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Roberto Baggio, il Divin Codino. La storia di un campione dentro e fuori dal campo
Roberto Baggio, il Divin Codino. La storia di un campione dentro e fuori dal campo
Roberto Baggio, il Divin Codino. La storia di un campione dentro e fuori dal campo
E-book237 pagine3 ore

Roberto Baggio, il Divin Codino. La storia di un campione dentro e fuori dal campo

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Info su questo ebook

Fantasia e genio, sfortuna e dolore, rinascita e record, vittorie impossibili e sconfitte imprevedibili, gol impensabili e rigori sbagliati. Roberto Baggio, il miglior calciatore italiano della storia, ha lasciato un segno nella vita dei tifosi di tutto il mondo. Questo libro racconta la sua carriera mai banale, costellata di colpi di bravura assoluti, consacrata da scudetti, coppe, e dal Pallone d’Oro nel 1993. Tre volte con gli azzurri ai Mondiali, tre volte eliminato ai calci di rigore. Gol impossibili da dimenticare, dribbling che rimarranno sempre nella storia dello sport e la beffa del rigore sbagliato quel giorno di luglio del ‘94 nella finale contro il Brasile. «Quando vado a dormire, ci penso ancora», racconta lui stesso. Un percorso umano, sportivo, personale, spirituale che ha portato il Divin Codino a cadere e risorgere tante volte durante la sua vita sui campi di calcio. Soprannominato dall’Avvocato Agnelli prima “Coniglio bagnato” e poi “Raffaello” per il suo calcio pittorico. Tutto facile, ma anche tutto in salita. Esordisce nel campionato di serie C1 a soli 16 anni, prima di un tremendo infortunio che sembrò mettere fine alla sua carriera. A 19 anni la prima volta in A con la maglia della Fiorentina, per poi diventare il fantasista di Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia. Fino al 16 maggio del 2004 quando concluse la sua sfolgorante e luminosa carriera. «Da quando Baggio non gioca più... non è più domenica», cantò Cesare Cremonini e, a distanza di tanti anni, sono ancora in molti a non avere più la domenica.

Retroscena, segreti inconfessati e rivelazioni sulla carriera della più grande star del calcio italiano di tutti i tempi

La Barriera e la siepe. Baggio, Leopardi e le punizioni
«Hop». Bruno Pizzul e la ricerca della telecronaca perfetta
«La battaglia per restare a Firenze voglio combatterla da solo»
Madonna con la maglia di Baggio a Italia ’90
La nascita del codino
«Per ora ho vinto solo i tornei da bar»
Un mese da Dio per un Pallone d’oro
«Insieme lo supereremo quel rigore»
I tiri a giro del destino
Il rigore con lo stesso piede ma un altro cuore
Il vecchio samurai e Sor Carletto
Claudio Moretti
è stato autore per dieci anni del programma televisivo Sfide. Ha scritto molti documentari di sport, tra i quali Vola Luna Rossa!, Tutto Pantani e Zaytsev, la mia storia sulla mia pelle. È sposato e ha due figli. Con la Newton Compton ha pubblicato numerosi libri sul calcio e lo sport, tra cui Il grande libro dei quiz sul calcio italiano e il volume illustrato Storie di grandi campioni per ragazze e ragazzi di talento.
LinguaItaliano
Data di uscita22 apr 2021
ISBN9788822757289
Roberto Baggio, il Divin Codino. La storia di un campione dentro e fuori dal campo

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    Roberto Baggio, il Divin Codino. La storia di un campione dentro e fuori dal campo - Claudio Moretti

    EN.jpg

    Indice

    PARTE PRIMA. L’ORIGINE

    0. ZICO

    1. LA BARRIERA E LA SIEPE

    2. «HOP»

    3. IL CORTEO

    4. CECOSLOVACCHIA

    PARTE SECONDA. L’ASCESA

    5. CHAMPAGNE

    6. IL CODINO

    7. I TORNEI DA BAR

    8. POTEVANO ESSERE SEI

    9. SACCHI VS. TRAP

    10. LA RABONA

    PARTE TERZA. LA CONSACRAZIONE

    11. UN MESE DA DIO

    12. NON DIRLO, MOSTRALO

    13. SANTO DIO, ERA ORA!

    14. CON I DENTI

    PARTE QUARTA. CADUTE E RINASCITE

    15. INSIEME LO SUPEREREMO

    16. AMNESIA

    17. I TIRI A GIRO DEL DESTINO

    18. STESSO PIEDE, ALTRO CUORE

    19. «MATAME SI NO TE SIRVO»

    PARTE QUINTA. FINALE DI PARTITA

    20. IL SAMURAI

    21. «YOU CAN CHECK OUT ANYTIME YOU LIKE, BUT YOU CAN NEVER LEAVE»

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    751

    Prima edizione ebook: maggio 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5728-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma

    Claudio Moretti

    Roberto Baggio, il Divin Codino

    La storia di un campione

    dentro e fuori dal campo

    OMINO.jpg

    Newton Compton editori

    A Ste, amico fraterno.

