Le Ossa Del Drago
Di Ines Johnson
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Info su questo ebook
Archeologa, modaiola e antica immortale con un serio problema di memoria, la dottoressa Nia Rivers ha passato gli ultimi secoli a riempire gli spazi vuoti del suo passato, il tutto mentre sfuggiva a oscuri assassini e rubava brevi momenti da sola con Zane, il suo amante immortale
Ma quando una reliquia di duemila anni fa riemerge dal suo passato, Nia non è sicura che la storia ad essa collegata sia quella che vuole raccontare al mondo. Il fatto che Tres Mohandis, un compagno immortale e il più grande rivale di Nia, sia determinato a sfruttare il territorio e a seppellire il sito prima che Nia possa scavare, suggerisce che una storia oscura si nasconda nel sito. Peggio ancora, Nia sta cominciando a rendersi conto che il burbero miliardario immobiliarista, non le dispiace così tanto come ricorda,.
Lasciare che Tres faccia a modo suo potrebbe essere la cosa migliore per Nia, specialmente quando la verità potrebbe rivelare un orribile crimine del passato di Nia, con il suo nome scritto sopra. Ma tutte le storie non meritano di essere raccontate? Anche le peggiori.
Anche se questo dimostra che lei non è affatto chi pensa di essere.
Scoprite questo eccitante urban fantasy con avventure da brivido, colpi di scena legati a segreti antichi e una storia d'amore da brivido, dove Tomb Raider incontra Indiana Jones e vissero felici e contenti!
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Anteprima del libro
Le Ossa Del Drago - Ines Johnson
LE OSSA DEL DRAGO
INES JOHNSON
Traduzione di
ALESSANDRA MAFFIOLI
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio e non devono essere considerati come reali. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone, in vita o defunte, è puramente casuale.
Dragon Bones
©Copyright Ines Johnson 2020
Le Ossa del Drago
Traduzione Italiana ©Alessandra Maffioli 2022
Editing a cura di Chiara Vitali
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta dell’Editore o dell’Autore, fatta eccezione per brevi citazioni inserite nelle recensioni.
INDICE
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici
Capitolo Tredici
Capitolo Quattordici
Capitolo Quindici
Capitolo Sedici
Capitolo Diciassette
Capitolo Diciotto
Capitolo Diciannove
Capitolo Venti
Capitolo Ventuno
Capitolo Ventidue
Capitolo Ventitré
Capitolo Ventiquattro
Capitolo Venticinque
Capitolo Ventisei
Capitolo Ventisette
Capitolo Ventotto
Capitolo Ventinove
L'autrice
CAPITOLO UNO
La terra aveva una caratteristica curiosa. Reclamava i morti per nutrire una nuova vita. Seppelliva oscuri segreti che poi rovesciavano verità a lungo negate. Nascondeva il quotidiano e lo trasformava in un reliquiario di cui i vivi facevano tesoro.
Aveva anche la pessima abitudine di lasciare macchie permanenti sulla biancheria costosa.
Non importava con quanta grazia mi muovessi sul suolo della foresta ricoperto di fango, piccoli schizzi imbrattavano la mia camicetta di lino. Ovviamente sapevo che era meglio non indossare un capo di vestiario da centoventinove dollari in Amazzonia, ma non avevo pianificato questo viaggio e non avevo avuto il tempo di rifare le valigie per la foresta pluviale. Avrei dovuto recarmi in una spa europea per concedermi un costoso bagno di fango. Invece eccomi qui, nel profondo della giungla honduregna, dove il trattamento con il fango era gratuito.
Il mio stivale affondò fino alle caviglie nella fanghiglia densa e marrone, e imprecai mentre lo estraevo. La terra umida mi schizzò goccioline grandi come un pollice sui jeans e sugli avambracci. Tutto il mio abbigliamento era rovinato.
Mi guadagnavo da vivere tra rovine come queste in tutto il mondo, attraversando terre remote nel caldo del deserto, guadando paludi torbide e camminando in montagne gelide. Come archeologa, amavo quello che facevo per vivere. Ma lavorare tutto il giorno tra la sporcizia e la morte faceva desiderare a una ragazza cose belle e pulite, ogni tanto.
