FC Mezzi 1-10
FC Mezzi 1-10
FC Mezzi 1-10
E-book439 pagine5 ore

FC Mezzi 1-10

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Info su questo ebook

I ragazzi del FC Mezzi sono davvero affiatati, sia sul campo, sia a scuola, che nella vita privata. Il vero punto di forza di questa squadra consiste nella presenza di ragazze nella formazione, Ursula, Anna, e, in seguito, Violet. Il capitano del FC Mezzi è Marco, fan sfegatato del Barcellona e del suo giocatore Messi e migliore amico di Nicola e Luca.La carriera calcistica di Marco è in procinto di spiccare il volo. La sua bravura viene riconosciuta e viene ammesso agli allenamenti speciali del Belleno, che però non gli consentono di dedicarsi a tempo pieno al FC Mezzi, squadra a cui è ormai profondamente legato. Questa serie di libri per ragazzi racconta l'entusiasmo di giovani calciatori alle prese con le loro ambizioni, con i primi amori e con la volontà di realizzare i propri sogni in ogni ambito della vita.-
LinguaItaliano
Data di uscita23 lug 2021
ISBN9788726774221
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    Anteprima del libro

    FC Mezzi 1-10 - Daniel Zimakoff

    FC Mezzi 1-10

    Translated by Louise Nørgaard Hansen

    Original title: FC Mezzi 1-10

    Original language: Danish

    Copyright © 2016, 2021 Daniel Zimakoff and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788726774221

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga Egmont - a part of Egmont, www.egmont.com

    FC Mezzi 1 - La rottura

    Marco:

    Adora il calcio, viene prima di ogni altra cosa. È bravo ad analizzare il gioco, è veloce ed è nato per correre. Non gli piacciono i contrasti violenti. Sogna di giocare professionalmente nel Barcellona  come Messi.

    Nicola:

    Si allena spesso in giardino, ed ha un sinistro potente. È sempre ottimista e di buona compagnia. È forte, pieno di energia, ed è il fratello minore del campione Kevin.

    Luca:

    Ottimo portiere. Para la maggior parte dei tiri in porta. Sa tutto sul calcio, conosce tutte le squadre e le loro tattiche. Il suo unico problema è che odia correre e perde facilmente il fiato.

    Capitolo 1

    Eravamo sotto di un gol, e giocavamo sette contro otto. Dovevamo intensificare la difesa e sperare di poter passare all’attacco. Mi coprii gli occhi dal sole primaverile con la mano. Il nostro portiere, Luca, aveva il sole direttamente negli occhi. Il campo era morbido e irregolare, il che richiedeva una buona tecnica.

    Simone non riusciva a controllare la palla, così la intercettai nella fascia centrale del campo. La palleggiai avanti e indietro con il mio amico Nicola, fino a rimanere da solo di fronte al portiere della prima categoria. Lui si avvicinò, io feci una finta, scartai a destra e mandai il pallone direttamente in porta.

    Grande, Marco! gridò Nicola. Luca e Nicola erano i miei migliori amici, e facevano parte tutti e tre della seconda categoria.

    Bravi!, gridò Stefano, l’allenatore della prima e della seconda categoria.

    Avevamo pareggiato, ma eravamo ancora sotto pressione. Stefano aveva fatto le squadre in modo davvero ingiusto. Aveva messo insieme tutti gli otto giocatori migliori, contro gli altri sette.

    Che squadra del cavolo, borbottò Nicola. Tra un po’ c’è la partita, disse Stefano. La prima categoria deve allenarsi a giocare insieme.

    "Bello... per loro", disse Luca, il nostro portiere.

    Perché devono essere in otto? chiesi. Hanno bisogno di un po’ di fiducia in loro stessi, rispose Stefano ridendo.

    Facemmo barriera davanti a Luca, e la squadra di otto giocatori non fu in grado di segnare. Luca si prese cura delle palle che riuscivano a passare, ed io cercavo di trovare un modo per andare dall’altra parte. Anche se un pareggio sarebbe stata una vittoria, essendo solo in sette, volevo vincere.