    Primo pensiero dopo ogni gol di Baggio,

    e la certezza che fosse felice come lo ero io.

    PARTE PRIMA

    L’ORIGINE

    0

    ZICO

    Armeggiò con i braccetti dell’antenna per intercettare il segnale della TV privata Triveneta. Pochi minuti dopo attaccò la sigla Carnival, cantata da Antonio Infantino, e iniziò la trasmissione Calcio spettacolo brasiliano.

    La prima TV a colori era costata tanti sacrifici al papà Florindo, ma a volte per prendere meglio il segnale era meglio premere il tasto per tornare al bianco e nero.

    In quelle immagini disturbate e piene di interferenze il ragazzino ebbe una specie di rivelazione. Quei campi con l’erba tagliata alta e rigogliosa, quelle porte con i pali verniciati di nero in basso e le reti lunghissime. E soprattutto quel modo di giocare, completamente diverso da quello che aveva visto in Italia. Gli sembrava che gli atleti, oltre che giocare a calcio, ballassero. Mentre si passavano il pallone sentì una specie di musica in sottofondo. Un florilegio di dribbling, tunnel, numeri di prestigio. Se qualcuno azzardava certe cose sui campi italiani si beccava uno scapaccione appena tornato nello spogliatoio. Lì invece erano il cuore dello spettacolo.

    C’era il Flamengo, ma anche il Bangu, lo stadio Brinco da Princesa, il Botafogo, il Palmeiras e le prodezze dei vari Cerezo, Junior, Dirceu, Socrates, Roberto Dinamite, Carpegiani, Cláudio Adão… e «il lungo crinito e barbuto», così lo chiamò il telecronista, Luizinho. E poi Juary, che dopo una tripletta con la maglia del Palmeiras, a ogni gol fece il giro della bandierina del calcio d’angolo…

    «Gooooooooooooooooooooooooooooooooool!!!!!!! Gooooooooooooooool di Zicoooooooooooooo!!!».

    Così urlò quella sera il telecronista Mario Mattioli che con il suo commento in stile brasiliano cercò di catapultare gli spettatori in quel mondo.

    Proprio Zico colpì più di tutti la fantasia del ragazzino. E il giorno dopo al campetto di Caldogno riprovò tutti i numeri che gli aveva visto fare in TV.

    Gli altri si divertivano a farsi la telecronaca per sentirsi dei calciatori veri. Lui non ne aveva bisogno. Giocò in silenzio e intanto replicò esattamente quello che aveva visto fare da Zico. Solo una cosa non capiva proprio: «Come fa a mettere i calci di punizione sempre all’incrocio dei pali scavalcando la barriera?».

    Qualche anno più tardi Zico venne a giocare in Italia, all’Udinese, e il ragazzo chiese al papà di portarlo in Friuli per vedere dal vivo le sue famose punizioni.

    Gli raccontarono che al primo allenamento Zico decise di allenarsi con la barriera mobile. Calciò cinque punizioni, e per cinque volte consecutive colpì la traversa. Allora chiamò il magazziniere e gli disse di controllare l’altezza della porta, perché doveva esserci qualcosa che non andava. Il magazziniere prese il metro e andò subito. Misurò e fece una scoperta: la traversa era 4 centimetri più bassa dell’altezza regolamentare.

    1

    LA BARRIERA E LA SIEPE

    In una classe di I° Liceo Classico di fine anni ’80 un professore era alle prese con una lezione di letteratura.

    «Prof, non ho capito questa siepe: se sta in mezzo Leo non vede nulla oltre. Giusto?»

    «Intanto Leo non è il suo nome, ma è Giacomo Leopardi… e comunque no, perché proprio quella siepe è un limite fisico che gli permette di spaziare con la fantasia…».