Sfortunatamente, il mio arrivo alla località termale sarebbe stato ritardato di almeno un altro paio di giorni – o più a lungo se non avessi fermato l'imminente disastro che stava per abbattersi sul mio attuale sito di lavoro. Così mi scrollai tutto il fango possibile dagli stivali, asciugai le macchie di sudiciume sui pantaloni, immaginai che il caldo honduregno fosse una sauna e che la mia pelle stesse ricevendo dal suolo un trattamento di fanghi a cinque stelle.
Ovviamente, fantasticare non funzionò. Ma mi aiutò a raggiungere la mia destinazione più velocemente.
Quando finalmente arrivai al sito archeologico, vidi spuntare dal terreno una serie di manufatti come se fossero ortaggi pronti per essere colti. Questo lavoro era stato facile. Quegli antichi tesori volevano essere trovati. Si protendevano dalle loro fosse, sventolando la bandiera bianca della resa perché tutti potessero vederli.
Ma questo era parte del problema. C'erano persone che non volevano che questi tesori venissero trovati. Persone che avrebbero preferito vederli di nuovo sepolti, o addirittura distrutti. Peggio ancora, ce n'erano altre che desideravano strappare questa ricchezza alla terra per trarne profitto. Quest'ultimo aspetto fu quello che mi fece accelerare il passo, ma fu il primo a bloccarmi.
Feci un passo indietro quando un convoglio militare raggiunse il sito. Una bandiera con cinque stelle cerulee al centro di tre bande, due blu e una bianca, era orgogliosamente esposta ai lati di una jeep. Era la bandiera nazionale dell'Honduras. Gli indigeni di questo paese si erano visti sottrarre la loro indipendenza, e la loro identità, da conquistatori provenienti da un'altra terra.
C’erano voluti secoli perché il popolo riconquistasse la sua autonomia e reclamasse la sua unità. La potenza militare di fronte a me dimostrava che non avevano intenzione di fare un passo indietro nel tempo. Il che era ironico dal momento che questa nuova minaccia proveniva dal passato.
Eravamo arrivati in quello che una volta era stato il centro della Ciudad Blanca, la Città Bianca, conosciuta anche come la Città Perduta del Dio Scimmia. La gigantesca statua di una scimmia giaceva su un fianco con la terra che ne ricopriva la metà inferiore, come se il popolo antico avesse nascosto il simulacro del suo Dio sotto una coperta prima di abbandonare la città. Questa città sepolta aveva ospitato un'antica civiltà che aveva prosperato più di mille anni fa. Oggi, le loro vestigia ci chiamavano per far sentire ancora una volta la loro voce alle masse.
Prima di poter prelevare qualcosa dal sito per ulteriori osservazioni, il terreno doveva essere sondato e gli artefatti autenticati. Ed era qui che entravo in gioco io. Un sito archeologico era considerato autentico solo quando un esperto riconosciuto, come me, lo avesse analizzato. Primo passo, compiuto. A questo punto si passava alla più difficile e impegnativa fase due, ovvero l'autenticazione degli oggetti rinvenuti. Il mio ruolo in quanto esperta di antichità in situ di questo raro ritrovamento era quello di datare i reperti e provarne l'autenticità.
Il governo honduregno credeva – anzi sperava – che la città perduta avesse solo poche centinaia di anni. Era ovvio che lo credesse. I funzionari erano i diretti discendenti dei Maya, e il turismo legato alle rovine Maya era un grande affare. I libri di storia sono sempre stati scritti solo dai conquistatori. Se si fosse scoperto che era esistita una civiltà più avanzata o più antica dei Maya, si sarebbe creato un enorme caos.
Sfortunatamente per il governo, la terra non mentiva.
Quello che avevo scoperto non era solo più antico dei Maya, ma era anche più di una città. Questo sito era immenso. Secondo la mia stima, i pochi ettari che erano stati recintati erano solo l'inizio. La disposizione delle rovine emerse sembrava corrispondere ad alcuni isolati di una città inserita in una rete di città.
