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Decisioni
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E-book208 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Quando Eduardo Montero, famoso imprenditore farmaceutico spagnolo, perde sua moglie Carolina a causa di un cancro non diagnosticato in tempo, il senso di colpa si impadronisce della sua vita e lui si convince che una decisione che ha preso, o che si è rifiutato di prendere, potrebbe aver cambiato il corso degli eventi.

Assillato dall’idea di essere il responsabile dell’accaduto, inizierà subito a cercare, all’interno della comunità scientifica internazionale, qualcuno o qualcosa che gli permetta di riportare in vita sua moglie, non importa come, anche a costo di sfidare le leggi della vita e della morte, in una storia in cui nulla è come sembra e, a dispetto delle apparenze, nessuno è degno di fiducia.

Decisioni è un thriller con elementi di fantascienza, che ti rapirà fin dalla prima parola. Se ti è mai capitato di porti degli interrogativi sulle tue decisioni e su come queste abbiano potuto influire sul tuo passato o potranno influire sul tuo futuro, ecco il romanzo che fa per te.

Dicono del libro:

«Trovo che la trama sia, come ho già detto, rivoluzionaria, ricca di suspense, mistero e azione»

«I lettori che sapranno essere pazienti saranno ricompensati da un’opera in cui potranno identificarsi e il cui finale li farà riflettere profondamente e a lungo»

«Non riuscivo a smettere di leggere perché volevo scoprire cosa sarebbe capitato ad Eduardo»

«Grazie a una buona costruzione della trama e dei personaggi, ci lascia un buon sapore in bocca alla fine della lettura»

«La storia mi ha affascinato perché l’autore scrive in modo fantastico. Ho amato il suo black humor»

LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2021
ISBN9781667408965
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    Anteprima del libro

    Decisioni - Jorge Urreta

    Indice

    Capitolo 1: morire è una pessima decisione

    Capitolo 2: prime decisioni

    Capitolo 3: decisioni condivise

    Capitolo 4: in attesa delle decisioni altrui

    Capitolo 5: buone decisioni implicano buone conclusioni

    Capitolo 6: la decisione russa

    Capitolo 7: decisioni concretizzate

    Capitolo 8: il frutto delle buone decisioni

    Capitolo 9: quando le tue decisioni non sono più tue

    Capitolo 10: decisioni cicliche: ritorno al punto iniziale

    Capitolo 11: decisioni difficili: di nuovo nella tana del lupo

    Capitolo 12: la decisione finale

    Capitolo 1: morire è una pessima decisione

    Chi sarei se la vita mi avesse condotto su altri sentieri? E se le mie decisioni mi avessero portato in direzioni opposte a quelle che avevo scelto? Tutti, almeno qualche volta, ci siamo posti domande del genere, però nel mio caso diventarono un’ossessione dopo la morte di mia moglie, portata via da un tumore al cervello che diagnosticammo con un mese di ritardo.

    Lasciate che mi presenti. Mi chiamo Eduardo Montero e, secondo la rivista Forbes, sono tra i cento imprenditori più ricchi d’Europa; eppure, né il mio denaro, né il mio potere, né la mia influenza riuscirono a contrastare i disegni del destino. Questa fu una delle cose a cui molti, in particolare alcuni preti, si appigliarono per dare una spiegazione al fatto che mia moglie Carolina, persona buona come poche e compagna straordinaria, fosse morta giovane e senza essere riuscita a realizzare nemmeno la metà dei suoi sogni. Io stesso mi ripetei più di una volta che eventi del genere capitavano tutti i giorni e che le vie del Signore sono imperscrutabili, però non smettevo di tormentarmi al pensiero che ci fosse una decisione che, se avessi preso o rinunciato di prendere, avrebbe cambiato il destino di Carolina.