    «Ma se non c’era la siepe vedeva meglio, no? Perché è così fissato con questa siepe, non capisco… non poteva tagliarla? O per via della gobba non ce la faceva? Non poteva chiedere aiuto a un amico o a un giardiniere?»

    «Luca, non so proprio come fartelo capire…».

    «Il problema non è lei, prof, è questa poesia che non ha senso…».

    «Proviamo a prenderla da un’altra parte: dimmi una tua passione, Luca…».

    «Be’, il calcio, prof, lo sa…».

    «Allora… hai presente quando Baggio sta per tirare una punizione e gli avversari si dispongono per formare davanti a lui una barriera? Ecco quella barriera è la siepe di Baggio!».

    «Aaaahhh! Prof, ho capito. Bastava dirlo prima, no? Qui sul libro non l’hanno neanche scritta questa spiegazione così chiara».

    10 maggio 1987, Napoli-Fiorentina

    Lo stadio San Paolo si riempì come una polveriera per la penultima giornata di campionato. Il Napoli di Maradona era a un passo dal suo primo, storico scudetto. Gli bastava un punto per vincere matematicamente il titolo.

    Sull’altra panchina la tensione assomigliò più alla paura. Alla Fiorentina serviva un punto per salvarsi dalla retrocessione in Serie B.

    Il mister viola Eugenio Bersellini, detto il Sergente di Ferro, schierò Díaz centravanti e insieme, alle sue spalle, i due talenti più luminosi della storia gigliata: Giancarlo Antognoni e Roberto Baggio.

    Il primo era il simbolo della squadra degli ultimi quindici anni, il secondo il suo successore designato nei cuori dei tifosi, destinato a scrivere altri tre lustri di storia viola.

    Quel giorno avvenne un ideale passaggio di testimone.

    La maglia numero 10 spettò per anzianità a Giancarlo, mentre Baggio, che aveva compiuto da poco vent’anni ed era alla sua quarta presenza in Serie A, giocò con l’11.

    Dopo ventinove minuti l’attacco del Napoli, detto la MA.GI.CA. (acronimo di Maradona, Giordano e Carnevale) combinò alla perfezione: Maradona verticalizzò per Carnevale che si lanciò nello spazio come una furia, allungò il pallone per Giordano che chiuse il triangolo con un assist di tacco e Andrea Carnevale infilò il portiere della Fiorentina Landucci. Napoli-Fiorentina 1-0.

    Dieci minuti dopo proprio Landucci rinviò lunghissimo. Il pallone rimbalzò alto nella metà campo avversaria mentre due giocatori del Napoli si guardarono, entrambi convinti che sarebbe intervenuto l’altro. La palla finì così all’astuto attaccante gaucho Ramón Díaz che fu atterrato da Alessandro Renica al limite dell’area.

    Il difensore del Napoli Bruscolotti prese il pallone sotto braccio e iniziò a protestare con l’arbitro. Proprio in quel momento arrivò Baggio e glielo sfilò con decisione dalle mani.

    Lo posizionò sul punto di battuta, a un passo dal vertice di sinistra in cui si incrociano l’area di rigore e la mezza luna disegnata sopra. E rimase lì piegato con il busto verso terra a controllare che nessuno glielo toccasse.

    Di solito quelle punizioni erano di proprietà del capitano, Giancarlo Antognoni, o del sinistro al fulmicotone del laterale Aldo Maldera. Invece il ragazzino restò lì, come a rivendicare un qualche tipo di diritto.

    Maldera cedette presto e si allontanò. Il portiere del Napoli, Claudio Garella, posizionò una barriera di soli quattro uomini a difesa del tiro.

    Un po’ pochi?

    Qualche credito Roberto l’aveva conquistato in allenamento mostrando già di quali miracoli fosse capace sui calci piazzati.

    E non solo in allenamento. Il 3 settembre del 1986 in Coppa Italia contro l’Empoli aveva calciato una punizione dal limite dell’area. Il portiere Drago si aspettava il tiro sopra alla barriera e invece lui aveva calciato sul suo palo, ingannandolo e segnando il gol della vittoria.

    Quattro giorni prima, in un’altra partita di Coppa Italia, la prima gara ufficiale da titolare in maglia viola, contro l’Arezzo aveva colpito un palo su punizione all’ottantatreesimo minuto.

    Così, quel 10 maggio 1987 al San Paolo, Antognoni gli concesse la battuta.

