Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Pianeta delle Occasioni Perdute
Il Pianeta delle Occasioni Perdute
Il Pianeta delle Occasioni Perdute
E-book156 pagine2 ore

Il Pianeta delle Occasioni Perdute

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sul Pianeta delle Occasioni Perdute non si giunge per caso. I terrestri che decidono di andarci, da dovunque provengano, lo fanno con la consapevolezza che lì soltanto avranno l'opportunità di vivere un'esperienza unica, senza limiti, dai meandri del proprio passato e oltre, fino al più recondito e sconosciuto futuro. Iris, la «teratopoli» del pianeta, attrae e affascina, i suoi abitanti sembrano essere gli ultimi rimasti con una predilezione naturale per il dialogo e la comprensione. Chi visita il Pianeta sa che l'occasione che potrà vivere sarà la chance di una vita. «Il Pianeta delle Occasioni Perdute» è una raccolta di racconti fantascientifici, la cui ambientazione in epoche differenti e con personaggi che ricorrono, costituisce lo scenario per un romanzo diffuso: chef interstellari, predatori delle galassie, poeti, amanti, forme di vita extraterrestre, artigiani dello spazio. Patrizia Caffiero ha dato vita a un universo con una lingua nuova, popolandolo di storie, personaggi, evoluzioni in corso, avventurando il lettore in molteplici viaggi e facendoci vivere un futuro poetico e sorprendente.
LinguaItaliano
Data di uscita22 set 2021
ISBN9791280202277
Il Pianeta delle Occasioni Perdute

Leggi altro di Patrizia Caffiero

Correlato a Il Pianeta delle Occasioni Perdute

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Pianeta delle Occasioni Perdute

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Pianeta delle Occasioni Perdute - Patrizia Caffiero

    Il Pianeta delle Occasioni Perdute

    Patrizia Caffiero

    Patrizia Caffiero, Il Pianeta delle Occasioni Perdute, Giugno 2021 | Narrativa, 29

    ©Musicaos Editore, 2021

    Via Arc. Roberto Napoli, 82 | 73040 Neviano (Le)

    Tel. 0836618232 | info@musicaos.it | www.musicaos.org

    Ogni riferimento a fatti, cose, persone, è da ritenersi puramente casuale.

    Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta su alcun mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’editore.

    Progetto grafico Bookground

    Illustrazione ©Grandfailure | Dreamstime.com

    Isbn versione cartacea 979-12-80202-185

    Isbn ebook 979-12-80202-277

    A mia madre Luciana,

    a mio padre Felice,

    che hanno amato e incoraggiato

    la mia parte selvaggia

    IL PIANETA DELLE OCCASIONI PERDUTE

    Il Pianeta delle Occasioni Perdute

    Per acquistare il biglietto avevo impegnato tutti i miei risparmi, venduta la mia uovocasa a prezzo di ribasso e preparata l’esovaligia quantica ereditata da nonna. Destinazione del viaggio: il Pianeta delle Occasioni Perdute.

    Il settimo pianeta della Nuova Galassia, visto dallo spazio, era nero. Zebrato da strisce parallele di un viola polveroso.

    Mentre girava, agile come un danzatore, inviava bagliori di luce dorata.

    Su quel pianeta mi aspettava Omissis, l’altra metà della mia fantaanima, il mio amore perduto mille anni prima. Mi sarei riunita con lui dopo tre mesi di viaggio, avrei sentito le sue braccia stringermi forte. L’esistenza era perfetta, tutto ciò che contava mi veniva restituito. Non c’era umana più felice di me in tutto il radiocosmo.

    Io e altri otto viaggiatori arrivammo nello sferoporto in un’alba rosa.

    Il capitano della nastronave, nel dare il benvenuto al gruppo dall’alto di una scala luminosa fermò lo sguardo su di me per un lungo istante; nascose un sorriso con difficoltà, forse divertito per la mia monelleria. Avevo commesso un’imprudenza, buttandomi sulle spalle una stola color vermiglio; il rosso non era compreso tra i colori consigliati per l’abbigliamento ai viaggiatori intergalattici. Ma io ricordavo che a Omissis piaceva molto che mi vestissi di quel colore.

    Mi accorsi che eravamo stati selezionati anche in base all’età, che non superava i duemila anni.

    A bordo c’era un’umana con riccioli biondi che arrivavano alle caviglie. Altre due mostravano un taglio rasato molto chic, ed erano tatuate sul cranio in modo superbo. Notai un umano, vestito color grigio erba, che portava con sé una magicartella cubica nera, che ogni tanto lanciava un sibilo.

    Nessuno conosceva l’identità degli altri, e soprattutto doveva restare segreto il desiderio che ci aveva spinto a trasferirci lontano.

    Io sono un tipo ciarliero, faccio facilmente amicizia; invece i miei compagni di viaggio non dicevano nulla; si limitavano a criotossire educatamente, e a sospirare spesso.

    Il giovane capitano della nave se ne stava al centro esatto del cerchio formato dai nostri sedili e pilotava con tre delle sue cinque braccia una consolle minuscola costituita da un fascio impalpabile di tessiture leggere.