    Federico dirigeva la sua categoria, la prima.

    Era il figlio dell’allenatore, e secondo lui, era un campione. Ora era arrabbiato perché non riusciva a battere noi, la seconda categoria.

    Questa volta era Matteo che aveva problemi con il campo irregolare. Intercettai la palla. Nicola corse a sinistra. Gliela tirai bassa, in modo che la potesse prendere correndo, e poi scattai davanti alla porta. Nicola tirò con il sinistro, e la intercettai con la fronte, poco lontano dalla porta.

    Di solito esitavo a fare il colpo di testa, ma questa volta chiusi gli occhi e tentai di mandarla diretta sotto la traversa. Mi immaginavo di segnare, e di sentire il pubblico gioire, ma improvvisamente mi trovai in mezzo a due difensori, Federico e Andrea, che cercavano entrambi di ostacolarmi, e caddi a terra.

    Accidenti, che male. Mi vennero le lacrime agli occhi. Dovetti lasciar tirare il calcio di rigore a Nicola, ma... invece di fischiare per tirare, Stefano li lasciò continuare a giocare!

    Era calcio di rigore per Marco! gridò Nicola.

    Ci dobbiamo abituare al gioco duro, disse Stefano.

    Federico si arrabbiò con Matteo, perché mi aveva lasciato prendere la palla.

    Mi rialzai e zoppicai all’indietro.

    Non sembravo avere niente di rotto, ma mi facevano male il petto e una spalla.

    Prima che riuscissi a rientrare, la prima categoria fece gol.

    Ora avevano due giocatori in più di noi.

    Stefano fischiò la fine della partita. Andrea e Federico batterono il cinque, soddisfatti. Avevano vinto 2-1.

    Stefano mi raggiunse.

    Tutto bene, Marco?

    Annuii.

    Ok. Avete giocato bene. Tu e Nicola siete stati piuttosto bravi. Ci vediamo mercoledì.

    Mi diede una pacca sulla spalla dolorante.

    Capitolo 2

    Tirai il freno a mano, in modo che la mountain bike scivolasse per l’ultimo pezzo di strada fino al cancello, evitando in quel modo di dover mettere i piedi per terra.

    Nicola era in giardino e si stava allenando a tirare in porta. Indossava la maglia del Barcellona. Il pallone si trovava sul marchio, esattamente a sette metri dalla porta. Lo avevo aiutato a misurare. Nicola ed io avevamo costruito la figura del portiere, Lind, con una tavola di legno. Il nome Lind derivava da Anders Lindegaard, il portiere del Manchester United.

    Una piccola rincorsa. Bam! Il pallone passò a sinistra di Lind, che non aveva nessuna possibilità di parare. Nicola aveva veramente un sinistro potente.

    Applaudii.

    Ciao Marco, arrivo subito. Nicola saltò in bicicletta, con la sacca del Milan fissata sul portapacchi.

    Pedalammo sei chilometri e mezzo, da Pesino a Valesino, dove dovevamo fare l’allenamento. La primavera era arrivata.

    Pensi che un giorno passeremo alla prima categoria? chiese Nicola.

    Forse la prossima stagione.

    Lo spero.

    Sì, sarebbe veramente bello. Avevo raccontato a Nicola che Stefano ci aveva fatto i complimenti. Mi immaginavo la mia futura carriera da giocatore di prima categoria, giocatore della nazionale e giocatore professionista nel Barcellona, il più giovane nella storia del calcio. Pedalammo attraverso Ciseno, oltrepassando il mulino e la casa rotonda che era in vendita da cinque anni. Ci fermammo davanti alla casa di Luca, che era l’ultima casa del paese. Frequentavamo tutti e tre la quarta elementare, nella scuola locale di Pesino.

    Luca sapeva tutto del calcio. Conosceva tutte le squadre e tutti i giocatori in Inghilterra, Germania, Olanda e Spagna. Era bravo a giocare a calcio, ma era un po’ sovrappeso e non aveva molta voglia di allenarsi.