Mi incamminai lungo le aree recintate del sito, osservando i miei colleghi nel meticoloso lavoro di riportare alla luce il passato. Il professor Aguilar della Coalizione Nazionale per le Antichità dell'Honduras stava spazzolando delicatamente lo sporco secco da un manufatto di pietra scura per portare alla luce le incisioni di quella che sembrava essere la testa di un giaguaro con il corpo di un essere umano. Avevamo trovato molte rappresentazioni di questo tipo sui manufatti dissotterrati: uomini scimmia, uomini ragno, uomini uccello.
Gli occhi del professor Aguilar si allargarono in preda alla meraviglia. Un secondo dopo, si offuscarono per la preoccupazione, mentre cercava con lo sguardo i soldati in uniforme che pattugliavano il sito. Le iscrizioni sulla base del manufatto sotto l'uomo giaguaro non erano geroglifici del popolo Maya, la più antica civiltà di cui si avesse notizia nella Nazione. Erano più antiche e precedevano la gloria dei Maya, fatto che poteva riscrivere l'identità nazionale di un intero paese che aveva combattuto duramente per riconquistare la propria cultura, la propria terra e il proprio destino cancellato dai conquistadores.
Erano parole che capivo, perché le avevo pronunciate di recente con due delle mie migliori amiche che, guarda caso, erano donne giaguaro. Per fortuna, non erano venute a conoscenza di questo scavo o la nostra prossima serata tra ragazze sarebbe andata in malora. Dovevo mantenere le cose come stavano.
Le labbra di Aguilar si strinsero in una leggera smorfia osservando la potenza militare invadere l’area dello scavo. Un soldato si avvicinò. Aguilar esitò ma, alla fine, consegnò il manufatto. L'ufficiale coprì l’oggetto con un panno e se ne andò.
Lo sguardo di Aguilar catturò il mio e il professore scosse leggermente la testa. Sapevo che condivideva le mie preoccupazioni. Il sito era una scoperta eccezionale, che avrebbe dovuto essere condivisa con il mondo, non nascosta e messa a tacere come una parentela imbarazzante e indesiderata.
Man mano che la squadra archeologica rinveniva i reperti, i soldati delle Forze Speciali honduregne li impacchettavano e li caricavano sul retro dei loro convogli. Osservai i militari portare i manufatti su un camion. Potevano sforzarsi di nascondere la verità, ma l'insabbiamento non sarebbe durato a lungo. C’erano volute migliaia di anni perché questa storia venisse a galla. Sarebbe riemersa di nuovo. Il passato lo faceva sempre.
Probabilmente prima che poi. Mi guardai alle spalle, ricordandomi che i soldati non erano la mia attuale preoccupazione. Una minaccia peggiore si stava avvicinando. Mi voltai e marciai decisa verso l'uomo al comando.
«Tenente» gridai. «Possiamo scambiare due parole?»
Il tenente Alvarenga si voltò rigidamente nella sua uniforme militare. Le sue sopracciglia aggrottate si abbassarono mentre allargava le labbra in un sorriso studiato. «Ecco nostra piccola Lara Croft.»
Cercai di non irritarmi per quel paragone, anche se non mi dispiaceva essere messa a confronto con lei dal punto di vista fisico. Essere accostata al personaggio del videogioco o a quello del film interpretato da Angelina Jolie era un complimento, anche se ero ben lontana dall'essere una replica. I miei folti capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo, non in una lunga e unica treccia, e avevo occhi grandi, da gatto, con un'inclinazione pronunciata che indicava un'eredità asiatica. Condividevo lo stesso naso regale che accennava ad antichi antenati di origine gallica. Le mie labbra erano carnose e piene, e richiamavano una discendenza africana. La mia carnagione ambrata mi collocava da qualche parte tra il nord Africa e il sud della Spagna. E sì, dei pantaloni stretti, una canottiera e un bel paio di stivali con il tacco alto mi sarebbero stati da Dio.
Ma era lì che finiva il confronto tra il personaggio immaginario e me. Croft depredava tombe e rubava manufatti. Io, al contrario, ritrovavo ciò che era stato dimenticato e poi condividevo le mie scoperte con il mondo. Da un punto di vista morale, non avremmo potuto essere più diverse.
«Non me l'hai mai detto, Nia», disse il tenente invadendo il mio spazio, «sei una signora o una signorina?»
«Sono una dottoressa» dissi, tenendo duro. «Dottoressa Nia Rivers.»