    Solo tempo dopo avrei saputo che erano state filate dai ragni rossi e luminosi del suo pianeta, una specie che non aveva mai attecchito sulla Terra; solo dopo avrei appreso che il capitano si chiamava Magik e che veniva da Mokok, un pianeta della Galassia più lontana finora conosciuta.

    Le regole della traversata vennero svelate da Magik man mano che trascorreva il primo mese di navigazione.

    Il capitano estrasse dal taschino della sua tuta bianco splendente una boccetta piena di un liquido incolore che, se assunto, portava al sonnomusica in pochi secondi. Ognuno di noi, ci disse, poteva chiedergli di farsi addormentare fino all’arrivo.

    Ma io non volevo dormire. Avrei voluto gridarlo ai miei compagni di viaggio, toccandoli su una spalla per scuoterli dal torpore.

    Non riuscivo a psicoimmaginarlo, mi stavo ricongiungendo con Omissis!

    Non volevo perdermi neppure un attimo di quell’avventura. Avevo portato con me betaframmenti di immagini. Quando battevo le mani, a un metro di distanza ecco apparire Omissis. Lo vedevo camminare, buttandosi con infinita eleganza una lunghissima sciarpa dietro le spalle. Strizzarmi l’occhio. Schermirsi per finta per essere betaripreso. Uscire dalla nostra stanza delle capsule con un asciugamano annodato sui fianchi stretti e mandarmi un bacio. Avrei voluto avere più betaframmenti di lui. Ma allora, chi poteva immaginare che non l’avrei più rivisto per mille interminabili anni?

    Durante il primo mese di crociera, a uno a uno, i viaggiatori chiesero con un cenno della mano al capitano di farsi addormentare nella propria capsula; gli altri, rimasti accasciati sui sedili della sala centrale continuarono a mostrare un’espressione assente.

    Uno di loro fissava una metafotodinamica; dimenticò di battere le ciglia per un’ora intera; a me venne in mente che non potesse più distinguerla chiaramente.

    Un signore distinto rileggeva di continuo, con un mormorio sommesso, una vecchia lettera arrugginita.

    Man mano che passava il tempo, l’Occasione Perduta esercitava su di loro un fascino sempre più pressante, che li spinse più avanti nei giorni a piangere mestamente.

    Ero stupita di sentirmi così distante da loro: dentro di me prevaleva un istinto di gioia, e pensare di rivedere Omissis mi portava un presagio di felicità.

    Mi sentii davvero sollevata quando gli ultimi due del gruppo chiesero di essere sedati.

    Mi venne naturale, a quel punto, impiegare il tempo della cosmonavigazione conversando con Magik.

    Attaccai discorso dicendogli, dal momento che ero specializzata anche in mitostoria, forse per darmi delle arie, che erano trascorsi duecentoventisette anni esatti, quel giorno, dalla scoperta scientificomistica più importante della storia dell’uomo.

    «Mi riferisco, esimio capitano, all’esistenza di una galassia contigua al nostro sistema solare, composta da dieci pianeti. Mondi incredibili perfettamente conformi e adatti, al contrario del pianeta Terra, a sopportare una popolazione di poeti, negromanti e visionari».

    Magik rispose: «Certo. La scoperta, come lei sa, fu seguita da un’altra rivoluzione scientificomistica: una coppia di psicofilosofi esperti in navigazione vibrazionale dell’universo costruirono una nastronave in grado di recarsi dovunque si volesse arrivare».

    Mentre parlava, il capitano arricciava lievemente il suo quarto occhio, come se sorridesse costantemente, anche quando affrontava un discorso serio.

    «Ovviamente fu da allora che voi umani scopriste nuovi sistemi planetari; è così che avete iniziato le relazioni intergalattiche con Mokok, la mia terra d’origine».

    A quel punto mi imbambolai. Affiorò nella memoria un frammento di ricordo, un brano di una conversazione sostenuta con il mio docente di Fenomenologia dell’Antropologia Isotropica durante gli studi sui popoli dei pianeti decentrati; ma non ne ricordavo i dettagli.

    Era passato troppo tempo. Cominciavo a invecchiare, i miei neuronisintetici aggiunti, forse, avevano bisogno di una rinfrescata. Avevo saputo che, per fortuna, sul Pianeta delle Occasioni Perdute c’erano eccellenti Miocliniche a supporto della longevità per gli innesti neurofotonici.

    Qual era la particolarità dei maschi mokokiani che mi sfuggiva?

    Il giorno dopo fu Magik a cominciare a parlare, nel mezzo della giornata, che avevo trascorso fino a quel momento rileggendo I giorni smarriti, il particellalibro preferito di Omissis.

    «Signora mia, le hanno comunicato, i governativi, cosa sia davvero il Pianeta delle Occasioni Perdute?».

    «Dal suo tono deduco che lei possa avere informazioni molto interessanti, per me», risposi.

    «Il suo potere su di voi è senza limiti. Entrando nella sua sofosfera incontrate la forma umana, animale o fisica con cui avete un debito in corso».