    Fummo costretti a pedalare molto velocemente per non arrivare in ritardo, avendo dovuto aspettare Luca per quattro minuti.

    Giusto in tempo, ragazzi, disse Stefano. Cominciamo con un po’ di corsa.

    Luca sbuffò.

    Nove o dieci giocatori dovevano prendere parte a una partita, ed essendo solo in 17, non eravamo in tanti per fare due squadre da sette. Probabilmente se ne sarebbero aggiunti degli altri, con l’arrivo della bella stagione.

    Nicola ed io eravamo i migliori a correre e quelli più in forma. Sicuramente perché andavamo spesso in bicicletta e perché giocavamo a calcio sia a scuola che a casa. Luca arrivò per ultimo, rosso in faccia e molto affannato.

    Adoro giocare a calcio, ma odio correre, disse Luca.

    Dopo il riscaldamento, ci esercitammo a fare dei precisi passaggi interni, in tre postazioni diverse. Io ero stato piazzato con due giocatori della prima categoria, Federico e Andrea. Era un segno? Tiravano più forte del necessario. Nicola e Luca si trovavano in un’altra postazione.

    Non così forte, Federico! gridò Stefano, il papà di Federico. Devi usare la testa, disse battendosi le dita sulla tempia.

    Allora, ci alleniamo a fare il tiro di testa? domandò Federico.

    Gli altri si misero a ridere. Risi anch’io, perché non volevo creare problemi tra me e Federico, essendo lui il capitano della prima categoria. Andrea e Federico avevano scherzato troppo, e per punizione dovemmo tutti fare 20 flessioni.

    Andrea frequentava la nostra classe, mentre Federico e gli altri frequentavano la scuola a Valesino. Anche noi saremmo andati a scuola a Valesino, alle medie.

    Dopo l’allenamento, Stefano ci disse chi doveva giocare il fine settimana, e in quale squadra. Per prima cosa elencò i giocatori della prima categoria. Io ascoltavo attentamente, nonostante non avessi grandi speranze di far parte della prima categoria, ma poi... al numero 7 venne chiamato il nome di Nicola. Nicola mi guardò, sorpreso e felice. Buon per lui...

    E Paolo è il numero 8, disse Stefano, e il numero 9 è Marco.

    Forte! Nicola mi fece l’occhiolino. Avremmo fatto parte della prima categoria. In effetti avevamo partecipato a tutti gli allenamenti, tutto l’inverno, nonostante ci fosse stata la neve e il ghiaccio sul campo.

    Matteo e Simone fanno una stagione in seconda categoria, ma le cose possono cambiare.

    Matteo si limitò ad annuire, mentre Simone gettò le scarpe in borsa. Luca sarebbe dovuto continuare in seconda categoria, ed era visibilmente deluso.

    Dopo essere arrivati a Ciseno ed avere salutato Luca, potemmo finalmente gioire. Evviva! Eravamo passati alla prima categoria!

    È fantastico, disse Nicola. Non vedo l’ora di dirlo a Kevin.

    Ti capisco.

    Kevin era il fratello maggiore di Nicola, ed era molto bravo a giocare a calcio. Tutti lo chiamavano Kevin, nonostante fosse il suo secondo nome. Aveva 19 anni e giocava da senior. Aveva fatto parte della prima categoria del FCV, il FC Valesino, fino all’anno scorso, quando aveva subito un infortunio al ginocchio, a causa di un contrasto ingiusto. Nicola aveva visto la partita, e ne aveva parlato molto. Kevin non giocava più a calcio ad alto livello. Avrebbe potuto fare parte della nazionale, ma purtroppo quel sogno fu distrutto a causa di un maledetto tackle.

    Speriamo che Federico non diventi troppo fastidioso, se si fa un errore e si manca un gol, dissi.

    Non pensarci. Federico crede di essere l’eroe della squadra, solo perché è il figlio dell’allenatore.

    Hai ragione. Pensa che Stefano non mi ha concesso nemmeno il calcio di rigore, l’ultima volta.