    Anche il portiere del Napoli, Garella, come Drago, pensò che Baggio avrebbe calciato sopra la barriera. Il modo più consueto e consono ai giocatori di talento, categoria a cui Baggio già apparteneva.

    Ma lui era un giro avanti, un ragionamento tecnico più in là. Una visione assoluta e perfetta del calcio.

    Tirò a rientrare, ma sul palo lontano, quello in teoria coperto dal portiere. E la palla si insaccò a fil di palo.

    Garella iniziò a sbraitare e a smanacciare in aria accusando il fato e la barriera di chissà quali colpe. Sapeva che il punto in cui il pallone aveva gonfiato la rete era in realtà affar suo.

    La partita rimase inchiodata sull’1 a 1, concedendo a entrambe le squadre quel punto che servì al Napoli per raggiungere il Paradiso-Scudetto, e alla Fiorentina per evitare l’Inferno-Retrocessione.

    Antognoni e Baggio giocarono insieme solo quattro partite, prima che il principe gigliato decidesse di indirizzare altrove, a Losanna, la parabola discendente della sua carriera.

    Due anni più tardi la scelta di Garella di mettere solo quattro uomini in barriera, la stessa decisione passò al vaglio di Jorge Fernando Seré. Lui optò per sei compagni tra sé e il pallone mentre a Verona si giocava l’amichevole tra Italia e Uruguay.

    Che poi, chi era Seré?

    Eh, era il portiere dell’Uruguay, e anche un tipo parecchio strampalato. Il classico giocatore sudamericano degli anni ’80 e ’90 che avrebbe dovuto vedere lo psichiatra più spesso dei suoi parenti stretti. Nel frattempo gli allenatori decidevano di fargli fare il portiere.

    Aveva i capelli lunghi ai lati e dietro, un po’ stempiato davanti e un incipiente riporto sopra, nonostante dovesse ancora compiere 28 anni.

    «Tieni, prendi i guanti e mettiti in porta. Sta’ lontano da tutti gli altri giocatori che magari combini meno danni».

    Si dà il caso che tra una pazzia e l’altra Seré imparò davvero a fare il portiere. E anche molto bene. Appena cinque mesi prima aveva elevato a mito il suo nome durante la finale di Coppa Intercontinentale tra il suo Nacional Montevideo e il PSV Eindhoven.

    La partita arrivò ai tiri dal dischetto, dopo il 2-2 al termine dei supplementari, e il portiere uruguagio, con una serie di finte e balzi tra il felino, il naif e lo scappato di casa, ne intercettò ben quattro portando la coppa a Montevideo.

    Il giornalista sudamericano Carlos Muñoz non esitò a soprannominarlo, per i suoi voli, Superman.

    Questo era il portiere che sistemò il muro della barriera come fosse una vera e propria barricata. Come riuscisse a vedere il pallone lo sapeva solo lui. Aveva forse poteri paranormali? O un sensore invisibile nella testa collegato al pallone?

    Chissà. Fatto sta che Seré mise ben sei giocatori a 9 metri e 15 centimetri dal punto dove gli azzurri avrebbero calciato la punizione. Il fatto era che aveva sentito parlare del giocatore azzurro che aveva posizionato il pallone e adesso era pronto a battere il calcio di punizione.

    «Seré, attento al numero 7 dell’Italia, Baggio: su punizione ha già segnato un paio di volte», lo aveva messo in guardia prima della partita il suo allenatore Óscar Washington Tabárez.

    Tabárez, autentico professore del calcio, aveva studiato attentamente le doti balistiche del giovane azzurro.

    Arrivò per Baggio il momento di battere il calcio di punizione.

    Prima stese il braccio per lamentarsi della distanza, poi ripensò per un attimo al suo giocatore preferito, il suo idolo e modello indiscusso. Il brasiliano del Flamengo Arthur Coimbra Zico.

    Come la tirerebbe Zico questa punizione? Osserverebbe il portiere schiacciato su un palo, studierebbe la barriera folta, calcolerebbe la scarsa distanza concessa dall’arbitro…

    E poi calciò.

    Seré fece due passi in avanti verso il limite dell’area piccola come per cercare di vedere il pallone. Quando lo scorse si era già insaccato in fondo alla rete, dopo aver scavalcato la barriera con una parabola perfetta che pareva disegnata.

    Dopo la partita il portiere dell’Uruguay si ritrovò un microfono sotto al naso: «L’italiano stato bravissimo ma io non ho potuto vedere la palla perché ero coperto dalla barriera…».

