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Una cosa sola
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E-book144 pagine1 ora

Una cosa sola

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Info su questo ebook

Nella protagonista di questo romanzo autobiografico, l’amore intenso e assoluto – percepito vividamente durante la nascita del figlio – innesca una reazione a catena che sovverte ogni ordine: la scelta di rimanere sola, anziché soffocare in un rapporto di coppia inesistente, la condurrà a un’indagine introspettiva che schiude un mondo di significati mai colti prima. Ma qual è la scintilla che spinge una donna a raccontare un’esperienza tanto intima e profonda? Non il bisogno di comprensione e solidarietà, ma il desiderio di condividere una storia di maturazione interiore in cui ogni donna saprà ritrovare una mano amica e una guida luminosa.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2020
ISBN9788863939781
Una cosa sola

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    Anteprima del libro

    Una cosa sola - Laura Zona

    SATURA

    frontespizio

    Laura Zona

    Una cosa sola

    ISBN 978-88-6393-978-1

    © 2019 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Amare è

    vivere l’attimo

    che si sussegue all’attimo,

    fra un respiro e l’altro

    cogliere nel nulla

    l’istante assoluto,

    il palpito del cuore

    che vibra

    all’unisono

    con l’infinito…

    Dedicato alla vita e alle sue splendide occasioni.

    Lacrime soffocate sotto al cuscino in un letto vuoto d’amore, la pelle senza graffi, il cuore pieno di lividi e una vita in grembo da crescere.

    La scelta è per tutta la vita, mi dicevano, ma io per tutta la vita cosa volevo?

    1

    La storia

    La vita non è quella che si è vissuta,

    ma quella che si ricorda

    e come la si ricorda per raccontarla.

    Gabriel García Márquez

    Ricordo di aver sempre avuto dentro un senso di amore infinito, ma ero una pellegrina per le strade del mondo.

    Cercavo un amore che riempisse la vita, quello sognato nelle favole di bambina, eppure, chissà perché, alla fine mi trovavo sempre di fronte a porte che si chiudevano, e io continuavo a bussare senza fiato, con disperazione.

    Non mi rendevo conto che il mondo è pieno di fantasmi d’amore, le loro storie si intrecciano con le nostre e crediamo sia la cosa giusta, il «per sempre» che da tempo immemorabile qualcuno ha fissato nella nostra mente con un pennarello indelebile.

    Volevo quel «per sempre» a tutti i costi e lo sposai. In quel giorno di festa le persone più care della mia vita non erano presenti: zia Angiolina era morta con il desiderio nel cuore di vedermi felice, nonna Emilia era stata ricoverata in ospedale per un problema serio, pochi giorni prima della celebrazione.

    Era il segno che «…questo matrimonio non s’ha da fare…»?

    Il mio «per sempre» iniziò un po’ in salita. Le incomprensioni per le piccole cose erano all’ordine del giorno, il sesso l’unico momento di tregua, decisioni grandi come l’acquisto di una casa innescavano una guerriglia sottile e terribile che mi piegava. Lui mi faceva sentire colpevole di tutto e incapace di fare qualsiasi cosa, e io cominciavo a crederci davvero, sebbene una voce nelle mie profondità continuasse a ripetermi che non era così.

    Sprofondavo ogni giorno di più in un pozzo, mi sembrava di sguazzare nella melma e di non riuscire a mettere aria nei polmoni. Mi domandavo chi ero senza ottenere risposta, come se un vuoto dentro di me togliesse ogni forza al pensiero.

    Le giornate avanzavano lente, i miei doveri si svolgevano con un senso di vaga rassegnazione.

    Era la vita che volevo?

    Mia madre mi ripeteva che era ora di sistemarsi in una casa nuova e di mettere al mondo un bambino… per rimettere a posto le cose.

    Lo diceva solo per convincersi che poteva essere l’unica soluzione ai nostri problemi.

    Rimasi incinta con sorpresa, vista la situazione poteva sembrare inopportuno l’arrivo di un figlio; in cuor mio ne provavo, invece, un forte desiderio.

    Il sogno, fatto la notte prima del test di gravidanza, contribuì ad aprire un varco nel tempo di solitudine che stava allagando la mia vita: zia Angiolina era apparsa nel riquadro della finestra mentre le ante si spalancavano; con il suo sorriso dolce e amorevole mi aveva guardato intensamente stringendomi le mani, nella mente le sue parole rassicuranti: «Tutto è a posto…».

    Il test di gravidanza risultò positivo e, mentre osservavo la mamma piangere, non di felicità ma di preoccupazione per la notizia, percepii per la prima volta nella mia vita una nuova sensazione di gioia, come se si aprisse una porta su un mondo sconosciuto e ancora da esplorare.

    Guardavo mio marito e non riuscivo a capire: era felice? L’idea di diventare padre decretava il raggiungimento di una maturazione agognata o era semplicemente un momento diverso nella sua vita?

    Non so se comprendesse il senso della felicità: avevo la percezione che quella parola così importante lo spaventasse a morte, come se si trattasse di qualcosa di inafferrabile o di irraggiungibile.

    Mentre i giorni passavano, chiedevo aiuto alla creatura che stava crescendo dentro di me per vincere un distacco che pugnalava il cuore.

    La mia pancia «gli faceva senso», secondo lui ero distratta e non capivo più niente.