    Non pensarci. Come dice sempre Kevin, la cosa più importante è credere in noi stessi, disse Nicola suonando il campanello della bicicletta.

    Sull’ultimo tratto di strada verso casa, pedalai velocissimo. Nicola era sempre ottimista e di ottima compagnia. Mi sarebbe piaciuto essere un po’ più come lui. Cominciai di nuovo ad immaginarmi la mia grande carriera, e prima di entrare dal cancello di casa feci giusto in tempo a segnare una tripletta in una partita dei Mondiali.

    Entrando dalla porta di casa, sentii un buon profumo di pollo.

    Ciao, Marco! gridò mio papà dalla cucina.

    Fai la doccia e poi la cena è pronta. Ricordati di gettare i vestiti sporchi nel cesto.

    A cena gli avrei raccontato delle selezioni.

    Capitolo 3

    Nicola ed io andammo alla partita insieme. Ci dovevamo trovare un’ora prima dell’inizio della partita. Fummo i primi ad arrivare, essendo giunti in anticipo. Piovigginava, e il sentiero era un po’ scivoloso. Nonostante ciò, Nicola pedalava senza mani, e stava per ribaltarsi. Come me, era molto emozionato. Avevo paura di fare qualcosa di stupido e di fare errori... e forse costare la vittoria nella mia prima partita per la prima categoria.

    Luca e la seconda categoria avevano giocato il giorno prima, ed avevano vinto. Luca aveva detto che forse sarebbe venuto a vedere la nostra partita.

    Speriamo che non piova troppo quando è ora di giocare, dissi.

    Le previsioni dicono che ci sarà il sole, disse Nicola. Un po’ di acqua fa bene al campo.

    Annuii. Al Camp Nou a Barcellona il campo veniva sempre innaffiato prima di una partita. In quel modo il pallone scivolava più velocemente, creando un vantaggio per i giocatori con una buona tecnica. Speravo di giocare bene. Probabilmente sarebbe venuta a vederci tutta la mia famiglia, mio papà e mia mamma, e forse mia sorella maggiore. Aveva detto che se avesse fatto bel tempo avrebbe potuto sfoggiare i suoi occhiali da sole nuovi.

    Gli altri arrivarono alla spicciolata. Parlavano di una partita che avevano visto in televisione sabato sera. Il Barcellona aveva vinto alla grande contro una squadra di bassa classifica. Messi aveva segnato tre volte. Uffa. A casa mia non avevamo quel canale, per cui non avevo potuto vedere la partita. Mio papà non era particolarmente appassionato di sport. A volte andavo a casa di Luca, che aveva tutti i canali.

    Stefano arrivò esattamente un’ora prima dell’inizio della partita, e ci fece entrare nello spogliatoio.

    Siete pronti ragazzi? Avete dormito bene?

    Non abbastanza, rispose Andrea.

    Ah, non sei una persona mattutina, Andrea. Allora non devi vedere l’ora di giocare da senior. Da senior si gioca sempre di sera, come quelli della Serie A.

    Fino a tardi come loro, ma forse non bene come loro, disse Nicola. Gli altri risero.

    Stefano prese le divise. Magliette, pantaloncini e calzini gialli. Come i colori del Chievo Verona. Le magliette avevano delle strisce bianche e i numeri scritti sulla schiena. Presi una maglietta.

    No! La numero 10 è mia, disse Federico strappandomi la maglia di mano.

    Era il numero di Messi, il mio giocatore preferito, il giocatore più bravo del mondo. Ovviamente Federico la voleva.

    Ok. Presi la maglietta numero 9, ma era quella di Andrea. Avevano tutti il proprio numero?

    È meglio che prendi la numero 2 o la 6, disse Stefano. Quelle non sono di nessuno.

    Ok, dissi prendendo la numero 6.

    La numero 6, buona scelta, disse Stefano. È il mio numero.

    Bene, disse Nicola. La numero 2, Daniel Alves. È come me. Veloce, forte al dribbling e con un tiro potente. Gioca con la numero 2, e vedrai che magia, disse.

