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E ora, dappertutto, profumo di verbena
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E ora, dappertutto, profumo di verbena
E-book117 pagine1 ora

E ora, dappertutto, profumo di verbena

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Info su questo ebook

E ora, dappertutto, profumo di verbena è una storia che parla di resilienza, di come sia possibile “risalire sulla barca rovesciata” dopo avvenimenti a volte drammatici e a volte ordinari, ma che comunque fanno sì che la vita prenda una determinata direzione anziché un’altra. 
La protagonista Virginia Vervain trova, per sé e per gli altri, la soluzione della scrittura autobiografica e della narrazione finalizzate a recuperare i ricordi e a risvegliare passioni e talenti.
Si tratta di una storia surreale e reale al tempo stesso: accadono cose inspiegabili e magiche, ma le vicende raccontate e i luoghi descritti hanno a che vedere con la realtà.
Alla fine non è dato sapere cosa sia vero e cosa no, ma quello che conta non è voler dare una spiegazione razionale agli eventi, bensì accorgersi di “essere ancora vivi”, nonostante tutto.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita19 mar 2018
ISBN9788833660103
E ora, dappertutto, profumo di verbena

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    Anteprima del libro

    E ora, dappertutto, profumo di verbena - Sandrina Gal

    arricogghi

    Introduzione

    "Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni.

    La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta.

    La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l'antico fanatismo umano.

    Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima.

    Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che c’è lasciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso.

    Ridurre l'immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene sommariamente chiamato felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi."

    André Breton, dal Manifesto del Surrealismo

    Ci sono storie che, almeno apparentemente, procedono in modo lineare, senza scossoni o deviazioni… altre vanno maneggiate con cura e richiedono, per la loro complessità e delicatezza, un’attenzione particolare.

    Queste storie mi sono passate fra le mani e ne ho voluto dare una trascrizione che, anche se lontana dall’essere fedele, andasse in qualche modo nella direzione del riscatto.

    Ed ecco che i ricordi si sovrappongono, la realtà si confonde con la fantasia, nel tentativo di rispondere a quel bisogno atavico dell’uomo che ha a che vedere con la libertà.

    L’immaginazione, per Breton, è l’unica salvezza, ma per alimentarla è necessario sfidare tutto ciò che ci frena e ci ostacola, compresi il consueto e il conosciuto.

    Spingersi in altri territori abbandonando la paura è, in molti casi, l’unica strategia di resilienza che vale la pena di adottare.

    Riconoscersi e recuperare i propri talenti, di cui tutti siamo portatori, è il carburante che ci consente il viaggio.

    La resilienza, parola ormai abusata che potrebbe rischiare, per questo, di spogliarsi di significato, non ha un unico modo di manifestarsi… si può risalire sulla barca rovesciata o resistere agli urti senza spezzarsi, (secondo quale sia la definizione che meglio risuoni in noi) nelle maniere più disparate.

    Non esiste un’unica via né un unico porto.

    Una cosa, però, è certa: l’immaginazione è il ponte e la libertà l’approdo.

    Ci sono storie che per risolversi richiedono la fuga, il sogno, la metafora e storie che, per loro naturale conformazione, ne sono prive perché così hanno deciso di manifestarsi.

    La scelta è comunque nostra, ci ricorda Breton… c’è lasciata la massima libertà dello spirito, bisogna riconoscerlo, sta solo a noi farne buon uso.

    La chiamata

    Faceva un caldo infernale quando arrivò la chiamata.

    Lavoravo in un call center da oltre cinque anni e qualcosa, ogni giorno sempre di più, si agitava dentro di me. Mi ripetevo costantemente: Dai, Virginia, tutto sommato ce la puoi fare, solo sei ore al giorno e poi a casa…. Intanto avevo mandato via decine di curricula, quasi un gesto automatico, come per voler dire a me stessa che non era finita lì.

    Ci avevano appena distribuito i soliti ghiaccioli e granite per farsi perdonare l’aria condizionata che non funzionava. Se questa fosse partita avrebbe provocato un forte disorientamento e qualcuno si sarebbe alzato per controllare, fuori dalla porta, cosa stesse accadendo al clima, lasciando la postazione e creando caos nella sala.

    Negli anni, in tutti noi si era formata una sorta di associazione mentale: estate, aria condizionata non funzionante.

    Ogni tanto qualcuno sveniva e arrivava l'ambulanza. Non era così insolito: pensate a una stanza enorme con duecento persone e duecento computer, una temperatura di circa trentacinque gradi e fate la somma… i risultati li potete immaginare.

    Mi si avvicinò Carmela, la supervisora da poco promossa, con occhi mielosi e sorriso a trentadue denti e mi chiese: Che vuoi… un ghiacciolo o una granita?, senza rendersi conto del fatto che, linguisticamente, la sua era una supponente presupposizione che non dava spazio alla libertà di scelta… devi prendere o il ghiacciolo o la granita, non esiste una terza possibilità né tanto meno una quarta. Se non li volessi affatto? O se li volessi entrambi?