    Realizzavo un’incomprensione di fondo, forse perché per mio marito il mio stato era qualcosa di scontato: mettere al mondo un figlio è compito della donna come di qualsiasi altro animale, succede da che mondo è mondo, dunque perché preoccuparsi tanto?

    Eppure, sentivo chiaramente che quello stato era la condizione «giusta» per me, e provavo infinita gratitudine verso la vita, che aveva scelto il mio corpo per manifestarsi.

    Nel contempo, mi domandavo se avesse ancora significato vivere con mio marito: si trattava di un sentimento lacerante che mi impediva di trovare soluzione.

    Insieme alla mia gravidanza, cominciò a delinearsi un nuovo progetto. Quella voce, che ogni tanto si faceva sentire dentro, mi invitava a reagire, a progettare; la zia mi aveva lasciato in eredità la sua piccola casa: perché non farne qualcosa per accogliere la nuova vita?

    Mio marito non credeva assolutamente alla mia idea, dichiarandosi fortemente contrario e deciso a non darmi alcun sostegno. Se volevo portare avanti il mio piano, dovevo farlo da sola.

    Non era assolutamente facile tenergli testa, ma la voce parlava in modo sempre più incalzante e mi persuadeva a credere nel mio proposito.

    Come per magia, una serie di congiunture favorevoli cominciò a manifestarsi, rendendo via via sempre più concreto quel disegno che aveva preso forma nella mia mente.

    Per realizzarlo chiesi aiuto a un geometra, amico di famiglia di mio marito, una persona particolarmente apprezzata per la lunga esperienza lavorativa e per le sue doti di buonsenso e umanità.

    Accolse immediatamente la mia richiesta e si rese disponibile a occuparsi del progetto, nonostante fosse gravemente ammalato. Realizzò con rapidità i disegni della casa, sulla base delle mie precise indicazioni, offrendo utili suggerimenti per ottimizzare le risorse di cui disponevo.

    Uomo pratico, umile e intelligente, condivideva con me l’idea che ogni risorsa, materiale o spirituale, sia preziosa e debba essere utilizzata al meglio

    Proprio per questa ragione comprendeva la situazione e contribuì a perorare la mia causa, cercando di convincere mio marito della validità dei miei propositi.

    Mio marito continuava, per il gusto di essere un «bastian contrario», a trincerarsi dietro a una serie di ipotesi che non avevano alcun fondamento pratico e, soprattutto, economico.

    Dichiarava spesso che i miei soldi lo infastidivano poiché avevo un reddito sicuro, frutto del mio impiego nel settore pubblico. Si trattava di una fonte di sostentamento di cui anche lui beneficiava, dal momento che, per la sua libera scelta di essere indipendente, non aveva ancora trovato una vera collocazione professionale.

    Il sostegno morale e l’impegno profusi da quella valente persona, il geometra, furono fondamentali e mi aiutarono a trovare la forza per affrontare quell’intenso periodo. La sua prematura scomparsa lasciò un grande vuoto nel mio cuore: era stato il primo di una serie di straordinari incontri della mia vita.

    Parallelamente al mio senso di realizzazione, cresceva la rabbia di mio marito: ogni occasione era utile per cercare di umiliarmi, manifestando un atteggiamento di derisione davanti agli altri.

    Riusciva a non parlarmi per giornate intere, arrivò addirittura a non rivolgermi la parola per quindici giorni consecutivi. Un silenzio tagliente come una lama affilata, talmente potente da svuotare il cuore e rendermi incapace di reagire.

    Dopo quell’ultimo, prolungato periodo di silenzio, una sera si degnò di chiedermi se volevo accompagnarlo in un locale, dove alcuni suoi amici organizzavano una cena. Acconsentii per una sorta di indolenza; il programma «per sempre» continuava a condizionare la mia vita e a velare di amarezza le giornate.

    Appena arrivati nel locale, si unì alla compagnia ignorandomi completamente.

    Mi sentivo così a disagio da non riuscire a resistere, non potevo continuare a sostenere quella situazione impietosa: decisi, dunque, di andarmene senza attirare troppo l’attenzione. Facendo finta di nulla, mi allontanai dalla sala, recuperai la giacca e uscii dal locale, che distava poco più di un isolato dalla casa di mia suocera, dove alloggiavamo in attesa che i lavori della nuova abitazione fossero completati. Mentre camminavo, respirai a fondo l’aria di quella serata estiva, fresca dopo un breve temporale.

    Mi balenò subito l’idea di allungare la strada e raggiungere la casa dei miei genitori: sarebbe stato facile e comodo rifugiarmi da loro, invece decisi, stoicamente, di tornare in quell’abitazione che non mi apparteneva, ma nella quale avevo deciso di restare. Quando, a tarda sera lui rientrò, mi chiese come mai mi ero allontanata senza dire nulla: finsi di dormire e non diedi risposta, troppo stanca per trovare la forza di sostenere una conversazione che sarebbe sfociata in un litigio.

    Pochi giorni dopo, ebbi seri disturbi e fui costretta a fermarmi per un periodo di riposo. Grazie a quella situazione fortuita s’insinuò la paura che la creatura dentro al mio grembo potesse soffrire la mia pena, e fu in quel momento che decisi di cambiare rotta.

    «Non potevo fare del male al bambino!»

    In questo modo cominciò il cammino verso una nuova consapevolezza.

    Era la notte di San Lorenzo: sveglia a pensare con lo sguardo fisso sul cielo, che si stagliava nel riquadro della finestra spalancata sulla notte, vidi

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