    Stefano ci zittì. Voleva presentarci la formazione di partenza e parlare un po’ di tecnica, prima di entrare in campo. Era possibile essere in dieci, con tre riserve, ma Stefano preferiva essere in nove, per evitare troppo avanti e indietro, disse ridendo.

    Come previsto, Nicola ed io dovevamo cominciare in panchina. Era la prima volta, ma non era un problema. Era la nostra prima partita con la squadra, e c’è sempre qualcuno che deve cominciare in panchina.

    Dobbiamo giocare contro l’Angelara, disse Stefano. Come sicuramente ricorderete dall’anno scorso, non sono esattamente degli angeli.

    Non ci eravamo dimenticati.

    Sono violenti, continuò Stefano.

    Usano tutto il corpo, e non sarà un problema...

    Esattamente, disse Andrea. Facciamo vedere di cosa siamo fatti. Niente gioco da femminucce. Mi guardò ridendo.

    E niente di stupido, Andrea, disse Stefano.

    Andrea aveva l’abitudine di essere piuttosto violento, in campo. Io preferivo non fare parte dei contrasti violenti. Forse era per quello che Andrea mi aveva guardato ridendo?

    Alla fine li abbiamo sconfitti, disse Federico.

    Esatto. E li batteremo ancora. L’importante è che vi ricordiate di giocare uniti e a tutto campo.

    Stefano continuava a parlare di tattica, ma io non lo ascoltavo, dovendo cominciare in panchina.

    Ragazzi, andiamo a fare il riscaldamento. La partita comincia tra 28 minuti.

    Capitolo 4

    La partita stava per cominciare. Il sole splendeva da un cielo quasi limpido, tempo ideale per portare gli occhiali da sole.

    Il campo era verde, e bagnato al punto giusto.

    Tutta la mia famiglia era pronta. Giulia con gli occhiali da sole, e mio papà con il caffè. C’era anche Kevin, il fratello di Nicola. I miei genitori fecero cenno per salutarmi, ma io feci finta di niente, e mi piazzai sulla linea laterale opposta, vicino a Nicola e Stefano. Nicola ed io indossavamo la maglia della tuta. Cominciai a raccogliere i nostri palloni in rete.

    Il profumo di pelle e di erba, e un pizzico di terra... ah, meraviglioso!

    Ci radunammo per il grido di battaglia.

    Cosa conta? Cosa conta...? Vittoria, vittoria, vittoria!

    Gridammo vittoria così forte, che l’Angelara ci poteva sentire e prendere paura.

    Fu una partita dura e alla pari, con un paio di buone possibilità di segnare. Federico dribblò passando tre avversari, raggiungendo la porta completamente libero, ma mancò, mandando la palla sopra la traversa. L’Angelara giocava piuttosto violentemente. L’arbitro prese da parte uno di loro, avvertendolo del fatto che alla prossima l’avrebbe fatto uscire. Anche Andrea giocava duramente, ma entro il limite.

    Nicola ed io passammo tutto il primo tempo in panchina. Avremmo sicuramente giocato tutto il secondo tempo.

    Durante l’intervallo Stefano ci radunò tutti, tranne il portiere. Bevemmo dell’acqua. Nicola ed io eravamo rossi in faccia.

    State giocando bene, ragazzi. Siete forti in difesa, lasciando poche possibilità agli avversari. Ricordatevi di non lasciare che vi spingano. Usate la spalla!

    Sono piuttosto aggressivi, disse Federico. In molti eravamo d’accordo.

    È vero, ma questo lo sapevamo, disse Stefano.

    Forse uno di loro verrà mandato fuori campo nel secondo tempo. Dobbiamo essere pazienti. Sono sicuro che avremo la possibilità di segnare. Se per esempio fate un tiro lungo a Federico, che poi segna, potremo mantenere il vantaggio, 1-0, per il resto della partita. Nicola sostituisce Giacomo come centrocampista sinistro... Stefano mi guardò brevemente e disse: Giocherai anche tu, Marco... tra poco.