    Per prima cosa mi spremetti le meningi e iniziai a sfogliare la mia agenda lavorativa, per cercare di ricordare cosa stessi facendo nel periodo in cui si supponeva che, dopo aver diagnosticato la malattia, mia moglie si sarebbe salvata. Credevo che quello fosse un modo per affrontare la sua morte e poter andare avanti, anche se, nel profondo, mi sentivo in colpa: ero sicuro – e piuttosto ossessionato – che qualcosa che feci o rifiutai di fare avesse avuto grande rilevanza nel corso degli eventi. Scoprii con orrore che sembrava essere così quando, mentre controllavo l’agenda in cui annotavo tutti gli appuntamenti di lavoro, notai che ero partito per un viaggio d’affari non necessario, che Carolina non voleva che facessi.

    Ero andato in Giappone, dato che la mia società – un’importante compagnia farmaceutica – aveva iniziato le trattative con diverse aziende locali, per introdurre alcuni dei loro prodotti nel mercato spagnolo. L’Oriente andava di moda – ed è così tuttora – e volevamo accaparrarci una grossa fetta della torta. I miei migliori consulenti si sarebbero occupati di tutto e la mia presenza non era necessaria, ma io volevo esserci e approfittare della situazione per conoscere da vicino il tanto famoso Paese del Sol levante. In quelle stesse date, Carolina iniziò a soffrire di sporadiche emicranie ed era un po’ giù di morale, perciò preferiva che rimanessi in Spagna per farle compagnia. Ad essere onesto, ero stufo del lavoro e della routine quotidiana, e volevo approfittare del viaggio in Giappone per cambiare aria e schiarirmi le idee. Oltretutto, e come io stesso ero solito dire, Carolina era in quei giorni, quindi mi era abbastanza chiaro quale fosse la causa dei suoi mal di testa e dei suoi sbalzi d’umore. La convinsi elencandole i numerosi motivi per cui la mia presenza in Giappone era imprescindibile, e riuscii perfino a scherzare con lei dicendole che magari sarei tornato con un miracoloso rimedio orientale contro l’emicrania e i disturbi mestruali.

    Non mi ci volle molto per andare fuori di testa e maledirmi almeno un migliaio di volte per aver preso una decisione del genere. Se quella settimana fossi rimasto con mia moglie, invece di mangiare sushi con due tipi mingherlini che non capivo e che sapevano soltanto sorridere come degli idioti, forse adesso potrei ancora godere della sua compagnia. So che probabilmente non sarebbe successo nulla, dato che le famose emicranie si risolsero in un giorno o poco più e tornarono a manifestarsi soltanto quando ormai era troppo tardi, però io continuavo ad essere ossessionato dall’idea che forse avrei potuto fare qualcosa. Può sembrare un’espressione retorica o fin troppo abusata, tanto nei romanzi quanto nei film, però in quei momenti avrei dato tutto per la semplice possibilità di recuperare Carolina o, almeno, cambiare il passato e prendermi gioco del destino, o di qualsiasi cosa se la portò via.

    Capitolo 2: prime decisioni

    Impiegai poco a passare dalla retorica all’azione, e la mia prima decisione fu istantanea. Spesi una piccola fortuna – piccola perché mi rimanevano ancora parecchi soldi – per l’affitto trentennale di un modello sperimentale, esclusivo e carissimo di camera criogenica. Si dice che Walt Disney tempo fa fece lo stesso e che ora è un cubetto di ghiaccio, quindi io non sarei stato da meno. Se Disney era riuscito a farlo, ed è morto già da parecchi anni, sarei stato in grado di farlo anche io. Dovetti agire con rapidità, dato che il mio periodo di riflessione si era prolungato per un paio di giorni e non ero sicuro di essere ancora in tempo per ibernare mia moglie. Con l’aiuto di un notaio e di un avvocato di fiducia, ai quali poi avrei dato un generoso incentivo per i servizi prestati, redassi un falso testamento in cui mia moglie chiedeva espressamente la criogenizzazione fino a che la medicina non avesse potuto riportarla in vita e curare la sua malattia, o fino a che non fossero passati trent’anni. Con questo, e con un po’ di buste piene di contanti, che distribuii di qua e di là, a qualche altro funzionario, non mi fu difficile fare in modo che nessuno ostacolasse il congelamento del cadavere di Carolina e, cosa ancor più importante, che nessuno dicesse niente, nemmeno ai suoi familiari più stretti. Se la storia di Walt Disney, che non è altro che un’infondata leggenda metropolitana, ha avuto tanto seguito negli ultimi decenni, mancava soltanto che la stampa scoprisse che io, uno degli imprenditori farmaceutici più conosciuti del Paese, mi ero affidato a tecniche mediche che sembravano prese da un episodio di Star Trek. Non sarebbe stata la pubblicità migliore per un’azienda come la mia.