Alvarenga fece un passo verso di me, ma non mi spaventavo facilmente. Sfortunatamente, sembrava essere il tipo a cui la cosa piaceva.
«Mi stupisce sempre come tu riesca ad arrivare al sito così in fretta» disse, con gli occhi ridotti a una fessura e un sorriso fasullo. «E solo pochi giorni dopo che ordini dall’alto hanno inviato qui le mie truppe e me.»
Strabuzzai gli occhi fingendo innocenza. «L’IAC mi ha mandato per assicurarsi che non vengano fatti danni a un potenziale sito storico.»
Non era esattamente la verità. La International Antiquities Coalition, con la quale avevo spesso lavorato come freelance, non mi aveva mandato. Li avevo avvisati io della presenza del ritrovamento dopo averne avuto il sentore attraverso un sito nel darknet frequentato da cacciatori di ricchezze e tesori – razziatori di tombe. Avevo detto all'IAC che mi ci stavo recando, e loro avevano semplicemente sollecitato le scartoffie per rendere ufficiale il mio arrivo.
«Naturalmente» disse il tenente con un ghigno insincero. «È uno spreco di risorse dissotterrare capanne di fango di antichi selvaggi. Probabilmente mangiavano i loro piccoli come le bestie selvagge. Meglio lasciare sepolto il passato.»
Ieri avevamo scoperto un altare sacrificale al centro della piazza del paese. Ogni cultura praticava il sacrificio, che fosse animale o umano. La consuetudine di rinunciare a ciò che è caro continua ancora oggi quando un padre rinuncia a suo figlio, una moglie mette i bisogni di suo marito prima dei propri, o un giovane dirigente abbandona la propria dignità per aggrapparsi a un gradino più alto nella scala del successo. In fondo, sacrificare qualcosa significa rinunciare a ciò a cui si tiene per un bene superiore. In un certo senso, immagino che il tentativo del governo di nascondere questa scoperta per proteggere l'identità culturale attuale fosse un sacrificio. Tuttavia, ciò non lo rendeva giusto.
«L’IAC mi ha inviata a verificare il sito e ad autenticare i reperti, in accordo con la Convenzione Internazionale sulle Antichità. Sono convinti che questo ritrovamento abbia un grande significato storico che potrebbe giovare a tutta l'umanità.»
Il tenente sollevò di nuovo il sopracciglio come se non mi credesse. Accidenti, era più intelligente di quanto pensassi. Ma non avevo il tempo o la voglia di offrirgli alcun credito, quando i suoi uomini stavano impedendo il riconoscimento di un'altra cultura dal sito di scavo.
«Il mio Paese non ha bisogno di un consenso per scavare nel proprio cortile» dichiarò.
«No, ma avrete bisogno di aiuto per salvare tutto ciò che potrebbe essere saccheggiato e portato in un altro paese. Credo che la posizione del sito sia trapelata nel web.»
Stavo finalmente arrivando al motivo per cui ero corsa fuori dalla mia tenda, dove stavo controllando con il telefono satellitare la posta elettronica, per raggiungere il sito archeologico. Da quando ero arrivata qui non mi ero più connessa. L’ultima volta che lo avevo fatto, venti minuti fa, c'era stato un avviso di aumento dell'attività sul sito nel darknet che mi aveva portata qui.
«Sciocchezze» disse il tenente. «E anche se la posizione fosse trapelata, i miei uomini stanno sorvegliando l'intera area.»
«Ma c'è molto terreno da coprire» lo incalzai. «Forse, se non disperdesse così tanto i suoi uomini, e invece li spostasse più vicino al sito...»
«Signorina Rivers, so che gli americani permettono alle loro donne di avere voce in capitolo, ma lei è nel mio paese, nel mezzo di una giungla, e sta parlando con un ufficiale superiore dell'esercito. Dare ordini potrebbe non essere il miglior modo per usare la sua lingua.»
Ero brava a imitare l'accento americano, ma non ero americana. E, sì, questo era ciò su cui avevo scelto di concentrarmi piuttosto che sui suoi commenti misogini. Gli ero stata intorno per troppi giorni per dargli ancora corda su questo argomento. C'erano cose più importanti in gioco.