    L’arbitro fischiò l’inizio del secondo tempo. Prima di correre in campo, Nicola mi diede una pacca sulla spalla.

    Forza e coraggio, dissi evitando di guardare il pubblico, che sicuramente si domandava perché non entravo in campo.

    Nicola giocava bene. Dribblava solo il minimo indispensabile, riuscendo a liberare Federico, dopo solo un quarto d’ora. Federico tirò forte. Un tiro basso, ma giusto in mezzo alla porta. Il portiere uscì e la parò.

    Bravo, Nicola! gridò Stefano.

    Forza, Federico.

    Cominciai a prepararmi, pensando che tra poco sarebbe toccato a me. Dovevamo giocare due tempi da mezz’ora ciascuno, e mancavano solo 15 minuti alla fine.

    Due minuti, Marco, disse Stefano senza togliere gli occhi dal pallone.

    All’improvviso l’arbitro fischiò indicando Andrea. Purtroppo Andrea aveva fatto una brutta infrazione sull’attaccante più veloce dell’Angelara, e dovette uscire di campo per cinque minuti. Stefano imprecò a bassa voce. Disse che ora non se la sentiva di mandarmi in campo, non ora che eravamo in inferiorità numerica.

    Ma la partita è quasi finita, borbottai, ma Stefano non mi sentì. Stava gridando di fare barriera, dato che l’Angelara doveva battere il calcio di punizione proprio fuori l’area di rigore.

    Tre in barriera, gridò, e uno ad ogni palo!

    Il giocatore più forte dell’Angelara prese la rincorsa, fingendo di fare un tiro forte. Invece la passò ad un compagno libero, a destra della barriera, che la mandò in porta, direttamente in mezzo alle gambe del portiere.

    Accidenti! gridò Stefano. E poco dopo disse: Forza, ragazzi.

    Era ora di passare all’attacco, nonostante fossimo in minoranza. L’Angelara intensificò la difesa, e quando Andrea tornò in campo, erano ancora in vantaggio, 1-0.

    Finalmente toccò a me. Sentivo qualcuno battere le mani, sicuramente i miei genitori. Mancavano dieci minuti alla fine. Giocai abbastanza bene. Ebbi una possibilità di segnare grazie ad un passaggio di Nicola, ma mancai.

    Avevamo perso la partita, sotto di un gol.

    Dopo aver dato la mano all’arbitro e salutato gli avversari, Stefano ci radunò sull’erba. Avevo una brutta sensazione nello stomaco, come quando si è veramente arrabbiati. Perché mi aveva fatto giocare solo nove minuti? Cosa pensava Stefano? Che non ero abbastanza bravo?

    Stefano parlava di tutto quello che avevamo fatto bene, ma soprattutto di quello che avremmo potuto fare meglio. Non gli prestai attenzione. Quando ebbe finito di parlare ed era ora di tornare alla sede, Luca mi raggiunse.

    Bel tiro che hai fatto verso la fine. Era quasi gol.

    Avrei dovuto segnare.

    Segnerai la prossima volta... Hai la maglia numero 6, la maglia di Xavi, il giocatore più importante del Barcellona. Dopo Messi, naturalmente.

    Mio papà ci raggiunse.

    Bravo, Marco. Nonostante tu non abbia avuto molto tempo sul campo. Lo disse così forte che Stefano lo poteva sentire.

    Luca ed io ci guardammo. Sperai che il papà non mi mettesse in imbarazzo, lo conoscevo bene. Era arrabbiato perché aveva passato tutta la domenica mattina a vedere una partita, dove io avevo giocato solo nove minuti.

    Stefano ci raggiunse.

    Ebbene, si tratta di una sola partita... Marco è nuovo in squadra, e non ho osato...

    La prossima volta comincia in campo, vero? domandò mio papà.

    Non posso promettere nulla. È la partita contro il Monti, la squadra favorita per la vittoria.

    L’allenatore della squadra avversaria si avvicinò a Stefano per salutarlo. Salutai Luca e mi portai via il papà.