    Attingendo di nuovo al mio portafoglio, noleggiai un aereo privato per trasferire il cadavere di Carolina negli Stati Uniti, dove avrebbe dovuto riposare una volta congelata. Con il pagamento anticipato di un piccolo sovrapprezzo per il disturbo, fu un tecnico della società criogenica prescelta, la New Haven Cryogenics, a incaricarsi di prendere il corpo e portarlo nel suo Paese. Io dovevo rimanere in Spagna e sfruttare il tempo nel miglior modo possibile per preparare un funerale dignitoso. Il giorno prima non avevo ancora deciso se avrei seppellito una bara vuota o piena di pietre, però era chiaro che dovevo fare qualcosa. La parte peggiore non era tenere bene a mente il piano, ma rendermi conto che, in poco più di due giorni, avrei commesso più reati che in tutta la mia vita.

    La pantomima del funerale, alla fine, consistette nella sepoltura di un feretro che conteneva solo sacchi di sabbia. Ormai immerso nella frode fino al collo, e deciso a fare le cose per bene, mi impegnai a raccogliere una quantità di sabbia equivalente al peso di Carolina, pur essendo certo che nessuno si sarebbe preso il disturbo di controllare. Come già avevo fatto in precedenza per ottenere ciò che volevo, avevo distribuito qualche banconota tra il personale dell’agenzia funebre e gli operatori cimiteriali. In entrambi i casi, scelsi gli impiegati che occupavano la parte più bassa della gerarchia, quelli che guadagnano così poco da non rifiutare mai un buon guadagno extra. Tutto filò liscio, senza grossi problemi, e il funerale si svolse come ci si aspettava: pianti, qualche urlo di dolore e un prete che spendeva belle parole per Carolina, anche se nemmeno la conosceva. Alla fine, noi familiari ricevemmo le consuete condoglianze e tornammo tutti alle nostre solite vite, benché io avessi piani ben diversi: non sapevo ancora come lo avrei fatto e quali passaggi avrei seguito, ma ero deciso a trovare il modo di risolvere la situazione di mia moglie. Il processo di ibernazione era già iniziato, anche se, ad essere onesto, stavo valutando altre opzioni già da alcuni giorni. In particolare, ce n’era una che richiamava con prepotenza la mia attenzione: le crescenti teorie riguardo agli universi paralleli e alle realtà alternative.

    La mia grande passione per la letteratura e il cinema di fantascienza mi aveva portato fin da piccolo a leggere e guardare tutto quello che suonava futuristico, non importava se fossero opere di fantasia o qualcosa di teoricamente più serio. Ero arrivato al punto di leggere addirittura tutto ciò che aveva scritto Einstein e che sembrava dare adito all’ipotesi dell’esistenza di dimensioni parallele e universi alternativi. L’arrivo di internet aveva rivoluzionato la mia vita, dato che mi permetteva un accesso quasi istantaneo – avevo il denaro sufficiente per pagare una di quelle connessioni davvero veloci – a qualsiasi informazione disponibile su questi argomenti. A dire il vero, avevo sempre pensato che si trattasse di semplici curiosità o di qualcosa di simile agli episodi di una scadente serie televisiva di fantascienza, però in quel momento non riuscivo a pensare ad altro. A questo, o a viaggiare nel tempo, che mi intrigava ugualmente all’inverosimile.