    Ma come? E chi ce l’aveva messa lì quella barriera?

    I misteri di Seré.

    E il mistero del piede apollineo di Roberto Baggio.

    Dopo la partita Baggio sfoggiò un sorriso interminabile, come se avesse dei sorrisi in arretrato da recuperare.

    E ce li aveva davvero, visto che la sua carriera sarebbe dovuta chiudersi ancor prima di iniziare.

    5 maggio 1985, Rimini-Vicenza

    Roberto aveva appena 18 anni e giocava nel Vicenza in casa del Rimini allenato da Arrigo Sacchi. Le due squadre stavano lottando per la promozione in B. Dopo appena quattro minuti Baggio deviò in rete un cross di Montani.

    Due giorni prima il Vicenza aveva venduto Baggio alla Fiorentina. C’era già il contratto firmato. E Baggio il giorno dopo la partita, il lunedì, avrebbe dovuto siglare l’accordo con i viola.

    All’ottavo minuto, spinto dall’entusiasmo del gol segnato e di una carriera pronta al decollo, Baggio inseguì un avversario. Entrò in scivolata una prima volta per rubargli un pallone. Si rialzò e lo inseguì ancora. Entrò di nuovo in scivolata.

    La gamba si girò all’incontrario.

    Crack!

    Roberto sentì un dolore indescrivibile. Una lama che si conficcò nel ginocchio. Un male assurdo che durò solo un minuto. Poi più niente.

    Il giovane predestinato sentì il fato cambiare all’improvviso i piani di gloria che aveva in serbo per lui. Seppellì il volto pieno di lacrime tra le braccia del massaggiatore, che lo accompagnò fuori dal campo.

    Nei giorni seguenti provò addirittura ad allenarsi. Ma il dolore era troppo e il ginocchio cedeva in continuazione.

    Gli esami diagnostici emisero la sentenza: rottura del legamento crociato anteriore, della capsula, del menisco e del collaterale della gamba destra.

    Fu l’inizio di un calvario.

    Un mese più tardi Baggio volò a Saint Étienne per farsi operare dal professor Gilles Bousquet, il mago del ginocchio.

    Fu un’operazione terribile. Il chirurgo lavorò per ore. Bucò la testa della tibia con il trapano, poi tagliò il tendine, lo fece passare dentro il buco, lo tirò su e lo fissò con duecentoventi punti interni.

    Quando Baggio si svegliò dall’anestesia vide che la gamba destra era diventata piccola come un braccio.

    Il ginocchio era gonfio e rosso. Era tenuto insieme con delle graffette di ferro.

    La maggior parte dei giocatori che avevano subito quell’infortunio erano stati costretti a smettere con il calcio.

    Baggio si chiese se sarebbe stato uno di loro. A giorni alterni prevaleva la fede o la disperazione.

    Nel frattempo la Fiorentina si chiese come regolarsi con quel contratto che la obbligava a sganciare 2 miliardi e 700 milioni al Vicenza.

    Cosa farne di quel giovane talento ormai zoppo?

    Cosa ne sarebbe stato della sua carriera?

    Circolò la voce che l’infortunio consentisse alla Fiorentina di stracciare il contratto, e che fu a un passo dal farlo. Dopo tanti dubbi decise di credere nel ragazzo, nonostante tutto.

    E mentre il Vicenza festeggiò la promozione in Serie B anche per merito di tutto quello che Roberto aveva fatto fino a quel tragico 5 maggio, lui preparò le valigie.

    Arrivò a Firenze in estate. Fedeli compagne furono le sue due stampelle. Iniziò un duro e lungo lavoro di fisioterapia. Aveva perso 12 kg, era arrivato a pesarne appena 56.

    Non poté svolgere i normali allenamenti con i nuovi compagni, ma tirò fuori un’arma a sorpresa. Era in astinenza di dribbling e punizioni, ma aveva qualcosa che funzionava anche durante la convalescenza: la capacità di raccontare le barzellette.

    Dietro quel suo sorriso timido e gentile continuarono ad agitarsi i dubbi di non farcela. La sera prima di andare a dormire Roberto si chiedeva spesso se sarebbe tornato a giocare.

    Perché i muscoli non reagivano a dovere a tutto il lavoro svolto?

    Perché la velocità non tornava quella di una volta?

    Perché i tempi di reazione erano sempre più lenti rispetto ai comandi del cervello?

    Per un giocatore come lui, prima dell’infortunio capace di cambi di direzione

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