    Sulla scia dei miei recenti studi di programmazione neuro linguistica avrei tanto voluto chiederle di riformulare la domanda, partendo dall'assunto di base che le parole sono importanti e vanno usate consapevolmente.

    Esasperata dal caldo e dai reclami dei clienti, che in quella giornata arrivavano come proiettili senza darci tregua, mi trattenni e risposi: Niente, grazie.

    Quello che mi urtava di più era come facessero a pensare che si potesse parlare con il cliente e usare il computer con un ghiacciolo in mano… ghiacciolo che si squagliava in pochi minuti lasciandoti le mani appiccicose e la tastiera bagnata. Lo avevo constatato osservando alcuni miei colleghi che, per qualche motivo ancora oggi a me oscuro, accettavano di buon grado.

    Io il ghiacciolo non l'ho mai voluto né tantomeno la granita che richiedeva una maestria ancora maggiore: battere sulla tastiera mentre si teneva in mano coppetta e cucchiaino non era da tutti e, certamente, non rientrava nelle mie capacità.

    Carmela se ne andò indispettita, come se rifiutando ghiacciolo e granita non riconoscessi il suo ruolo, come se volessi fare un'azione di protesta per la mancanza di aria condizionata e per il caldo terrificante che eravamo costretti a sopportare.

    In realtà non era così. Anche se ho sempre avuto l'animo da ribelle, in quegli anni mi ero un po' calmata, avevo messo a tacere la mia parte indomabile per cercare di capire se la vita, in quel modo, avrebbe potuto essere più semplice.

    Non era un atto di protesta, quindi, ma una semplice presa di coscienza dei miei limiti e una repulsione innata, che mi ha accompagnato fin da bambina, nel sentirmi le mani appiccicose.

    Fu in quel torrido pomeriggio d'estate che arrivò. Ero in pausa e avevo, come sempre, giusto il tempo di fare pipì, bere il caffè e fumare una sigaretta. Mentre ero ancora in bagno, il mio telefono incominciò a suonare. Non riconoscendo il numero sul display fui tentata di non rispondere, ma poi decisi di farlo, come colta da una specie di presentimento.

    Buongiorno, parlo con Virginia Vervain?

    I Guardiani della Soglia

    Avevo finito da pochi giorni la lettura del libro Il viaggio dell'eroe di Christopher Vogler quando mi accorsi, con mia grande sorpresa, che incominciavo a filtrare la realtà come se mi trovassi a tutti gli effetti in un viaggio epico. Non sapevo bene dove stavo andando, ma i personaggi che incontravo erano quelli descritti dall’autore.

    Ogni volta mi stupivo di quanto fosse semplice riconoscerli nella vita di tutti i giorni e, incontrandoli sul mio cammino, ne sorridevo compiaciuta come se avessi ottenuto una rivelazione cui pochi possono accedere. Qualcuno mi aveva donato una chiave nuova e al tempo stesso suggestiva per interpretare la quotidianità.

    Dopo la chiamata avrei individuato i miei Guardiani della Soglia e riconosciuto in me l'archetipo dell'Eroe riluttante. Non incarnavo infatti un vero Eroe, perché egli è tale quando decide di accettare la chiamata e di varcare la soglia per compiere il viaggio; impersonavo solo la parte renitente che precede lo slancio e la partenza in ogni storia.

    Ero ancora in una fase che racchiudeva potenziale eroicità, ma che allo stesso tempo poteva tramutarsi in tutt'altra cosa: una resa, l’abbandono di ogni velleità di cambiamento al fine di preservare le aree di comfort che una situazione del tutto familiare e consueta ci consentono di mantenere, anche quando la stessa non ci piace affatto.

    Sentivo, però, un cuore eroico pulsare dentro di me e in alcuni momenti, spaventata da questo battito accelerato, cercavo di non badarci temendo di perdere quel poco che avevo costruito e di ritrovarmi in una condizione da cui non sarei più potuta tornare indietro.

    Si sa, quando si decide di varcare la soglia il viaggio va compiuto e non esistono ripensamenti, almeno se vale la pena di rischiare. Che fare, quindi?

    *****

    Buongiorno, parlo con Virginia Vervain?

    Sì, sono io. Chi parla?

    "Qui è la Villa dei Salici, sono la direttrice. Le telefono perché abbiamo ricevuto il suo curriculum e vorremmo proporle un contratto a termine, come educatrice, nella nostra casa di riposo.

    Da noi accogliamo anziani ed ex manicomiali e abbiamo letto che lei ha molta esperienza. Si tratta di un anno; è possibile che le rinnoviamo il contratto, ma non sono in grado di garantirglielo. È interessata?"

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