    Grazie a internet, avevo già scoperto che esistevano vari scienziati in tutto il mondo impegnati a sviluppare diverse teorie che coincidevano con quello che io stavo cercando, anche se non avevo mai concesso loro troppa fiducia. A parte questo, bisognava anche considerare che, nonostante fossi un uomo di scienza, la fisica non era mai stata una delle mie specialità a scuola. Inutile dire che la fisica quantistica e altre materie più complesse restavano fuori dalla mia portata, oltre a risultarmi pura fantasia. In fisica prendevo la sufficienza sempre per il rotto della cuffia, e a dirla tutta non me ne preoccupavo un granché. Sapevo con certezza che mi interessava il corso di laurea in Farmacia, per cui gli elettroni, i neutroni, i fotoni e le altre particelle che terminavano in -one non erano un mio problema. La fantascienza mi era sempre piaciuta, anche se non mi capitò mai di soffermarmi a pensare se le storie raccontate nei romanzi e nei film potessero avere o meno una base scientifica. Di fatto dovetti sforzarmi molto per cambiare il mio atteggiamento e smettere di considerare le teorie su dimensioni parallele, tunnel spaziali e altri tecnicismi della fisica teorica moderna come semplici cavolate prese dai film.

    Passai un bel po’ di tempo – su per giù tre settimane – a cercare di nuovo tutte le pagine web sulla fisica quantistica e sui vari concetti avanzati che avevo visitato negli ultimi anni. Riuscii nel mio intento in maniera parziale e, dopo quelle tre settimane, ero stato in grado di rintracciarne una buona parte, anche se non tutte. A peggiorare la situazione ci pensò il lavoro, che si mise in mezzo e ostacolò la mia ricerca. Il capo ero io e in teoria – o almeno così credevo – non avevo l’obbligo di andare al lavoro ogni giorno. Mantenevo l’azienda piuttosto ben organizzata e gerarchizzata, così da assicurarmi che in ogni reparto ci fossero almeno quattro o cinque persone in grado di farla funzionare senza la mia presenza. La cattiva notizia era che non avevo considerato la trattativa con i giapponesi, proprio quella per cui ero certo di aver trascurato mia moglie. Incontrare i giapponesi e negoziare con loro era ciò che meno mi andava di fare in quel momento, però preferii stringere i denti e proseguire con la contrattazione. Ero consapevole che la mia ricerca e, soprattutto, la conservazione del cadavere congelato di Carolina avrebbero comportato grossi esborsi finanziari, di conseguenza l’accordo con i giapponesi, e qualsiasi accordo del genere che la mia società fosse riuscita ad ottenere, non potevano che essere un vantaggio per me. I soldi non erano mai stati un problema, avevo sempre goduto di una situazione economica piuttosto agiata ed ero disposto ad investire qualsiasi cifra pur di scovare anche la minima possibilità di salvare o recuperare mia moglie, ma per farlo avevo bisogno di tutto il margine possibile, soprattutto se avevo intenzione di mettere da parte il mio lavoro. Non è che non avessi fiducia nei miei impiegati di fiducia – concedetemi la ripetizione –, però volevo avere le spalle coperte.

    Ingoiai l’orgoglio e il mio odio per i giapponesi – non era eccessivo, però c’era – e non mi persi neanche una riunione di lavoro, finché l’accordo non fu firmato e siglato. Il patto consisteva in un rapporto commerciale reciproco della durata di dieci anni, durante i quali ci saremmo scambiati conoscenze, tecnologie e investimenti incrociati. Come ho già spiegato, loro avevano tutti quei prodotti esotici della medicina orientale, come piante, radici e altri rimedi sconosciuti o poco noti in Europa, e noi avevamo dalla nostra dei sistemi di produzione che loro reputavano interessanti. Se non ricordo male, uno di loro pronunciò addirittura la parola siesta durante le negoziazioni. L’obiettivo era che tutti ne uscissimo avvantaggiati, io in particolar modo.