    Fece una pausa di qualche minuto, poi riprese:

    «Una Teratopoli unica lo occupa per milioni e milioni di pentamiglia. È uno spettacolo di torri svettanti, giardini profumati da fiori metallici e striscianti, padiglioni composti da decine di lati. Creature bellissime di ogni sesso al chiaro delle sue lune, cantano per tutta la notte sinfonie celestiali».

    Mi accorsi che il capitano sapeva esprimersi in modo poetico. Anche Omissis amava descrivermi i pianeti che non avevo ancora visitato. Adoravo quando lo faceva, potevo ascoltarlo per ore. Mi scoprii a fissare senza alcuna discrezione l’unica bocca morbida di Magik, che aveva scandito le ultime parole con un graziosissimo accento mokokiano.

    Chiesi al capitano:

    «Ma allora è vero, come dicono, che si possono incontrare anche i propri cari defunti?»

    «Sì, è così», mi rispose.

    «La morte, sul Pianeta delle Occasioni Perdute, è soltanto un aneddoto da raccontare agli amici, intorno al fuocofolletto, dopo aver bevuto un bicchiere. Potete trovare, ancora viventi, animali che sulla Terra si sono estinti da tempo. Un figlio può incontrare il padre trapassato da secoli per chiedergli dove ha nascosto una eredità. Si può recuperare un oggetto smarrito. L’amica perduta per un’antica lite potrà riabbracciarvi, e aprirvi la porta per offrirvi un pantatè, come avete bramato, ogni giorno.

    L’unica condizione perché accada è che si tratti di un’Occasione Perduta, di un sogno non realizzato, di un desiderio che provoca una grande sete».

    Nel pronunciare quelle ultime parole, grande sete, Magik fece sorridere finalmente tutti i quattro occhi insieme, guardandomi dalla testa ai piedi in un modo singolare, che mi fece provare un leggero brivido. Imbarazzata, per evitare il suo plurisguardo osservai i capelli lunghi e ondulati color bronzo. Mi ricordavano il dorso di una stralince selvatica.

    I capelli di Omissis, invece, erano scuri come quelli di una creatura dell’Iperforesta, in contrasto con occhi color malachite, che splendevano di luce, e diventavano enormi quando si emozionava. E Omissis si emozionava spesso. Amore mio, mio smarrito amore. Scheggia scintillante della mia fantaanima.

    Tornai con fatica a concentrarmi sulle parole di Magik:

    «I primi tecnoesploratori umani, seguendo il programma multigovernativo Testa la nuova Terra con la testa sono partiti per il Pianeta e non sono più tornati.

    Per mia fortuna, noi mokokiani siamo immuni dagli effetti del Pianeta delle Occasioni Perdute; ci godiamo solo la sua bellezza, quando camminiamo in libera uscita fra i giardini sorvegliati da api giganti e palazzi dai colori mutanti».

    Al principio del secondo mese di viaggio Magik aveva innestato il pilota automatico vibratile, e spento via via, mentre passavano i giorni, le luminescenti principali della sala centrale.

    Una sera mi invitò nella stanza dei narghilè festanti, accese i fumigatori di stufigocce ioniche. Dopo due fumatine, prese coraggio, e mi chiese quale fosse la mia Occasione Perduta.

    Sebbene ben disposta, rilassata, mi sembrò davvero un’azione sconsiderata da parte sua, una violazione evidente del codice di cosmonavigazione, e in più compiuta da un capitano, da qualcuno appartenente alle più alte sfere dell’Esercito di Navigazione Interstellare.

    Ma eravamo solo io. Lui. E lo spazio dell’universo.

    Anche se all’inizio negai, mi schermii, mi difesi dalla curiosità di Magik, non potei che cedere, alla lunga. E glielo raccontai. «La mia Occasione Perduta si chiama Omissis. Il nostro amore ci ribaltò come due fili d’erba spazzati dalla tempesta.

    È successo mille anni fa, eravamo zetagiovani. Tu non esistevi ancora, Magik. Omissis e io studiavamo insieme all’Università delle Parole Interrotte; e lui era l’umano più affascinante della stazione di Studi Superiori della Luna centrale.

    Quando si innamorò di me perdutamente, presi la via di fuga. Lo lasciai senza un motivo».

    Magik restò in silenzio accavallando a due e a tre le gambe, e solo dopo un po’ parlò:

    «Hai avuto paura di un amore esclusivo. Omissis sapeva leggere nei tuoi pensieri. Tu eri giovane e non volevi legarti troppo presto. Nessuno, dopo di lui, è stato in grado di comprendere chi sei. E ora ti aspetta, sul Pianeta delle Occasioni perdute. Ti aspetta. Ed è sempre più impaziente – aggiunse – come parlando a sé stesso».

    I giorni passarono lenti e rotondi nella nastronave. Entrammo nel terzo e ultimo mese della traversata. Anche se non potevamo vedere veri tramonti, Magik ne proiettava per me uno diverso ogni giorno in superologramma. Alla fine di ogni calar di sole nel fragore

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1