    Non ti devi intromettere, ringhiai a bassa voce. Torno a casa in bicicletta.

    Raggiunsi gli altri nello spogliatoio per fare la doccia, nonostante non fossi per niente sudato.

    Capitolo 5

    Nicola ed io cominciammo la partita contro il Monti di nuovo in panchina. Dopo l’ultima partita ero arrabbiatissimo, e tornando a casa ne avevo parlato con Nicola e Luca.

    Luca voleva tornare a casa con noi, e ci aveva aspettato mentre ci cambiavamo. Anche secondo lui era ingiusto il fatto che avessi giocato solo nove minuti.

    Nicola era d’accordo. Tutti dovevano avere la possibilità di giocare almeno uno dei due tempi.

    Dissi che se le cose non fossero migliorate nella prossima partita, avrei lasciato la squadra. Lo dissi solo perché ero arrabbiato. Gli altri lo sapevano, e non dissero nulla.

    Domenica sera, quando fu ora di dormire, mia mamma mi chiese con cautela come stessi e se mi piaceva far parte della prima categoria. Non le risposi, e così mi disse che tutte le cose nuove sono difficili all’inizio.

    Mio papà non aveva detto nulla, probabilmente perché gli avevo chiesto di non intromettersi.

    Arrivò il giorno della partita contro il Monti, un’altra partita dura e alla pari. Vincemmo il sorteggio, e a causa del vento, decidemmo di cominciare con il vento alle spalle.

    All’intervallo il punteggio era 1-1. Questa volta avevo detto alla mia famiglia di non venire a vederci, e mio papà era sembrato piuttosto sollevato. Luca e Kevin erano venuti. Kevin indossava la sciarpa del Barcellona, come sempre.

    Tenete la palla bassa, ragazzi. Adesso giochiamo controvento, ed è necessario tirare forte! Durante l’intervallo, Stefano non fece nessuna sostituzione, nonostante Andrea fosse un po’ malandato, e in tanti fossero visibilmente stanchi.

    Nicola ed io aspettammo a lungo.

    Credi che si sia dimenticato di noi? borbottai. Pare di sì, sussurrò Nicola.

    Finalmente Stefano disse a Nicola di togliersi la maglia della tuta. Mancava un quarto d’ora alla fine della partita, e il punteggio era ancora 1-1. Andrea fu sostituito da Nicola, che corse in campo, dopo avermi fatto un cenno con il capo.

    Voltai le spalle e diedi un calcio a un fiore nell’erba. Tremavo dappertutto.

    Aveva intenzione di non lasciarmi giocare? Era la mia punizione perché mio papà si era intromesso?

    Guardai l’orologio, mancavano 10 minuti alla fine. Finalmente Stefano mi chiamò.

    Sei pronto, Marco? Prendi il posto di Massimo, sull’ala sinistra.

    Di già? La partita è quasi finita, dissi con voce tremante.

    È così che funziona. Vogliamo vincere, o no?

    Dici che non possiamo vincere se gioco io?

    Sì, ma... Tira, Federico! Maledizione... Arbitro, calcio di punizione! Stefano era talmente immerso nella partita, che si dimenticò della sostituzione.

    Dopo parecchi minuti chiamò l’arbitro per fare la sostituzione.

    Fu in quel momento che qualcosa di forte si impossessò di me.

    Non mi tolsi la maglia della tuta.

    "Non importa. Non voglio farvi perdere", dissi enfatizzando la parola farvi.

    Ma dai, Marco. Su, togliti la maglia.

    Massimo uscì dal campo e si gettò per terra.

    L’arbitro mi stava aspettando per poter continuare la partita, ma io non mi tolsi la maglia.

    Posso giocare io al suo posto, disse Andrea.

    Stefano mi afferrò con forza il braccio.

    Ne parliamo dopo. Marco, togliti la maglia ed entra in campo. Andrea è ferito e la squadra ha bisogno di te.