    Era evidente che avevo la necessità di trovare il tempo per dedicarmi in maniera esclusiva al mio piano, così, appena mi fu possibile, organizzai una riunione con gli alti dirigenti della mia azienda. Con la scusa di avere bisogno di tempo per riprendermi dalla perdita di mia moglie e poter ripartire a lavorare con più energia, li convinsi ad organizzare i reparti in modo che io potessi prendermi un anno sabbatico. Per fortuna nessuno mi domandò come mai avessi deciso di allontanarmi dall’azienda per un anno esatto, e dico per fortuna perché non sarei stato capace di dare una spiegazione abbastanza coerente. Scelsi di allontanarmi per un anno perché si trattava di una cifra tonda e perché qualcuno avrebbe potuto nutrire dei sospetti, o addirittura se la sarebbe presa, se mi fossi concesso più tempo. L’azienda non era più l’impresa familiare di mio padre, ed essere quotati in borsa aveva indotto la famiglia a cedere un po’ il controllo. Per avere ancor più le spalle coperte, e nessuno che mi rompesse le scatole, aggiunsi che avevo deciso di viaggiare per l’Europa. Mi giustificai spiegando che ormai non avevo più nulla che mi legasse alla Spagna e, ad essere sincero, c’era molta verità in questa affermazione.

    Nonostante ci avessi provato, non riuscii ad evitare le domande delle persone con cui avevo più confidenza in azienda, tra le quali c’erano alcuni dei miei migliori amici. Più o meno, tutti capivano – o dicevano di capire – le ragioni per cui avevo deciso di prendermi un anno sabbatico, però non c’era nessuno che non avanzasse dubbi o che non si mostrasse riluttante. Nella maggior parte dei casi – alcuni erano miei amici, altri invece non erano altro che degli impiccioni, di quelli che devono ficcare il naso in qualsiasi argomento di conversazione – apprezzavo che si preoccupassero per me e per il mio benessere, ma non mi andava di rendere conto a nessuno, né di inventarmi scuse. Ad ogni modo, suppongo che io e i miei nervi fossimo in parte colpevoli di tutto ciò.  Gli altri mi vedevano preoccupato, sebbene in realtà nessuno aveva idea di quale fosse la vera ragione della mia inquietudine. Certo che soffrivo per la perdita di Carolina, ma a quel punto mi ero già arrovellato il cervello come un dannato e avevo compiuto così tanti reati che non potevo fare altro se non pensare agli aspetti più pratici della situazione. Avevo a disposizione un anno – forse poco più, se in seguito fossi riuscito a conciliarlo con il lavoro – per cercare una soluzione al problema, o per arrendermi e iniziare ad accettare che Carolina non sarebbe più tornata.

    Seppur con qualche difficoltà, riuscii a togliermi di dosso tutti quei mosconi e me ne andai dall’ultima riunione con gli alti dirigenti con la promessa che nessuno avrebbe più parlato della faccenda con la stampa. Non avevo nemmeno il motivo di credere che potessero dubitare della versione che gli avevo raccontato, però non c’è niente di peggio di un impiegato viscido che non sa di cosa stia parlando o che pensa di sapere tutto senza in realtà avere le informazioni necessarie.

    Dopodiché, trascorsi una giornata intera a stampare le parti più interessanti delle pagine web che avevo visitato nei giorni precedenti, mentre tentavo di ordinarle per categorie e in base alla qualità delle informazioni che contenevano. Fino a quel momento non ero stato in grado di imparare molto leggendo tutte quelle nozioni dallo schermo del computer, quindi pensai che sarebbe stato meglio trasferirle su carta e controllarle con più calma. Per giunta, ogni volta che devo leggere a lungo dallo schermo del computer, finisco

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