«L'unico posto dove finirà tutta questa spazzatura è un caveau governativo» disse, guardandosi intorno con disgusto.
«Intende un caveau della Coalizione Nazionale delle Antichità dell'Honduras?» chiesi, conferendo una nota zuccherosa alla mia voce.
Avevo avuto a che fare con troppi uomini e donne come lui – persone più interessate a proteggere i loro interessi che a far progredire l'umanità – per lasciar perdere. Il governo dell'Honduras non aveva intenzione di permettere che queste informazioni venissero divulgate fino a quando non avessero capito come sfruttarle a proprio vantaggio. E, una volta compresa, la verità di questa civiltà perduta sarebbe stata ritoccata e diluita, conquistata e colonizzata, per adattarsi all'identità nazionale attualmente in vigore.
Al vincitore va il bottino, o almeno così diceva il proverbio. Sfortunatamente per il governo, avevo tutte le intenzioni di essere io il vincitore, oggi.
«Quando i nostri esperti avranno autenticato i... manufatti, decideremo cosa condividere al di fuori dei nostri confini» disse il tenente, con una nota di condiscendenza nella voce. «Non affanni questa sua bella testolina pensando ai razziatori. Lei è ben protetta, qui.»
Si sbagliava. Io ero riuscita a entrare.
Le sue parole erano una minaccia, nonostante il suo tentativo di placarmi
. Sapevo che avrei dovuto mostrare timore – la mia mancanza di paura lo avrebbe solo eccitato, spingendolo a sfidarmi di più. Ma ero irritata per i vestiti sporchi e troppo stanca per fingere di essere intimidita.
«Comunque», dissi alla fine con un'alzata di spalle, «potrei anche sbagliarmi.» Sapevo che non era vero.
Il tenente Alvarenga annuì saggiamente con la testa. «Se è preoccupata per la sua sicurezza, può sempre passare dalla mia tenda, dopo il tramonto.»
«Allettante.» Il mio tono era sarcastico, ma il luccichio nei suoi occhi mi disse che non aveva colto il dileggio. Se avessi dovuto strisciare nel fango, avrei voluto almeno trovare qualcosa che valesse il disturbo.
Girai i tacchi e mi diressi verso la mia tenda, avvertendo il suo sguardo fisso sul mio sedere. Era tutto a posto. Era l'ultima volta che lo avrebbe visto.
CAPITOLO DUE
La notte era rumorosa. Mammiferi, rettili e insetti si svegliavano con uno sbadiglio e iniziavano i loro rituali. I grilli si strofinavano le zampe per annunciare la loro disponibilità. Gli uccelli sbattevano le ali al ritmo dei loro canti notturni. Le scimmie urlatrici facevano onore al loro nome e grugnivano l'una contro l'altra attraverso i rami.
Nell'ambito delle sue attività notturne, un formichiere incrociò il mio cammino, si fermò e si voltò a fissarmi mentre mi nascondevo accucciata. Leccò il fango sui miei stivali ma, non trovando formiche, proseguì per la sua strada. Non era stato il mio unico visitatore. Gli animali di questa lussureggiante foresta non vedevano esseri umani da un millennio. Avevano dimenticato la paura.
Mi arrampicai sul tronco di un albero per evitare l'ulteriore attenzione degli abitanti del suolo e per avere un punto di vista migliore. Un bradipo mi passò accanto e strisciò sul ramo vicino al mio. Le sue braccia e le sue gambe erano aggrappate al ramo e mi guardava a testa in giù. Ci fissammo per qualche istante. Persi la gara di sguardi e ridacchiai per l'espressione seria sulla sua faccia imbronciata.
Lo schiocco di un ramo che si spezzava in lontananza riportò la mia attenzione sulla situazione attuale. Girando la testa, trasalii alla vista di due soldati al seguito del tenente. Li riconobbi per averli visti all'accampamento. Apparentemente, il tenente aveva ascoltato il mio avvertimento. Sfortunatamente per lui, era troppo tardi.
I soldati tenevano gli occhi puntati sull'orizzonte, i loro sguardi fissi verso il punto in cui il sole era tramontato. Qualcosa mi suggerì di voltarmi e guardare in direzione della luna nuova e, in quel momento, notai i saccheggiatori. Con il cuore in gola, ne