    Mi liberai, gli voltai le spalle e me ne andai. Tornai in sede, con le lacrime che mi scendevano sulle guance.

    Gettai la divisa per terra e mi vestii. Tornai a casa in bicicletta, pedalando violentemente, evitando il campo. Imprecando e piangendo allo stesso tempo.

    Capitolo 6

    Quando arrivai a casa, non riuscii a passare inosservato perché mia mamma era in giardino. Le passai vicino con la bicicletta. Perché sei a casa così presto, Marco? chiese con lo sguardo accigliato.

    Perché lo sono, risposi. Tentai di parcheggiare la bicicletta con il cavalletto, ma finì con il cadere per terra perché non l’avevo fissata adeguatamente. Lasciai la bicicletta per terra, imprecando.

    C’è qualcosa che non va? chiese mia mamma.

    Cercai di non piangere, ma non riuscii a trattenere le lacrime. Andai in camera, sbattendo la porta.

    Poco dopo i miei genitori vennero in camera e riuscirono a farmi raccontare quello che era successo.

    Te ne sei andato durante la partita, disse mia mamma.

    Mancavano solo cinque minuti, risposi.

    Sì, ma...

    Lo so, non ci si comporta così, ma... Mi fermai. Mi avrebbero etichettato come un brutto compagno di squadra?

    Ti capisco, disse mio papà. Non è giusto giocare così poco. Non è la Serie A. Avrei dovuto parlare un po’ di più con Stefano, l’altro giorno.

    Fai ancora in tempo, disse mia mamma. Eventualmente con Marco...

    Non importa, dissi interrompendola. Non voglio più giocare per quella squadra.

    Ma adori giocare a calcio, disse mia mamma. Allora cosa fai?

    Non lo so.

    È un peccato che non abbiamo una squadra di calcio qui in paese, disse mio papà. Probabilmente non ci sono abbastanza giocatori.

    Suonò il campanello, e mio papà andò ad aprire. Erano Nicola e Luca, che di solito entravano senza suonare.

    Ciao, Marco, dissero all’unisono, con delle strane voci.

    Feci un cenno con il capo, e i miei genitori ci lasciarono da soli. Li guardai... Stavano per dirmi che ero stato uno stupido?

    Stefano è ingiusto, disse Luca. Anch’io me ne sarei andato.

    Feci un sospiro di sollievo e guardai Nicola. Era d’accordo con Luca? Nicola annuì.

    Cinque minuti, disse sbuffando. È ridicolo. In seconda categoria si gioca sempre almeno un tempo.

    Come è finita la partita? domandai.

    Abbiamo perso, sotto di 2 gol. Così Stefano impara. Se noi due avessimo giocato tutto il secondo tempo, avremmo vinto di sicuro.

    Sicuramente, disse Luca. Andrea non poteva correre perché era ferito, e in tanti erano molto stanchi.

    Era ovvio che ne avevano parlato venendo a casa mia.

    Non voglio più giocare per quella squadra, dissi.

    Sei sicuro? mi chiese Nicola guardandomi. Perché se tu non giochi, non gioco neanch’io.

    Lo guardai. Faceva sul serio? Pareva di sì. Avrei fatto lo stesso per lui?

    Se non giocate voi... non gioco neanch’io, disse Luca. Io gioco solo perché giocate voi. E se invece dite che volete tornare a fare parte della seconda categoria?

    Nicola mi guardò. In effetti era una possibilità, dato che ci eravamo trovati bene in seconda categoria. Purtroppo però avremmo fatto parte dello stesso club, e ci saremmo dovuti allenare insieme alla prima categoria, e con Stefano.

    Se solo potessimo fare una squadra tutta nostra, dissi sospirando.

    Buona idea! disse Luca saltando in piedi. Facciamo una squadra nuova e facciamo vedere agli altri chi siamo.

    Forte, disse Nicola.

    Ma come facciamo? chiesi. Dove li troviamo dieci giocatori? Dove ci alleniamo? E chi ci fa da allenatore?

    Forse possiamo usare il campo della scuola, disse Luca saltellando e facendo

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